|
||||||
|
A. D. L. - ALFABETO DEI DIALETTI LUCANI
Una Nota a parte meritano questo Capitolo e questo Argomento. Siamo partiti con lo scopo di tentare di "trascrivere" il nostro dialetto facendo uso, come è di norma per tutte le altre lingue, dell'Alfabeto Fonetico Internazionale (IPA o AFI). Abbiamo dunque impostato il lavoro su questa direzione. Il lettore troverà molti testi trascritti in IPA, sebbene poco comprensibili ed eccessivamente "barocche" per chi non abbia dimestichezza con i grafemi dell'Alfabeto in parola. In corso d'opera, e a lavoro quasi concluso, abbiamo avuto la fortuna e il privilegio di venire a conoscenza dell'esistenza dell'ADL (ALFABETO DIALETTALE LUCANO) ideato e messo in cantiere dalla Professoressa Patrizia Del Puente e i suoi validi Collaboratori del Gruppo A.L.Ba (Atlante Linguistico della Basilicata) unitamente a La Scuola Internazionale di Dialettologia, organizzata dal Centro Interuniversitario di ricerca in Dialettologia dell'Università della Basilicata. Ci siamo dunque attivati per apprenderne l'uso. In questo capitolo si troveranno alcuni testi dimostrativi trascritti in ADL che evidenziano come l'uso dell'Alfabeto Dialettale Lucano sia di gran lunga preferibile rispetto al meno comprensibile e leggibile IPA. Lo suggeriamo, pertanto, a tutti colori che intendano trascrivere il Rotondese, in quanto sistema di trascrizione che adopera per tutti i fonemi comuni le stesse regole di scrittura dell’italiano e altri grafemi per quei fonemi estranei all’inventario fonematico della lingua nazionale. Inoltre risponde all’esigenza di avere un sistema grafico che consente a tutti i Lucani di poter scrivere, secondo regole precise, le loro 131 lingue e renderle leggibili anche a chi, non lucano, voglia provare a comprenderle.
N.B. In rosso dialetto maccheronico, in blu ADR
- Tantu và
all'acqua a lanceddra fino a chi si ruppe.
Prontuario ADL
1. Indicazione dell’apertura delle vocali medie toniche; 2. Indicazione delle vocali in iato con accento acuto; 3. Indicazione delle parole tronche con accento grave; 4. Univerbazione di tutte le espressioni composte da in + sostantivo, ad esempio ngapë, mbrazzë, ecc. 5. Nelle sequenze avverbio di negazione non + parola iniziante per consonante dove si registrino cambiamenti delle consonanti a motivo dell’assimilazione bisogna utilizzare l’underscore tra non e la parola, come in num_bòtë e nun_dènë; 6. Per le forme apocopate si mantiene l’indicazione dell’apostrofo, come in l’amichë, mentre per forme come gli_uócchië e ci_ammë si mantiene l’underscore. 7. Quando ‘avere’ ha valore debitivo non va accentato, come ad esempio in anna uardà; in quanto ausiliare perfettivo o verbo con significato autonomo, invece, va accentato per ‘ha’, ‘hai’ e ‘hanno’; 8. Per quanto riguarda l’articolo indeterminativo esso è seguito dall’apostrofo prima di un nome femminile iniziante per vocale, mentre è seguito dall’underscore prima di un nome maschile, sia singolare che plurale, iniziante per vocale: es. n’ognë, ma n_ursë e n_ati. 9. Quando all’interno della parola, anche a seguito di propagginazione, si crea una nuova sequenza ui la i andrà accentata per consentire la corretta pronuncia: es. frucuìlë. 10. Quando lo iato è in posizione interna si accentano entrambe le vocali: es. pìàttë. 11. Quando in una parola la vocale tonica è una semimuta si trascrive con una ë sottolineata: es. nghëpë, sëlë. 12. Infine, in caso di conservazione della l- (anche trasformata in r-) degli articoli determinativi (lu, la, rë, ecc.) e quando la l- è scempia, le forme delle preposizioni articolate si presentano non univerbizzate ma divise in preposizione semplice e articolo (ad esempio da la ‘dalla’, rë rë ‘delle’, ecc.), in tutti gli altri casi sarà univerbizzata (ad es. au ‘al’, all’ ‘all’’, ecc.). 13. In caso di sovrapposizione di forme di preposizioni articolate e preposizioni semplici (ad esempio da o ra sia per ‘da” che per “dalla”), per trascrivere le preposizioni articolate si adopera la forma con i due punti (ad es. da: “dalla”) per indicare l’allungamento della vocale. N.B. L’apostrofo indica la caduta della vocale finale; L’underscore indica la continuità di pronuncia laddove questa causa mutamento: es. num_bòtë. Fa eccezione il caso dell’articolo indeterminativo singolare seguito da underscore laddove quest’ultimo non causa mutamento: es. n_ursë.
CARATTERI PER LA TRASCRIZIONE DIALETTALE di Maria Teresa Greco
Capita spesso di aver bisogno di scrivere in dialetto, soprattutto laddove è, fortunatamente, ancora in uso come lingua materna; sul piano scientifico gli strumenti ci sono: l’Alfabeto Fonetico Internazionale (IPA) offre caratteri che permettono una trascrizione fonetica il più possibile fedele; ma allorché si voglia scrivere il dialetto correttamente, in modo che riesca leggibile ad un pubblico il più possibile vasto, che possa essere gradevole graficamente e, con qualche attenzione, utilizzabile anche sul piano della ricerca, gli strumenti di cui si dispone si mostrano insufficienti. Abbiamo perciò cercato di costruire una tavola praticabile per chi non sia uno specialista – tutti i segni adoperati si trovano o sulla tastiera di un normale pc o nella tavola dei simboli – ma che, a chi voglia, offra anche il mezzo di allargare le sue conoscenze e che permetta, a chi serva, di valutare bene di quali suoni si tratti; la presentiamo qui, sperando che, rendendo più agevole il compito, invogli i visitatori del sito, e quanti altri lo trovino opportuno, a darci con questo strumento testimonianza scritta del patrimonio linguistico più propriamente loro.
A dell’italiano letterario (it. raso) a centralizzata, che suona affievolita (nap. cainata) b occlusiva bilabiale sonora (it. buco) bb occlusiva bilabiale sonora e rafforzata (it. babbo) c occlusiva velare sorda, quando è seguita da a, o ed u (it. capello, coltello, cuscino) cc occlusiva velare sorda e rafforzata (it. vacca) χ fricativa palatale sorda (ted. ich) c affricata palatale sorda, quando è seguita da e ed i (it. cento, cima) ci affricata palatale sorda, quando è seguita da a, o ed u (it. ciao, ciocco, ciucciare) chi occlusiva mediopalatale sorda (it. chiodo) cchi occlusiva mediopalatale sorda e rafforzata (it. secchio) d occlusiva dentale sonora (it. dentro) dd occlusiva dentale sonora e rafforzata (it. freddo) ḍ1 occlusiva dentale sonora cacuminalizzata (titese ḍamadìeḍḍ̣u, ingl. drums) ḍḍ̣2 occlusiva dentale sonora cacuminalizzata e rafforzata (titese ḍamadìeḍḍ̣u) e3 neutra (it. però) è aperta (it. bèllo) è stretta (it. stèlla) ë muta, vocale indistinta (fr. le) f fricativa labiodentale sorda (it. ferro) ff fricativa labiodentale sorda e rafforzata (it. rafforzare) g occlusiva velare sonora, quando è seguita da a, o e d u (it. gallo, goccia, gufo) gg occlusiva velare sonora e rafforzata (it. aggottare) γ fricativa velare sonora (picernese γavé, sp. luego) g affricata palatale sonora, quando è seguita da e ed i (it. gelo, gigante) gi affricata palatale sonora, quando è seguita da a, o ed u (it. già, giogo, giubba) ggi affricata palatale sonora e rafforzata. quando è seguita da a, o ed u (it. mannaggia, maggio, a ggiungo) ghi occlusiva mediopalatale sonora (it. ghiaia) gghi occlusiva mediopalatale sonora e rafforzata (it. agghiacciare) i dell’italiano letterario (it. farina) j semivocale palatale (it. jota, germ. Januar) l laterale postdentale (it. lungo) gli laterale palatale (it. giglio) m nasale bilabiale (it. mulo) mm nasale bilabiale rafforzata (mamma) n nasale dentale (it. naso) nn nasale dentale rafforzata (it. nonna) gn nasale palatale (it. ogni) o4 neutra (it. moneta) ò aperta (it. nòtte)
1 Si ottiene, su Word, cliccando su Inserisci, poi Simbolo; sulla finestra a destra far scorrere fino a Estensione IPA, cliccare sulla terza casella partendo da destra del secondo rigo. 2 V. nota 1. 3 Se l’accento cade sulla penultima è inutile segnarlo; se cade sulla terzultima adoperare l’accento della Estensione IPA alla settima casella da destra). 4 V. nota 3.
N.B. In rosso dialetto maccheronico, in blu ADR
- Femmina chi
nun mangiasi fasuli cum' fai avì su bellu culu.
ó stretta (it. bócca) o centralizzata, che suona affievolita (tortorellese: l’òrbola) p occlusiva bilabiale sorda (it. padre) pp occlusiva bilabiale sorda e rafforzata (it. scappare) r vibrante postdentale (it. ramo) rr vibrante postdentale rafforzata (it. morra) s fricativa dentale sorda (it. suora) ss fricativa dentale sorda e rafforzata (it. cassa) š fricativa platale sorda, quando è seguita da velare e bilabiale (titese šcanà; špamà) sci fricativa platale sorda, quando è seguita da a, o ed u (it. sciame, sciopero, sciupio) t occlusiva dentale sorda (it. tavola) tt occlusiva dentale sorda e rafforzata (it. mettere) z affricata dentale sorda (it. mazza) ż affricata dentale sonora (it. mezzo) ž fricativa palatale sonora (tosc. ragione, fr. journal) u dell’italiano letterario (it. mulo) w semivocale bilabiale (it. water) v fricativa labiodentale sonora (it. tavola) β fricativa bilabiale sonora (sp. saber)
Abbreviazioni : fr. francese ingl. inglese it. italiano nap. napoletano sp. spagnolo ted. tedesco tosc. Toscano
- U vecchio nun
chiangìa ca murìa ma ca nu nsavìa mparato.
