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Giuseppina Caivano Bianchini
- PICERNO
 

Capitolo IV
PICERNO CARBONARA NELLA CRONACA DEL CAPPIELLO

Interessi privati e invidie personali esistenti tra le famiglie di Picerno che per casato o per cultura detenevano quasi esclusivamente il potere, complicantisi con motivazioni politiche più o meno sentite, furono causa di disordini in Picerno, nel periodo successivo al crollo di Napoleone. 
Seguiamo lo svolgersi dei fatti leggendo insieme passi dal manoscritto del contemporaneo dottor Tommaso Cappiello. 
"In casa di Salvia germogliò e sviluppossi il maligno genio settario, sotto il titolo di Giusti Lucani che, col favore del cavalier Pignatelli, riuniva i nemici di Carelli. 
L'Impero di Napoleone, intanto si discioglieva e mancami l'animo di dettagliare i sforzi, le convulsioni, le macchinazioni de capi-setta per raccogliere satelliti al gran sviluppo della reazione. 
Le preparate sette, gli occulti desiri, le meditate vendette, le speranze ridestate, Ia incoercibile ambizione sbucavano da una parte; dall'altra l'incerto Governo con aria apparente di fermezza, di giustizia, di rigori, di doni e compiacenze pretendeva affermare e sostenere un Trono in aria, senza base. 
Tra altri inviati a scandagliare, a provvedere il possibile nelle Provincie, a figurare, a far giustizia, il Tenente Generale Zenardi venne a Muro, nelle cui vicinanze parecchi malviventi stanziavano a delitti. Riuscì ad arrestarli, e volendoli punire, e conoscere nell'istesso tempo lo stato politico o spirito pubblico chiese al Colonnello Legionario Sponsa gli ufficiali più idonei che chiamò a sè". Tra gli altri fu convocato anche il Cappiello che, su richiesta del Generale Zenardi, in questi termini espose il suo personale giudizio "sullo stato delle nostre cose politiche": - Il prestigio della Francia è cessato. La parte scientifica, teoretica de Governi popolari non ha più lusinghe; la prattica le ha dato il posto ideologico. Napoleone ha confirmato il giudizio riguardante tutti i conquistatori; diventano essi abusivi in ragione del potere che le circostanze le tributano. 
Con gli onori che non costano, con la gloria delle conquiste che abbraccia tutte le lusinghe, che lusinga tutte le speranze, con le spoglie de vinti, contestando i Francesi cupidi di novità, avidi di far fortuna, avidi fin della sola vanità, ingrandendo la testa e 'l cuore di tutti a future grandezze, a migliori speranze creò egli il vanaglorioso suo Impero il quale rassomigliante a lui solo, vastissimo di desiderii senza proporzionata consistente effettività, e splendidissimo di fatti militari all'unanimità non benefici, scrollerà, già si è disciolto, già colla sua caduta, colla mancanza del suo gran nome. Vi sono e sarannovi per lungo tempo disseminati i suoi principii, ma senza l'uomo fatale si sperderanno nel tempo. Dell' Impero già sciolto il nostro punto qual garanzia può offrire, può dare, può sperare? Il Re Murat hassi inimicato i Baroni mutilandoli i feudi. Ha scontentato i nobili facendone moltissimi nuovi. Ha indignato il Clero permettendo la licenza di svelarlo, di non venerarlo. Ha vulnerato il cuore de proprietari con la divorante fondiaria; ha controdisposti tutti i Napoletani negati alla guerra colla Coscrizione militare. Nulla nulla deve contare sui contadini a quali ha dato i territori de baroni, sono ignorantissimi. Non gli restano che i Militari e gli Impiegati. I Militari non combatteranno per lui come non hanno combattuto per Ferdinando che l'istesse cagioni l'istessi effetti producono. 
La casta insidiosa, approfittatrice degli Impiegati, intenta ad esclusivamente conservarsi prenderà le guise, i colori del tempo, degli avvenimenti, giurerà, rigiurerà, al forte, al dominante, non offre a fidarsene. Signor Generale, il Trono del Re Murat è precario, la nostra esistenza politica è attaccata ad un filo. Il nostro antico legittimo Sovrano senza soccorso, straniero, senza combattimento riacquisterà il suo Regno con un poco di generosa prudenza, di demenza, con un poco di rassicurante liberalità. Con tali armi i Sovrani d'Europa non avrebbero tanto poderosamente resa influente la Francia, la di cui simpatia durerà lungamente per l'abolizione del Feudalesimo, pel Santo Uffizio, e le prepotenze Turche che ha fatto cessare. Lo spirito pubblico? la nostra Nazione non avendo avuta educazione nazionale, non ha amor proprio da cui puolsi cominciar calcolo... ciascuno pensa come più strettamente l'interessa, e l'interessi de Napoletani sono in opposizione col sistema Militare". 
