Romano Fea

 

 

LA RAGAZZA CHE VOLEVA UN’ISOLA

 

25

Non posso negare che la serata di Hans ed Annita sia risultata complessivamente ricca di sorprese. La compagnia di Herlinde risultò piacevole ed istruttiva, soprattutto nei momenti in cui, mollemente adagiata in un capace divano, mi confessò d’essere una vecchia amica di Hans Döring e che questi non era uomo da darsi un colpo di pettine se non nel  momento in cui riteneva utile e produttivo apparire ben pettinato. A questo punto volli approfittare della sua disponibilità alle confidenze anche indiscrete per ottenere informazioni più precise su Hans, e ben presto ella mi confessò come la gestione dell’ospizio per vecchi non fosse che  un piccolo ramo dello sterminato campo d’attività in cui operava abitualmente il facoltoso uomo di Augsburg.

Secondo Herlinde, oltre la gestione dell’ospizio e di alcune cliniche mediche piuttosto rinomate, la sua specialità era l’organizzazione di manifestazioni spettacolari di alto livello per conto di importanti enti e di facoltosi privati. Egli possedeva il genio di conferire sicuro successo a riunioni, festini, grandi cerimonie, piccoli party, assemblee, recital di divi di rinomanza internazionale, attraverso una rete organizzativa impeccabile. Né mostrava di repugnare manifestazioni di ridotta importanza. Infatti queste ultime non fruttavano meno danaro rispetto alle altre. Potevano invece uscirne combinazioni impreviste e divertenti.

-Per esempio, - continuò a rivelare la buona Herlinde arcuando maliziosamente il sopracciglio, -scorgendoci impegnati in reciproche confessioni, il buon Hans è profondamente certo che io stia seducendoti.-

Provai a domandare quali stimoli Hans potesse ricavare dall’eventuale opera di seduzione di Herlinde nei miei confronti, ma ella tagliò corto con un: -Noi non lo sappiamo, ma lui sì.-

Nel chiacchiericcio che stava montando scoprii che, nel tempo, Hans aveva assegnato ad Herlinde dei ruoli di responsabilità nelle feste che organizzava, da cui ella aveva potuto ricavare sufficiente danaro per vivere senza la fatica di trovarsi un lavoro stabile. Era così riuscita a sbarcare il lunario divertendosi e godendo della fiducia di quell’importante uomo d’affari, il che le appariva quanto di più desiderabile al mondo.

-Un poco come sta accadendo ad Annita,- lasciò cadere, come sovrappensiero. Quella semplicità nell’improntitudine mi spaventò e non rinunciai a chiedere spiegazioni. A questo punto, improvvisamente messa in allarme dal mio tono apprensivo e smettendo il cianciare, interruppe le confidenze e ridiventò improvvisamente concreta e positiva: accostò la bocca al mio orecchio in tenero bisbiglio per domandarmi che cosa stessimo combinando, Sandor ed io, nella sua città. Una domanda che mi mise in nuove apprensioni, venendo da una ragazza non preoccupata di mostrarsi leggera e vaga, una domanda certamente pilotata da altri e sapientemente preparata dal precedente atteggiamento vago e spensierato. La strategia era forse opera della vecchia volpe  Hans Döring?

La mia risposta fu un gran pasticcio di tentativi di dare aspetti logici ad un cumulo di improvvisate falsità, per cui ella se ne avvide, mi guardò maliziosamente e protestò:

-In questo gioco è necessaria la sincerità totale. Tu stai infilando una bugia dopo l’altra, ma io ho capito che uno di voi due è qui a causa di Annita. Chi dei due sia l’innamorato, lo scoprirò da sola, e ci riuscirò prima della fine della serata-

Le raccontai del lavoro per la radio, del fallimento del mio matrimonio, del mio ménage da single, ménage interrotto soltanto dal recente inserimento di Sandor. A fine racconto mi si riaccostò per schioccarmi un bacio sulle labbra. Un buon bacio morbido e  profumato di pregevole rossetto.

-Vedo che siete avanti nel gioco,- ci gridò la voce robusta e compiaciuta di Manfred. Guardammo gli altri e potemmo scorgere Bern e Witold intenti ad accarezzarsi teneramente la mano durante un appassionato dialogo, dimentichi di tutti noi; Annita e Katja a scambiarsi confidenze fra risate squillanti, mentre le altre due coppie maschili, naufragando nella noia, s’erano scatenate con insinuazioni sulle altre coppie, nel tentativo di sollevare il tono della serata.

-Del passato di Annita non so quasi nulla,- mi dichiarò inopinatamente Herlinde in tono neutro, ancora una volta simulando un disinteresse di fondo come se, in realtà, della mia eventuale risposta nulla le importasse.

Dovetti acconciarmi a strutturare una narrazione accettabile, mescolando scarne nozioni dell’infanzia pastorale, la perdita del padre, gli studi irregolari e l’attività professionale di chiromante, studiandomi di operare robuste omissioni sui reali motivi per cui Annita interessava me e Sandor. Quanto seppi dire non bastò, e dovetti colorare la personalità di Annita con le infiorettature  possibili ed immaginabili in una ragazza del meridione italiano. M’impegnai notevolmente nell’edificazione di un personaggio accettabile ma,  ancora una volta, il mio dire non convinse la sagace Herlinde, la quale ad ogni frase si divertì a trafiggermi gustosamente con le pungenti frecce del sospetto e delle maliziose deduzioni. Cosicché, quando ci riunimmo al centro della sala per continuare il gioco tutti insieme mescolando le novità emerse dai colloqui a coppie, la prima frase che Herlinde gettò in pubblico fu la dichiarazione di sentirsi tradita perché, rinunciando a corteggiarla, il suo partner amava esageratamente un’altra donna.