N.B. In rosso dialetto maccheronico, in blu ADR
ALFABETO DIALETTALE LUCANO ( A.L.Ba.) (ESTRATTO: per un migliore utilizzo si rimanda alla versione integrale della Professoressa Patrizia DEL PUENTE - UNIBAS e il Gruppo A.L.Ba.)
VOCALI: a = gàtta ɑ = rɑšcɑtèd̥d̥ri (fusilli a ferro) ẽ = æ / vèŋ-æʒi/vèŋ-ẽʒi/( tu vieni) è= ɛ /pètalu/Amèrica/ é= e /f́éd̥d̥ra/(fetta) ě= ɜ ë= ə i= i ɪ̥̊= ɪ ɪ̈= ii /crɪ̈atʉra/ dicɪ̈a/(diceva) ó = o /cóme) ò = ɔ pòrta/ ø = ø u = u /dùci/ (dolce: aggettivo) ʉ = ʉ / crɪ̈atʉra/ ü = /südà( sudare) u̥
CONSONANTI b (b) b ca,co,cu / càne/, /cód̥d̥ru/ che, chë,chi chi+voc. /chiàve/ ce,ci = /cìciri/ d= d /díd̥d̥r̥u d̥= dɪ́d̥d̥ɽu g+ a,o,u / gàtta ghe,ë,i ghi+voc= /ghiru/ ghiro, / fɪyyu/ figlio g+ e,i gn = /r(i)gnʉne/ rognone, /grégna/ covone gl = l= latte m= J = w = n= p= /pídëtu/ peto q= /quàt̥t̥r̥u/ r = /rašcà/ s š = /rašcà/(raschiare) t
Si consiglia di trascrivere /j/ solo quando è preceduta da /i/. Si consiglia di trascrivere /w/ solo quando è preceduta da /u/
- U mulinu vacci
ndà putia stacci.
N.B. In rosso dialetto maccheronico, in blu ADR
Riflessioni rilevate con l'ausilio di ADL (Alfabeto Dialettale Lucano) UNIBAS e della R I V (Rivista Italiana di Dialettologia) , G. Sanga, Sistema di trascrizione semplificato secondo la grafia italiana, 1 (1977),pp.167-176.
Alcune caratteristiche generali della fonologia della lingua italiana rapportate con il dialetto rotondese.
Le vocali del dialetto rotondese. Le vocali i, a, u sono come in italiano: ad es. vìnü, pàlla, mùrü . Secondo la tradizione grafìca seguita dai vocabolari italiani, la pronuncia aperta di e, o è indicata con un accento grave (è, ò), la pronuncia chiusa con un accento acuto (é, ó): ad es.. bèllu̥, bénë, còd̥d̥r̥u̥, ónda. La vocale neutra e (detta anche vocale indistinta, o talvolta e muta) è segnata ë: ad es. pànë . Le vocali toniche /è, é, ò, ó/ sono distinte con l' accento corrispettivo, mentre in posizione atona sono segnate /e, o/, (in molti dialetti vengono intese semichiuse). Le vocali nasali , ove se ne riscontrassero, andrebbero indicate mediante sovrapposizione della tilde ( ˜ ), quindi a nasale si dovrebbe indicare con ã; é nasale con ẽ; ó nasale con õ, ecc.:
Le vocali lunghe in alcuni dialetti ( tra questi quelli materani e quelli gallo-italici*** ) vengono indicate mediante la ripetizione della vocale (sprovvista di eventuali accenti). quindi a lunga si dovrebbe dire aa, é lunga si dovrebbe indicare ée, ecc.: ** Le vocali lunghe non si riscontrano nel dialetto rotondese. *** I dialetti galloitalici sono collocati in due aree strategiche importanti della regione: un primo nucleo è presente sulle alture che sovrastano il golfo di Policastro (Trecchina, Rivello, Nemoli, il secondo è collocato sullo spartiacque ionico-tirrenico lungo la direttrice Napoli-Salerno-Taranto (dialetti di Picerno, Tito, Pignola, Vaglio e della stessa Potenza con tracce settentrionali anche a Ruoti, Bella, Avigliano, Cancellara e Trivigno).
L’accento tonico può essere sempre indicato, e di norma andrebbe indicato : - nelle parole tronche (ad es.candà ), - sdrucciole (ad es. dìcënu̥(dicono) - e dove le toniche sono la / e / e la / o /, perché in questo caso l’accento indica anche il timbro della vocale (ad es. cóme); per semplicità può essere omesso nelle parole piane (ad es. cane o càne, a scelta). - La /i/ viene segnata con i rispettivi accenti quando è tonica; quando è atona evolve in ë (Es: di (preposizione) dë; cani (plurale di cane): canë; Le vocali /o, u/atone italiane in fine parola evolvono nella vocale dialettale /u̥/ oppure /ëᵘ/ Es: pecoraro /pëcüràru̥/pëcüràrëᵘ. ( vedi capitolo sull' ADL, Alfabeto Dialettale Lucano)
DIGRESSIONE – PANORAMICA SUI DIALETTI DEL NORD ITALIA E CONFRONTO CON IL ROTONDESE
Per evitare l’accumulo di segni, si intendono accentate le vocali provviste di un qualsiasi segno diacritico (ad es. milanese Milãã ‘Milano’); in caso di ambiguità si segna l’accento (ad es. bresciano meridionale màmå ‘mamma’, materano cӓ́në ‘cane’. Semivocali. Nella parola, i, u, ü a contatto con vocale hanno valore di semivocali: in caso contrario o recano l’accento, o sono separate da un trattino: ad es. hanno valore di semivocale i in più, u in buòno, ma hanno valore di vocale i in spi-àre, u in dùe; possiamo così distinguere il bresciano pià ‘piano’ da pi-à ‘mordere’. Quando non sono all’interno di una parola, le semivocali vengono indicate, all’occorrenza, con j: ad es. milanese j öc’ ‘gli occhi’.
Le occlusive velari vengono indicate con c e g avanti a, o, u, ö, ü (ad es. cànë, màgü, cùra, cúccü); per ch di norma si procede come per l'italiano; avanti u consonantico abbiamo trovato in uso la grafia tradizionale italiana, quindi q in quat̥t̥r̥u̥, quístu̥ ma la /c/ in còrë, cu̥rnùtu̥.
Consonanti Sono come in italiano p, b, t, d, m, n, r, l, f, v. Per le palatali e le velari si adotta il sistema grafico italiano. Le affricate palatali vengono indicate con c e g avanti ad e, i (ad es. cibo, gentile, cínnëra, gèndë ); con ci e gi avanti ad a, o, u, ü (ad es. marcia, giacca, giugno, milanese Giüli ‘Giulio’,màrciü, giacchétta, giùgnu̥, ciùcciu̥ ); con c’ e g’ avanti a consonante, in fine di parola e da sole (ad es. bolognese g’nóv ‘dicannove’, milanese vèc’ ‘vecchio’). Le occlusive velari vengono indicate con c e g avanti ad a, o, u, ö, ü (ad es. cane, mago, cura,bresciano cöràm ‘cuoio’, milanese cüna ‘culla’ cànë, màgü, cùra, cúccü ); · per ch di norma si procede come per l'italiano; così troviamo ch e gh avanti ad e, i (ad es. chi, ghiro), avanti a consonante (ad es. neghligente ‘negligente’), in fine di parola e da sole (ad es. milanese sèch ‘secco’); per gh avanti e, i si auspicano migliori studi, però si accettano ghìru̥ ( e in altri dialetti gʲ; ǵʰ; g̊; ğ) ghiànna; gʲànna; ǵʰiànna; cu̥nìgghiu̥; cu̥nìyyu̥; cu̥nìgʲu̥. Avanti a u consonantico va usata la grafia tradizionale italiana, quindi q in quadro, quòta, ma c in cuòre, innocuo. Le occlusive palatali e postpalatali si indicano con ćhi e ǵhi avanti ad e, a, o, u, ö, ü (ad es. valchiavennasco ćhièe ‘casa’, ćhiünta ‘conta’); con ćh e ǵh avanti a i, avanti a consonante, in fine di parola e da solo (ad es. valchiavennasco brićh ‘non, mica’). Per quanto riguarda le sibilanti alveolari, come è noto l’italiano non distingue graficamente tra sorda e sonora: seguendo l’esempio di alcuni vocabolari indicheremo con s la sorda (ad es. santo, sasso, sàndu̥, sàssu̥ ) e con ṡ (s con puntino) la sonora (ad es. ròṡa, aṡma, ròṡa, àṡma ). Per quanto riguarda la /s/ si sono evidenziati, già in altro capitolo, foni e fonemi con rispettivi grafemi (s; š; s̃; s̥ ). Ma abbiamo trovato anche: fáušë (falce) ë_píššë ( i pesci) dëšíjanu̥ (dicevano) con valore di /c/.
la consonante /S/ con suono sc (sci) viene indicata con š davanti ad altra consonante ( Es: Scatola :šcàtu̥la). La/S/ , che troviamo nelle parole dialettali scritte in dialetto sciocco (es. mascatura, strazzu, strittu, ecc.) viene indicata sempre con /š/, ma sarebbe il caso di differenziarla dalla precedente con l'aggiunta di un simbolo diverso (trattasi pur sempre di sibilante ma anche nasale e retroflessa nello stesso tempo). Spesso l'abbiamo indicata con s̃ ( s con tilde) ma corretto sarebbe s̊ (s con puntino sopra) , oppure volendo evidenziare la retroflessione s̥̊ ( s con puntino sopra e sotto). Es: mascatura: mas̥̊catùra ( spesso è stata scritta con š :mašcatùra) . Altri vocaboli sono stati scritti con s̃ (s con tilde) Es: castrato :cas̃t̥r̥àtu̥. Questo aspetto ancora, a noi, che non siamo tecnici del linguaggio, resta un tantino oscuro e quindi resta da approfondire. Come si è notato questa /s/ si trova davanti a consonante, di solito la /c/ e la /t/ seguita dalla consonante /r/. Sia la / t / che la / r / sono retroflessate , per la qualcosa andrebbero indicate con opportuno segno di distinzione. Abbiamo usato il puntino sottostante t̥; r̥ come in cas̃t̥r̥àtu̥ già citato. In questo fonema il suono della /r/, sovrasta quello della /t/. Infatti, in alcuni esempi di trascrizione abbiamo rilevato addirittura l'assenza della /t/ per evidenziarne l'indebolimento sonoro: Es: castrato: cas̥̊r̥àtu̥; straccio: s̥̊r̥àzzu̥ . · Anche questo suono necessita di approfondimento così come lo richiede la citata /r/ retroflessa dell'intero gruppo /str/ che in genere abbiamo trascritto con št̥r̥ Es: stretto: št̥r̥íttu̥.
