Romano Fea

 

 

LA RAGAZZA CHE VOLEVA UN’ISOLA

 

17

 

Ecco la versione integrale di alcune delle poesie recitate da Annita, come registrate in lingua originale e poi tradotte da Sandor, con tutte le cesure e le incertezze, nel suo curioso italiano di studente straniero:

 

Ambizione curiosa questa mia:

in ottuse parole conferire

il prodigio d’un pianto.

 

 

In questo mare color di prugna

schiumano ebbri i fervidi cavalli;

tra i cespugli dell’orto

impazziscono a notte i rosignoli.

Su questa tavoletta di scrittura

scorrono lacrime di grave amarezza:

sulla nave per Cipro veleggia

Atti dal crine biondo.

 

 

 

Delia, io so: nei fondi di valle

più verdi, ove singhiozzano i fagiani,

nell’ombra notturna danzano le Eumenidi.

La bocca rossa, tonde le braccia,

azzurro l’occhio, quello il vero aspetto

delle vergini eterne: all’umidore

di quei mattini tornano quali erano

quando Cronos le trasse con  acqua

impastata di lava ...

 

 

Questo mio rotolo

Alceo l’hai scritto tu,

simile a un dio.

 

Torno nel tempo alla tenera Atti,

ricordo: la notte del maremoto

noi restammo allacciate sul giaciglio.

Poi disse: carezzavo le braccia

e le gambe tornite, ho contato

ogni sospiro tuo, ogni sgomento,

le tue dita di spasimo.

 

 

18

 

Poi Sandor mi telefonò. Erano passati alcuni mesi dal nostro ultimo incontro e quel  lungo silenzio me l’aveva fatto immaginare dibattuto fra gravi problemi. Erano le cinque del mattino quando il telefono suonò imperiosamente. -Spero di disturbarti,- sghignazzò.

Non lo insultai, aspettando nuove arguzie.

-È che mi riesce insopportabile pensare a te.-

-Pensa ad altro, ragazzo mio.-

-Non sopporto di immaginarti tranquillo e beato nella tua casa linda e silenziosa. Saranno i veleni dell’invidia. Ahimé, sono ridotto a invidiarti. Tutto qui.-

-Giurapapé, prima mi denigravi ed ora eccoti invidioso. Vuota il sacco.-

-Sono fuori casa. Sbattuto via come un cane bastardo e sifilitico. Da tre settimane senza fissa dimora. Mi barcameno fra albergucci e sozze affittacamere.-

-Non ti credo.

-Ursula non vuol saperne. Il palcoscenico è mutato. Ora si sprecano le scene drammatiche in vocalizzi insopportabili, e sembra diventato impossibile coordinare un ragionamento di fronte a valanghe di dichiarazioni berciate a volume da discoteca. Per farla breve, mia moglie m’ha invitato a liberare la casa della mia presenza. Annita se n’era andata già da settimane. Aveva trovato una sistemazione economica in una pensione per sole ragazze. Questo non è bastato ad Ursula, come non ha voluto ricevere la mia promessa di non vedere mai più “quella maledetta intrigante di girovaga greca: t’ho visto sbavare ascoltando le sue miserabili esternazioni di chiromante ...” Le chiama esternazioni miserabili, e tu dimmi se ti paiono miserabili versi come questi che mi tengo stampati nella memoria...-

-Lascia perdere, non mi pare l’ora e neppure l’argomento per una telefonata internazionale.-

-Non puoi rinunciare:

 

Io ricordo la grata ombra del fico

estiva tra macchie soleggiate,

languidi pesci sulla brace e un’anfora

d’acqua leggera

nella tacita corte dei miei vecchi.

 

dimmi tu come avrei potuto consentire ad una creatura come Annita, sperduta nelle nebbie nordiche...-

-Dove vivi?-

-Provvisoriamente in un piccolo albergo, non lontano dalla pensione di Annita.-

-Continuate a vedervi?-

-Abbiamo dovuto ridurre gli incontri, nasconderci. Sono certo che Ursula ha scatenato un intero esercito di poliziotti privati per raccogliere mie prove d’infedeltà ed ottenere il divorzio a migliori condizioni.-

-Ti sei involto in un discreto impiccio. Che farai?-

-Non so. Non ci ho pratica. Aspetto. Il mondo pare in procinto di rovinarmi addosso ed io non so far altro che aspettare.-

-Consolandoti con Annita a letto.-

-Che dici? Sbagli grossolanamente. La ragazza patisce oltremodo la nostra crisi famigliare. Fino a propormi anche lei, povera creatura, di non vederci più.-

La telefonata s’interruppe e non seppi mai se per volere del mio interlocutore, oppure per un fatto tecnico. Tornai a letto e sognai Annita sorridente: quei sorrisi erano diretti a me. A nessun altro.