La sorpresa generale fu grande e tutti si mostrarono divertiti dalla rivelazione di Herlinde la quale, sull’onda del successo, si profuse in imprevedibili e fantastiche narrazioni, rivelazioni e ricostruzioni, per cui alla fine risultò a tutti noto ed evidente come io fossi profondamente ed invincibilmente innamorato di Annita al punto di raggiungere Augsburg soltanto per lei, e non per affari. Fin lassù con la rassicurante compagnia di Sandor il quale poteva essere considerato lo chaperon.

Nel divertimento generale e negli ilari commenti ad alta voce, con lo sguardo cercai Annita, e la trovai piuttosto imbarazzata ed esageratamente indaffarata a ripulirsi d’una goccia di vino sull’abito. Hans vociava più di altri, ma s’indovinava un che di perplesso, se non preoccupato, nel suo muoversi fra noi.

Eppure il colpo di scena a sensazione avvenne qualche minuto dopo, quando il turno di parlare passò a Manfred, il fotografo. Senza ambagi costui strillò d’aver convinto il suo compagno a confidarsi diffusamente per cui poteva affermare che il vero amante di Annita fosse invece Sandor. Tanto innamorato da aver da poco abbandonato la moglie legittima. In più non si peritò di esporre l’argomentazione che io fossi un mero doppiogiochista, avido d’approfittare dello stato di necessità di un amico per accettare d’accompagnarlo in una missione sentimentalmente complessa e, se le deduzioni di Herlinde potevano essere in parte assunte, poi tentare di tradirlo sul piano sentimentale.

Mentre l’improvvido Manfred esponeva le proprie assurdità, Sandor mi fissava furente ed il suo cipiglio fece aumentare l’ilarità generale, l’imbarazzo di Annita e i giochi di scena di Hans il quale, malgrado l’imbarazzo evidente, intravvedeva il successo del gioco e della serata a spese nostre. Tuttavia la manifesta insofferenza di Sandor avvertì i sensibili recettori del nostro ospite del rischio di gesti incongrui, e prontamente egli tentò di rimediare alle prevaricazioni mutando di registro il gioco. Con abilità passò alla critica delle rivelazioni, illustrando il basso profilo tracciato dalle ricostruzioni di Manfred ed Herlinde.  Ma per la natura precipitosa e sanguigna del mio amico, quanto detto era stato troppo. Egli saltò in piedi, balbettò, imprecò, si contraddisse, abbarbicandosi ad arruffati  cespugli di parole tentando di non ammettere la ricostruzione logica dei fatti apparenti, pur non negando esplicitamente i reali suoi sentimenti per Annita. Dichiarò la mia incapacità costituzionale di provare sentimenti ricchi e profondi come negò che io lo stessi accompagnando in qualità di chaperon. Concluse bruscamente quel pasticcio di parole contestando sia la qualità del gioco che andavamo svolgendo, che definì indiscreta, sia la lealtà dei presenti, me per primo.

-Cosicché,- considerò Katja rompendo l’imbarazzato silenzio sceso nella sala, - possiamo essere certi che ambedue i nostri buoni amici amano perdutamente la nostra Annita ed hanno voluto affrontare insieme, certo nella speranza di sorvegliarsi a vicenda, un lungo viaggio  sospendendo il lavoro per stare vicino a lei. Qualunque donna potrebbe andarne orgogliosa!-

-Quanto a questo, direi che perfino il nostro Hans non sa celare i propri sentimenti per la nostra bella italiana,- aggiunse inopinatamente Manfred, il quale continuava a bearsi delle proprie parole traendo superficiali conclusioni dai discorsi altrui. Hans non contestò, apparendo persino compiaciuto del rilievo che lo riguardava, e fece un giro mescendo champagne.

-E Frieder, che fa?- gridò Bern, scoppiando a ridere.

-Il poveretto non è riuscito finora ad innamorarsi di nessuno: diamogli un altro quarto d’ora,- celiò giocosamente Herlinde.

Il gioco continuava fra scoppi di risa e battute sapide, mentre Sandor se ne stava appartato tra il pianoforte e la parete, in torbido silenzio. Hans  lo notò e con la squisitezza di compito padron di casa l’invitò a giocare e bere. Sandor avanzò con passo pesante e volto scuro, ingollò un whisky poi si frugò in tasca traendone una lametta da barba. Mentre gli sguardi di tutti si congelavano su di lui, egli aprì il sottile involucro e ne trasse il metallo lucente. E qui accadde uno di quei fatti che in un istante possono ridimensionare gli interessi e le cure banali d’ogni giorno. Improvvisamente m’accorsi che quanto stava accadendo, le mie costanti paure e le stesse angosciose domande sui miei rapporti con Annita, tutto improvvisamente esalava al cospetto di un accadimento esiziale per cui tutta l’esistenza di una persona cosciente viene messa in discussione. Perché proprio in quel momento Sandor aveva sollevato il polsino della camicia ed appoggiato di taglio la lametta sul polso, su tendini e vene.

Le donne emisero gemiti e Manfred si lanciò verso di lui.

-Resta al tuo posto!- sibilò il mio amico.

-Che vuoi fare?- gridai.