La stessa chiarificazione richiedono le affricate dentali, dove la z sorda sarà indicata con z (ad es. pèzzo, pèzzu̥, azióne) e la sonora con ż (ad es., żòna, żòna, różżo). Pure le sibilanti dentali / s / che assomigliano uditivamente a delle z senza l’occlusione) di solito si trascrivono con z la sorda e con ż la sonora (ad es. bolognese piàzza, mèżża , Esofago: cannarróz̊z̊u̥. ). Per quanto riguarda le sibilanti palatali, è noto che l’italiano possiede solo la sorda, scritta sc, e non la sonora, che sarà indicata, per analogia, ṡg (il suono di j francese in jour ‘giorno’): avremo quindi sc e ṡg avanti ad a, o, u, ö, ü (ad es. asciutto, toscano raṡgióne ‘ragione’); š- e ž- avanti a consonante (ad es. romagnolo šchèla ‘scala’); sc e ṡg avanti ad e, i (ad es. scémo, fiorentino duṡgènto ‘duecento’, lombardo occidentale ṡgenée ‘gennaio’, ligure nuṡge ‘noce’), in fine di parola e da sole (milanese bràsc ‘braccio’, ṡgiũũṡg ‘giungere’). La laterale palatale è resa con gli avanti ad e, a, o, u, ö, ü (ad es. italiano figglie ‘figlie’, veggliare ‘vegliare’, bergamasco gliura ‘allora’); con gl- avanti a consonante; con gl avanti ad i (ad es. italiano gli), in fine di parola e da sola (ad es. parmigiano igl ali ‘le ali’). La monovibrante alvelolare, cioè r debolmente articolato (come r semplice intervocalico nello spagnolo: ad es. cara ‘faccia’, pero ‘però’), si segna ṙ (è frequente nei dialetti veneti: ad es. paṙ ‘per’). Quanto alle nasali, oltre alla labiale m e alla dentale n, abbiamo la palatale, scritta sempre gn, come in italiano (ad es. italiano settentrionale ragno, italiano centromeridionale raggno, milanese pagn ‘panni’). La nasale labiodentale viene indicata, come la nasale dentale, con n (ad es. ànfora). La nasale velare si indica con ṅ solo in caso di effettiva rilevanza fonematica (ad es. piemontese lüṅa ‘luna’); si indica semplicemente con n quando è un allofono che occorre meccanicamente in certe posizioni (ad es. italiano fango, veneto meridionale canpo, veneto settentrionale canp ‘campo’). La fricativa interdentale sorda viene indicata con th (come l’inglese th in thing ‘cosa’) e quella sonora con dh (come l’inglese th in this ‘questo’): ad es. veneto settentrionale théna ‘cena’, dhelàr ‘gelare’. Tutte le altre fricative vengono indicate – solo se necessario - con il taglio delle rispettive occlusive, quindi p, b, t, d, ch, gh (come spagnolo b in lobo ‘lupo’, spagnolo g in lago ‘lago’): ad es. sardo cabaḍḍu ‘cavallo’, sa die ‘il giorno’, dialetto di Premana (Lecco) làga ‘lascia’. La fricativa e l’approssimante palatale vengono trascritti j, oppure i in posizione intervocalica (ad es. veneto pàja oppure pàia ‘paglia’). L’approssimante prevelare – la cosiddetta l veneziana – viene trascritto ê (ad es. veneziano góndoêa ‘gondola’, bàêa ‘sbornia’); la particolare r veneziana si trascrive ŕ. L’approssimante laringale (chiamato anche aspirazione – è il suono dell’inglese h in have ‘avere’) si trascrive h (ad es. fiorentino la hasa ‘la casa’, bergamasco hóta ‘sotto’). Le retroflesse vanno indicate mediante un puntino sottoscritto, quindi con ṭ, ḍ, ṛ, ḷ, ṇ, ṣ (ad es. siciliano ṭṛi ‘tre’, bèḍḍa ‘bella’). Le uvulari si indicano mediante un accento circonflesso, quindi ĉh, ĝh, ȓ (è la r del francese rue ‘strada’): ad es. alto valtellinese soȓèla ‘sorella’. Le consonanti doppie vengono indicate, come in italiano, mediante il raddoppiamento della consonante semplice (ad es. tutto, carro); in caso di digrammi o trigrammi, viene raddoppiata solo la prima lettera (ad es. maggio, òcchio, fasscia, figgli). Quando un nesso grafico (ad es. sc) non rappresenta un unico suono (digramma, trigramma), ma la successione dei suoni indicati dalle singole lettere (ad es. s + c), viene sciolto con l’inserzione di un trattino (ad es. veneto s-ciao ‘ciao’, màs-cio ‘maschio’). Per suoni particolari è meglio non usare trascrizioni complicate, ma trascrizioni semplici, sempreché univoche, segnalando il valore fonetico particolare dei segni impiegati. v Non abbiamo usato troppa sottigliezza durante la trascrizione. Per suoni particolari non abbiamo utilizzato trascrizioni complicate, ma semplificate al massimo, pur sempre univoche, segnalando al contempo il valore fonetico dei segni impiegati.
Le semiconsonanti e le semivocali nei dittonghi. Dittongo e iato Si chiamano semiconsonanti i suoni che sono a metà strada tra le vocali e le consonanti. Si tratta, in pratica, delle vocali i e u pronunciate stringendo ancor più il canale orale: si ottengono così la semiconsonante palatale che si indica col segno /j/ (detto jod), e la semiconsonante velare che si indica col segno /w/ (detto uau). Secondo l'Alfabeto Dialettale Lucano /J/ e /w/ vanno usate ,di preferenza , se precedute da /i/ e /u/.
Esempio: ammìja, [am'mija]; attìja [at'tìja], pu̥tìja (bottega) [pu̥ˈtija], pu̥tíja (io potevo)[pu̥ˈtija] , vu̥líja (volevo) [vu̥ˈlija]
Le semiconsonanti hanno valore fonematico, anche se si possono reperire pochissime coppie minime rispetto alle vocali corrispondenti: ad es. spianti /'spjanti/ (2a persona singolare del presente indicativo del verbo spiantare ‘sradicare’) e spianti /spi'anti/ (participio presente plurale del verbo spiare ‘osservare senza essere visti’); la quale /la'kwale/ (pronome relativo femminile) e lacuale /laku'ale/ (relativo a un lago, lacustre).
Le semiconsonanti si trovano esclusivamente nei dittonghi: questi sono combinazioni di una semiconsonante (sempre atona) e di una vocale (che può essere tonica o atona). Sono dittonghi ia, ie, io, tu (ad es. nelle parole piano, vieni, piove, piuma) e uà, uè, ui, uo (in guardo, guerra,guida, buono).
I dittonghi nei quali la
semiconsonante precede la vocale si chiamano ascendenti. sono ai, ei, oi, au, eu (ad es. in sai, sei, noi, causa, reuma). La i e la u dei dittonghi discendenti sono più vicine alle pure vocali e vengono perciò chiamate anche semivocali. La lingua italiana conosce anche trittonghi, costituiti da una i e una u semiconsonantiche, una vocale e una semivocale (tuoi, buoi, guai, miei), oppure da due semiconsonanti e una vocale (aiuola). Il dittongo (ascendente o discendente) e il trittongo formano una sola sillaba; gli elementi che li compongono si possono però separare con uno sforzo di pronuncia, e in tal caso la semiconsonante o la semivocale diventa una vocale e fa sillaba per suo conto: mà-i, tu-òi. Questa separazione si chiama dièresi.
Nelle parlate meridionali, come il napoletano si tende a vocalizzare la semiconsonante nei dittonghi ascendenti: /'buono/
Alla descrizione del dittongo va subito affiancata quella dello iato, perché spesso c’è confusione tra le due cose. Mentre il dittongo, come abbiamo visto, è l’unione di una semiconsonante e di una vocale che formano nell’insieme una sola sillaba, l’iato è la semplice vicinanza di due vocali che restano staccate, formano cioè due sillabe diverse (iato, dal latino hiatus, vuol dire ‘separazione’). Si ha l’iato:
- quando non sono presenti né la i, né la u: a│ereo, po│eta, sa│etta, le │one, ca │ os; - quando la i o la u sono toniche: si│a, du│e, vi│a, Ca│ino, pa│ura (e anche in vi│ale, pa│uroso, e in sci│are, perché si avverte la derivazione dalle forme con i e u toniche); - dopo il prefisso ri- (ri│esco, ri│apro) e dopo bi- e tri- (bi│ennio, tri│ennio), perché in questi casi si avverte ancora l’autonomia del primo elemento.
Nella poesia per ragioni metriche (computo delle sillabe) un iato può formare unica sillaba (sineresi) e un dittongo può essere scisso e formare due sillabe (dieresi). La dieresi si marca con due punti sovrapposti alla semiconsonante o semivocale.
Un esempio di entrambi i fenomeni è il quinto verso del sonetto di Ugo Foscolo Alla sera: e quando dal nevoso aere inquïete.