 

La successiva telefonata dall’Austria, registrata dalla mia segreteria telefonica, fu per il mio equilibrio psichico come una mina fatta brillare in un deposito di cristalleria boema: “Arrivo domani con Annita. Attendici alla stazione con un furgone, portiamo una collina di bagagli.”

Avrei potuto darmi partito per la Stiria, ma i sotterfugi non rientrano nella personalità di Nick Cigliano. Il mattino successivo, rimuginando su dove diavolo quei due avrebbero piantato le tende, con un furgone preso a nolo arrivai puntuale alla stazione per vederne emergere l’opima figura del solo Sandor, seguito da una carovana di facchini coi carrelli ricolmi di valigie e borse.

-Spiegherò poi,- disse concitatamente il mio amico, indirizzando i facchini al furgone con larghi gesti della braccia.

-Dove debbo trascinare te e questa carovana di merci, questo potrai dirmelo, vero?-

-Oh, bella, a casa tua! Mica avrai cuore d’abbandonare un amico due volte ripudiato da donne diverse!-

-Due volte? E Annita non doveva essere con te?-

-Sa il cielo. Adesso guida verso casa tua. Ne parleremo con calma.-

Le valigie e le borse avevano colmato il furgone. Nel trasferirle all’ascensore di casa mia, sotto gli occhi ironici del portiere, mi chiesi che cosa mai potessero contenere.

-Ma è evidente!- disse Sandor, - tutti i miei indumenti ed effetti personali, gli strumenti in dotazione per il mio lavoro, il mio archivio di cassette e compact. Tutto è ormai qui in queste valigie, in Italia con me, e io non sono che un povero emigrante.-

-Un corno! Ora mi spiegherai!-

-Sono un uomo libero, caro Nick, libero da affetti terreni e vincoli legali, salvo l’ordinanza magistrale che fissa l’entità e la cadenza degli alimenti alla mia ex-consorte. Unico attaccamento rimasto è il mio lavoro, per tacere del mio archivio e la mia biblioteca classica, il sancta sanctorum che porto in quelle valigie. Tutta la mia vita operativa e sentimentale in alcune valigie! Tu che sei un amico fedele e un giudice spassionato, saprai dirmi se ora posso considerarmi povero o ricco, felice o meno.-

-Prima dovrai parlare tu, e dirmi della tua famiglia e di Annita.-

-E sia, ma non prima d’aver mangiato qualcosa: sono digiuno da trentasei ore e potrei caderti ai piedi esanime. Ti confesso che vorrei vederti maggiormente preoccupato per il tuo amico austriaco, sentirmi assalito da tuoi sentimenti caritatevoli ed essere ospitato alla tua tavola. Il mio corpo e la mia anima abbisognano di una doccia e qualche sandwich.-

Si mise autonomamente a spadellare tra acquaio e fornelli: potevo udirlo fischiettare e in quel momento fui certo che gli unici suoi pensieri vertevano su questioni culinarie; dopo una mezz’ora eravamo a tavola fra piatti fumanti ed un paio di bottiglie di ottimo Gumpoldskirchner che il previdente amico aveva estratto da una delle valigie.

-Il tribunale ha fatto sollecitamente il suo dovere, per così dire. Da una settimana Ursula ed io siamo degli ex. Ex-coniugi, liberi come l’aria. Non l’avrei mai sospettato, ma quella donna deve possedere una segreta risorsa di testosterone, essendo riuscita a condurre la pratica giudiziaria con tale sconvolgente rapidità ed ammirevole senso pratico. E l’occhio asciutto.-

-Neppure ... alla fine ha pronunciato una parola di rincrescimento?-

-Mi ha guardato fisso negli occhi e “Goditi la vita” fu tutto ciò che seppe dirmi, prima di gettare all’indietro i capelli biondi, poi facendo risuonare i tacchi dei suoi lunghi passi sulle lastre di marmo del tribunale. In quel ticchettio tutto il mio castello esistenziale è esalato come una boccata di fumo di sigaretta. Da quel momento mi sono sentito solo per davvero. Solo. Chissà come si sentirà lei, Ursula, sempre attenta a non mostrare apprezzamento per le attenzioni di altri uomini. I ragazzi vivranno con lei nella nostra casa, fatta esclusione di un week-end ogni mese ed una settimana intera ogni anno, quando spettano a me.  Per me va bene: tu sai che coi ragazzi non riesco a legare se non per insegnare le parolacce ed il greco, oltre, beninteso, a registrare le loro orribili canzoncine! Odio far loro il bagnetto e propinare medicine amare. Essi mi amano, pur considerandomi una sorta di compagno troppo cresciuto, discolo, egoista e dunque scarsamente affidabile. Per il resto, ho ... solo te. Vedrò i ragazzi pochi giorni l’anno, poi mi restate tu e il mio lavoro. E Annita, forse.-