-Dovete ritirare quanto detto poco fa.-

-Siamo disposti a ritirare qualsiasi cosa si sia detta ed abbia potuto offenderla,-  disse pianamente Hans Döring, -quantunque, trattandosi d’un gioco, nessuno dovrebbe ...-

La lametta percorse in va e vieni il florido polso di Sandor, ove subito si formarono alcune gocciole di sangue. Katja emise un lamento coprendosi gli occhi.

-Ritirerete tutto quanto entro un minuto,- sibilò Sandor.

-Ritiro quanto detto,- cominciò Herlinde nel gelo sceso fra noi, -non è vero che il mio compagno di gioco Nick sia perdutamente innamorato di Annita; non è vero che Sandor ne sia lo chaperon e non è vero neppure il contrario; si è trattato soltanto d’una supposizione espressa per gioco, soltanto perché divertente.-

-Bene,- disse Sandor, -e poi?-

Parlò Manfred: -Anch’io ritiro la mia insinuazione che Sandor sia innamorato di Annita!-

Era il turno di Katja, che soffiò con voce tremante: -Quanto a me, ritiro la mia conclusione avventata, ossia che questi due leali amici, Sandor e Nick, amino la nostra Annita.-

-Dunque, nessuno mi ama,- disse Annita  ridendo e mostrando occhi lucidi.

-Non è vero che nessuno ti ami,- gridò Sandor, ormai del tutto fuori di sé, buttando la lametta ed appoggiando un fazzoletto sul polso ferito.

-Non è nulla, non è nulla. Tranquilli. La notte è lunga. Ci divertiremo ancora. Non è accaduto nulla di grave, tutto è tornato a posto. Il taglio è superficiale, andrò a prendere un disinfettante,- andava dicendo Hans con voce suadente. Ma Sandor, immerso nella sua dolce follia, col volto aggrottato si ritirò  nel suo angolo reggendosi il polso. L’atmosfera del salone s’era fatta pesante, per cui il nostro anfitrione sentì di dover intervenire con un nuovo gioco. Il momento era difficile: occorreva un momento forte di distensione e Hans propose a Manfred di fotografare Katja. Fotografie d’alta classe, come sapeva fare lui, disse Hans.

Conscia d’assumere l’importante compito di risolvere la serata, la giovane s’arrampicò agilmente sul grande pianoforte. Vennero accesi alcuni spot, si cambiò la musica con un rock, e subito la giovane apparve disinvolta e divertita. Sorrise, lanciò scioltamente qualche bacio ad occhi chiusi mentre Manfred scattava rapidamente i fotogrammi, uno dopo l’altro. La musica era briosa, conturbante e Katja accompagnò il tempo con passi, gesti e morbide flessioni, fino a quando si sfilò un sandalo per lanciarlo sul pavimento.

-Così, così, cara, - incoraggiò Manfred maneggiando i suoi strumenti ottici.

L’altro sandalo fu lanciato e poi Katja cominciò una morbida contesa coi bottoni ed i lacci del lungo abito, finché questo cadde tra i brividi dei presenti e gli scatti quasi inavvertibili dell’otturatore della Leica. Anche l’ultimo piccolo indumento di Katja cadde a terra ed ella apparve luminosa e superba nel cono dei faretti con cui Hans la frugava sapientemente.

Quando la musica finì e le luci si spensero, Annita s’avvicinò a Manfred e gli bisbigliò:

-Potrò avere una copia di queste fotografie?-

La serata si concluse in discorsi svagati di tutti noi annegati nelle poltrone, stanchi di vino ed ormai privi d’argomenti.

Una frase soltanto merita di registrare, quella che Hans rivolse con noncuranza ad Annita, seduta su un divano con Katja: -Resta da scoprire, donna dall’abito giallo, quale magia tu abbia saputo operare sull’austriaco e l’italiano per farli accorrere fin quassù senza un motivo apparente. In proposito, infatti, nessuno di noi ha potuto chiarire le ragioni del loro viaggio, mentre essi neppure tentano di spiegarsi in modo accettabile!-

-Potrei non aver fatto nulla!, - bisbigliò  Annita.

-L’amore è un sentimento tanto grande che, per quanto ci si provi, non si può esprimere soddisfacentemente con le parole,- aggiunse Witold, col suo duro accento ungherese.

-Le parole sono un mezzo di trasporto inadeguato per un sentimento come l’amore il quale, per natura, è senza limiti!- sentenziò Bern.

-Occorre un convoglio ferroviario,- concluse Manfred, cinico.

 

Accompagnammo i compagni alle loro automobili e li osservammo correre sulla ghiaia ed imboccare la via pubblica, poi ci riconsiderammo, noi quattro.

-Vorrei partire,- disse Annita, -per la Grecia.-

Guardammo gli alberi neri, increduli.

-.È importante. Chi mi accompagnerebbe?-

 

 

26

 

Riprese l’argomento il mattino successivo, prima di lasciarci per tornare al suo lavoro nell’ospizio, ottenendo la nostra promessa d’andare con lei in Grecia. Non avevamo trovato argomenti per dissuaderla, ma per impreziosire la nostra disponibilità le facemmo promettere che il soggiorno sarebbe stato breve. Parve soddisfatta, pur restando con un leggibile interrogativo negli occhi. Disse:

-Perché fareste questo? Che cosa vi spinge?- Certo voleva sentirsi assicurare che i nostri sentimenti verso di lei non fossero mutati, dopo la burrascosa serata.

