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GALLIPOLI - COGNATO

 

Questo nome è dato allo straordinario comprensorio di circa quattromila ettari di demanio forestale, posto al limite occidentale della provincia di Matera, diviso fra i tenimenti di Calciano, Oliveto Lucano ed Accettura, che fino a qualche anno fa era la parte più sconosciuta della Lucania, mentre oggi è facilmente raggiungibile con la nuova autostrada numero 407 "Basentana" che vi passa assai vicino. E’ coperto da una fitta boscaglia, in cui s’incontrano l’abete braino, il pino laricio e quello silvestro, il cerro, l’acero fico, quello montano e quello tribolo, il tiglio, il frassino, il carpino nero ed altre svariate qualità di piante che s’intrecciano tra loro disordinatamente al punto di suscitare nel visitatore mille arcane sensazioni. Questa superba vegetazione offre riparo ad una meravigliosa fauna ricca di varietà che va dai volatili di ogni specie ai roditori, lepri, gatti selvatici, volpi, faine, martore, donnole ed anche cinghiali e daini. Questi animali

Resti di mura pelasgiche

vivono li indisturbati e non scappano facilmente alla vista del raro visitatore, sì da creargli quasi l’illusione di rivivere una delle tante fiabe del "bosco incantato", che una volta si raccontavano ai bambini.

Ma all’appassionato esploratore che si avventuri nella zona più alta, detta Monte "la Croccia" (m. 1151), è riservata una grande sorpresa: i resti di una antichissima città ciclopica (1)! Di quale città si tratta? Da chi e quando è stata costruita? Non si sa, giacché gli abitanti del posto non se lo sono mai chiesto e tanto meno la storia ne ha parlato chiaramente. Qualche storico, parlando di città pelasgiche della Lucania, ha fatto qualche cenno a quei ruderi; qualche altro si è limitato a definirli: "una necropoli Osca che attende di essere riportata alla luce". Nulla da obiettare, dato che ambedue le affermazioni sono improntate ad un senso di prudenza, per non dire generico e superficiale.

A mio avviso, potrebbe invece trattarsi di qualcosa di più antico, ma, prima di parlarne, ritengo sia necessario dare una descrizione di questi ruderi. Si trovano in cima alla montagna di Gallipoli-Cognato e sul lato sud-ovest, esattamente dirimpetto all’attuale paese di Accettura; la cima del monte stesso, al lato nord-est, è delimitata da un netto strapiombo, sembrerebbe che, ad un dato momento, metà del monte sia sprofondata in modo da rendere impossibile da quel lato l’accesso alla vetta. I ruderi, che si trovano sparsi in gruppi, quasi rasi al suolo e per la maggior parte coperti dalla vegetazione, indicano i resti di modeste abitazioni. Sono racchiusi da un muro di cinta, pure esso scomparso a tratti sotto la vegetazione o sotto le frane, che, tuttavia, si può seguire per tutta la sua lunghezza di circa tre chilometri e l’area che racchiude si può dire che ha la forma di un triangolo scaleno con la base data dalla linea dello strapiombo anzidetto (2). Questo muro è costituito da enormi blocchi di pietra viva, grossolanamente scolpiti dalla mano dell’uomo in parallelepipedi, aventi una lunghezza dai 100 ai 130 cm. ed una larghezza dai 40 ai 50. Questi massi sono messi uno sull’altro a due, tre e, in qualche posto, a quattro file e senza malta.

Nello stesso ordine si presentano i blocchi dei muri dei resti delle abitazioni, anche se più piccoli, comunque non tutti trasportabili a schiena d’uomo. Seguendo la linea del muro di cinta, quando si arriva al lato sud, s’incontra una delle porte della città, forse la principale, poiché se ne notano i resti di qualche altra più piccola. L’arco di questa porta, caduto forse non molti anni fa, era costituito da enormi blocchi ricurvi, che giacciono ancora sul posto. Questo era situato all’ingresso di una grande stanza, sembrerebbe quella destinata a contenere la guarnigione armata della città. Da questa stanza o androne s’imbocca una strada cittadina che, a forma di una grossa trincea murata ai lati con lo stesso sistema a blocchi di pietra, porta verso la zona centrale in cui si notano i resti di numerose abitazioni. Verso il centro, quindi nella parte più alta, si notano molte tracce di abitazioni isolate, ma molto più grandi di quelle raggruppate, forse erano quelle delle famiglie più importanti, quindi probabilmente sedi dei capi tribù.

Fra queste ultime costruzioni s’incontra una strana gradinata ricavata nella roccia, che serviva a superare un dislivello di alcuni metri. Qua e là, lungo la zona periferica vi sono alcune rocce di forma particolare, che sembrano degli strani fantasmi, evidentemente sono state così ridotte dall’uomo per ricavarvi i blocchi serviti per costruire la città, che si può definire veramente ciclopica.

Il tutto fa pensare che lassù vi fosse stata una assai importante comunità di uomini primitivi, forti e bene organizzati soprattutto per la guerra difensiva, dato l’aspetto prettamente protettivo e la posizione che essi diedero alla città, mediante una cinta di difesa naturale, offerta dallo strapiombo, e da quella artificiale data dalla spessa muraglia che la circonda.