-Annita non doveva arrivare qui con te?-

-Infatti. Ma per raccontarti tutto dovrei vuotare qualche altro bicchiere.-

S’alzò, frugò nelle valigie, ne trasse una bottiglia di Vöslauer che stappò con gesti sicuri e versò nei bicchieri. Bevve, fece schioccare la lingua e riprese:

-Come saprai io avevo mantenuto ottimi rapporti con Annita, rapporti assolutamente platonici, intendimi. Ci incontravamo e parlavamo della Lucania, di Matera, di suo padre, fino a quando ritrovava l’adatta disposizione mentale per … sovente era il ricordo degli anni trascorsi sui versanti erbosi delle Murge a farla ripiombare nelle sue fantasticherie e recitare nuove poesie. Ne ho colmato alcune audiocassette,- i suoi occhi erano umidi e la voce s’era fatta roca, -e non posso evitare di fartene ascoltare qualche brano.-

Improvvisamente commosso, s’alzò di scatto spargendo sul mio pregiato tappeto di Qum parte del vino dal bicchiere che teneva in mano, riprese a frugare in un’altra valigia per trarne alcune fonocassette, tra cui scelse, si pentì e finalmente decise. Porgendomi un foglio di trascrizioni, inserì una cassetta nell’apparecchio riproduttore, la voce di Annita d’un tratto riempì la camera e noi due, il collo teso come condor incitrulliti, ce ne stemmo ad ascoltare religiosamente compunti nella commozione indotta dal vino. Ingoiata quell’emozione, Sandor mi porse il foglio delle traduzioni:

 

Nei versi tuoi, Terpandro

leggo più assai di quanto non conosca

di quanto abbia scordato;

e il melo di Terpandro è ancor più melo,

e melo celestiale,

ed il mare invocato è anche più mare,

e Ciprina, Ciprina più amore!

 

 

Con anni tanti ed una veste nera,

cosa mi resterà se la parola

verrà a mancare, come oggi svanisce

il tenero fruscio del tuo bel peplo?

 

 

Dieci e quattro guerrieri sono morti,

giovani di sorriso e di baldanza,

d’agile piede e braccio invincibile:

mai potremo dimenticare.

Quattordici guerrieri, due fratelli

e tre fratelli; nove mogli

preparano roghi, quattro madri

e una sorella scelgono legname:

i roghi oscureranno il sole

anzi il tramonto.

Ma nella notte avremo gli occhi asciutti,

non un lamento frangerà il respiro,

o la vergogna stenderà il suo velo.

 

 

Quante stagioni avanti a noi

e quante dopo!

Nel tenero piacere prova a illudere

il tempo che t’illude.

 

 

 

-Tu ora potrai apprezzare le ragioni per cui io non potrò mai più allontanarmi da quella greca!-

-Greca?-

Rise tra i fumi del vino, ma s’indovinava qualche lacrima nel volto affocato d’emozione:

            -C’è una poesia che non possiamo evitare di riascoltare subito. Ti prego, pazienta, ascolta ancora!-

      

Anche Orione a notte, fra gli aneti

scese a tentarmi, corrusco d’amore:

due dèi d’amore spasimano in Saffo

e presto morirà.

 

-Che cosa significa, secondo te?- mormorò pensieroso.

-Dimmi che cos’è accaduto fra te ed Annita.-

Esitò  prima di parlare, chiese aiuto al colaticcio della bottiglia, poi mi pervenne un racconto condotto con voce insopportabilmente lamentosa,  nuova per lui, in un profluvio di frasi piuttosto scoordinate. Dopo molto esitare i due erano rimasti d’accordo di partire lasciando l’Austria, dove Annita non era riuscita a trovar lavoro, ritenendo che forse nella mia città industriale sarebbe stato più facile.

-...Si sarebbe accontentata di lavori umili, anche se il singolare dono che ella sola possiede mi fa ritenere ingiusto vederla arrabattarsi lavando scale condominiali o cessi di fabbrica... basta ... dopo la sentenza di separazione stabilimmo la data della partenza per due giorni dopo. Restammo assieme ancora qualche ora, castità assoluta, beninteso, e l’accordo fu di trovarci alla stazione di Innsbruck alle nove di ieri sera, per venire da te. Bene. Annita non arrivò mai all’appuntamento. Dalla stazione telefonai alla sua pensione, dove mi informarono che la sera precedente ella aveva rifatto i bagagli, pagato il soggiorno e partita per la Germania.