Parlò Sandor, mentre ella gli medicava il polso controllando i progressi di cicatrizzazione: -Piuttosto dovresti esser tu a chiarire i tuoi rapporti con Hans. Dirci se ti ama davvero!-

-Se mi ama? Hans? Chi lo sa!-

-Eppure tu vivi nella sua casa, ricevi i suoi amici comportandoti da padrona di casa...-

-Si tratta di un impegno che Hans mi chiede e che io, contrattualmente debole come mi trovo in questa città, non sono in condizioni di rifiutare.-

-Ma tu con Hans ...- passò ad insistere Sandor, peraltro senza trovare il coraggio di precisare, ma ella si svincolò.

-Ho con lui un grosso debito di gratitudine. Tornando all’idea del viaggio in Grecia, decideremo i particolari questa sera, ci sarete?-

-Questa sera,- assicurò Sandor.

-Hans verrebbe con noi?- le domandai.

-Forse sì, forse no. Ne abbiamo parlato qualche giorno fa. Non ha assicurato nulla, esistono impegni di lavoro. Ma ora debbo lasciarvi: all’ospizio non sanno fare a meno di me.- Rise e sparì di corsa.

 

L’inaspettata prospettiva d’un viaggio in Grecia ci mise in apprensione e ci sentimmo in dovere di entrare in un caffè per rincuorarci con qualche bicchierino e telefonare alla nostra emittente radio al fine di saggiare l’umore del caporedattore ed esplorare le effettive possibilità di ottenere le nostre licenze senza compromettere il lavoro. Dopo di questo, telefonai al fidato portiere della mia casa di Torino per avere notizie sulla posta arrivata durante la mia assenza. Nulla, mi disse, salvo le solite fatture ed una cartolina postale della signora Ursula Patsch. A questo punto Sandor mi strappò il telefono di mano per intimare al mio portiere di leggere il messaggio di Ursula. Messaggio consistente di una sola parola: ‘Telefonami’.

-La bionda vuole che la chiami.- Trattando di Ursula, Sandor smarrisce del tutto la capacità di coordinare concetti e frasi.

-E tu chiamala!- gli imposi.

-Chiamala! Si fa presto a dire chiamala. Tu non hai idea delle cose orribili che m’ha fatto sbattere in faccia dal suo avvocato. Da restarci di guano. Ne porto tuttora le conseguenze morali.-

-D’accordo. Ma se te lo chiede, giurapapé, ora chiamala. Forse, ripensandoci, si sarà convinta d’aver agito per una somma di cattivi stimoli. Si è certo pentita d’aver chiesto ed ottenuto la separazione legale. Per una volta, prima di agire o rinunciare, considera bene ogni cosa. S’è sbilanciata a scriverti. Un gesto importante e carico di significato, per una moglie tradita. Non lasciar cadere una simile opportunità!-

Mi guardò sospettosamente.

-Che ne sai tu? Fra me e te si deve ancora discutere delle questioni emerse nel gioco di ieri notte! Ci siamo specializzati nello scambiarci insignificanti parole, passeggiamo impavidi per questa stramaledetta città, giriamo alla larga e non affrontiamo il problema che realmente ci turba.-

-Sarebbe?-

-Quello dei tuoi sentimenti verso Annita. Che non sono compatibili coi miei! Ed ora vi s’aggiunge questo tuo curioso ed imprevedibile interesse per l’eventuale ricomposizione del mio matrimonio. E poi, chi può avere la presunzione di conoscere il significato della parola sibillina contenuta in quella cartolina illustrata? Telefonami! Chi può ipotizzare che la cartolina della valchiria adombri il desiderio di rimettersi con me? Non sono nato ieri! Tu ci scorgi una via per ricostituire la famiglia Patsch, foss’anche con modalità sfavorevoli per me, per avere campo libero con  Annita. Ma io son certo che quel “telefonami” non prelude ad altro che alla protesta per il mancato arrivo dell’assegno mensile fissato dal giudice!-

-Dalle mie parti quelli che t’assomigliano vengono chiamati germogli d’erba acidula. Smetti con le querimonie e telefona ad Ursula.-

 

M’ubbidì. Telefonò ad Innsbruck e dovette far cercare la moglie in classe, nella scuola dove insegnava. Parlottò qualche minuto e poi arrancò al mio tavolo colla faccia sconvolta:

-Vuole venire anche lei! Vuole accompagnarci in Grecia!-

-E tu, buonuomo, perché glie ne hai parlato?-

-Vorrei vedere te in un colloquio internazionale con quell’agghiacciante valchiria!-

-Ecco il solito, sconsiderato Sandor! Ti sei cacciato in un nuovo guaio da cui non saprai uscire. Tu speri in me,  che ti tolga le castagne dal fuoco.-

-A dire il vero …-

Lo trascinai al banco e gli feci servire una generosa caraffa di birra ed un whisky. Mescolai quei due liquidi nella giusta proporzione ed egli bevve fino all’ultima goccia senza parlare, sospirò, mi fissò i capelli, ruttò fragorosamente e disse con la consapevole violenza di un malato che pretende la medicina salvifica: - Che cosa aspetti ad offrirmi una birra?-

Più tardi, seduti su una panchina nel parco cittadino, mentre con una pezzuola e crema per calzature s’industriava a supplire alla carenza locale di lustrascarpe, Sandor disse lamentosamente che non se la sentiva di negare alla ex-moglie il viaggio in Grecia.

-In fondo è mia moglie, con quel carattere che si ritrova potrebbe anche essermi fedele; è madre dei miei figli!, - piagnucolò.  Sghignazzai.

