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Ceneri di Civiltà Contadina in Basilicata
GIUSEPPE NICOLA MOLFESE

CREDENZE POPOLARI

Le credenze popolari sono numerosissime; ognuna ha un particolare significato, una genesi ed una giustificazione.
Alcune sono state già richiamate nelle precedenti pagine, altre (ma non tutte), le più curiose ed indicative, le riporto qui di seguito.
Una credenza assai diffusa e nota a molti è quella che ritiene sia portatore di malaugurio l'entrare in casa con l'ombrello aperto. L'origine di questa credenza trova ragione nella consuetudine, ormai del tutto scomparsa, secondo cui l'Estrema Unzione e gli Uffici "in articulo mortis" venivano portati dal Sacerdote seguito da un chierico (o dal sagrestano) che recava un ombrello aperto usato per coprire il Sacramento. Oggi quello stesso ombrello si usa soltanto durante la processione del Corpus Domini.
E' anche cattivo augurio entrare in casa d'altri di ritorno da un funerale.
Altra credenza molto nota è quella che attribuisce al gatto la capacità di prevedere il cambiamento del tempo. Infatti quando il gatto si liscia la faccia con la zampa bagnata di saliva (quando si "lava la faccia"), il tempo dovrà mutare.
L'orzaiolo chiamato "u lupariell" è segno di avarizia e colpisce chi in qualche occasione è stato "scarso", avaro di beneficienza.
Se durante l'ebollizione il latte fuoriesce dal bollitore si crede che gli animali, pecore, capre, vacche "stizzano" (1) cioè venga loro una agalassia che interrompe la lattazione.
Se la donna gravida ha un ventre leggermente appiattito il nato sarà certamente maschio, se è appuntito è femmina ("ventre chiatt vole a zapp, ventre pizzute vole u fus") (2).
I topi portano sempre danno sia in casa che nelle campagne, ed il mezzo più comune per limitare tali danni è il gatto e qualche volta le trappole o tagliole.
Il gatto, in genere, è amato anche perché spesso è utile e si crede che chi uccide un gatto avrà sette anni di carestia.
Chi scopa la casa di sera o di notte può favorire la sventura. Una volta infatti le case erano illuminate dalla tenue fiamma di una "luce ad olio" e poteva ben accadere di raccogliere e gettare con l'immondizia qualche cosa di utile o addirittura di valore.
Chi regala o riceve in regalo fazzoletti, spille, coltelli, incorre in dispiaceri o in inimicizie. Per scongiurare detti eventi il fazzoletto deve essere pagato anche con una cifra simbolica mentre con lo spillo o il coltello avuto in regalo si deve pungere il donatore.
Chi si taglia e si fa pettinare i capelli di venerdì o si fa pettinare contemporaneamente da due persone può essere vittima di sventura.
Di venerdì e di martedì non si deve partire né si può iniziare una qualsiasi nuova attività né ci si può sposare: "di Venere e di Marte né si sposa né si parte né si dà principio all'arte".
E' di cattivo augurio fare versare l'olio, e l'ululare dei cani durante la notte. Se il cane mentre ulula alza la testa e si rivolge verso una casa determinata, in quella casa accadrà una disgrazia.
Se le galline imitano il canto del gallo accadrà qualche fatto spiacevole al padrone della gallina.
Il canto notturno della civetta è foriero di morte: una persona che abita nella casa su cui si posa di notte, per cantare, dovrà morire.
Non è foriera di buon augurio la Pasqua nel mese di Marzo.
Se il fuoco screpita significa che vi sono persone lontane che parlano male del padrone della casa dove è acceso il fuoco; lo stesso significato ha lo screpitio del lucignolo della luce ad olio.
Non è di buon augurio l'entrata del pipistrello in casa o se accade di vedere scendere attraverso un sentiero una serpe nera (se sale è di buon augurio).
Non è di buon augurio il sogno dell'uva nera, dell'acqua torbida che scorre, delle stelle cadenti, del tramonto o alba radiosa, della piantagione di viti, ulivi, fiori ed alberi in genere davanti alla propria casa; sognare i fichi significa che si dovranno prendere percosse: dare e prendere "le fiche" significa, comunemente, dare o prendere percosse.
Sono ritenute di buon augurio ancora il versamento del vino, la rottura di piatti o vasellame in genere, il canto del gallo al mattino, il volo di farfalle, il volo del "porcellino di S. Antonio", il rinvenimento di un ferro di cavallo usato. Il volo del "porcellino di S. Antonio" in casa porta sempre buon augurio.
Una delle cose che porta maggior fortuna è il ritrovamento e la cattura di una lucertola con due code, e anzi se questa verrà messa in un cassone di legno, farà crescere e di molto il grano ivi contenuto. Se una persona ha fortuna o riesce negli affari gli si domanda infatti, per cella o per davvero, se ha con sé la lucertola a due code. La lucertola è animale sacro, per cui chi la uccide si attira il male. Infatti anche da morta la lucertola continua a muovere la coda e questo movimento vorrebbe significare che essa impreca contro le persone care e decedute di chi l'ha uccisa.
Per scongiurare la cattiva sorte si deve portare addosso la punta di un corno nero, portare la parte centrale "occhio" di una pietra di salgemma, mettere in casa le corna di montone o di bue o un ferro di cavallo per tener lontano l'invidia.
Quando cade una stella, se si esprime in silenzio un desiderio, certamente si realizzerà.
Quando un vortice turbinoso solleva in una zona limitata polvere, si dice che "u spirito do malívient" - o il diavolo - è presente e che è anche apportatore di notizie cattive o di malattie.
Si crede inoltre, che quando una persona viene rapita dagli spiriti (3) si levi "u scazzariello" il quale porta con sé il rapito, avvolto nel turbine e nella polvere, in un posto a convegno con il diavolo. Quest'ultimo dopo il convegno lascia sul posto il rapito debilitato ed in delirio.
Il diavolo va incontro alle persone "ai cristiani" nelle ore calde pomeridiane - alla controra - e vittime preferite sono in particolare i ragazzi.
Le stalle nelle masserie sono tutte cosparse di Croci fatte con il nerofumo delle luci a petrolio o delle luci ad olio. Si crede che il diavolo non possa agire nei luoghi in cui sono segnate delle Croci, e comunque in presenza della Croce non può far del male.
Il diavolo si reca volentieri nelle stalle, intreccia la criniera e la coda degli equini, li cavalca durante la notte facendoli correre nell'etere e sulla terra sino all'alba stancandoli in modo che gli stessi, all'alba, quando il "gualano" si reca nella stalla, li trova quasi morenti, sudati, con la bava alla bocca. Dà subito l'allarme nella masseria e si provvede a fare gli scongiuri e a disegnare le Croci nella stalla (se non vi sono) e a portare soccorso agli animali.
Durante le crisi epilettiche o crisi isteriche si doveva far impugnare all'ammalato una chiave "maschio".
Quando il brivido attraversa il corpo di una persona si dice che è "passata a morta p'ncuoll" - è passata la morte addosso.
Si crede che l'omicida per poter fuggire lontano dalla vittima deve succhiare il sangue della lama omicida. È noto che i briganti leccavano il sangue del pugnale dopo aver ucciso le vittime.
Molti galantuomini credevano nell'anno climaterio (4); così chiamato ciascun settimo anno della vita umana (quasi fossero degli scalini della scala dell'esistenza - numerose famiglie possedevano anche un quadretto) perché si credeva che ogni sette anni avvenisse nel corpo umano un profondo, grande e pericoloso mutamento.
E' credenza che la donna, durante il periodo mestruale, sprigioni un flusso malefico o comunque emani sostanze tossiche capaci di far appassire piante e fiori. È interdetto alla donna toccare il lievito, fare salami, toccare il caglio, i recipienti in cui deve essere messo il vino durante la vendemmia.

