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ANDREA PISANI
Dall'Albania a Brindisi di Montagna all'Italia
 

FORME DIALETTALI

Cogliere le espressioni dialettali calde calde, nel momento in cui gli istinti grezzi agiscono, in cui i sentimenti fermentano incerti o si manifestano prepotenti, in cui le idee si formano, si orientano, si traducono in fatti, e i lampi e le espressioni fedelmente ripetere o tradurre: son compiti di comprensione molto delicata, e prima ancora di sensibilità naturale squisita: visiva uditiva sentimentale. Tanto più per lo studioso, davanti a cui tace riluttante il dicitore in vernacolo che fosse chiamato a bella posta per riferire, quasi che dovesse denudarsi ed essere indiscreto.
Lo dicevamo incominciando questo capitolo: uno spirito gemello, perspicace, investigatore, senza averne l'aria, che ha acquistato padronanza d'ambiente e che ispira confidenza, che ha tutto pronto, tavolozza pennelli e tela, sa e può fissare con fedeltà in pochi tratti, ogni piccolo lampo del pensiero ed ogni atteggiamento dello spirito, che ad altri, se estraneo, potrebbero sembrare trascurabili, banali, ridicoli o inverosimili.
Compiere con limpida verità lo studio dialettale, scartando le deformazioni grottesche, e trarre da esso genuinamente quelle spontanee bellezze e snelle vivacità che, mal tradotte in perifrasi e in locuzioni proprie di altre mentalità, renderebbero cattivo servizio al pensiero, significa raccogliere dalle miniere inesauribili degli spiriti popolari le gemme più preziose dell'idioma nazionale.
Ed anche il nostro dialetto non manca di pregi.

Com'è la maggese? «'nu silmo»: una compieta meteorizzazione, assimilazione.
È nato il grano? è bello il seminato? «'Nu cardo»
E il grano raccolto? «. . . . ti luce!»
Sei contento? « . . . . 'nu priizz' n suonn ....» mi par di sognar la felicità.
La rapidità e l'esattezza del giudizio è nelle seguenti similitudini:
«Panza cuntenta» è detto di chi non è sensibile a patemi morali, di chi vive nello stomaco pieno; oppure : «panza a monte», supino rinunciatario ad ogni responsabilità.
«È proprio de cipp ....» : rampollo diretto di forte radice, di vera nobiltà.
È svelto? « .... 'na musca di campanaro», di campanile, si posa su tutto, vede tutto, sa tutto.
«Carrèia 'i zippri ....» : porta i fuscelli furtivamente, si fa il nido .... d'amore.
«Ma .... nun fa l'ova a lu cistariedd!»: che vuoi che dica? ... è una ragazza .... che non farà le uova in casa!»
Un lampo della pupilla, un ammiccamento o una strizzatina d'occhio, un cenno della mano o del solo indice, una scrollatina o un tentennamento del capo o del busto, alcune inflessioni di voce che valgono differenzazione e leggiera sfumatura di toni d'una stessa idea, tutta la mimica così varia, ricca ed espressiva del linguaggio articolato, e non di rado di forza sintetica molto significativa, in noi meridionali, sono spesso intraducibili; mentre tra coloro che s'intendono assumono una corrispondenza rapida e perfetta ed una eloquenza che muove in un attimo le volontà.
In via di monito:
«Tieni pede a' u' singh ....!» cioè misura il passo nella via retta.
«Fatt' a cruce ....» « nun ti i manco sunnanne» non ammettono replica.
«Vuo' chi ti lev' u' suonn da luocchi ...?!» : perifrasi tremenda di minaccia.
«Fatt' uscì 'u serpe !...»; parla finalmente, confessa il tristo segreto!
«Nun puozz ... piglià mai lipp!»: che tu non possa trovar mai sede, mai pace! ...