Lasciamo il Generale Zenardi assorto nella meditazione delle considerazioni esposte dal Cappiello intorno allo "spirito pubblico" e seguiamo l'autore del manoscritto nella narrazione dei fatti di Picerno. 
"Passavano - dice egli, - gli affari pubblici assai incertamente. Nel Comune la Setta dei Giusti Lucani, nomata infine di Carolina, baldanzava, ed avrebbe soverchiata, se io non avessi spiegato energia, ordine, ed attività al caso. I legionari non settari mi secondavano, ed i preparativi a qualunque futura difesa non si trascuravano da mia parte. 
In attenzione dell'andamento così vacillante e del prossimo sviluppo politico il Re Militare raddoppiavasi di attività, di armamento, di prattiche Diplomatiche colla Germania e l'Inghilterra le quali se non rassicuravano gli animi, neppure pel momento disperato rendevano il Governo di Napoli e, se Gioacchino consigliatamente avesse voluto rinunziare al Reame, non dubito, buon principato avrebbe ottenuto. 
In sì affannoso stato di cose volò la nuova che Napoleone sortito dall'Elba marciava a Parigi. .. s'infiamma, si elettrizza il Re Gioacchino, più non curante le trattative, mancatore pria del cognato, ora con coloro erasi compromesso, piena la testa di fantasticazioni, di conquiste, di trionfi, colla sua non scarsa bellissima armata, di apparato, spandendo proclamazioni di libertà, di appello all'Italiani per la riunione d'Italia, marcia alla volta di Roma, Bologna. Le fantasie, il delirio di Gioacchino svaniscono come nebbia al vento, e l'esercito Napolitano si scioglie e si disperde senza tirar colpo. 
L'Italiani avevano esperienza della libertà Francese, dello spirito guerriero dei Napolitani, e giustamente disprezzavano le millanterie, e le promesse di Gioacchino. Le truppe Tedesche senza affannarsi marciarono nel Regno, e il deluso Principe venne a licenziarsi dalla Capitale, ed imbarcarsi fuggitivo. 
L'Intendente di Potenza Nicola Santangelo e 'l Segretario Carelli sentito lo sbandamento dell'esercito a personale cautela, oltre la misura delle Guardie di Sicurezza ordinate prontamente in tutte le Comuni, e vieppiù in Potenza dove l'Impiegati, i principali proprietarii, e l'Intend. stesso avevano prese le armi, mi chiamarono colà con una ventina de migliori Legionari. Fummi consegnato il Palazzo dell'Intendenza a custodia, e più a fidata custodia la Casa Carelli. Fra circa una decina di giorni in Potenza, in aspettazione del fine della catastrofe politica, le differenti notizie, li allarmi, le minacce ci tennero di giorno e di notte in agitazione, in guardia permanente, finchè la generosa, magnanima Proclamazione del legittimo Sovrano rassicurò tutti, e consolò meno i sempre irrequieti, i sempre intriganti, i malcontenti. 
Cosi nel 1815 cessò il Governo Francese, così fece ritorno il Padre Re Ferdinando IV. Così la Rivoluzione Francese di Francia affermò più solidamente il Trono de nostri Re svincolando i popoli dalli artigli de Baroni, astenendo la Regia autorità, facendo a noi dono del Codice. Il ritorno di Sua Maestà Ferdinando IV nel suo Regno fu festeggiato dapertutto e da tutti: da Giusti Lucani in Picerno con schiamazzi, minacce ed insulti. D. Nicola Salvio e D. Camillo Gaimari con grandi occhiali, armati di fucile, sostenendosi l'un l'altro alla testa di loro ciurma girarono di notte l'abitato con fiaccole sparando, spargendo minacce. Non commisero delitti; attendevano vendette dal Governo, e da loro settari". 
Invece, " la clemenza Sovrana confirmò l'Impiegati, compresse le passioni, 
tranquillizzò. I Capi settari si rinchiusero a meditare i loro disegni, i più loquaci sfogavano a maledire la bontà del Padre Re, ed i più zelanti a guardarmi in cagnesco, e fare ricorsi. 