-La gita in Grecia sta facendosi interessante. Intendo per il numero e la varietà dei partecipanti!-

-Tu non scherzare in questo Schrecklich! Hai idea di cosa possa significare un tale insieme di contraccolpi per i miei nervi scossi...-

Quando uno si lascia scivolare nell’ovvio come qui Sandor, sento svegliarsi in me robusti istinti sadici. Ma mi violentai ed imposi d’essere longanime e tranquillo davanti allo spettacolo della sua ubriachezza molle e chiacchierina; così gli proposi un bicchiere di caffè nero. Preso di pensieri, non mi udì:

-Non è credibile che tu abbia sofferto la tua separazione e il divorzio in quantità ed intensità quanto sto patendo io ora. Tu insinuerai che ho vita facile col mio rapporto con Annita. Ma non è la stessa cosa! Annita è una ed Ursula un’altra. Non si confonderanno mai. Non fisicamente e neppure nel mio cuore.-

-Ma tu stai fantasticando di possedere un cuore?-

-Ti consiglio di non scherzare su questioni sentimentali con uno che tiene in corpo una quantità di birra e whisky, due donne, dei figli. Va a finir male per tutt’e due. Tu, è evidente, non possiedi che larve di sentimenti e credi che nello stesso modo sia costruito tutto il mondo! Le pene che avrai inflitto a quella povera innocente di tua moglie! Lasciami dire! Me le figuro. Sai che l’ho conosciuta, quella tua ex-moglie? Dopo anni, ancora la poveretta esibisce gli occhi prolassati d’un bassett-hound.-

Feci appello a tutta la mia pazienza e tornai a bomba sull’argomento:

-T’illudi forse che Annita possa accettare Ursula nel nostro gruppetto di viaggiatori? Dopo quanto è accaduto fra voi? Qui mi sento autorizzato a ritenere totale la tua pazzia; fratelli oriamo affinché possa, nei decenni, regredire.-

-Annita accetterà. Complice l’ambiente favorevole, forse questa volta le due donne diventeranno amiche ed io amico di tutt’e due,- disse ciondolando il capo tra cavernosi sbadigli.

-Adesso dormi,- consigliai, infilandogli sotto la testa la mia ventiquattrore, -sappi che, comunque vada, per certi versi godi della mia stima.-

-Per certi versi?- rantolò con la voce alle soglie del sonno.

-Mi piacciono il tuo lavoro e la dedizione alle poesie di Annita. Un lavoro duro che sai svolgere  in scioltezza. Il tesoro della tua conoscenza del graco antico. Mi piacciono e insieme mi fanno rabbia. Odio che il tuo genio proceda senza darsi pensiero degli altri, calpestando e distruggendo quanto di buono tu hai edificato finora, la tua famiglia, forse il lavoro alla radio. Il rapporto con Annita.-

-È una questione d’amore, la sua ipòstasi. Ma perché mai tutte le religioni se la prendono con chi apprezza il sesso e i suoi riti? - rispose svagatamene ad gli occhi chiusi.

Povero Sandor! Non aveva saputo rinunciare la confessione alla moglie del nostro viaggio in Grecia, e non trovato coraggio bastevole per rifiutare di condurvela. Sdraiato sulla panchina, senza un pensiero, dopo qualche istante russava come un bambino raffreddato, nel passaggio delle carrozzelle spinte da cipigliose nutrici, sotto gli occhi attenti dei guardaparco. Quanto a me, decisi di farla finita con le provocazioni.

 

-Avete dunque deciso sul viaggio?- domandò Annita quando ci incontrammo nel parco di villa Dörer.

-Io verrò in Grecia,- le annunciai.

-Io sarò con voi, -disse Sandor, -ma prima di confermare vorrei sapere chi altri parteciperà.-

-Hans è molto impegnato col lavoro, temo che dovrà restare qui. Katja, invece, sta già preparando le valigie; Manfred si porterà le apparecchiature fotografiche per le riprese, maschere subacquee, bombole; Herlinde e i due amici Bern e Witold hanno deciso di sì, ci saranno.-

-Un buon gruppetto, -disse Sandor, - sarebbe possibile aggiungere un’ultima persona?-

Annita lo guardò sorpresa.

-M’ha chiesto di aggregarsi a noi ... indovina! Ursula, mia moglie. Naturalmente lasciando a casa i bambini.-

-Ursula! Non capisco. Che cosa sta realmente accadendo fra voi?-

Parlai io, tentando di chiarire e poi chiudere l’imbarazzante argomento: -Nessuno di noi capisce. L’iniziativa è partita proprio da Ursula, quando Sandor le ha riferito di non poterla incontrare ad Innsbruck essendo in partenza per la Grecia. Quella di Ursula è stata una mossa di strategia tutta femminile, dettata certo da nostalgia, forse da gelosia, o probabilmente da rimorso, dopo l’ottenuta separazione legale. Un sentimento comprensibile.

-Ma tu coltivi qualche progetto sull’eventuale ricostituzione della tua famiglia?- domandò Annita a Sandor.

Sandor esitò e mi sentii in dovere d’intervenire: -Sandor mostra d’aver patito molto per la separazione. Una cartolina postale proveniente da Ursula, ed ancor più il suo  desiderio di accompagnare il marito nel viaggio, corrispondono in parte ai profondi desideri del nostro amico ...-

L’amico accusò il colpo basso, emise un grugnito, ma non replicò. Conscio della sua impotenza a districare la matassa che da solo aveva imbrogliata, se ne stava ad accarezzarsi la rosea cicatrice del polso e seguire con lo sguardo gli scoiattoli volteggianti tra i rami dei vecchi alberi del parco.