Se dovessimo costruire un particolare dizionaretto dialettale, appena qualche dozzina di nomi proprii e comuni raccoglieremmo tra gli avanzi albanesi, come:
scìupio, sebuzzè, scèscit, crett e pochissime locuzioni.
Quasi tutte le voci sono derivate dal latino corrotto.
Niuna parola o sintassi francese, forse qualche modo spagnuolo nelle cerimonie. Nelle inflessioni non abbiamo strascichi nasali o, fievoli lamenti; ma toni rudi, monchi, sommessi, quasi albanesi.
Nella nostra favella predominano l'onomatopeia e la figura.
Fonologia La pronunzia è stretta, dura, gutturale, ha frequenti assonanze con quella calabrese e con quella leccese.
Non è difficile coglierla, tradurla, chiarirla e ingentilirla.
Ha elisioni della vocale finale quasi in ogni parola e della sillaba finale nelle voci dei verbi all'infinito: e allora l'accento tonico cade sull'ultima sillaba.
In molte parole o suona u, oppure uo (curt, muort); in altre uo suona ó (ovi, move). lo finale si converte in ro nei nomi (cucchiaro ), e in ie (mièzz) e ie in é ( méle per miele, méte per mietere).
Lo scambio di suoni è molto più frequente: v per b (vacca = bocca); z per c (vrazz = braccio) e viceversa c per z (pacci = pazzi); c per g (spica = spiga) ; j per g (jubileo giubileo); gìa per scìa (buscìa bugia ); d per l (puviriedd = poverello); sc per ss (nisciuno = nessuno); zz per ss (puòzz = che tu possa) (nzugna = sugna).

La morfologia è semplice. Nei nomi alterati poche trasformazioni e derivazioni; gli articoli per i nomi mobili si riducono a u', cioè il, i (duro) per i, gli per le, a (dura) per la, 'nu per uno e 'na per una.
Nei pronomi e negli aggettivi, tranne le deformazioni di pronunzia, nulla riscontriamo di anormale nell'uso. È difficile cogliere il plurale degli aggettivi per le frequenti elisioni delle voci finali. Il superlativo di regola vien formato con la ripetizione: bell bell (bellissimo), nìuro nìuro (nerissimo) ecc. Così nei modi avverbiali: assai assai (assaissimo), picch picch (pochissimo). Nei comparativi è frequentissimo l'uso del più e del come; il meno non si usa, sicchè vengono capovolti i termini in modo da partire dal maggiore: più bell du sole, ...cchiù lucente du specchio. ecc.; duce cumm 'u mele, ridutt cumm 'a 'nu scalière (emaciato come cardo secco), brutt... cum 'na peste.
Molti aggettivi sostantivati e moltissimi paragoni sono nel nostro linguaggio e ben appropriati quasi sempre.
Tra i verbi più usati sono quelli copulativi: essere, diventare, parere, rimanere, restare. Non si riscontra caso di confusione o d'inversione dell'azione transitiva in quella intransitiva o viceversa, come nel dialetto di popoli di regioni e di paesi limitrofi. Di tempi non abbiamo che due: il presente e il passato prossimo. Il remoto mai usato: è chiarito con la determinazione del tempo e con le circostanze. Il futuro è nella forma presente, ma è chiarito anche con la determinazione: Craie aggia ì (domani dovrò andare); domenica ca vene t'aspett (domenica prossima ti attenderò).
Abbiamo in uso non poche locuzioni avverbiali: tutt 'na vota (di botto) tieni pi certo (per sicuro) ecc, Avverbi di luogo pochi: qua in ogni caso, qui mai; molti comparativi figurati: cumm 'a l'uoglio (scorre come l'olio); è 'pulito cumm 'a 'na stadd (come una stalla, in senso ironico) ecc.
Poche le preposizioni: a, inte (in), cu (con), supe (sopra), sutt (sotto), fra, usate propriamente, spesso con a, oziosa: a ddu vai ? (dove vai?); oppure a invece dell'articolo: sup 'a tavola (sopra la tavola).
Anche le congiunzioni sono adoperate a tutto spiano, senza bisogno: 'nfatt (in fatti: dichiarativo), pirò (però: avversativo), dunch (dunque e pertanto: consecutivo), condiscono tutti i discorsi, quasi in tono di nobiltà e solennità.
Il vivo e improvviso commovimento dell'animo esprimiamo con una molteplice varietà di espressioni, specialmente di rabbia e di sdegno: caratteristico gue' ... gue' guagliò (ohi! ragazzo!); guai a te! scicant! ( sc dolce, i appena si sente), sccante mio! (schianto mio!).
La sintassi è logica e scorrevole; è involuta in pochi casi, quando, cioè, il pensiero non è limpido e deve compiere uno sforzo per snocciolarsi. Le concordanze sono quasi sempre rispettate in loro formule rozze, s'intende; le proposizioni si susseguono brevi e compiute, è raro il caso di apposizione.
Ella al posto di tu o 'voi farebbe ridere. I giovani soldati, tornando in paese, adoperano per un po' di tempo il lei, alternandolo col tu e col voi con disinvoltura, ma lo dimenticano senza fatica; mentre assignurìa (vostra signoria) è adoperato con rispetto verso i genitori e gli anziani: eppure sono spariti i signori da mezzo secolo ....
E respiriamo con sollievo !