L'Intendente Santangelo in Napoli, il Segretario Generale Carelli, il Colonnello Sponsa, il Maggiore Corbo, ed Amodio furono di notte arrestati in Potenza, e nel momento sotto rigorosa scorta inviati per Napoli. Mille menzogne furono divulgate da Giusti Lucani, cioè che gli arrestati sarebbero subito condannati a morte, che due o trecento altri di Basilicata seguirebbero lo stesso destino ecc. ecc.. Troppo aveva amicizia, e confidenza con gli arrestati, e sebbene la innocenza, e il niun pensamento avverso la legittima restaurazione tranquillassero l'animo mio, pure ne restai disturbato. 
Ad evitare in punto lo zelo de settarii, a voler sentire qualche cosa relativa agli arrestati, risolsi di andare in Napoli ed avvertii il Giudice di mia partenza. Non partii subito per Napoli, ma mi tenni in segreto otto o dieci giorni, e finalmente accompagnato da parecchi amici in una notte partii a quella volta. 
In Napoli nulla potei investigare sul conto degli arrestati e ritornato in famiglia mi tenni riservatissimo. In Casa di Carelli, Domenico Molinaro, io, Gaetano, mio fratello, e raro qualche prete frequentavamo a fare amichevole compagnia alle dolenti Angela e Marianna. I loro parenti De Canio più bandivano le più cattive notizie delle circostanze, esagerate ed inventate dalla Setta, e nominatamente contro Saverio nostro (Carelli). I Capece tenevansi malignamente, e dubiosamente in indifferenza e alla larga, piuttosto in contrario inclinanti. 
Nicola Salvio macchinava maledettamente in Potenza. Dalla sua fucina parti virulento ricorso contro me ed indirettamente più contro Carelli che trovavasi in prigione. L'Intendente Cito umanamente diedero al Consigliere Cecere per l'informazione, e questi rapportò giustamente e favorevolmente per grazia di Dio. La morte di Murat tranquillizzò opportunamente il Governo, ed il Sovrano Ferdinando non vendicativo, addottrinato dell'intrighi di Corte non lasciavasi ingannare da malvaggi consiglieri, e la nebbia della calunnia degli arrestati diradavasi ai raggi della sua paterna giustizia. 
Il destino di Santangelo, Carelli e Sponsa e Corbo e Amodio decideva di quello di Basilicata; essi furono liberati, e reintegrati ne loro posti: La nostra tranquillità fu un fulmine per i nemici malcontenti, li quali diventavano irrequieti quanto più la bontà del Re spiegavasi ed i suoi Decreti diffondevano l'amore la pace e la fiducia. 
"Con Real decreto fu ordinata la riforma della Legione, e venni - continua il Cappiello - confirmato nel grado di Capitano, con l'uniforme non più alla Francese, ma con due spalline. I Legionarii chiamaronsi Militi. 
Dal Tenente Generale Amato venni prescelto alla riforma delle compagnie de Militi di Muro, S. Fele, Avigliano, e Brienza, le andiedi ad eseguire con pienissima sodisfazione al solito dello stesso e miei Superiori. La tranquillità regnava, la fiducia nel Governo era intera, il Re era adorato ". 
Ma ben presto, nuove e antiche ridestate inimicizie portarono alla costituzione di una setta carbonaria di nome Astrea (144) che, concepita in casa di Gennaro e realizzatasi in casa di Nicola Salvio, accolse dapprima Gennaro Caivano, Camillo Gaimari (145) e Felice Capece, riuniti tutti, secondo il Cappiello, dal bisogno loro naturale di sfogare le rispettive passioni. 
" I più idonei a partitare, continua il Cappiello, furono i primi aggregati. Io (Tommaso Cappiello), comandava i Militi, ed i più restii al servizio, i malcontenti del mio sistema di onore e di esattezza, i facinorosi, i militi meno buoni, e meno onesti furono i primi studiatamente portati nella setta (146). 
D. Gaetano Sindaco si occupava per il servizio da prestarsi in giro alla costruzione della strada Traversa, e per l'esazione della tassa imposta per lo stesso oggeto. Ma la direzione della stessa fissata per sopra la casa di Tommaso Fortunato non piaceva a D. Gennaro che la voleva per sotto via piana, e fu facile di contraddisporle la plebe che doveva pagare. Un giorno di Domenica il Sindaco venne in Piazza inchiesto, questionato ed insultato da parecchi attaccabrighe, ed il Gentarme che lo accompagnava minacciato ed assalito a colpi di pietre e ferito, finchè il Sindaco riuscì a salvarsi, e la moltitudine a tumultuare in piazza: Arrivatami la nuova e che il Sindaco trovavasi circondato ed in pericolo accorsi colla massima velocità, ed intimando ai Militi di armarsi, alla moltitudine di ritirarsi, percuotendo, minacciando, arrestando un milite che intendeva non prestarsi, la canaglia fuggì e si disperse. 