Lupi e tempeste

La leggenda che i lupi attaccano e distruggono quanto trovano davanti è stata ingrandita e romanzata dalla fantasia e dai racconti dei contadini e dei cacciatori.
Solitamente del lupo e delle sue sanguinarie imprese contro le greggi e le mandrie dei contadini della zona, si parlava durante le lunghe sere d'inverno, davanti al fuoco caldo e rassicurante.
Uno di questi fatti raccontatomi e che ho ritenuto per vero sino all'età della ragione, ha sollecitato la mia fantasia sino dall'adolescenza.
Vi era nella mia masseria Monte Cellese in agro di Sant'Arcangelo tra gli anni 1950 e 1955 un salariato di nome "Cifariello", il quale assicurava di tenere al suo comando i lupi, avendo la facoltà di fare commettere loro qualsiasi razzia soltanto se l'avesse voluto. Per richiamare di notte i lupi sparsi nel territorio gli era sufficiente intonare, con la voce, dei versi particolari ed i lupi accorrevano intorno alla sua persona. Questi, prima di chiamare i lupi, accendeva dei fuochi in cerchio ed appena spenti (il lupo ha paura del fuoco) i lupi si disponevano intorno al cerchio e "Cifariello", ponendosi al centro, dava ordini al capo del branco di andare in una masseria a sbranare un certo numero di animali ad esempio dieci pecore o agnelli. Qualche lupo è stato di recente avvistato sul monte Pollino e sulle alte formazioni montagnose esistenti in Lucania.
È noto che i lupi, prima che fossero scomparsi anche dalla Lucania, camminavano in branchi guidati da un capo branco. Catturata la preda il capo branco per primo soddisfaceva i bisogni, e solo dopo essersi saziato, lasciava i resti al branco. Il capo del branco doveva tenersi in forma perché era il primo ad attaccare la preda. Questo raccontava "Cifariello" che di lupi era maestro.
Costui non temendo i lupi, almeno così assicurava, quando moriva un animale anziché sotterrarlo si recava nel bosco e portava loro in pasto l'animale morto (5).
Raccontava di aver fatto distruggere un ovile di un suo datore di lavoro, il quale lo aveva maltrattato mentre era salariato fisso.
Durante questi racconti assumeva un atteggiamento veramente sinistro tanto da incutere in noi timore, rispetto e riverenza.
Per un difetto fisico, che si manifestava nel parlare, storceva le labbra ed accentuava lo strabismo di cui era affetto.
"Cifariello" era robusto e fornito di una forza erculea, riusciva infatti a portare sul dorso due sacchi di circa un quintale l'uno, incuteva anche negli adulti un certo timore, ed acquistava credibilità per la semplice mentalità dei contadini. Diceva di essere anche in grado di fare gli scongiuri e allontanare tuoni, lampi e tempeste.
Gli antichi credevano che questi fenomeni atmosferici fossero mossi da forze soprannaturali, e che venissero scongiurati brandendo nell'aria ramoscelli di alloro, di fichi, capi d'aglio (6) affinché il Re del cielo scatenasse i suoi fulmini su di essi anziché sulle teste umane.
I cristiani, nel primo periodo, seguendo una credenza introdotta tra i neoplatonici, ritenevano che le tempeste fossero eccitate dai demoni dell'aria (7).
Da ciò deriva l'uso cristiano di suonare le campane (8) allorché appare all'orizzonte la tempesta che, specialmente d'estate, è più violenta o quando si vede il bagliore del lampo seguito dal tuono che annuncia la tempesta incipiente.
Come è noto la Chiesa ha sostituito gli scongiuri derivati dalla superstizione antica con la preghiera.
Ritornando a "Cifariello", quest'ultimo brandendo un tizzone spento segnava il cielo avendo in mano una fascia con la quale usava reggersi i pantaloni, la sollevava al cielo e pronunciava delle strofette che ha sempre tenuto segrete benché più volte, da adulto, l'ho sollecitato ad insegnarmele.