Stemma Portale Casa Amato
Stemma Portale Casa Pandolfi
N.B. In rosso dialetto maccheronico, in blu ADR
- Quannu l'acqua
iè ferma nun passà ca ti nechisi.
Universita’Ca Foscari Venezia L’IPA e l’ambiguità dei sistemi di trascrizione tradizionali
Elenchiamo alcuni problemi che si riscontrano con l’alfabeto italiano utilizzato come sistema di trascrizione fonetica: - talvolta, una stessa lettera rappresenta due foni (o anche fonemi) diversi in parole diverse: stella vs medico - casa vs cima - gatto vs giostra - talvolta, due lettere diverse rappresentano lo stesso fono/fonema in parole diverse: quale vs scuola - gara vs ghiro - talvolta, una sequenza di lettere rappresenta un solo fono/fonema: scivolo, meglio, ragno, chiostro, ghiotto (viceversa, x è una lettera singola ma rappresenta una sequenza di due foni/fonemi: xilofono) - vi sono lettere che non corrispondono a nessun fono: chiesa, ghiera, cielo, scienza - una stessa lettera può talvolta rappresentare foni diversi per parlanti diversi: ad esempio, la s di casa rappresenta foni diversi per un parlante veneto e un parlante napoletano. - l’alfabeto italiano manca di simboli che possano rappresentare foni assenti dall’italiano (per es., la r francese, la h tedesca, la u giapponese). - anche nell’ambito delle lingue che usano l’alfabeto latino, si usano spesso lettere diverse per trascrivere lo stesso fono/fonema (ad es. c nell’inglese cinnamon rappresenta lo stesso fono di s nell’italiano signore), e, ancora più spesso, la stessa lettera può rappresentare foni/fonemi diversi in lingue diverse (la h in italiano, tedesco, inglese). Per ovviare alle ambiguità ed ai problemi posti dalle grafie alfabetiche convenzionali, i linguisti hanno adottato varie forme di trascrizione fonetica in cui ci sia una relazione di corrispondenza biunivoca tra simboli e suoni: ad ogni simbolo corrisponde uno ed un solo suono e ad ogni suono uno ed un solo simbolo.
L’Alfabeto Fonetico Internazionale (IPA), elaborato dalla International Phonetic Association, contiene un insieme di simboli (e diacritici) che consentono di rappresentare i foni di tutti i sistemi linguistici conosciuti; esso viene periodicamente aggiornato (l’ultima volta lo è stato nel 1996). Nell’alfabeto IPA, ciascun fono corrisponde ad un solo simbolo (st[e]lla vs m[E]dico) e ciascun simbolo corrisponde ad un solo fono (tutt’al più, certi foni vengono rappresentati dallo stesso simbolo, ma con segni diacritici diversi): es., /a/ vs /˜a/)
Opera di scalpellini locali – C.so Garibaldi
II B Nell’area arcaica calabro-lucana , come dice Lausberg ,si "ha: pici per « pece » come nel latino picem. La i breve del latino è trattata come la i lunga di fili, perché, in questa zona, l'equilibrio del sistema vocalico non è stato ulteriormente disturbato dall'arrivo della distinzione fra <i> aperte e chiuse. Rimane intatta la differenza fra i breve e e chiusa, per cui si ha in questa zona "creta" ben distinta da "pici", mentre in toscano creta e pece hanno confuso le due vocali in una unica. Così la u breve di nuci « noce » non si distingue dalla lunga diciamo di fumu, mentre nel toscano noce ancora una volta la u breve (e aperta) del latino volgare nucem si oppone alla lunga (e chiusa) di fumo. Inversamente la o lunga di soli « sole » non si distingue in partenza da quella diciamo di focu, ma sì dalla u breve di nuci, con la quale invece il toscano l'ha confusa (noce, sole)".
Gli antichi grammatici contavano 20 lettere perchè u e v erano considerate due forme della stessa lettera. La fonetica, che studia nella sua interezza tutto il processo dalla produzione all’ascolto, si suddivide metodologicamente in tre distinte branche: - la fonetica articolatoria, studia il modo con cui l’espressione linguistica è prodotta dal parlante; - la fonetica acustica si occupa della trasmissione dei suoni linguistici nell’aria; - la fonetica uditiva osserva invece il processo di ascolto e percezione dei suoni linguistici da parte dell’ascoltatore. La b (italiana) scivola in v la v (italiana) in b bocca > ['vuk:a]; brace > [vratʃa]; bacio > ['va:su̥] E tutti u̥ vanu̥ a "bbidi" c > g t>d f > v: in faccia> /nvàccia/ nd > nn in dialetto mondo> /múnnu̥/ quando> /quannu̥/
III. A
ELENCO ESEMPI CONTENENTI TERMINI DIALETTALI ESTRATTI DAL PROGETTO A.L.Ba - UNIVERSITA' DI BASILICATA-
Acquasantiera in pietra Chiesa del Rosario
III B · NESSI CON LA LINGUA LATINA (ricavati dal DIZIONARIO DIALETTALE DI GALLICCHIO a cura di Maria Grazia Balzano)
-cul- : (AURICULA); -tul- : (CAPITULU) -r + cons: resta intatto:[ ' Korpu] ( CORPU; il corpo). - rg e rv- molto spesso vengono separati da una vocale o una consonante: [ ' veri:ga] ( VIRGA; la verga), [ 'ko:rivo] (CORVU; il corvo); -l + cons: viene velarizzata:[' favuce] ( FALCE; la falce, ( CALIDU; caldo), [' vur:pa] ( VULPE; volpe); [mali'vitzu] (MALVICEU; il tordo); oppure sostituita la consonante (PULPA; polpa). -gr dal lat. NIGRU e NIGRA :[' nivu:ru], (nero); [' nivu:ra](nera). -r + consonante di solito resta la stessa : [ kòrpu]( CORPU; il corpo). -r-mb--nd-: la labiale e la dentale vengono assimilate alla m e alla n: [pa'lum:u] ( PALUMBU; colombo); [Ru'tun:a ( ROTUNDA); -gn : lat. COGNATU diventa [ ka'natu], il lat. AGN]U diventa ………(???) -mp-nt-nc- vengono sonorizzate (TIMPA; roccia ); (CRESCENTEM; lievito), ( HANKA- anca). -x- ss-sc: (LIXIVA; lisciva); (COXA; coscia) -ti : ( CUCUTIA; zucca). -li: / (PALEA; la paglia), OLEU; olio); -pi : (SAPIO; so),(APIU; il sedano); -mi -ni:[ˈgre:ña] (GREMIA; covone.). -ri. CORIU , cuoio) PARICULUM-PARICLUM:[pa'rik:ia ](coppia di buoi)
P.zza Vitt.Eman.III – inizi anni 60
Alcuni termini rotondesi derivanti dalla lingua latina
avèra (da habueram); avèra [aˈvɛra] avèmu (da habueramus); avèmu̥ [aˈvɛmu] fhéddra (da ofèlla, dim. di offa), fetta;; féd̥d̥r̥a [ˈfɛɖɖɽa] fhora (da foras), fuori; fòra [ˈfɔra] jamunìnni (da eamus inde); iamu̥nìnnë [jamuˈninnə] jàtu (da flatus,), fiato, soffio; iàtu̥ [ˈjatu] lavìna (da labina), corso d'acqua melmosa che si forma in seguito ad un acquazzone; lavìna [laˈvina] nzurari (da inuxorare), prender moglie; nzurà [ndzuˈra] primùra (da prèmere, pressare), fretta;; prëmùra [prəˈmura pirtusu (da pertusum, pt. di pertùdere, forare, bucare), pertugio, foro; përtùsu̥ [pərˈtusu] sauzizza (da salsus, salato, e insicia, carne tagliuzzata), salsiccia; saü̥zìzza-sa(v)u̥zìzza [sauˈtsittsa] scapùlari (da exire ex capulis, o dal tardo lat. excapulare, liberarsi dai legami, dagli impegni lavorativi), sospendere il lavoro giornaliero; scapu̥là [skapuˈla] scrima (da discrimen), scriminatura, linea di divisione dei capelli;; scrìma [ ˈskrima] scutulare (da excutere), scuotere, scrollare; scotu̥là (scu̥tu̥là-scu̥tulë(i)à) [skotuˈla] sìngàre (da signare), segnare, tracciare;; sëngà [sənˈga] spatriàtu (da da extra e patria, fuori della patria), espatriato, esule; spat̥r̥ë(i)àtu̥ [spaʈɽəjatu] trappitu (da trapetum), frantoio;; t̥r̥appìtu̥ [ʈɽapˈpitu] truzzàre (da extrusare), strusciare, sfregare, urtare; t̥r̥u̥zzà [ʈɽu[tˈtsa] vèrtula (da averla, sacco per provviste), bisaccia; vèrtu̥la [ˈvertula] vozza (da guttur), gozzo vòzza [ˈvottsa]
Alcuni termini rotondesi derivanti dalla lingua araba
arrassàre (da arràda), spostare, rimuovere, allontanare; arrassà [arrasˈsa] babbaluccu (da mamluk), mammalucco, soldato di un antico esercito turco-egiziano e, fig., individuo sciocco, tonto,babbeo;; babbalùccu̥ - mammalùccu̥ [mamːaˈlucːu] cìbbia (da gàbiya),vasca in muratura, in cui viene raccolta l'acqua piovana da usare per l'irrigazione; cìbbë(i)a [ˈtʃibːia] fhundu (da funduk), fondo, podere, grossa tenuta; fúndu̥ [ˈfundu] giàrra (da giarrah), giara, grosso vaso di argilla per conservare olio; giàrra [ˈdʒarra] giurgiulèia (da giulgiulan), giuggiolena, sorta di dolce fatto con semi di sesamo, miele e farina eli frumento; giu̥rgiu̥lèia- giu̥rgiulèna [dʒurdʒuˈlɛja] limùni (da laimun), limone; lëmúnë [ləˈmunə] tamarru (da tammàr, mercante di datteri), uomo grossolano, individuo rozzo, buzzurro; tamàrru̥ [taˈmarːu tazza (da lassah), tazza; tàzza [ˈtattsa] tavutu (da dabùt), bara; ta(v)ùtu̥ - [taˈʋtu] [taˈvutu]
- Si voi a
masciata vacci si nò mannacci.