In casa di Calenda il Giudice, e parecchi Galantuomini stavano in varie guise. Desideravano, volevano, temevano secondo i rispettivi pensamenti; niuno voleva compromettersi o dire con franchezza: Il timido Giudice ringraziò Iddio del buon successo senza interessarsi delle cagioni, degli istrumenti, delle conseguenze a temere e prevenire. Tanto chiasso fu prudentemente sentito dall'Intend. e dalle altre Autorità. La Gentarmeria non si offese de colpi tirati al Gentarme. Erano le prime pruove della nostra Setta, la quale avendo per scopo la pubblica felicità si andava cacciando avanti col consigliare di non doversi pagare la tassa per la costruzione della Traversa e Ponte (cose indifferenti al vantaggio del Comune!) e di non rispettare il Sindaco, e le leggi in vigore, perché colle novità alle quali tendevasi, le usanze vecchie e le vecchie autorità dovevansi tutte non curare, e mano mano abolire e scavalcare!". 
"I Gentarmi erano già Carbonari, e per la loro influenza i promotori della S. 
Le autorità fingendo ignoranza la lasciavano andare, ed ingrossare, ed i Giudici in fine giudicavano simpaticamente colla stessa. Forsi erale forza... ma io scrivo - dice il Cappiello - quello mi costa e personalmente mi è toccato di osservare, e soffrire. Altri dirà, saprà o potrà dire come la Setta venne a noi, a qual fine e da chi. I Riformatori mi segnarono "nigro lapillo", perché non iniziato ne loro misteri, e mi segnalarono Calderaro (147) nemico dell'umanità perché invece di favorire la insubordinazione, e l'anarchia popolare, e l'ascendente rivoluzionario io predicavo buon'ordine, le leggi. 
Giudice del Circondario venne a noi Filippo Calasco Galantuomo, istruito, non venale, timido, il quale quanto sulle prime sfuggiva la S. ed i Carb. tanto infine per meritare di loro, tradì i suoi doveri, e la mia degna amicizia". 
In questo periodo, i Capi Setta, sicuri di trovare loro alleati le Autorità di Potenza, crearono gravi disordini nel paese. Difatti chiunque di notte andava pe' fatti suoi, se non apparteneva all'Astrea veniva frugato, maltrattato, e spaventato dalla G. e C. 
"Don Ferdinando Sacerdote Mauro, sagristano della Chiesa, - racconta il Cappiello, - non andava più a suonare l'ora di notte perché insultato, minacciato e perseguitato a furia di pietre. Mille simili disturbi e delitti accadevano ogni giorno. Quelli della virtuosa compagnia venivano tradotti in Corte per debiti, delitti, ed abusi che facinorosi permettevansi in ogni senso, erano zelantemente difesi patrocinati con minacce a testimonii, con testimonii a discarico, li quali facevano consistere la santità del loro giuramento S. in spergiurare a favore de buoni cugini a danno de Calderari". 
In attesa intanto dei provvedimenti del Governo ed a contenere i disordini che continuamente si verificavano, in questo paese, risultato vano il tentativo di sciogliere l'Astrea, sorge una controsetta sollecitata dagli amici del Cappiello e che avrebbe annoverato tra gli aderenti oltre ai galantuomini, anche il giudice Calasco, il Sindaco Iacovello, D. Saverio, D. Gaetano. 
"Così - racconta il Cappiello - divenni Capo di partito, dopo circa due anni che l'Astrea Picernese aveva lavorato prima assai riservatamente, e mano mano ingrossatasi resa minacciante, e pericolosa". 
Vano è il tentativo di sciogliere l'Astrea giacchè "Nel dì seguente che dovevasi cominciare un attivamento all'uopo, il Sindaco Iacovello fu facilissimamente trascinato all'Astrea ". Anche il giudice Calasco aderì alla Carboneria ed abbandonò l'amicizia del Cappiello, e vi aderirono il Sac. D. Luigi Scarilli e Domenico Molinaro. 
Il Cappiello allora riunì militi e cittadini e galantuomini da lui definiti "non settari", per la difesa comune. 