Lupomannaro

Chi nasce maschio la notte di Natale e precisamente mentre suonano le campane sarà nella vita "lupomannaro" (9), se donna "sonnanbula". Da adulto, il maschio lupomannaro sarebbe uscito a mezzanotte di casa durante le notti d'inverno e si sarebbe messo ad ululare per le strade "mbruscinandosi" (significa rotolarsi per terra sporcandosi) cacciando bava dalla bocca e azzannando chi si sarebbe imbattuto in lui.
Se fosse ritornato a casa la moglie avrebbe dovuto attendere che il marito avesse bussato per tre volte e avesse "dato voce" (il lupomannaro non può parlare quando è nella condizione di lupomannaro) e soltanto allora avrebbe potuto aprire. Se avesse aperto subito sarebbe stata uccisa dal marito.
Se di notte si sentivano delle urla o meglio ululati per le strade i bambini e gli adulti pensavano subito al lupomannaro.
Il lupomannaro ritornava ad essere uomo normale con le prime luci dell'aurora oppure se fosse stato punto sul capo con un qualsiasi arnese acuminato e dalla puntura fossero uscite alcune gocce di sangue (almeno tre).
Il lupomannaro può procedere da solo su via piana; ma non può salire più di tre scalini. Se dovesse aggredire una persona questa può mettersi in salvo salendo una scala.
Spesse volte è stata attribuita la qualità di lupomannaro a poveri ammalati affetti da asma. Ricordo che spesso durante la notte, per un certo periodo, bussava alla nostra porta un vecchio ululante. Tutti lo credevano lupomannaro, mentre aveva bisogno di mio padre, medico, il quale gli apprestava le cure.

'U munachielle

I bambini e gli adulti credevano che in diversi punti del paese vi fosse "u munachielle". La fantasia popolare lo rappresentava come uno gnomo fornito di poteri misteriosi il quale appariva a suo piacimento, e solitamente abitava in nascondigli poco luminosi.
Si credeva che "u munachíelle" incarnasse l'anima dei bambini morti prima del battesimo, desiderosi sempre di fare scherzi e dispetti a chi capitava. Lo spirito folletto può "abitare" anche nelle case, nel solaio, e di notte mentre le persone dormono il folletto nasconde oggetti, suppellettili, indumenti.
Vi sono delle persone che hanno sempre affermato di aver visto "u munachielle"; a me non è mai accaduto.
Se si riusciva ad afferrare il berretto rosso che aveva in testa, gli si poteva chiedere, come corrispettivo per la restituzione, ciò che si desiderava: denaro, oro, palazzi.
Più volte mi sono recato, da bambino, trepidante di ansia e di paura, in una grotta di Mauro all'estrema periferia del mio paese, dove più persone affermavano di averlo visto, nella speranza di trovare "u munachielle" e rubargli il cappello, ma invano.
I miei amici d'infanzia ed io siamo rimasti sempre nella speranza, sin dai primi anni dell'adolescenza, di incontrare questo spiritello leggendario.