Alcuni termini rotondesi derivanti dalla lingua spagnola
abbrazzare (da abrazar), abbracciare; abbrazzà [abbratˈtsa] allazzàri (da enlazar), allacciare, stringer con laccio; fig., avviarsi, mettersi in cammino; allazzà [allatˈtsa] buffittùni (da bofètón), manrovescio, ceffone, sberla; bu̥ffëttùnu̥ (s.) bu̥ffëttùnë (p.) [buffətˈtunu] bulletta (da bullella), bolletta, scontrino;; bu̥llétta [bulˈlɛtːa] crianza (da crianza), creanza, urbanità;; crë(i)ànza [crəˈ(j)antsa] gregna (da grena), mannello di grano; grégna, gréña [greɲɲa] fhilèra (da hilera), fila, ordine di cose o persone disposte l'una dietro l'altra; fëlèra [fəˈlɛra] jènnere (da jerno), genero; iènnëru̥ [ˈjɛnːəru] mammastra (da madrastra), matrigna;; mammàs̃t̥r̥a [mamˈmaʂʈɽa] mantinimentu (da mantinimiento), mantenimento, sostentamento; mantënëméndu̥ [mantənəˈmɛndu] mulinàru (da molinero), mugnaio; mulënàru [muləˈnaru] paliàta (da apalear), bastonata, percosse con un bastone; palë(i)àta [paləˈ(j)ata] pignata (da pinata), pignatta;; pëgnàta, pëñàta [pəɲˈɲata] pulìtu (da pulido), leggiadro, ordinato, acconcio;pulítu̥ [puˈlitu] rasc-care (da rascar), grattare, graffiare e, p. est., sottrarre fraudolentemente, sgraffignare; rašcà [raˈʃka] rifriscàre (da refrescar), rinfrescare, ristorare; rizzu (da rizo), riccio, riccioluto; rëfrëscà [eəfrəˈska] scampàre (da escampar), spiovere, cessar di piovere; scambà [skamˈba] scarfàta (da escalfadura), atto o effetto dello scaldare, riscaldamento; scarfàta [skarˈfata] simmàna (da simana), settimana;sëmmàna [səmˈmana] suprissàta (da sobreasada), soppressata; su̥prëssàta [suprəsˈsata] tuvàgghia (da toalla), asciugamano, asciugatoio; tu̥vàgghia , tuvàyya, tuvagʲgʲa [tuˈvaggja] vrace (da brasa), brace; vràcë, vràšë, vràša [ˈvraʃə] vrazzu (da brazo), braccio; vràzzu̥ [ˈvrattsu]
Alcuni termini rotondesi derivanti dalla lingua francese
accattàre (da acheter), comperare; accattà [akkatˈta] ammucciàtu (da mucer o mucher), nascosto, celato; ammu̥cciàtu̥ [ammutˈtʃatu] ammunziddràre (da amonceler), ammucchiare, ammonticchiare,accumulare; ammu̥nzëd̥d̥r̥à [ammundzəɖˈɖɽa] arraggiàtu (da enragé), arrabbiato, infuriato, stizzito; arraggiàtu̥ [arradˈdzatu] buàtta (da boîte), barattolo di latta, di alluminio o di altro materiale; bu̥(v)àtta [buˈ(v)at:a] buffetta (da buffet), credenza, dispensa, tavola su cui si mangia o scrive; bu̥ffétta [bufˈfɛtːa] brillòcco (da breloque), medaglione, catena, ciondolo d'oro; brëllòccu̥ [brəlˈlɔkku] ciràsu (da cerise), ciliegio, ciliegia; cëràsu̥ [tʃəˈrazu fòrgia (da forge), fucina, officina ciel fabbro;; fòrgia [ˈfɔrdʒa] gradìgghia (da `grille), griglia, graticola; gradìgghia, gradìyya, gradìgʲgʲa [ graˈdiggja] malivìzzu (da mauvis), tordo; malëvìzzu̥ [maləˈvittsu] mbìgna (da empeigne, tomaia cli scarpa),; mbígna, mbíña [ˈmbiɲɲa] maccatùru (da mouchoir), fazzoletto; maccatùru̥ [makːaˈturu] puma (da pomme), mela; pùma [ˈpuma] ràggia (da rage), rabbia, stizza;; ràggia [ˈraddʒa] ruzza (da rouille), ruggine; strato di sporcizia; rùzza [ˈruddza] sciafferru (da chauffer), autista, guidatore di automobile; sciaffèrru̥, šaffèrru̥ [ ʃafˈfɛrːu] sciammissu (da chemise, camicia), voce usata con valore spregiativo, per indicare un soprabito vecchio e logoro; sciammìssu̥ , šammìssu̥ [ʃamˈmisːu] sparagnàre (dall'ant. fr. sparaigner), risparmiare,economizzare; sparagnà, sparañà [sparaɲˈɲa] stàccia (da estache), palo di sostegno; staccià [statˈtʃa] tatarànnu (da grand-pére), nonno paterno o materno; tatarànnu [tataˈranːu]
bërlòccu̥ [bərˈlɔkːu] (breloque in francese significa FASCINO... n dialetto rotondese spesso si usa in senso ironico o metaforico... t_hàië mísu̥ nu̥ bërlòccu̥
Alcuni termini rotondesi derivanti dalla lingua germanica
Anca (da hanke), anca, gamba; ànca, ànga [ˈanka] crùccu (da krok), gancio, uncino, bastone ripiegato ad una estremità; crùccu̥ [ˈkrukːu] gabbu (da gabb, scherno, burla.), ostentazione di meraviglia per gli errori e difetti altrui; gàbbu̥ [ˈgabːu]
- A fa cumi ti
fanu nun ci vò mastria.
N.B. In rosso dialetto maccheronico, in blu ADR
III C · ALCUNI NESSI CON I TERMINI NORMANNI
(assorbiti anche dalla lingua
siciliana):
[akkat'ta] -
comprare (dal normanno acater, francese moderno acheter
['attsa] -
sedano (da ache) ['kray] - (domani) cras [pis'kray]- (dopodomani) post cras.
DIO PADRE PORTALE CENTRALE CHIESA MADRE
III D
· TERMINI DI DERIVAZIONE GRECA Le parole ad etimo greco si presentano in forma più contorta rispetto a quelle di derivazione latina.
[ˈkitarra] citara (cetra) [ˈbabbu] πάππος -pappus (rimbambito) [stup'peɖ:ɽu]stupios (contenitore in legno, unità di misura) [skɔtuˈla] cotiule (agitare i rami per raccogliere olive) ['kropo] κροπος : (letame) [ka'tojo] κατα(sotto) γειος(terra) e non κατα οικια (sotto casa, cioè dimora, abitazione, villa) = cantina,sotterraneo ι’ αυθμός dalla radice ίαυω (riposo) , è il luogo di riposo del gregge [wa'lanu] βοϋς (bue) + έλαϋνω (spingere) ,è colui che spinge i buoi (v.sagra della “pitu”), con trasformazione della consonante “b” di bue in “v” di [mumts'gràfju] μόσκος = vitello, ragazzino , bamboccio, al ['spìnnu] σπάνις = desiderio, desiderio ardente di qualcosa, per lo più di cibo [terra 'jɛrsa] γή χέρσος (arida,incolta) ,campo incolto,arido [tsa'maulo] κεραύλης (suonatore di corno) persona tonta , che parla troppo [kuttsiɖˈɖɽato] πόρχης ( cerchio ) έιδώς (simile), dolce fatto a Cerchio cántaru (da kántharos, vaso con anse), cantero, vaso da notte; -càntaru̥ (càndaru̥) ; [ʼkantaru] [ʼkanðaru] carusári (da kéiro, taglio, toso), radere i capelli, rapare,tosare; -caru̥sàrë, caru̥sà [karuˈsa] ciaramílu (da kerantís), tegolo; -ciaramílu̥ (cëramílu̥) [tʃəraˈmilu] jàscu (da askòs), fiasco; -iàscu̥ [ˈjasku] pìsulu (da pizùlion, banco di pietre), sedile in muratura, vicino all'ingresso delle vecchie case; -pìsu̥lu̥ [piˈsulu] putìa (da apotèche, ripostiglio, magazzino), bottega, negozio; pu̥tìa [puˈtja] scifhu (da skyphos), truogolo; -šìfu̥ [ˈʃifu] spinzu (da spìza), fringuello; -spìnzu̥ [ˈspintsu] tuppitiàri (da tùpto, percuoto), colpire, battere ripetutamente; tuppëtë(i)à [tuppətəˈja] zitu (da zetèo,vado cercando),giovane in cerca di moglie,sposo novello. -zìtu̥ [ˈdzitu]
Cupola e campanile Chiesa Madre
III E TOPONIMI