"La nuova adunanza fu di circa cento individui - secondo la cronaca del tempo - che la vociferazione fè credere maggiore, di calderari i più iniqui della Terra, ed io Capo di tali malviventi. Mi era contraria la opinione di tutti i riformatori, degli Impiegati, secondanti la piena; ma venni divolgato e creduto qualche cosa che in realtà non era e temuto in Picerno stesso, non ostante l'Astrea fosse il doppio di numero e decupla di forza, poichè in quella vi erano il Pr. di M., D. S. C., il SIND., la G. e la massima parte degli uomini atti alle armi, e facinorosi, mentre io non potevo contare che sopra pochi capaci di tener piede, e fare il loro dovere, ma sempre colla mia presenza. 
Troppa disparità vi era, i nemici eransi stretti e collegati con calcolo, misfatti, e mistiche compromissioni da circa due anni; il nostro partito era affazzonato dall'insulti ricevuti, dal desiderio del buon'ordine. L'A. con tanto apparato da far temere non mi scoraggiava, neppure m'imponeva. Io conosceva la viltà dei Capi, la discordanza occulta dei pretensori, di insubordinazione, dei più intriganti e facinorosi, e 'l comun desiderio di soddisfare le rispettive passioni per mezzo di altri, e l'ambizione di voler comandare sotto i colori di virtù e di eguaglianza. Il nostro partito fidava nella propria rettitudine, nella coscienza di non aver commessi delitti, di non volerne commettere. Persuaso che i nemici avevano in essi i germi della discordia, ne loro eccessi la cagione della loro rovina, adottai il piano di temporeggiare prudentissimamente, e con le riserve le più ponderate; ma altro era scritto nell'andamento politico. L'abbandono del Governo accelerò l'abisso nel quale i soli turbolenti dovevano precipitarsi. Aveva prevenito che di qualunque attentato, chiasso, o incitamento per parte dei Settari facessesi, ne venissi io avvertito a qualunque ora. 
Una notte alle quattro ore circa venni svegliato da lamenti di due o tre giovanotti, li quali andandosi divertendo con la chitarrella, e lanterna, erano stati assaliti, battuti, e rotta la loro chitarra da Gentarmi perché non erano, non appartenevano a parenti de S. 
Imprudentemente, e senza riflettere, fatti chiamare due militi più vicini, presi la via della Piazza per venire a discorso con la pattuglia, e dolcemente mostrarle le conseguenze alle quali i Capi S. esponevano i buoni con delle mire ad insulti e disordini. Giunto vicino la Piazza una moltitudine di voci da diversi punti: 'chi è lloco. chi è lloco'. ' Il Capitano ', risposi ad alta voce, e due fucilate immediatamente furonmi scaricate contro; scaricai la terza a direzione de lampi, e prendendo angolo chiamai i Gentarmi, i Militi e gridai all'arme contro i ribelli. 
Questi sbigottiti dalla mia prontezza, fuggirono, e la Piazza fu presto accorsata di gente di ogni sorte con lumi, ed armi. 
Invano feci chiamare, e ricercare la Gentarmeria destinata a pattugliare pel buon ordine: colpita nella flagranza del suo disordine, in unione de paesani armati si era nascosta". 
Nè si provvide a sorprenderli, nonostante il Cappiello ne avesse informato il Giudice. 
"Corsi in Potenza - cosi nella cronaca del Cappiello - il mattino seguente, e vicino la città raggiunsi la Deputazione Carbonaria di Picerno composta da: Felice Gapece, dal Sind., dal Sacerdote Manfreda, e forsi dal Cancelliere De Canio (che non ben ricordo) per andare ad intrigare, e mettere in giuoco la Setta tutta all'uopo contro di me ormai svelato scelleratissimo Capo-Calderaro. 
Le Autorità di Potenza, sonnecchiando in pieno giorno sopra avvenimento di tanta importanza, si tennero in misteriosa riserva e segretezza senza sapermi o volermi fare giustizia, sodisfazione, assolvermi o condannarmi. Il Comandante la Provincia non era Carbonaro, ma poco istruito aveva a Segretario il più ardente Settario Tenente di Gentarmeria, Giannattasio, famoso rivoluzionario di poi. Il Procuratore Generale Bruno, di poi membro del Parlamento, patrocinava i Carbonari. 