Tarantismo

Una credenza popolare, che trovava incline una parte della popolazione, è il cosiddetto fenomeno del tarantismo causato nell'uomo dal morso della tarantola; raramente accadeva nella mia zona, ormai è del tutto scomparso.
La tarantola è una specie di ragno, un po' diverso dai comuni ragni, il quale, non appena morde l'uomo, procura a questi una particolare forma patologica. Nella fattispecie sarà bene precisare che esistono due tipi di ragno: "la licosa" ed "il latrodectus tredecim guttatus".
Il primo è un grosso ragno peloso, aggressivo che vaga di notte in cerca di cibo ed in cerca della femmina per accoppiarsi (generalmente si accoppia all'inizio dell'estate) e quindi rientra nel foro che costituisce la sua tana, al sorgere del sole.
La credenza popolare ha conferito a questa specie facoltà malefiche, pericolose e demoniache. Al contrario il morso di questo ragno non produce particolari effetti patologici, tutto al più si manifesta, nella zona interessata dal morso, un vistoso arrossamento che, entro breve tempo e senza alcuna cura particolare, giunge a guarigione.
La seconda specie di ragno, il cui aspetto è inoffensivo, provoca invece uno stato tossico particolarmente grave.
Anche se la "taranta" o tarantola viene generalmente identificata con il primo, è singolare che la manifestazione del tarantismo sia sempre improntata agli effetti che può dare il morso del secondo ragno "il latrodectus".
Questo accade unicamente nel periodo fine primavera-estate inoltrata cioè quando inizia la mietitura e sino a quando si raccolgono i frutti dell'estate, dal momento che accade esclusivamente a chi lavora nell'agricoltura.
La persona che viene morsa non fa alcuna distinzione tra una specie e l'altra anzi, a volte, la fantasia popolare parla di scorpioni, serpenti, gechi.
Il tarantato - ne ricordo gli effetti nei confronti di una figlia di un pastore - allorché viene morso o presume di essere morso, cade in deliquio, si agita e geme, grida mentre il corpo viene invaso da un tremore oppure il soggetto morsicato cade in terra privo di vita come morto.
L'unico mezzo per liberarsi dal "veleno" è la danza cadenzata al ritmo di una musica antica e rituale, intonata con strumenti a mantice in un passato prossimo, ed una volta a fiato, o con una sorta di fischietto di canna tipico tra i giovani pastori.
Il tarantato, steso a terra bocconi, striscia sul dorso tenendo puntati i talloni e descrive un semicerchio agitandosi, altre volte girandosi assume la posizione prona con le gambe leggermente divaricate; ad intervalli si alza levandosi poi di scatto ed inizia una danza furiosa, ribelle, disordinata che si conclude con la caduta del tarantato sfinito e senza forze.
Dopo essersi riposato per un lasso di tempo riprende la danza che continua sino a quando non si libera dagli effetti malefici del morso. La musica intonata dagli strumenti ha il significato di una terapia.
Il ciclo della danza non sempre è uguale tra i soggetti tarantati, e, a volte, la danza è del tutto assente ed il soggetto cade in silenziosa malinconia per tutto il tempo in cui ha affetto il morso della tarantola.
Dipende tutto dalla taranta che ha morsicato e dalla quantità del liquido inoculato.
La Chiesa ha tentato di trovare una soluzione religiosa a questo particolare fenomeno, alcune volte di ordine prettamente psicologico, con la preghiera e con la presenza del prete che provvede ad apportare i rimedi suggeriti dalla Chiesa.

 

NOTE

1) Dal greco stizw = bollata, impressa. Quando una pecora ecc. non produceva più latte, veniva segnata e mandata al macello.
2) Due attrezzi zappa e fuso rispettivamente usati dall'uomo e dalla donna.
3) L'ora in cui si può essere rapiti è nelle prime ore pomeridiane d'estate ed è detta l'ora degli spiriti.
4) Dal greco klimaz‑matoz = scala.
5) Le male lingue dicevano che andava in paese a vendersi la carne come carne buona.
6) Confronta TEODORICO MOMMSEN, Storia Romana, Vol. I, cap. 12, pag. 219.
7) S. BONAVENTURA, Comp. Theol Verit., II-26. S. Tommaso scrive: pluvia et venti et quae cumque solo motu locali fiunt possunt causari a daemonibus. Summa theologica, I, q. 8.
8) Il suono delle campane ha anche lo scopo di scompaginare con le continue vibrazioni che si diffondono nell'aria le nubi cariche di pioggia e quindi di elettricità.
9) La medicina tradizionale ha identificato questi individui come affetti da licantropia.

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CARNEVALE

Sino agli anni cinquanta in paese non vi era alcun diversivo.
Il carnevale giungeva graditissimo soprattutto ai bambini ed ai giovani. In questo periodo ci si vestiva con un po' di fantasia nei modi più strani, ci si tingeva il viso con il nero fumo e si girava di sera per il paese a far visita a casa di amici i quali, a secondo il caso, davano doni.
In genere i ragazzi raccoglievano fichi secchi e noci. Qualcuno regalava loro una "grogghila" di salsiccia facendo la felicità dei ragazzi. Questi giravano portando "u cupo-cupo" a cui si accompagnavano durante il canto.