Annita scosse il capo, pensierosa : -Si potrebbe anche fare. Far partecipare anche Ursula al viaggio. Potreste ritrovare il vostro equilibrio famigliare! Ma non potremo tollerare litigi. Quelli che vedremo sono luoghi sereni. Le tensioni sono escluse da questo viaggio. Se noteremo cenni di disaccordo, sarete impegnati a disancorarvi dalla nostra compagnia, ad allontanarvi!-

-Accetto,- disse Sandor, grato ma tutt’altro che tranquillo.

-La partenza è per dopodomani. In nave da Venezia al Pireo, Hans ci accompagnerà in treno a Venezia, all’imbarco,- concluse Annita.

 

-E adesso a noi,- strillò Sandor piombando furiosamente nella mia camera mentre io m’infilavo tra le lenzuola.

 

 

27

 

Furono domande brucianti, perorazioni appassionate, spiegazioni insufficienti, tentativi di chiarimento. Per il semplice fatto d’essere nato e di trovarsi al mondo, Sandor ritiene d’essere titolare di chissà quali diritti su cose e persone, meravigliandosi moltissimo quando gli accade di verificare che taluni supposti diritti restano insoddisfatti. In tali casi diventa violento e subdolo, come a mie spese da tempo sapevo. Fu una scaramuccia defatigante. Finì che ci sentimmo ambedue impotenti davanti ad una situazione di troppo superiore alle nostre esperienze. Contitolari di un qualcosa ritenuto un tesoro indicibile nel mistero esistenziale. L’aspetto professionale, l’idea dello scoop giornalistico su Annita pareva ormai tramontato e noi quella sera ci ritrovammo a batterci tra noi nel tentativo di difendere il fantasma di quella comune e strana sorta d’amore,  dividere l’indivisibilità dei rapporti con quella ragazza che quanto più frequentavamo, tanto più si mostrava irraggiungibile. Tanto ci sforzavamo d’idealizzarla e tanto essa scendeva fra noi, pratica e vitale e insieme inafferrabile come la nutrice a un neonato

Finimmo per accertare l’impossibilità di un successo individuale e a poco a poco ritrovammo equilibrio e freddezza sufficienti per riflettere realisticamente sulla portata pratica e sentimentale del viaggio in Grecia. Annita non aveva  precisato gli scopi né i luoghi che avremmo visitati, ma solo accennato all’inutilità di portarsi appresso voluminosi bagagli: sarebbero stati ammessi pochi indumenti e oggetti strettamente indispensabili e tassativamente esclusi i telefoni portatili per cui, pur sospettando di tralasciare qualcosa d’essenziale, finimmo per limitarci al piccolo bagaglio che già avevamo con noi, incluse ovviamente le apparecchiature leggere di fonoregistrazione.

Passata la tempesta, sorridemmo scrutando e centellinando lo sgomento sui nostri volti. Per reperire una possibile catarsi, provammo a ripetere i vecchi preziosi nomi delle antiche isole: Naxos, Kalymnos, Samos.

Paros ed Antiparos. Milos, Ios.

Skiathos, Lesvos, Mykonos, Kreta. Bastarono quei suoni per affascinarci e sollevarci dai timori  di un viaggio privo di senso apparente, dall’angoscia del nostro prossimo futuro.

-Ma, Ursula?- disse improvvisamente Sandor, scuotendosi come per un risveglio improvviso. Emersa la necessità di fornirle gli elementi per il viaggio, dovemmo ritelefonarle e convincerla a trovarsi puntuale alla stazione di Innsbruck al passaggio del nostro treno. Valigie, occhiali scuri e tutto. Fu più arrendevole del previsto quella dura donna che, a detta di Sandor, in passato aveva sempre rifiutato di apprestarsi da sola ad un qualsiasi viaggio. In quest’occasione tutto risultò facilissimo: ella parve disinteressata perfino alla reale destinazione del viaggio, e  solo attenta ad immergersi nella compagnia e nell’ambiente vitale del marito ripudiato.

La notte passò sui nostri occhi spalancati, i corpi catatonici.

 

L’incontro con Ursula alla stazione di Innsbruck fu piuttosto curioso: la biondissima dal lungo passo appoggiò le mani sulle spalle di Sandor e pronunciò solo alcune parole: ‘Facciamo che sia una buona vacanza’ e poi gli si era staccata aspettando d’essere presentata agli altri del gruppo.

L’imbarco a Venezia e la partenza avvennero regolarmente, o quasi. Con la nota  inossidabile gentilezza e generosità Hans aveva voluto accompagnarci a Venezia. Solo in ultimo, ossia al momento di consegnare i biglietti ed i bagagli ai piedi della passerella della nave, egli s’era fatto avanti e fermato per un istante le operazioni:

-Scusatemi, miei cari, dopo vi augurerò buon viaggio e v’assicuro che porterete con voi il mio disappunto per non potervi accompagnare. Sono stato avvisato di un’importante incombenza per cui ... Herlinde, debbo chiederti un sacrificio: di non partire per la Grecia e tornare con me ad Augsburg.-

-Dovrei rinunciare alla Grecia?-

-So che è un grosso sacrificio.-

S’intromisero Annita e Katja protestando l’impossibilità di mutare un programma già del tutto convenuto ed organizzato e domandando che cosa fosse accaduto di così improvviso.

-Questo, questo,- aveva brontolato Hans, brandendo il telefonino tascabile.

-Non mi piace. Questa storia improvvisa non mi va giù. A me non l’avresti mai chiesto!- protestò Annita.

-A te no,- aveva concluso Hans, quietamente. Nell’eco di quella dichiarazione espressa con serenità olimpica, Herlinde aveva chinato la testa e noi ci eravamo imbarcati.