Partita. Sola. Senza conoscere che qualche incerta parola di tedesco. Domandai alla padrona della pensione se avesse messaggi per me ed ella mi rispose di sì, un messaggio verbale “Gli dica che gli scriverò e che lo ringrazio”. Nient’altro. Domandai a quella donna se fosse sicura che nulla fosse rimasto in camera, una lettera, qualche oggetto. Nulla di nulla. Ma l’affittacamere mi fece un commento: quella era una ragazza ben strana: ore ed ore sdraiata nel letto o seduta alla finestra, e sempre a parlare a bassa voce, in una lingua incomprensibile!-

-Sola in Germania!- borbottai meravigliato, chiedendomi se la stravaganza del fatto nuovo potesse nascondere qualche nuova bugia di quel miserabile, infido Sandor; ma questa volta il labbro tremante, il volto pallido, il muoversi mesto e dolente, mi portarono a immaginare una sua possibile sincerità.

 

 

19

 

-Ed ora?- dissi a Sandor.

Trascinò l’abbondante sagoma a circumnavigare il tavolo, cercando le parole:

-Tu hai un amico senza casa.-

-E tu hai un’amante senza fissa dimora. E una moglie disgustata. E dei figli disorientati in carenza della figura paterna! E un amico esasperato.-

-Ursula aspetta che io le invii l’assegno mensile stabilito dal giudice. L’attesa le parrà sopportabile fra le braccia di un qualche atleta del circolo di pallacanestro dove continua ad allenarsi tutti i giorni, con l’impegno furioso d’un mercenario. Quanto ai figli sappi che non mi considerano che un elemento di contorno. Annita s’è eclissata...-

-Ed io, fra tutta questa gente, io che farò?- gli dissi, piccato.

-Ripeto. Tu hai davanti a te un amico privo d’una abitazione qualsiasi.-

-Che posso fare per quell’amico? Saprai che covo sentimenti non teneri per lui.-

-Ospitarlo fino a quando non  troverà una casa adatta. Io non me la sento di tornare in Austria. Un paese dove l’inverno è lunghissimo e le donne dure e razionali. Ad attendere la domenica pomeriggio per portare i bambini allo zoo per poi restituirli a sera imbottiti di gelati, parolacce e risentimento,  il tutto da smaltire lungo la settimana. Quel genere d’attività non fa per me. Evviva te e questa città subalpina che t’assomiglia, garbata, regolare, laboriosa, ottimo punto di partenza per le nostre escursioni operative per la radio! Vuoi paragonare la ricchezza delle valli piemontesi in termini di folclore e tradizione? Di cultura e  ricordi? La sua Resistenza! Il nocciolo duro del suo lavoro! Che dici?-

-Confermo che sei un porco di maestose proporzioni. Un ignobile graveolente, inverecondo  suino.-

-E poi le lettere di Annita arriveranno qui.-

-Questo già lo so, sacramondo!-

-Ella stessa giungerà qui, al suo ritorno dalla Germania. Almeno lo spero.-

-E qui arriverà pure il patrigno col fucile a canne mozze!-

-Lascia perdere. Qui verranno notificati gli atti del tribunale di Innsbruck e qui riceveremo le eventuali lettere di Ursula, l’amata-odiata consorte.-

-E qui tu credi di far affluire i tuoi figli nei giorni concessi dal tribunale. E fors’anche di rinfocolare i litigi con tua moglie per l’inevitabile colpevole ritardo con cui invierai le mensilità per il mantenimento dei ragazzi. E sempre qui, nel mio letto, ricevere le tue sgualdrine! Forse, mio caro, hai scambiato il tuo ruolo di amico con quello di figlio. Tu vedi in me la figura paterna, m’immagini di larghe vedute, longanime, sempre pronto a coprire le tue carenze ed, anzi, a sorriderne.-

-Non metterla così, Cigliano, tu sai quanto me che lo stare insieme sarebbe foriero di un buon lavoro in comune e di produzioni originali. L’annichilamento di due disperate solitudini per la creazione di una felice, divertente comunità di persone affiatate.-

Gli proposi di non affaticarsi celiando a vuoto. Ma i progetti di lavoro, quali sarebbero?