Cupo-cupo

Il cupo-cupo è uno strumento a pressione; uno strumento musicale il quale emana un suono cupo ed il nome è onomatopeico. E' fatto con un recipiente di legno: la scodella, il quarto (1), un barile formato da un fondo e dalla parte superiore senza alcuna base quindi aperto. In questa parte viene poggiata la pelle del peritoneo del maiale avendo legato prima al centro una cannuccia. Nel recipiente viene posta un po' d'acqua. Il recipiente cilindrico fa da cassarmonica cioè fa rimbombare il suono che non è dolce, è monotono. Impugnando saldamente la cannuccia e strofinando in modo ritmato, lo strumento emana un suono cupo.
Ogni tanto, durante l'esecuzione, vi sono delle pause dovute al fatto che il suonatore che impugna la cannuccia deve bagnare la mano con la saliva o strofinarsi la mano con la pece.
Al suono del cupo-cupo si accompagnavano, di sera, itinerando per il paese, i ragazzi, anzi una immensa truppa di ragazzi, per cantare davanti alle porte degli amici durante il carnevale, se questi acconsentivano. Non si poteva mai cantare davanti ad una casa in lutto o nei presi di una casa in lutto.
I ragazzi - e non sempre soltanto i ragazzi - formavano un coro quasi sempre ben intonato e simpatico. Le canzoni che si cantavano erano diverse; vi era una introduzione, una parte centrale ed un epilogo (2):
" Prima de suna' si cerca lu permesse
si vuj vulite nuj ve candame
suone cupille suone si vuo' suna'

Ij agge appurate c'aija accise 'u puorche
e dammille 'ne picche da sauzizze
e non me fa' chiù stu musse stuorte
suone cupille suone si vuo' suna'
Ij agge candate sopra 'na fronna d'acce
e dammilla 'ne picche da sanguinacce
suone cupilla suone si vuo' suna'
e te cupe mije e ssona si vuo' suna'
Ij agge candate sopra 'nu cippone
ij agge candate sopra 'nu cippone
a don Augenio 'u vuria barone
e te cupe mija e ssona si vuo' suna'
Ij agge candate sopra 'na fercina
ij agge candate sopra 'na fercina
a donna Pippina 'a vurria reggina
suona cupille suone si vuo' suna'
Lu cupa mija jè fatta a lla scutelle
la cheasa jè gauta e la patruna jè bella
suona cupilla suona si vuo' suna'
suona cupille cà so' le feste da carneva'
Truvaue 'na porta aperta e ngi trasigue
truvaue 'na siggilella e ngi ripose
e te cupe mija e ssona si vuo' suna'
ij agge vinute pe te parla' chiare
si mi daje a ffigghiate pe sposa (3)
e te cupe mije e ssone si vuo' suna'
La mamma dice ca non tene panne
la ttane dice ca jè troppa zinnia
e te cupe mija e ssone si vuo' suna'
Risponne jella pe ll'uocchie tiranne
garofale d'amore sciameninne
e te cupe mije e ssone si vuo' suna'

Tenghe 'na vignicella a sante Vite
sante Martine quante jè caricate
addò ng'èvaddunate 'na neuro (4) gallina
tutte 'u muscatielle s'è mangiate
si non la spari tu la spare ij
pe Ila sc-cuppetta bella e caricata

Mienze a llu mare ng'è 'na lattuchella
tutte li piesce currene a Ila cima
chi vo' la cima e chi vo' lu troncone
viate a chi si gode sa (oppure sta) guaglione
ma sa (oppure sta) guaglione jè figghia de nutare
s'è nnammurate de 'nu cusitore
lu cusitore punte ne face
e porta 'na gunnelle tutta fiure
'mbiette porta 'na stella reale
e face muri' l'amande a doje a doje
stella lucende mia, stella lucenda
pe te vanno pacce doje amande
une jè d'oro e 'nate jè d'argiende
dice chi de chiste ti jè amande
culle d'oro ma staje 'nda mente
culle d'argiende passe avande
e te cupe mija e ssone si vuo' suna'".