Dall’alto della nave salutammo Hans ed Herlinde mescolati tra la piccola folla variopinta e urlante. Fu qui che Sandor m’appoggiò la mano sull’avambraccio e strinse assai forte:

-Vedi quell’uomo laggiù?-

Scrutai tra la gente in movimento, ma nella direzione indicata non vidi nulla di noto, se non l’andirivieni di facchini e ragazzi.

-Tra la folla, un tipo nero e corpulento ...accidenti!- imprecò Sandor.

Guardai con maggior attenzione e sì, potei distinguere una sagoma d’uomo alquanto goffa ed impacciata che, nel suo sgusciare e sparire tra la gente, non mi parve ignota. Domandai a Sandor chi ritenesse d’aver riconosciuto, ma non rispose, restando sprofondato in chissà quali pensieri.

 

Più tardi, sparita la laguna,  l’onda quieta dell’Adriatico aveva cominciato a mormorare alla prua e lungo i fianchi della nave, e noi restammo a contemplare il lento calare della sera in una straordinaria fantasmagoria di nubi come cordigliere montane, scatenate nel galoppo verso ovest.

Stavamo seduti sulla plancia di prua con due buone bottiglie per accompagnare l’euforia della partenza e far esalare le ultime amarezze. Manfred passava in rassegna il bagaglio fotografico, Bern e Witold si scambiavano occhiate, mentre gli altri, esaurito l’argomento dell’improvvisa pretesa di Hans, curavano il loro imbarazzo godendo l’ultimo sole. Calando la sera, l’aria tiepida dell’inizio d’estate si fece pungente e molti dei passeggeri sgombrarono la plancia per ritrovarsi nelle sale di soggiorno della nave. Annita invece pareva non badare a quel vento teso ed, anzi, raggiunse la prua e vi rimase immobile, polena intrepida coll’occhio fisso a sud.

-A che pensi?- le domandai.

-A nulla. Attendo accadimenti importantissimi per me. Come ... non vi so dire.-

-Provo a suggerirti?-

-Vediamo.-

-Provi un sentimento come tornando alla propria casa dopo molto tempo?-

-Forse sì, tornare a casa. Forse di più.-

-Tornare ad una casa che ami profondamente e da cui sei stata lontana troppo a lungo: come la casa delle Murge.-

-Sì, quella casa di pietra, dove sempre ritrovavo la robusta figura di papà, e i miei giorni erano ricchi di avvenimenti e di fantasticherie sul futuro. Sì, adesso provo un sentimento di quel genere. Ma forse più intenso.-

-Ascolta. Tu stai vivendo un curioso fenomeno: ti pare di  nascere una seconda volta nella tua casa che ami. Quella che senti è proprio la sensazione sicura di una prossima nascita in un luogo a lungo desiderato.-

-Sì. Credo di sapere che la rinascita avverrà in un luogo da sempre amato e in parte noto e desiderato. Proprio quello. O, forse, perfino qualche cosa in più, qualcosa di ineffabile.-

Il vento era ormai gelido e teso, il suo vestito leggero le s’era incollato alla pelle. I colori del  suo viso avevano assunto i bagliori del tramonto.

-Non so più dirti. Non è soltanto un ritorno alla casa amata e perduta, non è rinascere riacquisendo la potenzialità vitali di un neonato felice ... che potrà mai essere?-

-Di più, è  più che rinascere!-

Intanto Ursula s’era avvicinata per proporci di rientrare,  parlava di vento freddo, di cena e di posti a tavola prenotati e a rischio d’essere occupati di forza da torme di gitanti famelici. Ci staccammo dalla prua per avviarci nel vento verso le sale di ristoro. I flutti attorno alla nave ora montavano in crestine candide ed il cielo verso ovest aveva ormai perduto i campi gloriosi di viola e rosso.

Fu entrando nella sala da pranzo che Annita mi guardò di volto felice e disse piano, come se l’argomento potesse riguardare solo noi due:

-Ora so la parola. La parola che cerchiamo è ‘attesa di rivivere’!-

 

 

28

 

Durante la cena, un commissario di bordo raggiunse il nostro tavolo preceduto da un avviso gracchiato dall’altoparlante: si chinò drammaticamente su noi per comunicarci  il contenuto di un messaggio pervenuto dal comando di polizia di Venezia: l’ordine di confermare la nostra presenza a bordo e di restare in attesa di nuove disposizioni. Indagammo per saperne di più, ma con ogni evidenza l’ufficiale non sapeva altro. Salimmo dal comandante, ma neppur là  ottenemmo maggiori notizie.

Più tardi bussai alla cabina di Annita. Ursula e Sandor erano a colloquio con lei. Quando se ne andarono, tra noi scese un buon silenzio gravido di attesa, sottolineato dal fruscio dell’acqua filante lungo la murata. Bussarono ancora, ed era Katja sorridente che si lanciò nell’abbraccio di Annita.

-Quanto ami questa fanciulla?- mi domandò Katja fissando Annita.