Buìle [buˈjle] βοΰ (bue) ιλός (sudiciume, letame) letame dei buoi Calorie [kaˈlɔrje] Καλλάυρια , καλός (bello) ἀήρ (aria) Ciponzio [tʃiˈpɔndzio] Κήπος ( terreno lavorato) Cornuto(ponte) [kurˈnuto][ˈpɔnte] χώρος (luogo) νότιος (umido) luogo umido Coste [ˈkɔste] Χοστός (accumulo di rocce) Formigosa [formiˈgɔsa] Φόρμιγγοσα φόρμιξ (cetra) γά (terra) = artigianato del luogo Fosse [ˈfɔsse] Φώς ( luminoso, luogo soleggiato ) Fusaro [fuˈzaro] φύσα (ventosa) ορώ (corrente) Fratta ['frat:a] φράτρα (fraternità, gruppi di famiglie collegate da parentela) Frustero [frusˈtɛro] φρυκτορός (pericolo di fuochi) Gaglione [gaʎˈʎɔne] γά (terra) γλευκος ( vino dolce) Gringiàso [grindˈʒjaso] γρΰ (grugnito del maiale) γάιοη ( per terra) Lori [ˈlɔri] λόγος (giaciglio) ρό (corrente) giaciglio presso la corrente Malita [ˈmalita] μελίτος terreno coltivato a meli Màuro [ˈmawro] μαυρός (scuro) luogo scuro Paracèddro [paraˈtʃɛɖɖɽo] παρά (presso) χέδρος (cedro) Paragaddrìne [paragaɖˈɖɽine] παρά (presso) γά (terra) δρυώνος (querceto) presso la terra del querceto Palombaro [paloɱˈbaro] παλιμβλάστης (che cresce di più , in inverno) Paratùro [paraˈturo] παρά ( presso,a lato) τοϋ (della) ρό (corrente) presso la corrente Patricòne [paʈɽiˈkɔne] πατήρ (padre) έιχων (icona) icona del padre Petrìtto [peˈʈɽitto] πετρηήις (sassoso, pietroso) luogo pieno di sassi Pizzo i trenta [pittsiˈʈɽɛnta] πήξις (fortificarsi dentro) τρητός ( perforato ) fortificarsi,quindi nascondersi dentro un luogo forato Priatòrio [priʲaˈtɔrjo] πρίω (per,attraverso) κάτοδος (discesa) attraverso la discesa Sitòngia [siˈtɔndʒa] σίτος ( frumento) γά (terra) terra (coltivata) a frumento Scaudacàne [ʃkawðaˈkane] σχοίνινος (di giunco) κάνης (intreccio di canne, canestro) intreccio canne di giunco Zìrcoli [ˈtʒirkoli] σέκος ( pecorile) κίρκος (cerchio) recinto di pecore
III F
Termini di varia derivazione
[buˈtiɠɧja] - boutelille- bottiglia /bu̥ttìgghia/ [ab'baʃu] - abajo /a baix /abaixo/ en bas [ˈJɛrə]- ieri - ayer/ hier [ammuˈjna]-chiasso - amohinar/amoïnar [ˈkantaro]-vaso da notte /κάνθαρος (kántharos) [kuˈkjara] - mestolo - cuchara / cochlearia [kuˈr:ja]- cinta - correa / corrigia [mi'sale] / tovaglia /μησάλιον (mesálion) / mesa (tavolo) / mensa (tavolo, pasto, altare) ['pak:aro]- schiaffo - πᾶς (pâs) "tutto" e χείρ (chéir) "mano" [pu'tja ]- negozio, bottega - apotheca / ἀποθήκη (apothéke) / boutique [tsi'm:aro] - caprone- χιμμάρος (chimmáros)
Portale casa De Rinaldis
-Il dialetto, a volte è di fatto un'emarginazione. A Torino, dove ho vissuto per parecchi anni, vedevo che per moltissimi emigranti del Sud che lavoravano alla Fiat in non possedere la lingua italiana era un ostacolo quasi insormontabile. E parlo della vita di tutti i giorni, al lavoro o nei negozi, al di là della "discriminazione nordista". Partivano già emarginati, linguisticamente. (Edoardo Sanguineti)
IV A Singolare Plurale Non si evidenzia usuale opposizione fonomorfematica tra singolare e plurale: In larga parte dei casi, i nomi formano il plurale cambiando la desinenza finale del singolare. Particolare attenzione deve essere posta alle parole singolari che terminano in e e in o . N.B. LE REGOLE GRAMMATICALI NON COINCIDONO CON QUELLE FONETICHE.
[ka:sa] /casa/ casa/e [ka:se] /casë/ manu̥ mano /manë/ [staɖ:ɽa] stalla/e ['staɖ:ɽə] [kanˈdina] cantina/e [kanˈdinə] [kjaŋˈgato] soffitta/e [kjaŋˈgatə]
Maschile Femminile
[' bɛɗ:ɽu] [' bɛɗ:ɽa]
Alcuni dialetti presentano invece una variazione fonetica dovuta ad un fenomeno che si chiama sensibilità alla struttura sillabica, ossia le vocali possono avere esiti diversi a seconda che la sillaba in cui si trovano termini in consonante (sillaba chiusa) o in vocale (sillaba aperta) ES: DEN-TE(M): (sillaba chiusa-vocale aperta) PE-DE(M): (sillaba aperta-vocale chiusa) In italiano, a differenza di altre lingue come l’inglese, la lunghezza (durata) delle vocali non ha valore fonologico. Nel parlato accurato si osserva tuttavia un fenomeno: le vocali che si trovano in certe posizioni sono relativamente più lunghe di altre. Poiché questa differenza non porta a distinzioni di significato, nella maggioranza dei casi il parlante e l’ascoltatore non se ne rendono conto.
Per segnalare questo fenomeno nelle trascrizioni fonetiche è dunque necessario non affidarsi alle percezioni uditive ma a due semplici regole di struttura sillabica:
· sono sempre lunghe foneticamente le vocali che si trovano in sillaba tonica aperta (ossia in una sillaba che termina per vocale), non in finale di parola.
· Sono brevi le vocali atone, le vocali toniche in sillaba chiusa, e le vocali toniche in sillaba aperta se in fine di parola.
· Se consideriamo il caso di sillabe il cui incipit è costituito da una sola consonante, notiamo che qualsiasi consonante può comparire in tale posizione: pi.no ti.mo bu.ko di.to fu.zo se.ra dZe.lo dze.ro paz.zo tSe.na · Se consideriamo invece delle sillabe con un incipit biconsonantico notiamo che la seconda consonante è sempre una liquida: p[l]a.ci.do g[l]a.cia.le a.t[l]e.ta p[l]i.co c[l]o.ne b[r]e.ve p[r]i.mo f[r]a.te c[r]e.ta t[r]o.ta g[r]u.mo
Le sillabe possono anche avere del materiale dopo il nucleo sillabico. Il materiale consonantico che si trova nella sillaba dopo il nucleo sillabico viene detto coda. Una sillaba che termina con una coda viene detta chiusa; una sillaba che termina con il nucleo sillabico viene detta aperta. Se consideriamo ora invece non delle sillabe aperte, che finiscono in vocale, ma sillabe chiuse da una coda consonantica, notiamo che la coda può essere o una sonorante (liquida o nasale o la approssimante di un dittongo discendente) o la prima di un nesso di geminate:
tap.po rab.bia gat.to rid.da pac.co leg.go baf.fo ov.vio sas.so
pa[r].co te[r].no fo[r].no co[r].da ta[l].co fe[l].ce fi[l].tro so[l].co sa[m].ba li[n ].fa ti[n].ta fa[n ].go fo[j].ba da[j].no fa[w].na fe[w].do
NOTA: Per quanto concerne le parole (singolari e soprattutto maschili) terminanti in /u/ è doveroso sottolineare : - la /u/ essendo quasi sempre atona, non appare "piena" e di "netta distinzione". Più correttamente occorrerebbe trascriverla alla guisa della trascrizione usata per la /i/ e la /ë / e quindi trascriverla con /ö/ : Esempi: tavölìnö, mišcarèd̥d̥r̥ö, pr̥ësùttö
Stemma Portale Casa Iorio
IV B Articoli Determinativi il u u̥ il cane [ u'ka:ne] /u̥ canë/ lo u u̥ lo specchio [uˈʃpɛːkjo] /u̥ specchiu̥/ l' u u̥ l'ubriacone [uɱbrjaˈkɔnə] la a a la casa [ a'ka:sa] / a casa/ l' l' l’ l'acqua ['lakwa] / l'acqua/ i ë i cani [i' ka:ni] /ë canë/ gli i ë gli scarpari [i skar'pari] ë scarpàrë
le e ë le case [e'ka:se] /ë casë/
· Nella lingua parlata è comune anche la forma neutra" i ".
Articoli Indeterminativi un nu (nu̥) un cane : [nu̥ 'kane]
uno nu (nu̥) uno Stato [nu̥ 'Statu]
una na una macchina [na 'makina]
un’ infermiera [n_inferˈmiɛra]
Preposizioni semplici di dë i ë La casa di Nicola : a casa ë Nicola a casa dë Nicola del dello du̥ Via del Castello [ˈvija du caʃˈtɛɖ:ɽu] della delle dë L'acqua della fontana [lˈakwa da funˈtana] dei degli
a a Maria è andata a Capri: [maˈrja ɛ ˈ(gh)juta aˈkapri] Esiste differenza grammaticale e non fonetica tra a articolo e à preposizione ( come nella lingua fancese esiste una differenziazione tra a verbo ( il a) e à preposizione (à la maison).
