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Luigi Branco
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Ricordi Bizantini in un dialetto di Basilicata - Sant'Arcangelo


CIVILTA' BIZANTINA IN BASILICATA 

I : "BIZANTINIZZAZIONE" DELLA LUCANIA

L'importanza della dominazione bizantina in Basilicata è dimostrata, in particolare, dal nome stesso della Regione: una parte dell'antica Lucania, infatti, quella che dai confini pugliesi e dai monti che guardano il Vallo di Diano va fino al litorale ionico, la zona, cioè, segnata dagli antichi classici fiumi di questa terra: Bradano, Basento, Cavone, Agri, Sinni, fin dalla prima metà del sec. XII è stata detta, comunemente, "Basilicata". Il nome, di chiara origine greca, fu usato, ufficialmente, solo dopo la fondazione della Monarchia Normanna (1130) ma è, certamente, di origine più antica (1); non si può pensare, infatti, che i Normanni mettessero a questa terra un nome greco; dovettero, invece, ovviamente, accettare un nome già comune fra le popolazioni della provincia. Come in una zona della regione pugliese divenne comune il nome "Capitanata" (2) così divenne comune, per buona parte dell'antica Lucania, il nome "Basilicata", e come il primo deriva dal nome con cui era indicato un alto funzionario bizantino, così dal nome di un ufficiale bizantino, il "Basilico", che era il rappresentante del basilèus, cioè dell'imperatore di Bisanzio, deriva il nome di Basilicata. Fu, dunque, certamente grande la forza della civiltà bizantina in Lucania se il nome che allora fu dato alla Regione non solo si mantenne e divenne comune sotto i Normanni, che, pure, tentarono con ogni mezzo di rilatinizzare i loro domini già greci (3), ma dura ancora oggi come nome ufficiale della "Regione Basilicata".
La conquista dell'Italia, da parte dei Bizantini, fu compiuta da Belisario il quale, dopo aver conquistato, nel 535, Lilibeo, in Sicilia, l'anno seguente occupa Reggio ove Eurimondo comandava le truppe ostrogote. La conquista dell'Italia venne poi completata da Belisario stesso e da Narsete che abbattè definitivamente il dominio dei Goti nell'anno 555, sconfiggendo a Campsas (forse l'attuale Conza) ove si erano asserragliate, le ultime bande gote guidate da Ragnari. Dopo Narsete buona parte dell'Italia era ormai bizantina; la capitale era Ravenna. Nel Sud, però, il dominio bizantino era subito ostacolato dai Longobardi che, scesi dal settentrione, occuparono vasti territori organizzandoli intorno ai due centri più importanti di Benevento e Capua. Più tardi arrivarono fino in Calabria, nella valle del Crati ove, nel sec. XI, troviamo già i castaldati di Laino, Cassano e Cosenza (4).
Dai Bizantini la Calabria era stata costituita in ducato. Probabilmente, però, in origine questo ducato non doveva comprendere solo l'attuale Calabria, bensì tutta l'Italia meridionale bizantina (e, quindi, anche buona parte dell'attuale Basilicata) tutta la zona, più o meno, che va da Brindisi-Taranto fino a Reggio. Il capoluogo era Taranto, posta in bella posizione fra la penisola salentina e la penisola calabrese. In seguito, le conquiste di Romualdo, duca longobardo di Benevento, che occupa Brindisi e Taranto, riducono i possedimenti pugliesi dei Bizantini alla punta della Terra d'Otranto, così che il nome di Calabria, che prima comprendeva tutti i possedimenti greci dell'Italia meridionale, si limita all'attuale penisola calabrese, l'antico Brutium (5). Così ridotto, il ducato di Calabria ebbe per capitale Reggio. Questo ducato era una dipendenza del "tema" di Sicilia che era il decimo dell'Impero.
Ma la Sicilia stessa all'inizio del sec. X non era più bizantina essendo stata conquistata dagli Arabi con una serie di azioni guerresche iniziate nell'827, con lo sbarco a Mazara, e concluse, nel 902, con la presa di Taormina. anche sulle coste della Calabria e di tutta l'Italia meridionale gli Arabi occuparono, con continue scorrerie che seminavano il terrore fra le popolazioni locali, molti paesi e città: nella seconda metà del sec. IX li troviamo persino a Taranto e a Bari. Spesso, risalendo il corso dei fiumi, arrivavano anche nelle zone interne e, in certi luoghi, si fermavano anche definitivamente, come ricordano molti toponimi e tante parole di origine araba ancora oggi usate nei dialetti pugliesi, lucani e calabresi.