'U canto di Cuntimaggio

"Tu fronna d'auliva fatte li trizze
cà tuo patre ti vo' maritare
e te cupe mije e ssona si vuo' suna'
O tatte tatte dimmi a chi mi vuo' dare
e te cupe mije e ssona si vuo' suna'
A Cuntimaggio tu ti a pigghia'
e te cupe mije e ssona si vuo' suna'
Si mio patre mi vo' maritare
ma Cantusciello jè l'amore mij
e te cupe mije e ssona si vuo' suna'
A Cantusciello non nu puoi avere
chè Cuntimaggio tu ti a pigghiare
e te cupe mije e ssona si vuo' suna'
Si Cuntímaggio mi volete dare
la prima notte l'agge a gabbare
e te cupe mije e ssona si vuo' suna'
Quanne Cuntimaggio si sciua a cuccare
'a Fronna d'Auliva si mise a tuccare
e te cupe mije e ssona si vuo' suna'
Fermati Cuntimaggio non mi tuccare
agge fatte 'nu vute a Santa Marigarita
de sta' pe tre notte zite
e te cupe mije e ssona si vuo' suna'
Quanne Cuntimaggio si sciua addormiscenne
Fronna d'Auliva si sciua gauzene
e te cupe mije e ssona si vuo' suna'
O mamma mamma appicceche 'u cannalotte
c'agge perdute la bella mia stanotte
e te cupe mije e ssona si vuo' suna'
O figghie figghie sande ti vuoi vedendo
manche a femmena vicine sai tenendo
e te cupe mije e ssona si vuo' suna'
O tatte tatte appicceche 'u cannelotte
cà se n'è scappata 'a bella mia stanotte
e te cupe mije e ssona si vuo' suna'"

Fa' preste e príeste e vide che n'aije a da'
ch'è fatte notte e nuj amme a cammena'
e te cupe mije e ssona si vuo' suna'
suone cupille cà so' le feste di carnevale
Mienze la tazza lu bicchiere ngi sede
ve lassame ciente e mille bonasere
e te cupe mije e ssona si vuo' suna'
Candene le galle e scutalane le penne
lassame 'a bona notte e sciameninne".

"Prima di suonare si cerca il permesso
se voi volete noi vi cantiamo
suona cupillo (5) suona se vuoi suonare

Ho appurato che hai ucciso il maiale
e dammi un poco di salsiccia
e non mi fare ancora il muso storto
suona cupillo suona se vuoi suonare
Ho cantato sopra una fronda di sedano
e dammi un po' di sanguinaccio
suona cupillo suona se vuoi suonare
e tu cupo mio suona se vuoi suonare
Ho cantato sopra un ceppo
ho cantato sopra un ceppo
a don Eugenio lo vorrei barone
e tu cupo mio suona se vuoi suonare
Ho cantato sopra una forchetta
ho cantato sopra una forchetta
a donna Peppina la vorrei regina
suona cupillo suona se vuoi suonare
Il cupo è fatto con la scodella
la casa è alta e la padrone è bella
suona cupillo suona se vuoi suonare
suona cupillo poiché sono le feste di carnevale

Trovai una porta aperta e ci entrai
trovai una piccola sedia e mi ci riposai
e te cupo mio suona se vuoi suonare
io sono venuto per parlarti chiaro
se mi dai tua figlia in sposa
e te cupo mio suona se vuoi suonare
la mamma dice che non ha il corredo
il padre dice che è troppo piccola
e te cupo mio suona se vuoi suonare
Risponde lei con gli occhi tiranni
Garofalo d'amore andiamocene
e te cupo mio suona se vuoi suonare

Ho una piccola vigna a S. Vito
Santo Martino quanto è carica
dove ci si è abituata ad andare a mangiare una cattiva gallina
tutto il moscatello si è mangiata
se non la spari tu, la sparo io
con il fucile già carico
e te cupo mio suona se vuoi suonare

In mezzo al mare c'è una fresca lattuga
tutti i pesci corrono alla cima
chi vuole la cima e chi la parte inferiore
beato chi si gode questa (o codesta) ragazza.
Ma questa ragazza è figlia di un notaio
si è innamorata di un sarto
il sarto dà molti punti
e pertanto ella porta una gonna tutta a fiori
in petto porta una stella reale
e fa morire gli amanti a due a due
uno è d'oro e l'altro d'argento.
Dicci tu chi di questi due tu ami
quello d'oro mi sta nella mente
quello d'argento passa avanti
e te cupo mio suona se vuoi suonare ".

Il Canto di Cuntimaggio

"Tu Foglia d'Oliva fatti le treccie
perché tuo padre ti vuole sposare
e te cupo mio suona se vuoi suonare
O padre dimmi a chi mi vuoi dare
e te cupo mio suona se vuoi suonare
A Cuntimaggio ti devi sposare
e te cupo mio suona se vuoi suonare
Se mio padre mi vuole sposare
Cantusciello è il mio amore
e te cupo mio suona se vuoi suonare
Cantusciello non lo puoi avere
perché Cuntimaggio devi sposare
e te cupo mio suona se vuoi suonare
Se Cuntimaggio mi volete dare
la prima notte lo devo gabbare
e te cupo mio suona se vuoi suonare
Quando Cuntimaggio si andò a coricare
la Foglia d'Oliva si mise a toccare
e te cupo mio suona se vuoi suonare
Fermati Cuntimaggio, non mi toccare
ho fatto un voto a Santa Margherita
di rimanere per tre notti fidanzata
e te cupo mio suona se vuoi suonare
Quando Cuntimaggio si addormentò
Foglia d'Oliva si alzò
e te cupo mio suona se vuoi suonare
O mamma mamma accendi una candela
perché ho perduto la mia bella questa notte
e te cupo mio suona se vuoi suonare
O figlio figlio santo ti vuoi guardare
nemmeno la donna accanti ti sai tenere
e te cupo mio suona se vuoi suonare
O padre padre accendi una candela
perché la mia bella se ne è scappata questa notte
e te cupo mio suona se vuoi suonare ".