-Evvia, il nostro vecchio progetto! L’ipotizzata serie d’interviste radiofoniche a maghi, indovini, àuguri, sortìleghi, maliarde, pitonesse, fattucchiere, versiere, pizie, sibille, streghe, sortiere ed altre femmine in estasi divinatoria; oracoli, vati, aruspici, negromanti operatori d’incantesimi e prodigi, fascinatori e incantatori, parapsicologi, spiritisti, cacciadiavoli, millenaristi, apocalittici, medium, settimini, sensitivi, occultisti, alchimisti, affatturatori; non dimenticando gli esoteristi in genere come i chiaro e preveggenti, i cartomanti e gli altri taroccai, enigmisti, pranoterapeuti, medicastronzoli, rabdomanti, profeti, svelatori e violentatori di destini altrui, fabbricanti di amuleti, pentacoli e talismani, ossessi del voo-doo e divoratori di funghi allucinogeni, astrologhi, chiromanti e distillatori d’oroscopi, analisti di I King e rune. 

Fra tutta questa bella gente la nostra Annita primeggerebbe in assoluto per originalità ed interesse. Sarebbero trasmissioni che, condite d’una buona regia, ci donerebbero fama e notorietà. Non fingere d’averlo dimenticato, quel progetto. Quello è il nostro asso di denari per emergere in bella evidenza fra gli altri redattori della radio. Già vedo i colleghi invidiosi, schiacciati dall’originalità della nostra iniziativa. Musi lunghi e battaglieri, riserve pretestuose bofonchiate nei corridoi ed alla mensa aziendale. E tu mi vieni a far faccia nuova! Mica vorrai mettere una pietra su tutto, rinunciare al successo, piegarti al grigiore quotidiano delle più piatte interviste organizzate nei momenti di cattiva digestione dai responsabili di palinsesto!-

-Non mi appiattirò mai. È un fatto. Ma quanto proponi non implica che tu debba piantare le tue tende quaggiù ed infulcrare in casa mia l’uragano di complicazioni famigliari e sociali da te suscitato con le tue leggerezze!-

-Soltanto qualche giorno, o una settimana, due al massimo, fors’anche qualche mese: il tempo strettamente necessario per reperire un’altra sistemazione in questa meravigliosa città.-

Ero esausto e non potrei che bofonchiare un ‘vedremo’.

Mi porse un plico che sfogliai, mentre il Sandor più invasivo e petulante continuava a saltellare attorno a me, commentando con frasi mielose e sospiri i versi che via via andavo leggendo.

 

Trài la fune al pozzo, Settimo,

abbevera i cavalli...

 

-Parla, caro Nick, non daresti un anno della tua ignobile vita per conoscere il resto di questa poesia, irrimediabilmente perduta perché mai m’è riuscito di far riprendere il filo a quella ragazza ...che veleggia nel tempo con il piglio leggero d’una giornata odorosa d’erba ricca di fiori sotto sterminati cieli isolani?-  Quanto celiasse, non so; è certo che non un’ombra di rossore gli imporporò le guance mentre gorgheggiava quelle facezie.

 

Una alla volta le vergini orientali

ascendono l’altare in sacrificio.

 

-Chi saranno mai queste evocate vergini? Turche, arabe, indiane, forse? Il mistero di questi versi s’infittisce quanto più ci penso. E l’altare del sacrificio, che mai sarà? Forse il talamo nuziale? Donde il cruccio geloso di Saffo che amava e sentiva di star perdendo quelle vergini? Il suo rendersi improvvisamente conto che tutta l’intelligenza e la tenerezza profuse nell’insegnamento e nelle esperienze sentimentali con le ragazze del tiaso, si sarebbero immiserite fino ad assumere la mera importanza d’una premessa, un training di preparazione alle più consistenti gioie coniugali alle quali le ragazze erano destinate? Bada, Cigliano mio, che ho felicemente scambiato Saffo con Annita!-

 

Ecco, fra tegumenti di carruba

il mio corpo vibra e sublima

nel tutto che da sempre scorre immoto.

 

-Dimmi la verità, Cigliano mio, quel tutto che ‘da sempre scorre immoto’, non ti evoca pensieri dannatamente coinvolgenti sulla precarietà ed, anzi, illusorietà di ciò che chiamiamo percezione, vita, esperienza?  Una donna che sa mormorare di queste parole in simili modi, ed in più sia maledettamente femmina com’è Annita, non possiede forse in sommo grado la virtù di farti precipitare ai suoi piedi, implorante di poterla adorare e che il tempo davvero s’arresti in quell’adorazione...?-

-Non far scadere queste cose a livello di un settimanale rosa...-

-Ascolta qui!-

 

Questo disse il viandante

scuro di pelle, rosso di mantello:

“Come me Cronos patì angosce

nella creazione del tempo e delle cose;

era un giorno di luce quando disse

tuonando: -Sono io che faccio questo?-

Come ieri e poi domani

esita Alceo affranto di sospetto

su che sia Alceo: e cos’altro?