Finalmente, nell'anno 880, un esercito bizantino di circa 40.000 uomini sbarca in Italia e riesce a liberare Taranto e tutte le coste del golfo; ma non sappiamo fin dove i Bizantini siano penetrati nell'interno ove sono sempre di casa i Longobardi, tanto che queste terre dell'Italia meridionale sono dette, dagli stessi Bizantini, "Longobardia"; perciò, in questo periodo, tre popoli si battono per il possesso delle regioni del Mezzogiorno d'Italia: Bizantini, Longobardi e Arabi musulmani (i Saraceni).
Chi, poco dopo, riuscì a cacciare i Saraceni da tutti i territori occupati nell'Italia meridionale fu uno dei più grandi capitani e uomini politici dell'Impero bizantino: Niceforo Foca, il quale, con una serie di battaglie vittoriose, occupò tutta la Calabria, la Puglia e la Lucania meridionale tra i fiumi Sinni e Bradano (6).
Sant'Arcangelo, perciò, con ogni probabilità, doveva trovarsi entro i termini del nuovo dominio bizantino. Niceforo Foca, con fine tatto politico, seppe accordarsi con i Longobardi e seppe farsi benvolere dalle popolazioni locali, così che, verso la fine del sec. IX (888), il dominio bizantino può dirsi abbastanza stabile in tutto il Meridione d'Italia.
Molto confusa è la situazione amministrativa di buona parte dell'Italia meridionale, e della Basilicata in particolare, in questo periodo: se il dominio bizantino appare sicuro sulle coste, è, al contrario, ostacolato, nell'interno e nelle zone più vicine a Benevento, Capua e Salerno, dai principi longobardi, i quali, mentre riconoscono, in qualche modo, l'autorità del basileus, cercano, d'altra parte, di limitarne il potere. Inoltre le popolazioni longobarde odiano i Bizantini, prepotenti e fiscali, e questi, a loro volta, disprezzano i Longobardi, tanto che, ancora oggi, in alcune zone della Basilicata è vivo, nel dialetto, un termine ingiurioso molto significativo: "lammardo", cioè "longobardo" (7).
Le conquiste di Niceforo Foca furono realizzate sotto l'imperatore Basilio I; sotto il regno del successore, Leone VI il Saggio, tutte le terre dell'Italia meridionale appartenenti all'Impero furono ordinate in due "temi": quello di Calabria (l'antico tema di Sicilia) e quello di Longobardia (8). Questo nome, che in origine indicava tutta l'Italia meridionale riconquistata da Niceforo Foca, indicò, poi, esclusa la Calabria, l'Italia meridionale riconquistata da Niceforo Foca.
Non è possibile determinare con esattezza i confini dei due territori ma, con ogni probabilità, il tema di Calabria arrivava fino al Sinni, mentre il tema di Longobardia comprendeva tutte le altre zone: Puglia e parte della Lucania meridionale, quella, più o meno, compresa tra la foce e il medio corso dei cinque fiumi della Regione. Una cosa molto importante e, nello stesso tempo, piuttosto strana per la mentalità moderna, è che in queste zone, che passavano tanto facilmente dai Longobardi ai Bizantini (e, purtroppo, qualche volta, ai Saraceni) convivevano insieme il potere bizantino e quello longobardo, le leggi di Giustiniano e quelle germaniche. 
"Così la città di Matera, fra l'886 e l'890 è amministrata direttamente dagli ufficiali del basileus ... ma, siccome l'antico diritto longobardo è sempre osservato nelle convenzioni private, si fa ancora appello, in certi casi, all'intervento del principe di Salerno e dei suoi delegati. L'antica città longobarda di Acerenza rimane sede d'un gastaldo nominato dal principe di Salerno. Ma la vera autorità di questo gastaldo è sempre più limitata dall'azione degli ufficiali bizantini, insediati nelle vicinanze" (9).
In questo periodo il dominio bizantino si consolidò e la Regione tutta subì profondi e duraturi mutamenti in ogni campo: giuridico, religioso, linguistico, culturale (10). 
