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Graffiti Paleocristiani

Albano di Luc.


 

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GRAFFITI PALEOCRISTIANI
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L’ARTE INCISORIA NELLA STORIA DELL’UMANITÀ

 

Incidere, dipingere o graffire nella roccia per lasciare i segni del proprio credo è essenzialmente una caratteristica dei popoli senza scrittura. Tale fenomeno ha un riscontro vastissimo che va dai graffiti trovati nel deserto della Giordania a quelli del deserto di Gobi, nella Mongolia e nella Cina, da quelli del ciclo preistorico Camuno, sulle Alpi alle Stele Sipontine a noi più vicine, nella Daunia.Graffiti che oltre ad attestare manifestazioni di vita quotidiana spesso sono espressioni di fede religiosa, specialmente nei posti ove si affermò il monoteismo, cioè l’idea di un solo Dio che risiedeva nei cieli o sulle alture da dove vedeva e seguiva l’Umanità dovunque e comunque, anche attraverso le pietre. Concetto quest’ultimo che troviamo espresso in una incisione trovata, in questi ultimi anni, sul monte Har Karkom, che si presume sia la montagna di Dio, ossia il monte Sinai; si tratta di una incisione sulla roccia dell’Età del Bronzo (2.500 — 2.300 a. C.), raffigurante un grande occhio, che si pone nella linea della tradizione orale precedente al profeta che dice: “L’occhio di Dio ti guarda dalla pietra.

I graffiti di cui ci occupiamo sono stati eseguiti in luoghi la cui sacralità, qui come altrove, continuò ad esercitare un fascino misterioso che perpetuò, nel nascente cristianesimo, le antiche credenze religiose. Questi stessi graffiti vengono generalmente definiti paleocristiani o giudeo-cristiani in quanto si ritiene siano stati eseguiti dai Cristiani antichi che intendevano osservare le pratiche prescritte dalla legge mosaica. Viene spontaneo chiedersi: Quanto fossero antichi quei giudeo-cristiani esecutori dei graffiti? E quando e da chi avessero appreso la legge di Mosè o la fede evangelica, insieme al modo di praticarle? Per quanto riguarda l’epoca di esecuzione è probabile che risalga ai primi secoli del cristianesimo giacché i graffiti in esame trovano più somiglianza con quelli trovati sulle pietre e sui mattoni della Santa Casa di Loreto, presenti anche a Gerusalemme, a Nazareth e presso la tomba di S. Pietro “muro g”, in Vaticano, che con quelli bizantineggianti trovati davanti alle chiese rupestri di Matera e con quelli bassomedievali di Campanine di Cimbergo, in Valcamonica.

A questo punto bisogna credere che il cristianesimo in questi luoghi si sia affermato sin dai primissimi secoli e che a predicare per primo il Vangelo sia stato S. Pietro, principe degli Apostoli. A tal proposito si trova che la costa salentina è costellata da numerosi presunti approdi dell’Apostolo, per ciascuno dei quali sorse una chiesetta dedicata al Santo. La tradizione vuole che il primo di questi posti di approdo sia Leuca; lo confermerebbero alcuni toponimi ed alcune tradizioni tra cui quella che, venendo da Giugliano al bivio per Leuca, si trova un antico pilastro votivo sul quale c’è l’usanza di deporre una pietra a ricordo della visita effettuata al santuario dove S. Pietro avrebbe riposato. Inoltre, partendo dal Sud lungo il golfo di Taranto, ricordiamo le chiesette di S. Pietro a Giuliano e S. Pietro dei Samani in territorio di Gallipoli, S. Pietro in Bevagna sull’omonima spiaggia presso Campomarino, S. Pietro Mandurino a nord della periferia di Mandunia e S. Pietro Crepacore presso Torre S. Susanna, quest’ultima attribuita al VI secolo. Eccetto la chiesetta di Giuliano le altre sono tutte a due cupole in asse, la cui origine architettonica è stata individuata nell’Asia Minore, dove vi è, come prototipo, la chiesa di S. Giovanni, costruita ad Efeso nel 565. Ed ancora, in una lamina in bronzo, rinvenuta nel 1531 sotto al pavimento dell’antico monastero dei Basiliani in Oria (Br), si legge: “Anno XI post Christum mortum divus Petrus Apostolus Christifidem Uritanis civibus predicavit” (Nell’ anno XI dopo la morte di Cristo, l’Apostolo S. Pietro predicò la fede di Cristo ai cittadini Oritani). Lamina che confermerebbe quanto tramandato da altra antica tradizione, e cioè che S. Pietro sia sbarcato sulla spiaggia di Bevagna e, prima di avviarsi per l’Appia, la Regina Viarum, verso Roma, si fermò a Oria per predicarvi il Vangelo. E poiché l’Apostolo lascerà nei centri più importanti suoi rappresentanti (vescovi) possiamo prendere per buono il passo dell’isagoge ( = introduzione ) al “Breviario di Storia Ecclesiastica” del BERTI, nel quale si trova che: “dagli scrittori antichi e da molte vestigia si è certi che S. Pietro visitò molti luoghi simili ed elesse Vescovi come quello di Napoli e... Oria,