-Non so dire. Perché me lo chiedi, non si indovina?-

-Che l’ami si vede benissimo. Anch’io l’amo. Annita è bella e diventa splendida quando si sente amata. Anche Sandor  e Manfred non pensano che a lei. Tutti l’amano, qualcuno senza saperlo.-

-Anche Manfred?-

-Anche lui, a suo modo. Non è un tipo facile. Prima sosteneva d’amare me. Insisteva proponendo continuamente di fotografarmi, e solo per amore, per annettersi una parte di me. Adesso dichiara d’amarmi ancora, ma io non mi sento più al centro dei suoi interessi. Adesso là, nel suo cuore, s’è insediata Annita. Nel suo cuore come nel mio!-

-Forse esageri,- disse Annita ridendo, -non siamo noi ad amare: è l’amore che  prende noi!-

-Domani glie lo chiederò,- disse Katja,- così saprai se alla tua collezione di amanti devi aggiungere un fotografo,- e qui la giovane si mosse armoniosamente e si distese nel lettino di Annita. Noi ci sedemmo presso l’oblò della cabina respirando l’aria salmastra.

-Indosserai il chitone?- dissi ad Annita. Mi guardò fisso e sospirò come per una pena improvvisa. Io accesi il registratore ed ella sollevò una mano per sfiorare i capelli di Katja.

 

-Per celare  le rughe della pelle

indosso la più bianca veste

d’orli dorati, Archeanassa:

scenderemo al torrente.-

 

-Quando mi parli come ora mi par di sognare, o d’essere vicina a morire,- disse Katja.

-Parla ancora, ti prego, Annita, - dissi ricacciando lo sgomento rendendomi conto che le poesie di Annita non erano un segreto riservato. Neppure m’accorsi  della nota d’implorazione della mia voce, nota che riscontrai più tardi riascoltandomi nel registratore.

 

-Oltre il mare, ai bordi d’una terra

senza albori, un giovane

di rudi e povere parole

non conosceva la morte.

E suo padre morì.-

 

Tra i canti di Annita crescevano volumi di silenzio siderale. Ormai era notte fatta e noi, spenta la lampada della cabina, non eravamo che ombre indistinte nell’umido dell’aria di mare. Nella penombra mi parve di scorgere  la guancia di Katja lucida d’emozione. O di lacrime.

 

-Un giorno futuro un amante

crederà di trovarmi in un verso,

tutta Saffo in un gruppo di parole!

Quello sarà un giorno amaro

tra singhiozzi di Pieridi.-

 

-Tu sai chi sarà quell’amante infelice?- domandò Katja con voce tremante.

Rispose Annita: -Non so quasi nulla.-

 

A questo punto feci un gesto, un atto per cui ancora adesso mi disapprovo: mi alzai e mi avvicinai ad Annita, appena delineata da un riflesso di luce lunare, le sfiorai leggermente la guancia e dissi:

-A te pare di essere in procinto di rivivere. A me par di morire. Dammi qualche cosa, la speranza d’averti solo per me, prova a dirmelo, insieme con la promessa che vivremo per sempre insieme!- e scoccai un bacio sui capelli ricciuti.

-Non so, non so. Chi può dire? Non ci separeremo se tu non vorrai!-, rispose vagamente. Quelle parole, pur sommesse, parevano risuonare tra le pareti della cabina senza spegnersi mai: che cosa avrà voluto dire? Mai. Eppure la sua voce continuava a ripetere in tono desolato:

-Non so, non so.-

Allora Katja le si avvicinò e prese ad accarezzarla e continuò lungamente sul collo e le braccia per renderla tranquilla:

-Stai in pace, cara, noi non ti parleremo più di questioni personali,- e le baciava amorosamente i capelli e le mani. Finché la tensione non si quietò e Katja  richiese sommessamente ‘dell’uomo che conosceva, improvvisamente morto’. Annita tacque a lungo e poi sollevò il capo  per annunciarci:

 

-Immerso tra molli onde, Antèo;

lo rammento silente,

perduto tra pensieri

preziosi da non trovare lingua

atta a cantare

l’abbiamo forse perso o ritrovato?

Il suo silenzio è voce

di tutti i silenziosi

amati dagli dèi.-

 

E poiché lasciò formarsi un lunghissimo silenzio, come se emettere parole le risultasse troppo gravoso, anch’io m’avvicinai e presi ad accarezzarla con quanta dolcezza  possibile, dolcezza in parte sconosciuta anche a me e che muoveva da remoti ed impraticati recessi del mio essere. Sconosciuto quello stare nel tenue chiarore stellare, nel mormorio delle onde marine, quell’accarezzare due donne bellissime umide di pianto non amaro, sì ansioso di passato e di un prossimo futuro. La speranza che ci animava era che quell’indugio si protraesse e, anzi, per una volta, una sola, il tempo sospendesse la sua corsa e noi restassimo a costituire una sorta di gruppo statuario arcaico. Dove il far del sesso o legare promesse di azioni pratiche apparissero argomenti fuori dal gioco.

Quando sotto le nostre carezze Annita riprese il suo canto, non fu per risvegliare il tempo e indurlo a riprendere la sua corsa, ma l’istigazione a tornare sui propri passi per riflettere su eventi ammucchiati nella sua corsa forsennata:

 

-Narrano di dèi antichi, tramontati

nelle brume del tempo …-

 

Così ci sedemmo ai suoi piedi, mentre ella riprendeva a sillabare in nitida armonia:

 

-Évoca morti Téride

tra rupi nelle coste fumiganti,

agita braccia candide tra vesti nere.-

 

Al che, la dolce Katja appoggiò la guancia ai suoi ginocchi e mormorò:

-Chi ti spinge a parlarci?-

 Annita rispose pianamente:

 

-Simile a un dio placido, mai furoreggi

su me, dolce Archeanassa,

né so quale spirito m’induca in confusione.

Noi tutti cresciamo un alberello

correndo gli anni, con impegno

sopra i giorni e le notti … d’oggi speme.-

segue >>

 

 

 

"La ragazza che voleva un'isola":
 

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