In Basilicata i Bizantini provengono dalla Puglia, dalla Calabria e dalla Sicilia ove erano numerosi già nel sec. VI. Sebbene non si debba pensare a una vera e propria immigrazione di Greci nell'Italia meridionale, tuttavia molti coloni dovettero venire sia in Sicilia e Calabria che sul litorale apulo-lucano, anche per "ripopolare le terre ... desolate dalle invasioni dei Saraceni. Basilio I il Macedone, ad esempio, vi trasferì in una sola volta 3000 schiavi affrancati ..." (11). Ma, soprattutto, si deve tener conto che più che il numero ha importanza l'autorità che anche poche persone possono avere sugli abitanti di un paese, soprattutto se questi sono poveri e ignoranti: e molta autorità avevano, certamente, i Bizantini nell'Italia meridionale dei secc. IX e X, se pensiamo che essi, quasi tutti, erano funzionari dello Stato, preti e monaci, ufficiali e soldati. Gli ecclesiastici erano seguiti per la fiducia che in essi riponevano i poveri contadini e i pastori abbandonati a se stessi, senza guida e senza istruzione; gli altri per le necessità più elementari della vita di ogni giorno. Si può parlare, perciò, per questo periodo del medioevo meridionale, di una specie di "colonizzazione" da parte dei Bizantini; i quali erano malvisti dalla popolazione per il feroce e ingiusto fiscalismo, divenuto proverbiale, che per tanti anni esercitarono, anche se l'autorità lontana dell'imperatore di Costantinopoli era considerata come qualcosa di indiscutibile e di sacro. Ecco perché quando, all'inizio del sec. XI, la dominazione bizantina, che non era mai stata del tutto sicura essendo stata sempre insidiata dai Longobardi e dai Saraceni, cominciò a traballare sotto i colpi dei giovani Normanni, dopo un primo periodo di sbigottimento e di avversione, i popoli dell'Italia meridionale e della Sicilia finirono per accettare i nuovi padroni e le loro istituzioni, fino a che, con la fondazione della monarchia di Re Ruggiero (1130) essi ebbero un loro stato e un loro posto nell'Europa cristiana.
Ma la dominazione bizantina era stata troppo importante e aveva agito troppo in profondità perché venisse totalmente dimenticata. Da Belisario ai Normanni c'è uno spazio di ben seicento anni: più che sufficiente per dare un'impronta tipica a un territorio anche vasto come quello dell'Italia meridionale.
Il ricordo dell'epoca bizantina resterà ancora a lungo nelle istituzioni religiose e nelle norme giuridiche, e, sotto l'aspetto linguistico, è vivo ancora oggi in tante parlate dell'Italia meridionale. Ecco perché tanti ricordi sono rimasti, in queste terre, di quei tempi lontani: ricordi in tanti toponimi caratteristici e, soprattutto, nella lingua. Alcuni paesi usavano addirittura il greco come propria lingua locale; e, in qualche zona della - Calabria e del Salento, alcuni anziani parlano anche oggi un dialetto greco.
Inoltre in molti paesi dell'Italia meridionale il greco, anche se non lingua propria del luogo, era conosciuto da tutti, specialmente dalle persone più istruite, come provano i molti documenti in lingua greca pubblicati nel "Syllabus" del Trinchera (12). Si tratta, per lo più, di documenti notarili, di donazioni, di contratti, di carte dotali, raccolti in vari archivi di Napoli e a Cava dei Tirreni. Numerosi sono i documenti riguardanti la Basilicata, provenienti da vari paesi: Chiaromonte, Noia (Noepoli), Carbone, Calvera, Colobraro (13), Favale (Valsinni) (14), Policoro. 
Un'altra prova della presenza di gente di lingua greca nell'Italia meridionale, in questo periodo, è data dal fatto che Federico II fece tradurre in greco le sue celebri "Constitutiones melfitanae" (15). Se ne deduce che nel suo Stato, sebbene si fosse già nel sec. XIII, una parte della popolazione era ancora di lingua greca.
Ancora oggi molti luoghi dell'Italia meridionale, soprattutto nelle campagne, conservano nomi, specialmente di santi, che ricordano il periodo bizantino, e, cosa ben più importante, molte parole, nelle parlate meridionali, sono di sicura origine greca.