"Fa presto, ancora più presto e prepara quello che ci devi dare
perché si è fatta notte e noi dobbiamo camminare
e te cupo mio suona se vuoi suonare
suona cupillo perché sono le feste di carnevale
In mezzo alla tazza il bicchiere ci siede
vi lasciamo cento e mille buonasera
e te cupo mio suona se vuoi suonare
Cantano i galli e scuotono le penne
lasciamo la buonanotte e andiamocene".

Terminata la suonata ed il canto, la truppa dei ragazzi, entrata nella casa ospitale, riceveva i doni e i complimenti e cercava un'altra porta (casa) ospitale, - perché come ho detto si suonava fuori la porta - disposta ad udirli e a dar loro dei doni. Il giro durava a lungo, sino a notte inoltrata.
Quasi sempre i ragazzi, come ho già detto, si mascheravano con vecchi abiti e si dipingevano il viso con la fuliggine del camino, così improvvisavano una danza nella casa ospitale; divertendo gli astanti ed i vicini.
Non era raro che qualche vecchio signore, alieno a queste infantili pagliacciate, non appena udiva il tocco del battente della porta e sentiva il bisbiglio dei ragazzi, chiamasse il cane aizzandolo contro i ragazzi, i quali, a gambe levate, correvano tra i vicoli o salivano sulle vicine scale per evitare che il cane, non interpretando le vere intenzioni del padrone (intese soltanto a far spaventare i ragazzi), si avventasse contro di loro e non si limitasse soltanto a strappare il calzone.
I ragazzi accumulavano i doni raccolti e con quei doni si organizzava il "carnevaletto", cioè una gita in campagna in una giornata di sole dove, tra tanta baldoria, si consumavano i doni e si giocava. L'ultima sera di carnevale si riempiva di paglia un vecchio vestito, dandogli parvenza di corpo umano, e si portava in giro per il paese unitamente ad un pupazzo vestito da donna. Con questi due pupazzi in trionfo, i ragazzi fingevano di piangere la morte di carnevale dicendo alcune strofette di cui non ricordo se non una breve:
"Quaremma zinzilosa
non ci sci' pe 'nnanze o porte
cà vene Pascarelle
e te ruppe 'a capicella".

"Quaresima mal vestita
non andare davanti alla porta
perché viene Pascarella
e ti rompe la testa".