Il Giudice Calasco, tradendo la verità a lui interamente nota, per non incorrere nello sdegno della Setta preponderante, e forsi appartarsi dalle istruzioni confidenziali di Potenza (148) chiese al Sindaco i testimoni per deporre sull'accaduto, ed i più compromessi carbonari: Sacerd. Andrea Manfreda, Saverio Di Canio, Gerardo di Tolla, Giuseppe Caivano, del fu Isidoro e parecchi altri deposero di aver sentito la mia voce ed i colpi: ergo l'assalitore, il ribelle armata manu, il Comandante del fuoco, contro la Gentarmeria era stato io è da immaginarsi quali rapporti fecero fare in casa di D. Gennaro e Gaimari e Capece contro di me, e quale chiasso menò la Gentarmeria. Fui rubricato di ribellione armata contro la forza publica, ma per colmo delle contraddizioni. e vigliaccherie, e bricconerie tutte di quel tempo, niuno ordine fu cacciato contro di me, ed in Casa del Procuratore Generale, e del Comandante la Provincia fui complimentato di caffè!". 
Comunque, "non rallentai d'animo - aggiunge il Cappiello - incoraggiava il partito, scrissi al Generale Comandate la Divisione, chiesi un Giudice Ispettore per l'informazione delle fucilate. 
Riflettendo intanto che il Governo non pensava a rimedii, che la Settaria contagione cresceva a momenti, risolsi di nulla tralasciare per ottenere la pace e la quiete possibile, anche di offrirmi ai miei nemici per allontanare i guasti che si andavano maturando". 
A tale scopo il Cappiello esortò il Principe di Moliterno a convocare i capi setta per scongiurarli " energicamente alla concordia, alla necessità della concordia". Convennero Gaimari, Gennaro e Felice Capece. Furono convocate circa quaranta persone tra le più pretendenti ma, non si andò, in tale incontro, oltre una formale promessa; in effetti essi si separarono con la medesima acredine in cuore presagio di nuove contese. Il 23 marzo Tommaso Cappiello di ritorno dal suo casino ai Cappuccini di campagna " a ventidue ore " con parecchi suoi amici e circa venti militi, trovò la piazza piena di carbonari. 
" Conobbi, dice il Cappiello, che quella giornata era già pericolosa. Non partii subito per non ingigantire i nemici, ma era il rimanervi pericolosissimo. 
Il Principe che era in Piazza ritirossi subito; molti del contrario partito Galantuomini vi erano pure, ma mancavano i capi più furbi Felice Capece e Gaimari. 
Non pochi armati furono veduti entrare nelle case vicine, ed in tali difficili momenti comparire sotto l'arco dell'Annunziata D. Odoardo Grifone con la carabina in mano, in atteggiamento di bravura venendo dalla festa di Baragiano mezzo ubriaco come seppesi di poi. Camminando verso me venne dolcemente a strofinarmi come non curante ed io respingendolo umanamente piuttosto lo esortai a mettere giudizio. Un tale C. soprannominato Senza sangue fu sentito dire a Gennaro: "Che si ha da fare?" Allora avanzandomi direttamente verso lo stesso ad alta voce chiesi io, "Signori che si ha da fare? Si vuole la rovina del nostro paese? Si faccino ritirare tutti ai fatti loro, o decidiamo a solo a solo tanta contesa; Gennaro fatelo sapere ai vostri Capi, fateli chiamare soli". 
Non rispondendo, Domenico Calenda, altri Galantuomini ed io stesso insinuammo a tutti ritirarsi, e soli pochi vollero restare come in indifferenza, così la tempesta fu allontanata. Non fu quella giornata di publico lutto perché non trovaronsi in Piazza gli altri Capi, i quali forsi non avrebbero tollerato il mio parlare. Furbi! volevano gustare da lontano la stragge, e serbarsi al risultato, alle conseguenze Sempre lo stesso. 
Domenico Calenda propose al Giudice ed altri sebbene Carbonari ma moderati, di volersene allontanare, e s'intese da molti lo stato pericoloso del Paese. 
La autorità di Potenza sonnecchiavano maledettamente e quasi abbandonati a noi stessi ci tenevamo in speranze di migliore avvenire secondo i calcoli di ciascuno. In Potenza venni informato avere un certo Cicorelli grande influenza sui settarii, ed ebbi impegno a conoscerlo (149). Colla mia franchezza e nobile lealtà, e non ordinaria conoscenza dell'uomo, e delle cose piacqui fortemente a Cicorelli, il quale, ad essere breve, per l'interesse egli sentì a mio favore divenne all'Astrea avverso, e da questa insultato, ed infine insidiato infamamente nella vista. Per i mistici riti della Setta non potei essere aggregato a quella di Potenza. 