mazzapurtùnë mattsapurˈtunë
da da dal da_u medëcu̥ dallo [da'lorto] da l_ortu̥ dalla [da_kjɛza] dai [dë_jarˈdini] dagli [dë_spru'funni] dalle [dë_kaˈlɔrie ] dall' [da l'aˈmiku]
in > a se comp. di stato in luogo Abito in Via Milano [ˈstaʰu/ / stagʱu) di ˈkasa a miˈlano]
con > ku - /cu- cö/ Con cu̥ ttija Con mio fratello cu̥ ffratëta Tagliare con le forbici tagghià cu̥_ë forbëcë Scrive con la penna scrivë cu̥_a pénna
su > ˈnʒupra La mostra su Caravaggio [a 'moʂtra 'nzupra a kara'vaddzo]
Vado su [ˈvaʰu aˈdautu] Il libro sul tavolo [uˈlibɽɔ ɛ ˈnzupratavula]
per > pi Non si vive per lavorare nun së camba pë faticà
tra-fra > ʈɽa/fɽa
“Per me il dialetto costruisce mondi: E’ più di una lingua, è una visione” (Emanuele Crialese)
IV C
Avverbi di luogo: qui, qua, costì, costà,colà,vicino, lontano kwa, viˈtʃinɔ ˈkwa, viˈtʃinɔ 'loku, viˈtʃinɔ ɖɽa, , lun'tanɔ qua , vëcinu̥ qua, vëcinu̥ llocu̥, vëcinu̥ d̥d̥ra, lu̥ndanu̥ Avverbi di tempo: ora, adesso, ancora, ieri, oggi, domani, prima, presto, subito, tardi, sempre, mai ˈmo, stɔ muˈmɛntɔ, anˈkɔra, ˈjɛri,ˈgʰɔi,ˈprɛstɔ, ˈsubitɔ, ˈtardə, ˈsɛmprɘ, ˈmaj mo, stu̥ mumendu̥, ancóra, ierë, goië, prestu̥, subbëtu̥, tardë, sémbë, Avverbi di modo o maniera : bene, male, meglio, peggio, volentieri, [ˈbene, ˈmale, ˈpɛddʒo, cupjaˈtʃirɘ] Avverbi di quantità: molto, poco, meno, troppo, più, tanto, assai, niente, nulla. [asˈsaj, poˈkɔ, ˈʈɽo:pɔ, ˈnɛntə] avverbi di modalità( affermazione, negazione, dubbio) : sì, certo, sicuro, non, neanche, neppure, nemmeno, forse, probabilmente, quasi..... [ˈsi, ˈtʃɛrto, siˈkurɔ, ˈnoːnə,ˈmanku, nəmˈmanku,ˈfɔrse, ˈkwazi] · adˈdu : avverbio di moto a luogo. L'avv. locativo <dove> è preceduto da una -à- che non è una proclitica di avvio ma una preposizione di moto a luogo; ( Come tale la a produrrebbe grammaticalmente il raddoppiamento consonantico di "a dove"); Il troncamento successivo, da segnalare con accento e non apostrofo, porterebbe alla forma -addù- o meglio sarebbe dire à ddu dadˈdu avv. di moto da luogo -- pədˈdu : avv moto per luogo Probabilmente l'avverbio < adˈdu> è anche avverbio di stato in luogo [adˈdu ˈvaj] /a ddú vài / [dadˈdu vɛnəzi] /d'addú vènësë/ [pədˈdu ˈpas:azi] /pë ddú pàssasë/
IV D AGGETTIVI E PRONOMI DIMOSTRATIVI
questo : ˈkwiʃtɔ, stu /quístu̥/ questi : ˈkwiʃti, ˈsti codesto :ˈkwi:ʃu /quíssu̥/ codesti : ˈkwiːsi quello : ˈkwiːɗɽu, kwiːɗɽu, ˈssù quelli : ˈkwiːɗɽi, ˈssi / quíd̥d̥ru̥ / /ssu/ /ssí/ questa : ˈkwiʃta,ˈʃta queste: ˈkwiʃte,ˈʃte codesta: ˈkwiːʃa; ˈsa codeste: ˈkwiːʃe; ˈsɛ quella: ˈkwiːɗɽa; quelle : ˈkwiːɗɽe; ˈʃta casa jɛ à (d'à) meja, ˈkwiːɗɽa; jɛ di frătëma ˈkwiʃtɔ ˈkwa jɛ u ˈlettɔ ˈmɛʰjɔ, kwiːɗɽɔ ˈdɽa ˈjɛ u ˈtuʰjɔ ku i kaˈpiʃe i ʃmanje i ˈs:u vakaˈbunˈnu.
Spesso si usa una particella enclitica (ˈkwiʃtɔ 'kwa; ˈˈkwiɗɽu ːɗɽa; kwi:su 'loko ) che ribadisce espressivamente il concetto di vicinanza o lontananza al parlante: (come nel francese moderno : ( ce-ci; ce-là). Il pronome dimostrativo nella funzione di sostantivo, come visto, può essere rinforzato. Queste forme indicano ciò che è lontano, e pertanto possono aggiungere metaforicamente una sfumatura elogiativa o dispregiativa, come se ciò di cui si parla fosse lontano perché irraggiungibile, famoso, isolato nella sua grandezza o piccolezza: ˈkwiːɗɽɔ ɗɽa jɛ nuˈdʒenjo - kwiɗ:ɽa dɽa jɛ a ˈmɛgɠɧja; kwiʃʃu ˈlocɔ nunnu ˈpas:a nisʃˈʃunu -kwiɗ:ɽed'dɽa ˈsu di ˈntonju
La varietà dei pronomi nel dialetto Rotondese è molto ridotta rispetto all'abbondanza lessicale da cui deriva. Spesso si usano forme italiane dialettizzate.
ciò: tʃo stesso: ˈstɛssɔ medesimo: / mëdèsimu̥ / tale: /talë/ costui: kɔsˈtuj costei : kɔsˈtɛj costoro : kosˈtɔro
colui : kwi:ɗɽu kɘ colei : kwi:ɗɽa kɘ coloro : kwi:ɗɽi kɘ
“CONSUMATUM EST” scultore Fernando Mario Paonessa
ALCUNE REGOLE FONOSINTATTICHE
PRONOMI RELATIVI, (sono invariabili in Italiano) L'uomo che ride: L_ommu̥ chë rrídë Il latte che hai comprato: U̥ lattë chë hai accattàtu̥ Le scarpe che hai portato: Ë scàrpë chë haië pu̥rtatu̥ Che scarpe porti? Chë scàrpë pòrtësë? Chi ti ha dato queste scarpe? Cu t_ha ddàtë stë scàrpë
RICAPITOLANDO, abbiamo : Chë Cu e infine Ca nel senso di "perchè"
Non parlare perchè mi arrabbio: Nu̥n parlà ca m_arràbbë(i)u̥
Come si agganciano fonosintatticamente con le parole successive in dialetto ?
Vanno studiate e approfondite le varie forme di aggancio tenendo conto anche delle generali regole fonetiche in uso per l'italiano, per esempio l'apostrofo. Un primo metodo potrebbe essere quello di mantenere separate le singole parole della frase; un secondo metodo potrebbe consistere appunto nell'aggancio fonosintattico tenendo conto anche della regola della "crasi" , del raddoppiamento fonosintattico in uso nella trascrizione IPA, dell'uso dell' underscore (evidenziare,sottolineare) , considerando soprattutto la pronuncia verbale e l'enfasi usata dai parlanti.
PRONOMI E PARTICELLE PRONOMINALI:
Cosa m' importa : Che më mbórta Che me ne importa: Chë më në mbórta, oppure: Chë mènnë mbórta Non me ne importa: Nun më në mbórta, oppure: Nummënnë mbórta Non te ne dò: Nun të në dòngu̥ oppure: Nun tënnë dòngu̥ Non te ne posso dare: Nun_të në pózzu dà oppure: Nun_ tënnë pózzu̥ dà Non se ne può più: Nun së në pò cchiú oppure: Nun sënnë pó cchiú
PREPOSIZIONI SEMPLICI E ARTICOLATE, aggancio con la parola seguente: Da dove vieni? Da_d̥d̥ú vënësë? (Moto da luogo) Dove vai? A_d̥d̥ú vàië? (moto a luogo) Dove abiti ? Ad̥d̥ú stàië? (stato in luogo)
NEGAZIONI: Non te lo posso dire Nun të u̥ pozzu̥ dìcë ; oppure: Nun t_u̥ pozzu̥ dìcë Non me lo dovevi dire: Nun më l'avíjasë dìcë; Numm_avíjase̥ dìcë
Pronomi combinati ME LO/LA/LI/LE TE LO/LA/LI/LE CE LO/LA/LI/LE VE LO/LA/LI/LE GLIE/LO/LA/LI/LE
(compratelo) > accatta'tillu̥ dal francese achete-tu-le - captat+te+ille (portamelo) > portam'millu̥ (compratevelo) > ak:at:atǝ'villu̥ (portatemelo) > pɔrtatǝm'mil:u̥ (mangia-tu-lo) > mantʒa'til:u̥ (mangiate-voi-lo) > mantʒatǝ'vil:u̥ (metti- ce-lo) > mit:itˈtʃil:u̥
· Da sottolineare, in generale, il fenomeno della crasi ( fusione di vocali ), la contrazione specifica della vocale finale di una parola con la vocale iniziale della seguente.
porta aperta: [pɔrta'pɛrta] /port_apèrta/ Pronomi indefiniti (singolativi, collettivi, quantitativi,negativi) alcuni sono arrivati kwakˈkunu ˈjɛ ar:əˈvatu uno esulta: ˈʰunu ˈtsuɱba, ciascuno ama: tʃaʃkəˈdʰunu ˈʰama, nessuno piange: niʃˈʃunu ˈkjantʒə (uno+altro) n_'atu
Gli uni mangiano, gli altri bevono ˈtʃɛrtə ˈmandʒanu, lˈʰatə 'bbivənu Uno dice una cosa, l’altro la nega ˈʰunu ˈditʃə, lˈatu nɛga Qualcosa è successa ˈkwuakə ˈkosa ˈjɛ sutˈtʃɛssa qualcosina, qualcosuccia, qualcosetta : kwakekoʒəˈtʃɛɖ:ɽa
Centro storico - Foto di Jhonny Malancone
Pronomi indefiniti collettivi tutti tuttë poco pocu̥ tanto tandu̥ molto, troppo troppu̥ ˈʈɽɔp:u alquanto , parecchio paˈrɛkju molto, moltissimo ʈɽɔppasˈsaj
Molti non sanno sciare paˈrɛk:i nu ˈsanu ˈʃja Gli piace moltissimo i pjˈatʃe ˈtantu asˈsai Sto un pochino meglio ˈʃtaʰu nu poki'tʃeɖ:ɽu mɛgʰʲu
Pronomi indefiniti negativi niente ˈnɛntə - / nèntë / nessuno niʃˈʃunu - / nis̃unu̥ / nulla ˈnuɖ:ɽa, / nèntë /
- I ciucci si
scuntrunu e i varliri si ruppunu.
