PREMESSA
Per circa vent'anni ho rivolto la mia attenzione agli usi, alle abitudini,
alla vita dei contadini del paese dove sono nato.
Consuetudini, canti, detti, motti, credenze, che avevo custodito nella
memoria o riportato in appunti sparsi, sono stati da me raccolti nel
presente lavoro, il quale non ha la pretesa di essere organico e completo,
ma vuole trattare soltanto alcuni temi della vita quotidiana di
Sant'Arcangelo e della Basilicata in genere.
Nel corso della trattazione richiamo spesso Sant'Arcangelo che ovviamente
non può rappresentare tutta la Basílicata, ma può costituire uno specchio su
cui si rifrange un costume che, « mutatis mutandis », non si discosta in
modo sostanziale da quello di tutta la regione.
Comune a tutto il popolo lucano è il modo di lavorare la terra, di
governarsi, di comportarsi; comune è il sentimento religioso, le credenze
popolari, le tradizioni, la magia; non molto diverso il modo di vestire, il
costume, il modo di parlare, i canti.
L'insieme di tutte queste espressioni della vita costituiscono la civiltà di
una comunità, di un popolo, senza dubbio tramandateci dalle popolazioni
pregresse. Nessuna civiltà è sorta dal nulla, ognuna si è evoluta giovandosi
delle esperienze, delle usanze, delle tradizioni tramandate da coloro che ci
hanno preceduto.
Oggi purtroppo il popolo, o forse una parte di esso, sta negligendo il
passato; mi auguro che qualcuno non mi ritenga misoneista, naturalmente
fraintendendomi. Quando un popolo neglige, trascura, ripudia o distrugge una
eredità di tradizioni tramandate da genti passate, è inevitabile che tale
periodo non possa essere considerato di progresso, ma di barbarie o di
decadenza.
I lucani hanno una eredità di tradizioni antica di diversi millenni le cui
eccelse testimonianze sono emerse e raccolte molte volte da mani sacrileghe
ed indegne. Molte sono state trafugate in paesi stranieri privando gli
studiosi di documenti, di tessere necessarie per illustrare il grande
mosaico della civiltà lucana ed i cittadini di poter ammirare, attraverso le
opere, la grandissima civiltà dei loro avi.
I diversi rapporti avuti con quasi tutti i paesi della Basilicata mi hanno
fatto constatare che Sant'Arcangelo ed i paesi dei dintorni sono i paesi tra
i quali è meno rapido il fenomeno di abbandono delle tradizioni popolari
alcune delle quali sono rimaste le stesse dal tempo di Omero sino alla
seconda guerra mondiale.
Troppe sciagure, troppi dolori, troppa miseria hanno subito i contadini del
mio paese e sempre hanno trovato nel loro « Credo », misto di religione e
superstizione, una speranza di salvezza ai loro malanni, una possibilità di
rimedio e di prevenzione.
Il sentimento religioso, peraltro molto profondo, non ha mai escluso la
superstizione, anzi la superstizione è rimasta unita alla religione quasi a
formarne una panacea per tutti i mali o diventando, a secondo i casi, buon
augurio per i raccolti o difesa da mali oscuri e pieni di mistero o da
eventi o fatti originati da forze soprannaturali o da circostanze naturali
ma ignote.
Il presente lavoro è privo di qualsiasi bibliografia o documentazione;
quanto in esso è contenuto è il risultato di una conoscenza personale e
diretta, le cui fonti sono la vergine fantasia e la viva voce dei contadini
affidate solo alla memoria e alla tradizione orale.
Naturalmente può accadere che la notizia, il verso, il fatto, il proverbio,
il canto possano essere stati recepiti in Sant'Arcangelo in maniera difforme
a quella dei paesi limitrofi; ho preferito trascrivere la versione che ho
appresa nel mio paese anche perché, in ogni caso, si tratta di difformità
assai lievi.
I canti sono trascritti soltanto nella parte letteraria perché ho trovato
notevoli difficoltà nel ricercare la musica e la maniera di esecuzione; sono
consapevole che questa è una grave omissione nei confronti del canto
popolare, e spero di poterla ovviare nel futuro.
Oggi le tradizioni popolari sono poco più di un ricordo; varie cause, tra
cui rilevanti l'emigrazione e la costruzione di numerose vie di
comunicazione, per non parlare di mass media, hanno contribuito
all'abbandono di esse.
Il mio lavoro vuole costituire una testimonianza di quello che è stato il
costume di un popolo; potrà interessare qualche futuro « ricercatore » di
tradizioni popolari quando e se queste saranno del tutto scomparse.
Con la scomparsa delle tradizioni popolari, scompaiono quelle peculiari
caratteristiche, divenute a volte abitudini, che fanno distinguere i popoli
e i paesi gli uni dagli altri.
Il presente lavoro non ha neppure la vaga pretesa di essere un'opera
scientifica anche se ho, a volte, avanzato qualche ipotesi di etimologia
delle parole dialettali; questo naturalmente non può né deve rappresentare
una ingerenza in un campo non di mia competenza ampiamente studiato e
trattato da esperti.
Quanto descritto in questo lavoro non si riferisce a persone determinate o
determinabili né ha una data precisa (1); per i miei coetanei, per quelli
nati prima di me, almeno per molti, quanto descritto è stato vissuto o
sentito dire; per le generazioni venute dopo di noi, potrà costituire «
scoperta ».
1) Il lettore noterà talvolta che la sintassi, ed in particolare la
consecutio temporum, non è stata scrupolosamente rispettata.
Non si è potuto evitare ciò in quanto è stato usato il passato remoto o
prossimo per fatti o episodi che non si verificano più, mentre è stato usato
il presente per quei fatti o avvenimenti che si verificano tutt'ora.
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