NOTE:

1 G. RACIOPPI, Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata, Roma, 1889 vol. II, pp. 16 sg.

2 G. GAY, L'Italia meridionale e l'impegno bizantino,(traduzione italiana) Firenze, 1917, pp. 322 sg.

3 E. PONTIERl, Tra i Normanni nell'Italia meridionale, II ediz., Napoli, 1964 pp. 179 sg.

4 G. POCHETTINO, I Longobardi nell'Italia meridionale (570-1080), Napoli, 1930, pp. 230-231.

5 G. GAY, op. cit., pg. 6, "Si è detto che i Greci per nascondere in qualche modo la perdita di Taranto, di Brindisi e di gran parte dell'antica Calabria, avessero mantenuto questo nome su le liste ufficiali, applicandolo alla solo regione di cui rimasero effettivamente signori".

6 G. GAY, op. cit., pg. 128.

7 N. CILENTO, Luoghi di culto, iconografia e forme della religiosità popolare nella società lucana fra Medioevo ed età moderna. In "Società e Religione in Basilicata nell'età moderna. Atti del convegno di Potenza-Matera (25-28 sett. 1975), Potenza, 1977, vol. I, pg. 566.

8 N. CILENTO (luogo citato) parla, senza citare fonti, "... di tre temi: di Longobardia con capitale Bari, di Lucania con capitale Tursi, di Calabria con capitale Rossano".

9 G. GAY, OP. cit., pg. 167.

10 A questo proposito si consideri che circa ottocento codici greci, dispersi, oggi, in varie biblioteche dell'Europa e dell'America, provengono da antichi monasteri della Calabria e, in genere, dell'Italia meridionale, fra cui Carbone, nella Basilicata meridionale. Cfr. G. ALESSIO, La Calabria preistorica e storica alla luce dei suoi aspetti linguistici, Napoli, 1956, pp. 25-26.

11 E. PONTIERI, op. cit., pg. 93.

12 F. TRINCHERA, Sylllabus graecarurn membranarum, Napoli, 1865.

13 In un atto di vendita redatto a Colobraro dal prete Guglielmo, nell'anno 1192, al secondo segno di croce dei testimoni si trova scritto: o tu calobraru critès iosfrès tu aghiu archanghelu martir ipegrapsa dia tu stauru (io Goffredo di Sant'Arcangelo giudice di Colobraro testimone ho sottoscritto con la croce). Trinchera, Op. cit., pg. 312.

14 In un atto di adozione, stipulato a Favale dal prete Teofilatto (si noti il nome greco) nel 1146, è presente, come fidejussore e come testimone un loannes tu aghiu archanghelu (Giovanni di Sant'Arcangelo). TRINCHERA, op. cit., pg. 189. Per quanto riguarda le trascrizioni dei documenti si noti che solo raramente, nel Trinchera, sono segnate le lettere maiuscole e gli accenti; abitualmente le parole sono scritte senza alcun segno ortografico.

15 G. RACIOPPI, op. cit., vol. II, pg. 93.

 

 

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