Queste osservazioni, che sembrano di quisquilie grammaticali, hanno molto peso; dovrebbero essere continuate e approfondite con accurata indagine e valorizzate nell'uso con lenta e tenace opera insegnativa, con forme prette e genuine del nostro idioma sonante e puro.
Il compito, per categorico comandamento dei programmi didattici governativi, è dei signori maestri elementari. Lo svolgano con intelletto d'amore.
Noi dobbiamo terminare questo libro. Se insistessimo sull'argomento, diffondendoci in esempi, significherebbe correre il rischio di esorbitare ed annoiare i pochi benevoli lettori.
Chiudiamo il capitolo con un breve ritorno, che è di leit motif e di raccoglimento.
S'incontravano, si salutavano i nostri antichi Skipetari, mettendo le mani sulle spalle dell'amico e passandogli il volto prima a destra poi a sinistra del volto, parlottando a bassa voce per qualche minuto, con parole monosillabe, quasi preistoriche, separandosi col solito “Tec niat jeta” cioè, «La vita ti sia lunga». Non una sola esclamazione rumorosa, non un gesto incomposto. «Calì mera»: buon giorno; «calì espira»: buona sera.
Dopo due secoli tra noi, italiani e albanesi, come uno spirito solo, s'incontravano in un saluto che era una invocazione ed una preghiera : «Dio t'aiuti» «sempre»; oppure «Va con Dio» « .... con Gesù Cristo» « .... sempre ».
E il saluto venne via via a sostituire l'espressione avvilente del vassallo: non più «schiavo di Vossignoria» «Padrone mio», ma «Buon giorno e buona sera» ed ognuno per il suo cammino.

Le forme, quindi, di letteratura neo latina rivestirono il nostro spirito ascetico, religioso, timorato, fiducioso in ogni atto di speranza, di pentimento, di preghiera, di esaltazione, così come i nostri pastori di anime vollero educarlo e formarlo.
Però nella piena libertà dei campi gli spiriti ritornano in diretto rapporto con le cose e i primi formati si svegliano, riaprono le ali e si lanciano nel passato con i canti dell'odio e dell'amore, e con le note di guerra magnificano il prode ed il forte, la promessa e fa fede.
Nella campagna riecheggia
« L'aria del Capitano è la bandiera bella
«La paisanella lo sa,
« La pomponella,
« Ohi bella!
« L'aria del cacciatore è la sua arma bella
« La paisanella lo sa:
« La pomponella,
« Ohi bella!
Note argentine altissime e duetti, che sembrano echi limpidi, tra gruppi lontani di forosette, fra colli e colli e chiuse di alberi, a volte di territori limitrofi, si disperdono nel cielo.
Le note guerriere si alternano con gli stornelli di amore :
«Fiori di anguille,
il pregio delle donne son' li capilli»
e gli stornelli si alternano con giuochi e canti allegri

« ARIALÒ E PIZZICANTÒ»

....Il fischio della vaporiera interrompe il canto. Più tardi una canzonetta napoletana, male appresa, mal ripetuta e peggio cantata, si sostituisce agli stornelli.

Il popolo nostro, con gelosa arte tenuto lontano dai moti politici, il nostro, come ogni altro meridionale, raccoglieva ogni volta dall'aria e dal vento le note e le vibrazioni patriottiche di attualità; dopo il sessanta cantò sghignazzando il dies ire a Franceschiello e con foga di passione le più alate strofe al Leone di Caprera:
« Garibaldi fu ferito,
« Fu ferito ad Aspromonte,
«E portava scritto in fronte
«Noi vogliam la libertà.
«Vieni, o bella, vieni sul mar,
Noi con te vogliamo vogar », ecc.

Dopo tante canzoni, imparate sotto le armi e in guerra, nei periodi di risorgimento, ora ripete di cuore con i bambini che appena balbettano
«Giovinezza, giovinezza
« Primavera di bellezza ....
E la primavera italica è la prima di tante primavere belle e sacre che seguiranno con le prossime future generazioni.

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