Crono si disse: -Chi mai sono

oggi che sono il tempo e le cose?-

e  la risposta gli fiorì nel cuore:

-Ecco, io sono la prima essenza,

e così mi ricreo

in tempo e in cose;

sono nascosto e insieme rivelato

da ogni gesto;

oggi non uso il bulino

per formare l’acqua e la rupe

e le farfalle ingoiate dai vulcani.-

Questo disse e questo ( non altro)

Alceo scolpisce interrogando:

può forse passare

quello che siamo al vento delle cose?

 

-E confessa, Nick, tu non riesci ad intendere appieno la trasumanante esperienza donata da Annita! Nell’ascoltarla il tempo che ci perseguita va addensando e io posso ritrovarmi in contemplazione delle isole della mia adolescenza ricca di frequentazioni di poeti egei: ella mi dona il tempo preclassico di Saffo e Alceo, quello della mia adolescenza, che sono elementi reali,  per  accompagnare quello illusorio di oggi ...-

A quel punto la sua petulanza prese a infastidirmi e dovetti ordinargli si star zitto per farmi leggere in pace: ci trovavamo effettivamente in presenza d’uno strano fenomeno. Forse vittime d’una burla  enorme, epocale. Ma forse no. Qualcosa di misteriosamente serio emanava da quei versi disordinati, incompleti, tradotti malamente e con aspetti formali non pertinenti, quantunque le traduzioni fossero effettuate con dedizione totale e piena passione. In tutta la vicenda e negli scritti emergeva un pastone di materia assai difficile da valutare! Certo Ursula se n’era accorta, dissi al mio amico, poi aggiungendo:

-Quantunque non abbia indagato a sufficienza, io provo a rappresentarmi le coordinate di un possibile scherzo di volume omerico. Tu, tu che conosci il greco antico, i dialetti isolani e sapresti recitare i principali poeti, proprio tu dovresti essere il miglior investigatore, mentre ti perdi confondendo la venustà della cantatrice col canto. Il canto è reale, la cantatrice illusoria. Ed io, come potrò dedicare un attimo d’attenzione a incongruenze,  discrepanze, errori, che qua e là indubitabilmente emergono, mentre mi saltelli attorno come morso dalla tarantola? Suvvia, beviti un altro po’ di vino e lasciami tranquillo.-

-Per migliorare il tuo atteggiamento di fronte a questo fenomeno che ha inciso così profondamente nella mia vita, lascia almeno che ti reciti in greco quel poema di Saffo che, secondo la magistrale traduzione di Quasimodo, in sé è già una creazione di alta poesia, inizia con ‘Venite al tempio sacro delle vergini ...”-

Lasciai che si sfogasse, ma proprio quella recitazione mi caricò di una misteriosa suggestione che m’indusse ad affrontare la successiva poesia di Annita con lo spirito più calmo e disteso.

 

... sangue recavi, un pesce

orientato a mattino,

un mantello guerresco

il sandaletto frivolo,

un ricciolo a sfiorare la mia spalla

 

e nella notte le tue dolci labbra

baciarono la rosa dell’orecchio:

“mai più lascerò questa marina”

cantasti, ma tentavi

col sandalo fatale già il bastone.

 

-Il sandalo fatale!- appoggiò Sandor ingurgitando i resti del Vöslauer, -non è straordinariamente amabile quella creatura immersa in tale planetaria e plurisecolare infelicità?-

 

A sera sbarcai, venendo d’Eubea,

un viaggio immondo e periglioso

ma, prostrata, subito ripartirei

quanto temo l’ altro errare

d’ogni mia notte

tra funebri ipogei.

 

 

-Ahimé, Nick, mi sento perduto. Non so più dove io viva, se con te, qui, oppure a mezz’aria con quella donna ambigua che spazia fra Lucania e Grecia, Innsbruck e Germania, prestando la sua attenzione non alle battaglie d’ogni giorno contro la violenza dei famigliari, la precarietà della sua situazione, i rischi che corre in paesi lontani e sconosciuti, ma soltanto per giocare con  parole che biascica senza neppur capirle, temo, e perfino ignorando di dove vengano. Che mistero è il suo? Muoio di passione e gelosia. Come potrò pensare ad amenità come il nostro lavoro, l’Ursula perduta, la mia casa austriaca tra montagne, al cospetto di questo angelo incosciente e sublime!-

 

 

 

20

 

 

Prima che la sera calasse sulla città si verificò quello che nel profondo del nostro cuore era un fastidioso presagio: il suono del campanello e l’invasione di casa mia da parte d’un energumeno di notevole stazza e coi baffi voltati in su. Un moto di compiacimento nel riconoscerci, e la sua voce reboante fece vibrare i vetri:

-Proprio voi due!. E lei dov’è?-

-Lei chi?- provò a tergiversare Sandor, ma l’uomo gli si scagliò addosso travolgendo la gruccia appendiabiti e la mensola del telefono, per abbrancarlo furiosamente ai risvolti della giacca e strattonarlo duramente.