Per impegno di Cicorelli, Mecca di Avigliano, Spera di Tito, e Mantenga di Balvano vennero in Picerno co' loro alti poteri a giudicare la ormai rinomata questione Picernese. Buffoni, e tempi di buffonerie, senza forza a punire' a premiare, immaginavano, fantasticavano, e di fantasticamenti illudendosi l'altri illudevano, e trascinavano a lusinghiero fanatismo! Non valsero a conciliare le infiammate passioni dei Capi Picernesi ". 
"Il giorno del Corpus Domini io ( Tommaso Cappiello ) era andato a Potenza. Il Maestro falegname Cerbasi Gerardo, non ricordo perché, venne insultato nella pubblica piazza (150) da Carbonari, e Gennaro in modo che accorsi da una parte e l'altra, gli insultanti cacciati i stili ferirono il Cerbasi, e non pochi corsero ai fucili, e l'affare annunziavasi tristissimo quando l'istessi Gaimari e Gennaro che avevano accennato di menar le mani atterriti si affrettarono ad impedire, come già altri pratticarono del pari, ma il chiasso era stato scandaloso in pieno giorno, e nè potevasi nascondere. 
Vennero spediti corrieri sulla strada di Potenza per avvertirmi, e chiamarmi all'uopo poichè gli animi agitati, e sospesi si tenevano in attenzione di maggiori disturbi. La mia presenza rassicurò gli amici, e direttomi al Giudice per i suoi ordini, e procedure intese persuadermi alla nota proposizione: tutto pel meglio. Il mattino seguente il Cancelliere Amendola venne a nome del Triunvirato Picernese a propor pace, e riconciliazione intiera. Il congresso fu appuntato in casa, e presso il Regio Giudice. 
Volevasi pigliar tempo calcolando sui rapidi progressi della Carboneria. Per riunirci, diceva Capece devesi serbare il nostro rito e questo non si può e non si deve violare ". 
Il congresso finì senza conchiudere, perché si voleva dire in un modo e fare altro. Pel momento contentaronsi di blandire così e così il Giudice per le sue procedure, ed attendere la rivoluzione (151). 
Domandai con arditezza la informazione circa le fucilate tiratemi in piazza; già io aveva raccolte le pruove, e conosceva i rei. La processura dando mano allo sviluppo di tutti l'intrighi Picernesi troppo mi era a cuore. 
L'Intendente chiamò me, Felice Capece, il Cantore D. Camillo Gaimari e Gennaro Caivano e per un equivoco forsi, anche mio fratello Felice. L'ordine veniva dal Tenente Generale Comandante la Divisione. I miei buoni amici di Potenza prevenironmi che l'Intendente, forsi a passar sopra la vera posizione delle cose Picernesi". 
Si riteneva infatti che tutto ciò che avveniva a Picerno era in dipendenza di beghe personali de' partiti e non di convinzioni politiche (152). Il Giudice di Vietri Sign. Forziati (153) incaricato di risolvere la questione delle fucilate dirette al Cappiello, " mutilò, fè tacere, tacque, coprì e strinse la processura conciliando". 
"Rumoreggiava forte il movimento Carbonaro, e dalla parte del Governo non spuntava raggio di provvedimento, locchè più persuadeva alla prudenza politica, ed alla bontà verso i Settari. A prevenire i disastri del pronto sviluppo ricorsi ai mezzi per farmi aggregare con tutti i miei amici alla Congregazione Carbonaria e dopo mille difficoltà opposte sempre dalla perfida Astrea, circa quindici giorni prima della ribellione C. mediante ducati cinquanta e più ed i favori del gran Carbonaro Mantenga di Balvano, e le premure dei miei amici di Potenza, e le considerazioni de principali Carbonari di Potenza, Avigliano e Tito a troncare le opposizioni, il nostro partito fu dichiarata Vendita Carbonaria col titolo di Minerva che io le diedi. Eccoci membri della gran società virtuosa riformatrice, la quale in primo i cattivi, mano mano i buoni trascinava volendo, non volendo. I Carbonari dicevansi buoni cugini, e noi cugini amorosi fummo sempre spietatamente discacciati, respinti dai cugini di Picerno che non si degnarono riconoscerci". 
Nell'anno 1830 Gaetano Caivano a Picerno fu primo assistente della vendita dei Carbonari, di Picerno, ribelle al Re portò lo stendardo rivoluzionario nel giorno 5 luglio quando il paese stava in rivoluzione; egli alle ore ventidue veniva da Potenza in compagnia di D. Ferdinando Mauro anche di Picerno e disse che Potenza era in rivolta. 
Egli prima del 20 era stato segretario di una vendita di Picerno e perciò il Sindaco Gerardo Iacovelli ed altri si opposero alla sua elezione a Sindaco" (154).  