Il maiale

Nei mesi invernali, e precisamente nel periodo delle feste di Carnevale, si uccide il maiale; quello stesso che sei mesi prima si è acquistato al mercato ancora piccolo, con diuturna cura si è allevato portandogli nella "casella", la "mmassata", farina di legumi, ghiande e simili.
Vi è una credenza, che ormai progressivamente va in disuso, che, appena, si acquista il maiale, un bambino deve orinare sulla testa del maialino. Questo rito, oltre a preservare il maiale da futura morte per malattia, rende quest'ultimo affezionato al padrone e lo seguirà come un cagnolino.
Il maiale ha costituito sempre una forma di piccola economia per la famiglia, sia che fosse venduto, sia che fosse ammazzato per il consumo. E' appena il caso di accennare quanta importanza abbia assunto nei riti antichi il maiale, e per chi vuole approfondire e conoscere meglio l'argomento confronti: Varrone C. II lib. 4 De rerum rusticarum - Cicerone, De Iuventute II 30 - G. Micali, II 21, 24 - Virgilio VIII, 639 - Polibio II, 17; XIII, 1 - Strabone V pag. 151 e passim, Orazio Epodi 27, 28 - Orazio Ode XV 13, 14.
In Lucania l'allevamento del maiale ha avuto sempre una notevole importanza soprattutto per le condizioni ambientali permanenti.
La quercia infatti abbonda in questa regione e produce ghianda che, unitamente al prodotto del cerro, è il migliore nutrimento per il maiale.
In Lucania ha avuto anche inizio l'uso di insaccare nell'intestino del maiale la carne mescolata a spezie varie, specie a peperone piccante macinato.
Tutt'ora a Milano e nel nord Italia il salame un po' piccante, come già abbiamo detto, è chiamato "luganega". Cassiodoro (Variae XI, 39) ci ha, tramandato che la Lucania riforniva Roma di suini, e l'uso lucano di conservare la carne di maiale fu, dai soldati romani, apprezzato e subito diffuso (Varrone DeL. L. V III) nelle altre regioni d'Italia e all'estero: "quod fortum intestinum crassundiis, lucan (ic) am dicunt, quod milites a Lucania didicerint (6)".
Allorquando il maiale è diventato tanto grosso da muoversi a fatica, è pronto per il "sacrificio" e la massaia cura tutti i preparativi; pesta in un mortaio di pietra il peperone forte (si ottiene facendo seccare al sole i peperoni) e il sale, affila i coltelli, pulisce la "gàvita". Il giorno prima del sacrificio al maiale non viene dato cibo per far sì che si trovi l'intestino sgombro, per quanto possibile, da escrementi.
Per uccidere il maiale occorrono almeno cinque persone, fra cui un calzolaio. Queste vanno a prendere il maiale dal giaciglio, lo portano in casa mentre grugnisce e leva i gridi e si dimena nel tentativo di divincolarsi. Con molti sforzi viene portato in casa e deposto sulla "gàvita", dove il calzolaio gli lega la bocca con uno spago robusto. L'esperto, che non sempre è un macellaio, affonda il coltello nella gola e il sangue che scorre, viene raccolto in una teglia; una donna, con un cucchiaio di legno, provvede a rimestarlo al fine di evitare che si coaguli (7).
I quattro uomini ed il calzolaio, durante il "sacrificio", sono impegnati con tutta la loro forza a mantenere per i piedi e la coda fermo l'animale, per il fatto che l'istinto di conservazione fa aumentare sempre più la sua forza, gli strepiti, i grugniti ed i gridi, che si odono in tutto il rione. Non raro è il caso che l'animale, con il coltello in gola, sfuggito di mano ai macellai improvvisati, vaghi per il paese.
Dopo aver avuto recisa la trachea, il maiale cessa gli strepiti, si affloscia, allarga le quattro zampe, reclina il capo ed è pronto per le successive operazioni.
La prima è interamente eseguita dal calzolaio, il quale strappa le setole dalla schiena dell'animale. Infatti con il dito indice e medio stringe un certo numero di setole (e le trattiene con il pollice) che, con uno strappo deciso e violento, vengono divelte dal vello del maiale.
Queste serviranno al calzolaio per guidare lo spago nel foro che viene fatto nella suola con la lesina "assuglia".
Nella casa c'è trambusto e le donne sono tutte affaccendate; è già pronta sul fuoco l'acqua bollente, che viene versata a poco a poco, per facilitare le successive operazioni, sul corpo del maiale, mentre l'esperto raschia tutti i peli.
Divenuto bianco e pulito, il maiale viene sollevato con il "gammiere" (un pezzo di legno simile ad una gruccia appendiabiti), le cui punte sono introdotte nei tendini dei garretti, messi in luce con un preciso taglio. Il maiale così preparato viene appeso e sostenuto mediante corde al soffitto. Viene curato il taglio delle singole parti, ognuna delle quali dovrà servire a qualcosa. Nulla si butta del maiale, al di fuori delle setole e delle unghie.
Con il sangue si fa il sanguinaccio, crema di colore marrone scuro preparata con zucchero, farina, uova e spezie, con le costole si fa la "nghandarata" (carne posta in salamoia e tenuta compressa da pesi), salame nelle diverse varianti, salsiccia, soppressata, capocollo. Tutto viene riposto in casa e curato con la massima diligenza, in quanto costituirà la base, l'essenziale per il condimento della cucina sino al prossimo inverno. Dice un proverbio: "u puorche è uno e o iuorne so tante" : cioè il maiale è uno solo ed i giorni sono tanti e per "tanti" giorni deve bastare.
Nei giorni successivi all'avvenimento - tale è considerato l'uccisione del maiale - la moglie, unitamente alle vicine e alle amiche, prepara il salame, il lardo, la sugna nella vescica, il sanguinaccio nell'intestino.
Sono giorni di festa, perché nella casa regna l'abbondanza e si invitano amici e parenti.
Vi è una simpatica usanza: viene preparata dalla padrona di casa "a parzione", delle porzioni, delle parti di carne in più piatti che vengono portate a tutti gli amici, i quali, puntualmente, la ricambieranno non appena saranno loro ad uccidere il maiale.

 

NOTE

1) Sono queste misure di capacità per cereali di origine borbonica.
2) Non soltanto queste riportate sono le canzoni che si cantavano al mio paese; riporto solo quelle che ricordo.
3) Altra visione dello stesso "sonetto" è la seguente:
'nnanze la porta tua mi segue e stane
ti sende de parlare e mi console
trove 'a siggilella e mi ripose
po' vene 'u patrune di la caesa
che voje facenne facce de rosa?
ji agge vinute pi te parla' chiare
si mi daja a ffigghiate pe spose.
4) "Neura" ha il significato di apportatrice di sventura: infatti "neura me" significa "sventurata me".
5) Diminuitivo di cupo-cupo.
6) (Cfr. Cicerone Ad Ram IX, 16; 9; Apicio De Re Coquin II, 4) dove c'è la ricetta autentica per la confezione del salame Marziale IV, 46, 8 e XIII, 35, 1 Stazio Silv. IV, 9, 35 - Editto di Diocl., IV, 15 e seg.) ecc.
7) Si tolgono, in questo modo, i fili di fibrina che spontaneamente si formano ed aventi lo scopo di arrestare naturalmente le casuali emorragie.

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