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Graffiti Paleocristiani

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GRAFFITI PALEOCRISTIANI
ad Albano di Lucania,
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LA PRESENZA EBRAICA IN LUCANIA

 

Non è improbabile che i primitivi cristiani avessero appreso le pratiche della legge mosaica, e quindi l’uso dei graffiti, da gente ebraica sparsa un po’ ovunque. Il popolo ebraico o giudaico, di razza semitica, tra tutti i popoli antichi fu il primo ad affermare e conservare l’idea di un solo Dio unico e universale, da adorarsi in spirito: l’Altissimo, il Santo, l’Onnipotente, il principio e la fine di tutte le cose. L’importanza di quel popolo, nella storia dell’antica civiltà, non deriva dalla vastità di dominio, né da potenza militare, ma dagli ideali religiosi e morali che prepararono il Cristianesimo. Il fenomeno che lo contraddistinse dagli altri popoli è quello della fatale sua dispersione nel mondo, simboleggiata dalla leggenda dell’ "Ebreo errante".

La sua diaspora ebbe inizio ai tempi dei Giudei (Giosuè, Gedeone, Sansone) e dei Re (Saul, David, Salomone) successi al legislatore Mosè, e si accentuò alla caduta del regno di Giuda nel 586 a. C., con la deportazione del popolo in Babilonia. Dopo un tentativo rivoluzionario dei fratelli Maccabei per ricostruire il regno giudaico, gli Ebrei soggiacquero alle legioni di Roma, della quale divennero tributari (130 a. C.).

Durante il predominio romano seguirono altre deportazioni, quella di Pompeo del 63 e quella di Claudio del 44 a. C.. L’anno 70 d. C., esplosa la grande ribellione degli ebrei Zeloti, che mirava ad espellere i Romani dal paese e di ristabilire il regno di Dio, Tito conquista, brucia e distrugge Gerusalemme e il Tempio, e deporta a Roma uomini, donne e bambini per esporli durante il suo trionfo sulla Via Sacra; questa deportazione costituì la vera e propria “diaspora ebraica".

Questo misfatto passò alla storia come la vendetta della vendetta, cioè che Tito, nella propria convinzione, intese punire i giudei colpevoli della morte di Cristo per vendicare il peccato di Adamo, dimenticando però la negligenza o la viltà di Pilato che, al momento, rappresentava il sacrosanto segno di Roma in Gerusalemme. Convinzione errata (se è vero che la morte di Cristo sarebbe stato il modo scelto da Dio per la nostra redenzione), che tuttavia doveva perpetuarsi nel tempo giacché anche Federico II, nel marzo 1212, nell’assecondare l’arcivescovo di Cosenza, Luca, che gli aveva chiesto in dono i giudei della città, gli avrebbe risposto che: “stimava giusto che i nemici della Croce servissero il Crocefisso, nella speranza che, servendo la Chiesa, potessero venire alla conoscenza della fede evengalica “.

Con i deportati da Tito, infatti, gli Ebrei presenti a Roma sembra che fossero circa 40mi1a. Quelli che sopravvissero alle esposizioni del circo e ai tormenti della fame, raggiunsero la Campania, la Calabria, la Lucania e la Puglia dove molti finirono come schiavi o come agricoltori dei latifondisti romani. Ivi si dispersero in piccoli gruppi nelle sedi meno esposte alla intolleranza del paganesimo morente e del cristianesimo trionfante.

Gli Ebrei, istintivamente più calcolatori e intraprendenti che avidi e avari, si dedicarono all’agricoltura, all’artigianato, ai commerci più umili ed eccelsero nell’astrologia e nella medicina, conseguendo un certo benessere ed una ragguardevole posizione sociale.

La Chiesa li combatté e li perseguitò in ogni tempo, ne sono prova il richiamo energico fatto nel 602 da papa Gregorio I al vescovo di Napoli, Pascasio, perché impediva con la forza gli Ebrei ad esercitare il loro culto, ed il richiamo fatto da Alfonso I d’Aragona al vescovo di Tricarico, dopo quello di Reggio, Catanzaro, Cosenza e Salerno, siccome aveva iniziato una inutile lotta contro gli Ebrei di quella comunità per accampare diritti sulla loro Giudecca.

La loro condizione sociale si rese sempre più triste quando prevalse tra il popolo il misticismo di S. Francesco e l’intolleranza di S. Domenico. Con le Costituzioni Palermitane, infatti, si negò l’equilitas tra cristiani e giudei e pertanto si ammetteva solo la testimonianza dei cristiani contro gli ebrei e non viceversa. Questo fatto spinse i cristiani ad accusare falsamente gli ebrei di omicidio rituale ai danni di loro bambini; da qui il privilegio di Federico Il prima (1236) e quello di Papa Innocenzo IV dopo (1242), con i quali si proibiva di sollevare simili imputazioni. A tanto seguì il proselitismo angioino che fece tabula rasa del giudaismo e le loro sinagoghe vennero trasformate in chiese cristiane cattoliche. Ma, senza dilungarci, si potrebbe concludere dicendo che la millenaria lotta antisemitica in forme di persecuzione o addirittura di mania di sterminio ha toccato l’acme della sua efferatezza nel XX secolo: ne sono testimoni raccapriccianti i forni crematori della seconda guerra mondiale, nei quali hanno fatto un’orrenda morte milioni di Ebrei. Non a caso S. S. Giovanni Paolo Il, da Santo cristiano, ha voluto, una volta per tutte, chiedere perdono agli Ebrei in Gerusalemme (23 marzo 2000), per la lotta fatta ad essi in ogni tempo e luogo.

Da un decreto dell’imperatore Onorio del 398 è nota la presenza di colonie ebraiche in Lucania ove le più numerose erano quelle di Grumento, Teggiano, Melfi, Venosa, Lavello, Potenza, Atella, Tricarico e Matera.

Nelle rovine di Grumento fu trovata una corneola con tre linee di scrittura ebraica. L’iscrizione , nelle due prime linee dice: “Mosè figlio di Emanuel” e nella terza linea sono indicate le lettere ebraiche H S Z J S. Presso Venosa nel 1853 venne scoperto un ipogeo o catacombe con 47 epitaffi ebraici ed anche l’immagini del candelabro a sette braccia; ipogeo che non risulta più antico del terzo e non più recente del sesto secolo. Inoltre, a Venosa, Lavello e Matera sono state trovate iscrizioni sepolcrali giudaiche incise sulla pietra che vanno dal IX secolo in giu.

Meno diffuse dovettero essere le colonie di Ebrei nella parte nord-occidentale della regione, dato che, soltanto nella seconda metà del XV secolo , oltre a Miglionico, Montemurro, Oppido, Senise e Tursi, esistevano comunità giudaiche anche a Eboli e Battipaglia. Da tenere in conto, però, che secondo una statistica approssimativa del Ferorelli, verso il 1500 gli Ebrei residenti nel Regno di Napoli erano circa 49.000. È probabile, perciò, che oltre alle comunità o colonie vere e proprie, sin dai primi secoli dell’era cristiana, potessero esserci molti altri piccoli gruppi sparsi, magari in qualità di agricoltori presso i latifondisti romani, la cui presenza, in quest’altra parte della regione, potrebbe essere dedotta dai resti di numerose ville rustiche romane individuati nell’ager Volceianus e quello Eburinus.

Si vuole che soprattutto da questi piccoli gruppi di Ebrei i primitivi Cristiani del luogo avessero appreso le pratiche della legge mosaica e che, in seguito, avessero voluto lasciare ai posteri i segni della loro nuova fede mediante i graffiti incisi sulla pietra.

 

 

 

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