 

Tuttavia Giacomo RACIOPPI, per quanto riguarda il viaggio di San Pietro dalla Puglia a Roma, sostenne che si tratta di tradizioni “epicorie” (del luogo, indigene) e che era lecito supporre che la novella religione del Vangelo si diffondesse piuttosto dal centro dell’impero alle province. Anche Giustino FORTUNATO fu del parere che la fede cristiana in queste terre si fosse diffusa da Roma verso il IV - V secolo. Peccato che sia il Racioppi che il Fortunato non abbiano chiarito perché non sia da ritenersi probabile il viaggio dell’Apostolo S. Pietro da Brindisi e per queste terre, né come mai si trova che nell’anno 238 di Cristo un tale Filippo venne consacrato vescovo di Venosa, verso il 300 un altro cristiano, Romano, reggeva la diocesi di Acerenza e nell’anno 343, Stercorius (Stercorio), primo vescovo di Canosa, partecipava al Concilio di Serdica (Sofia, in Bulgaria). Inoltre, si cita l’esistenza della diocesi di “Marcellianum” (antico Pagus su cui probabilmente sorse l’abitato di S. Giovanni in Fonte) che, se il nome e la sua spiegazione antica ripetono il vero, dovrebbe essere stata fondata al tempo di Costantino da Marcello I Papa nel corso del primo decennio del IV secolo (Rivista di Archeologia Cristiana XXXV, 1958, p. 193 ss.).

Se questi vescovi vi furono come, oltre a Ferdinando UGHELLI (Storia Sacra), hanno affermato il MORELLI, il VIGGIANO e il VOLPE, è evidente che all’epoca il cristianesimo si era abbastanza affermato in Lucania, altrimenti quale gregge di anime avrebbero dovuto pascere questi augusti Pastori?

Il viaggio di S. Pietro per la Via Appia potrebbe essere, infine, confermato dal QUOVADIS, da cui si apprende che sulla stessa Via Appia, forse la sola conosciuta dal Santo per averla fatta a piedi all’andata, gli apparve Gesù, mentre cercava di fuggire da Roma.

La rapida diffusione del cristianesimo in questi luoghi fu probabilmente favorita dall’assetto spirituale della gente in vista del nuovo ordine morale-religioso. È da ricordare che questo nostro meridione era stato sottomesso definitivamente all’imperio romano dopo guerre disastrose, per ultima quella sociale (90 — 88 a. C.).Roma unificata l’Italia, per rendere più agevole il censimento, la riscossione delle tasse e l’amministrazione della giustizia, ripartì il territorio tutto in undici regioni; la Lucania e il Bruzio formarono la terza. A seguito di questa ripartizione la Lucania ebbe i seguenti confini: con la Campania il Sele o le foci di esso, dato che Eboli, sulla sponda destra del fiume, era compresa nella regione; con il Bruzio il fiume Lao sul Tirreno ed il fiume Turi o Coscile sullo Jonio; con la Puglia il fiume Bradano a tratti, giacché Venosa rimase con la Puglia e Acerenza con la Lucania.

La condizione dei cittadini tutti fu quella di veri sottomessi e spesso di schiavi sotto ristrette facoltose oligarchie, ceti rurali impoveriti o composti di manodopera servile con una segnalata minoranza di pastori fra le colline e sulle montagne; il territorio abbandonato al latifondo tornò allo stato selvaggio pieno di boschi e di paludi, regni di insetti, rane e bisce, dai quali l’uomo tende ad allontanarsi a causa dei miasmi pestiferi, focolai di malaria, le poche strade impraticabili e insicure. La miseria venne dunque a stabilirsi sovrana e per sempre; fu allora che il centro economico si spostò verso la pianura Padana e, con ORAZIO da Venosa, iniziò l’esodo dei migliori figli della Lucania.

In quel tremendo stato di fatto a mitigare e sollevare lo spirito esacerbato della povera gente giunse propizia la fede cristiana e si può immaginare con quanta speranza venne accolta, dato che parlava di pace, di fratellanza, di uguaglianza e di salvezza eterna: condizioni che forse fecero sperare anche a qualche spiraglio della tanto sospirata libertà.

Coloro che abbracciavano il cristianesimo per sentirsi più vicini al Salvatore e per riconoscersi segretamente tra loro avevano bisogno di un simbolo che non doveva essere la croce perché incuteva loro terrore, essendo strumento di pena

romana col quale si eseguivano le condanne a morte (compresa quella di Gesù), ed anche per non essere individuati dai Romani che non esitavano a giustiziarli, quindi facevano uso di simboli crittografici, ad esempio la figura convenzionale del pesce. Col passare del tempo conobbero i simboli ebraici il cui uso, probabilmente, si protrasse per alcuni secoli dopo l’Editto di tolleranza, emanato da Costantino nel 313.

 

 

 

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