-Dovrebbe essere ...lasciami, z’Teufel! Forse in Germania,- sibilò Sandor nella stretta, cercando di reggersi a pareti e armadi.

L’uomo lo mollò sgranando un tanto d’occhi sorpresi. Si ricompose richiudendosi a fatica la camicia sul ricco pelo, la giacca troppo stretta, la cravatta a quasi strangolarlo, poi si volse, mise la testa fuori del portoncino dell’atrio e disse a mezza voce:

-Qui non c’è: se questi due non stanno blaterando fanfaluche, è proprio in Germania.-

Preceduta da un sospiro di disappunto entrò la donna del foulard; per quello e non per gli stravaganti abiti festivi che indossava, potemmo riconoscere la madre di Annita.

-Avrete pure l’indirizzo, se l’avete spedita in Germania, o sarà una balla per tenermela nascosta?-

Le spiegazioni furono lunghe. Per tentare un colloquio di toni accettabili, convinsi i due ad accomodarsi sul divano del soggiorno dove s’adattarono ad ascoltare in apparente calma, ma evidentemente ribollendo nei recessi più oscuri della loro scarsa autocoscienza, la storia di quella loro figlia partita per Torino (avevano ottenuto la notizia alla biglietteria della stazione ferroviaria di Matera),  vissuta qualche mese in una pensioncina austriaca (tanto avevano potuto acquisire dalle indagini fatte svolgere ad un istituto di polizia privata austriaco, su consiglio epistolare di un funzionario della nostra stazione radio), ed ora emigrata in qualche angolo della Germania.

Parvero durar fatica ad ingoiare la nozione della nostra ignoranza circa il denaro necessario per affrontare il viaggio, la nostra estraneità al viaggio in Germania, le reali prospettive di lavoro e l’attuale indirizzo della ragazza. A questo punto il tono della voce dell’uomo si mutò da truculento e confuso in mellifluo e nitido.

-A noi pare che voi stiate affastellando una montagna di bugie. Temo di dover  provvedere con modi diversi dai miei soliti ...-

A questo punto fui io ad interromperlo con un’energica diffida per le minacce inespresse e l’ingiunzione a spiegarsi. Se la cavò con una certa classe e con ironia, da uomo sperimentato e sicuro di sé.

-È che passando nell’atrio di pianterreno, proprio qui sotto, ecco, proprio per caso e senza malizia, il nostro occhio è caduto sulla cassetta delle lettere ed al di là del cristallo di tale vostra cassetta abbiamo potuto intravedere la busta d’una lettera, sulla quale è ben distinguibile la calligrafia della nostra Annita. E adesso, che avrà da dire codesta bella coppia di bugiardi?-

Sbottò Sandor: -Una lettera di Annita! Scendo a prenderla.-

-Questo proprio no,- impose vivamente l’energumeno, trattenendo invincibilmente  il mio amico per la manica della giacca, - Tu di qua non te ne vai; scenderà invece quest’altro signore. Tu resterai qui. Con noi. Tu ci dovrai raccontare qualche altra bella notizia!-

Scesi dunque a ritirare la lettera e, poiché era indirizzata a me, l’aprii e lessi risalendo. Era proprio compilata coi caratteri stentati di Annita: chiedeva scusa per la partenza improvvisa, annunciava d’essere giunta in Baviera, a Monaco, nella speranza di trovare un lavoro come cameriera o baby-sitter e di non poter fornire il proprio indirizzo, poiché stava scegliendo fra diverse abitazioni possibili. Chiudeva promettendo qualche altra lettera e ringraziandoci per l’amichevole accoglienza.

Risalito, mostrai il foglio ai tre che lessero avidamente, dopodiché l’uomo riprese la sua spocchia risoluta e ci intimò che, uscito di casa mia, avrebbe raggiunto una stazione di carabinieri per denunciarci come istigatori della fuga da casa della loro figlia, in quell’occasione arrivando a sillabare la definizione di circonvenzione di minore incapace. A meno che, subito ed in quel luogo, fra noi quattro si pervenisse ad un accomodamento.

-Un accomodamento di che genere?- domandò Sandor all’uomo.