PRONOMI PERSONALI SOGGETTO
In IPA io jɛ tu tu egli diːɖɽu
noi nɔj voi vɔj
loro loro (soggetto)
essi - esse - loro (complemento)
in ADL io ié tu tu egli did̥d̥r̥u̥ noi nóië voi vòië
loro lòru̥
essi - esse - llòru̥
AGGETTIVI E PRONOMI POSSESSIVI
mio, tuo suo, nostro, vostro, loro
meʰju-meʰja/ me(i)u̥ tuʰju- tuʰja/ tu(i)u̥ suʰju-suʰja/ su(i)u̥ nɔstru-nɔʃʈɽa/ nostru̥ vɔʃʈɽu-vɔʃʈɽa/ vostru̥ lɔro lòru̥
miei, tuoi, suoi, nostri, vostri, loro mie, tue, sue, nostre, vostre, loro mɛʲi - mɛʰie / tuʰië - tuʰië/ suʰië - suʰië/ noʃʈɽë - noʃʈɽë/ voʃʈɽë -voʃʈɽë/ loru̥
· I possessivi vengono anche usati, per i nomi di parentela, in forma enclitica .[ˈsɔrəma] (SOROR MEA; mia sorella) [sɔrəta] (SOROR TUA)
a mmja / a ttja/ a ddiɖ:ɽu/ a ˈnnoi/ a ˈvvoi/ a llorɔ (dativo)
/ ammìja / / attìja /
- Futti e futtitinne, ca se nun futtisi restasi futtutu
- Fúttë e
fu̥ttëtìnnë ca së nu̥n fùttësë rèstasë fu̥ttùtu̥
N.B. In rosso dialetto maccheronico, in blu ADR
IV E
Numerali
ˈʰunu (g)únu̥
ˈdúyɘ d̥ú(i)ë
ˈʈɽɛ t̥r̃é
ˈkwaʈʈɽu quàt̥t̥r̃ü
ˈtʃingʰᵊ cíng(ë)
ˈtʃɛi sèië
ˈtʃɛttɘ sèttë
' ʰɔttɔ - (g)òttu̥
'novə nòvë
ˈdɛtʃi décë
mendzaˈnottɘ mezzanotte mënzanòttë
mendzuˈyɔrnɔ mezzogiorno mënzu̥iórnu̥
ˈvetsˈperɔ vespro vèspëru̥
zero: dzɛɛrɔ
01:05 ˈ l una etʃ ˈ etʃingʰᵊ
02:10 ˈdúyɘ ed ˈ dɛtʃi
03:15 ʈɽe (t̥r̥e) ekˈkwinnitʃi
04:20 quat̥t̥r̥u evˈvinti
05:25 tʃingʰᵊ evvinti ˈtʃingʰᵊ
08:40 ʰɔttu ekkwaˈranta
09:45 ˈnòvɘ ekkwarantaˈtʃingʰᵊ
007: ˈdzɛrɔdzˈdzerɔˈʈʃɛttə
3x2: ˈʈɽɛppᵊdˈduyɘ
4x2: kwaʈʈɽupɘdˈduyə
4:3 : kwaʈʈɽuˈterʈʃi
9/9,5: ˈnɔvənʈʃupranˈnɔvemˈmendzu
9,5/10 ˈnovəmˈmɛndzu 'ntsupradˈdɛʈʃi
10/10,5 ˈdɛʈʃinʈʃupradˈdɛʈʃiemˈmendzu
10,5/11 ˈdɛʈʃemˈmedzdzuntsupraˈʰunniʈʃi
11/11,5 ˈʰunnitʃintsupraˈʰunniʈʃiemˈmendzu
16x9 ˈsidiʈʃipənˈnɔvə
100 ˈt͡ʃɛntu
101 ˈʈʃɛntɔeˈʰuno
102 ˈʈʃɛntɔedˈduyə
105 ˈʈʃɛntɔeʈʃingʰᵊ
110 e lode ˈʈʃɛntɔedˈdeʈʃi elˈlodə
118 ˈtʃɛntɔdiˈtʃɔttɔ
127 ˈtʃɛntɔvintiˈsɛttə
131 ˈtʃɛntɔʈɽɛnˈtuno
Opera di scalpellini locali(centro storico)
IV F Nomi alterati
I nomi alterati sono quei nomi che sono formati dalla radice del nome primitivo + un suffisso. Il risultato è il significato leggermente modificato. Es. “letto” > “lettino” (idea di piccolezza, DIMINUTIVO), “lettone” (idea di grandezza, ACCRESCITIVO), “lettuccio” (idea di leggiadria, VEZZEGGIATIVO), “lettaccio” (idea di disprezzo, DISPREGIATIVO). I diminutivi sono a volte anche dei vezzeggiativi: “piede” > “piedino”. Gli accrescitivi sono a volte anche peggiorativi o dispregiativi. “testa” > “testone”. Nel dialetto rotondese esistono tanti nomi alterati, dei quali prevalgono quelli diminutivi e accrescitivo:
gwaɲɲɔˈnɛːɖɽu /guagnu̥nèd̥d̥r̥u̥/ tʃinnaˈreɖ:ɽu /zënnarèd̥d̥r̥u̥/ panəˈtʃɛɖ:ɽo /panëcèd̥d̥r̥u̥/ tʃuttʃaˈrɛɖ:ɽo /ciu̥cciarèd̥d̥r̥u̥/ fattaˈreɖ:ɽo dzipˈpɔne fikatˈtsano mataratˈtsɔne ɱbɽuɣʰjuˈnadzo fiʃkiˈtsɛːɖɽo kannarudˈdʒɛːɖɽi jasˈkɔːne skaˈrpuːni ʃkitiˈtʃɛɖ:ɽo pətrutʒiˈnɛɖ:ɽu fiʃkaˈtɛɖ:ɽa tʃantʃaˈnɛɖ:ɽo kampanəɖˈɖɽuttsa ɣaɖɖɽiˈtʃɛɖ:ɽo /gad̥d̥r̥ëcéd̥d̥r̥u̥/ paraˈtʃɛɖ:ɽo kuɱpaˈrɛɖ:ɽo paljaˈtɔne mantatʃetˈtɛɖ:ɽu fokaradˈdzɔne aʰjᵊtʃɛɖ:ɽo , ayyɘtʃɛɖ:ɽo kjak'kjɘraˈtɛɖ:ɽa skanːi'ʈʃɛɖ:ɽu] cɘpuɖˈɖɽuttʒa kur'teɖˈɖɽɔne gaɖɖɽəˈtʃɛɖ:ɽu maskuˈlɔne kavuˈðaˈrɛɖ:ɽa piˈɲːaˈtɛɖɖɽa sarˈtanjata tiˈɠʰeɖˈɖɽutʒa kankaˈrɛ:ɖɽo vutːəˈtʃɛɖ:ra muteɖˈɖɽuttʒo ammuʃʃaˈtɛɖ:ɽo
Angolo p.zza Vitt.Eman. III
IV G
ENANTIOSEMIA/POLISEMIA di σημαίνω ( significare ).
POLISEMIA
= condizione in cui una parola ha più significati,
πολυ
(molto) e
σημαίνω
« significare»; [mɔɖɖɽu] (morbido- bagnato) [mattuˈtinu] (aggettivo- sostantivo) [ˈlɛntu] (lento - magro) [sikˈku] (secco- magro) [ˈsanu] sano - intero ['fɔssa] buco - tomba [krisˈtjano] persona- aggettivo ['skopa] scopa - gioco [ˈkotʃe ] ind. Pres di cuocere- che scotta- agg [ˈfrisko] fresco, ombra - prodotto fresco [ˈkappa] camino - mantello [ˈkɔppa] foglia di granturco- trofeo [ˈkautʃe] calce - calcio ['lɛtto] letto- part.pas. leggere [ˈkɔtto] part. pass. cuocere - ceramica [assətˈtato] seduto - ben posizionato [ˈspuɽla]: pellicina - imp. pres. di [spuɽˈla] [piˈano]: pianoforte - pianura [ˈtʃesto]: punto nella pallacanesto-ciuffo di foglie e gambi dalla stessa radice ['nutʃe]: frutto - albero di noci
V A VERBO AUSILIARE: ESSERE: Pres. P.P Imp. T.P jé ˈsungu statu 'jɛru stato ié sùngu̥ stàtu̥ ièru̥ stàtu̥ tu 'tsə " 'jɛrazə " tu sí " ièrasë di:ɖɽu 'jɛ " 'jɛra " dìd̥d̥r̥u̥ iè " ièra noj ˈsumu statə 'jɛramu statə noië súmu̥ stàtë ièramu̥ statë voj ˈsɛzə " jɛravu " vòië sèsë " ièravu̥ " 'loru ˈsu " jɛranu " loru̥ sù " ièranu̥ "
Nel dialetto rotondese per il futuro, passato remoto e condizionale si usa il presente + un avverbio di tempo o termine equipollente. Alcune forme sintetiche si sono sviluppate in forme analitiche. Questo sembra valere anche per le tre coniugazioni. (v.pag.101)
fus's-ɛ ra fus's-ɛrizə fus's-ɛra fus's-ɛrəmo fus's-ɛrəvu fus's-ɛ rənu cantai: agʰju kan'tdatɔ (CANTAVI > HABEO AD CANTARE) sono andato: agʰju 'juto, ( HABEO AD IRE) 'sungu' jutu sarò libero domani: sùngu̥ lìbbëru̥ dumanë
ci sarò: cë sùngu̥ sarò libero domani: sùngu̥ lìbbëru̥ dumanë
ci sarò: cë sùngu̥ L' ausiliare <avere> sostituisce < essere > nei tempi composti. VERBO AUSILIARE : AVERE
ˈʰaggʰju ˈa'vja aˈvɛra a'vissə agghiu̥ avìja avèra avìssë ˈʰai ˈa'vjazə aˈvɛrɘzə a'vissizə haië avìjasë avèrësë avìssësë ˈʰa ˈa'vja aˈvɛra a'vissə ha avìja avèra avìssë a'vɛmu a'vjamu aˈvɛrəmu a'vissəmu avèmu̥ avìjamu̥ avèrëmu̥ avìssëmu̥ a'vɛsə a'vjavu aˈvɛrəvu a'vissivu avèsë avìjavu̥ avèrëvu̥ avìssëvu̥ 'ʰanu av'janu aˈvɛrənu a'vissənu hànu̥ avìjanu̥ avèrënu̥ avìssënu̥ aˈvutu - aˈvi
scultore Fernando Mario Paonessa
|
.
.
.