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144 L'Astrea aveva come simbolo una statua, rappresentante la giustizia, con una bilancia in mano. All'Astrea prese parte la maggioranza della popolazione, lusingata dalle larghe promesse di futuri miglioramenti e sottratta alle angarie dei feudatari. 

145 D. Camillo Gaimari, "una delle pietre fondamentali della prima setta organizzata in Picerno". Da T. CAPPIELLO: Storia di Picerno cit. .

146 "Anche Nicola Salvio, odiato per mille antecedenti in Picerno, era odiato in Potenza pel suo eccessivo attaccamento alla famiglia Addone ed era per conseguenza un Calderaro scomunicato". Da T. CAPPIELLO: Storia di Picerno cit. .

147 · Tutti quelli che non facevano parte della Congregazione C. misteriosa furono detti Calderari, e siccome quelli reputavansi i benevolenti la felicità umana, pel contrario questi i nemici dell'uomo da evitare come i lupi, e gli animali feroci". Da T. CAPPIELLO: Storia di Picerno cit. . 

148 " I traditori più colpevoli del Re furono l'impiegati, cominciarono dal fare l'indifferenti, l'ignoranti e mano mano i secondatori, e profittatori della Carboneria. Casta ligata al soldo a sostenersi reciprocamente, ed a cangiar giuramento e bandiera siccome le politiche vicende. Calasco, a suo dire, avendo fatto de rapporti su i progressi della Setta, non aveva ricevuto riscontro di sorte, ed in confidenza in Potenza aveva ricevute istruzioni equivoche da regolare la condotta a senso di chi poteva intendere ". Da T. CAPPIELLO: Storia di Picerno cit. .

149 "Così il partito del Governo lo vedei abbandonato per intrighi di forze non da noi calcolabile ·. 

150 "Le carte relative a tal fatto avvenuto in pieno giorno di gran festa, (1819) e nella pubblica piazza... furono lasciate nella Cancelleria del Giudice Calasco, ma posteriormente sparite dalle mani del Cancelliere Ferrone di Bella". Da T. CAPPIELLO: Storia di Picerno. cit. . 

151 "Il timido Giudice Calasco spaventato dalla imponente Carboneria fece la domanda all'Astrea di volerne far parte. Non venne accolto, ma la domanda in iscritto non gli fu restituita per tenerlo ligato, a disposizione non avendo tutta la fiducia nel suo carattere debole". 

152 "Le autorità, al dire di T. Cappiello, l'Impiegati istruiti tutti del che trattavasi sfuggivano qualunque contestazione settaria per loro compromessiva e criminosa. Chi può capire intenda". 

153 "Forziati tesoriere dei Carbonari di Vietri".

154 Da un giuramento scritto e pronunciato il 6 agosto del 1850 si rileva come fosse fatto divieto ai sindaci di appartenere a qualsiasi società segreta: Esempio di giuramento: "Io Nicola Caivano prometto e giuro fedeltà e ubbidienza al Re Ferdinando Secondo e pronta ed esatta esecuzione degli ordini suoi. Prometto e giuro che nell'esercizio delle funzioni che mi sono state affidate, io mi adopererò con maggior zelo e colla maggiore probità ed onoratezza. Prometto e giuro di osservare e di fare osservare le leggi, i decreti e i regolamenti che per sovrana disposizione di Sua Maestà si trovano in osservanza e quelli che piscerà alla Maestà Sua di pubblicare in avvenire. Prometto e giuro di non appartenere a nessuna società segreta di qualsivoglia titolo, oggetto o de nominazione e che non sarò per appartenervi giammai. Così Dio m'aiuti". N. 488 di Registrazione.

 

 

 

 

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agg. al 30/08/2004

 


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