-Voi potrete immaginare la nostra situazione: pur tralasciando altre considerazioni di carattere affettivo-famigliare, la ragazza rappresenta per noi una fonte di reddito colla sua attività di indovina, praticamente l’unica nostra fonte di sussistenza; oggi quell’attività ci è venuta a mancare e dobbiamo affrontare i creditori per le notevoli spese di restauro sostenute per l’istruzione di Annita e per arredare il suo studio. Inoltre siamo portatori di disonore in città e presso le parentele per effetto della sparizione della nostra figliola.-

-Questo vostro disagio si potrebbe rappresentare e compensare con una somma di danaro?-

-Certo che sì. Noi siamo senza lavoro e voi, uomini di mondo, potrete capire ... un diecimila … e la cosa si potrebbe sanare.-

Fui io a prendere la palla al balzo e confesso che, chiamate a raccolta tutte le spavalde fanfaronate disponibili nel mio archivio personale, mi divertii parlando creativamente, lieto di contraccambiare la malizia e l’avidità con una sfrontata ed himalaiana bugia, affastellata senza vergogna e man mano approvata, nel suo svolgersi verbale, da grandi cenni del capo e delle mani di Sandor. Il quale, avendo perso l’abituale colorito e la facondia verbale coll’arrembaggio della coppia, ora li andava riacquistando insieme col consueto risolino beffardo. Dissi dunque, paludando con improntitudine il mio discorso in panni causidici (come in seguito venne riconosciuto da un gaudioso Sandor):

-L’aggiustamento che ora proponete potrà essere preso in considerazione, si capisce, dai nostri rappresentanti delegati e nel luogo deputato. Lei ritiene, voi mostrate di ritenere, che le nostre due persone figurino per qualche verso nel quadro della fuga della vostra figliola e dunque qui vi rivolgete per rappresentare ed avanzare quelli che ritenete vostri diritti offesi. Potreste sbagliare, ed allora la vostra denuncia cadrebbe nel vuoto, ritorcendosi su di voi in veste di calunnia, diffamazione e lesa reputazione. Ma, in ogni modo e indipendentemente dalla vostra eventuale azione che taluni potrebbero forse giudicare legittima, fin d’ora vi premunisco ed annuncio che noi stessi siamo in procinto di adire la Corte d’Assise, su preciso mandato della figlia della presente donna, per i reati di violenza carnale continuata coll’aggravante del fatto in ambiente famigliare, violenza generica, truffa e inganno nei confronti mio e del signore qui presente. Non dimenticate:  ‘We the People of the United States, in Order to form  a more perfect Union, establish Justice, insure domestic Tranquility,’ eccetera eccetera. Io credo che il resto della questione, ossia il volgare aggiustamento che voi ora proponete e che, volendo,  potrete a suo tempo insinuare e caldeggiare, potrà essere affrontata dopo la sentenza del primo giudizio.-

-Amen dico vobis,- gongolò Sandor, stropicciandosi le mani.

A questo punto i due esibirono un’epidermide terrea nel volto e bianchissima tra le dita delle mani. Se ne stettero un  poco in silenzio fissando sospirosamente il pavimento, poi la donna provò ad alzar voce col marito, che peraltro insorse a zittirla brutalmente:

-Sono due contro uno, altrimenti gli mostrerei i sorci verdi!- le urlò. Ma la sua tracotanza era ormai sfumata nell’onda del mio pistolotto.

Come svuotati d’energia i due s’alzarono ed avviarono all’uscita. Stavo per chiudere il portoncino dietro le loro scarpe, quando la donna col foulard tornò indietro d’un passo e mise il capo nella fessura tra porta e stipite.

-Io ricordo bene,- disse con voce saputa, - che da mia figlia voi non cercavate tanto di conoscere il futuro, quanto di farvi cantare le sue cantilene, quelle che da sempre ripete fin da quando pascolava le pecore alle Murge. Ebbene, debbo proporvi un’ultima cosa, forse di vostro interesse. Di quelle canzoni aveva riempito due quaderni scritti in stampatello, e quei quaderni sono rimasti legittimamente nelle mie mani. Perciò io, che sono la madre carnale, posso liberamente disporne e, quando fossero davvero di vostro interesse, potrei arrivare a cederli.-

-Quanto in moneta corrente?- disse Sandor con voce apprensiva. Debbo confessare che la mossa della donna aveva messo in agitazione anche me. Qualcosa di scritto in italiano da Annita! Doveva trattarsi di documenti estremamente interessanti, ovvero la dimostrazione che le poesie cantate in dialetto ellenico non erano automatiche e quasi inconsce!

-Mille.-

-Cinquecento, se i quaderni sono autentici e ce li farete pervenire entro una settimana.-

-Comme vulìte, - disse la donna tirandosi dietro la porta.

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"La ragazza che voleva un'isola":
 

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