Viene spontaneo chiederci chi fossero e da dove fossero venuti questi abitanti antichi. Una risposta più precisa si potrebbe avere, credo, scavando sistematicamente nella zona per potere avere maggiori dati e materiale di indagine. Per ora non si possono fare che semplici induzioni, forse avventate, meditando sulla struttura di quei blocchi, che si vedono in superficie, e sugli unici segni cuneiformi incisi rozzamente su alcuni di essi. Di questi segni, io ne ho contati nove, sono dei triangoli isosceli aventi la base da 5-6 cm, ed i lati da 15-20, somiglianti nella forma alla delta greca; alcuni sono messi capovolti e danno l’idea del "cuneo"; uno solo, scolpito su un blocco della muraglia e molto vicino alla porta principale della città, è un triangolo equilatero, avente il lato lungo circa 30 cm, ed all’apice si nota una analoga scanalatura in senso orizzontale che va verso sinistra di chi guarda. Quest’ultimo segno somiglia molto alla lettera "B" dell’antico fenicio e, per la sua collocazione, si presume sia l’iniziale di qualche nome importante che abbia avuto stretto riferimento con il nome della città ancora sconosciuta,

Questi per ora sono gli unici segni grafici, su cui si possono fondare le ipotesi per risalire ai probabili fondatori della città ed al nome della stessa, ma, prima di pronunziarci, occorre fare appello ai dati della storia documentata.

Dalle scoperte archeologiche fatte fino ad oggi nella regione mediterranea e medio oriente, si è potuto stabilire che i primi popoli civili, vissuti dal 5000 al 3000 a.C., furono quello dell’Egitto; quello di Sumer e Akkad, che abitarono la pianura fra il Tigri e l’Eufrate, successivamente detta Mesopotamia; quelli della Valle dell’Indo; delle isole Egee; dell’Anatolia; della Fenicia; dell’Assiria; dell’Elam, ecc. I primi di questi popoli che inventarono e fecero uso di una forma primitiva di scrittura furono gli Egiziani, che usarono un centinaio di segni ideografici cioè simbolici, ed i Sumeri che scrissero per mezzo di caratteri cuneiformi che essi inventarono, assieme allo studio della matematica e dell’astronomia, verso il 3800 a.C. Mentre la scrittura simbolica, o geroglifica, non fu usata che dagli Egiziani e da qualche altro popolo vicino o da essi assoggettato, la scrittura cuneiforme dei Sumeri si diffuse fra tutti gli altri popoli summenzionati che, uno alla volta, invasero la Mesopotamia proprio perché attratti dalla luce della sua avanzata civiltà. Alle incursioni di questi popoli asiatici seguirono quelle degli Indoeuropei, i quali fecero tesoro dell’arte e della letteratura Sumera; questo fatto sarebbe avvenuto pressappoco dopo il 2000 a.C., cioè quando gli Indoeuropei dal loro sito originario (3) si riversarono sulla Grecia e, man mano, sugli altri paesi sopra menzionati del Mediterraneo, che costituivano il mondo conosciuto fino allora (4). Pertanto non è improbabile che, in seguito, un cento numero di questi Indoeuropei, originari forse della penisola di Tracio, seguendo l’esempio dei "carrettieri del mare" (i Fenici), raggiunsero le coste dell’Italia meridionale e si spingessero al centro di questa regione lucana, esattamente fin sulle alture del comprensorio di Gallipoli-Cognato, ove fondarono centri abitati, tra cui l’antica città in argomento, che probabilmente chiamarono Gallipoli, come la capitale della loro patria (5).

Altri loro connazionali li raggiunsero un tempo dopo e, col nome di Ausoni, si sparsero per l’Italia meridionale e centrale, ove vissero tranquilli fino all’arrivo degli Enotri,

Questi Indoeuropei, o Ausoni, dunque portarono fino in Lucania le prime tracce di una civiltà, di origine prettamente Sumera, che potrebbe identificarsi proprio nell’uso dei segni cuneiformi accennati, scolpiti sui blocchi megalitici della distrutta città di Gallipoli-Cognato.

Cosa significava in origine questo "triangolo"? Quasi certamente era un simbolo di divinità astrale, in quanto se, come detto, significasse la lettera "B" dell’antico fenicio, potrebbe essere l’iniziale di Bàal (semitico = signore), che Siriani e Fenici adoravano come principale divinità maschile, considerata dio del cielo, del sole. della fertilità e, soprattutto, signore della città in cui era venerato. Un pò la stessa cosa si potrebbe dire qualora a fondare la città di Gallipoli-Cognato fossero stati, invece, gli Enotri, giacché pure essi erano discendenti degli Ittiti, di origine Indoeuropea, che assalirono la Mesopotamia ed ivi appresero e la scrittura cuneiforme e la credenza o il culto di dette divinità astrali (Babilonia all'epoca era il centro di dette divinità), fra cui: Samas, dio sole, dal quale il re Hammurabi (2123-2081) avrebbe ricevuto le famose tavole della legge; Indra, dio che sostiene il cielo e la terra, e genera il sole e l’aurora; Mitra, divinità solare della religione Vedica; Istar, venerata particolarmente dai Caldei e dagli Assiri, i quali la ponevano nella stella della sera che precede l’apparire della Luna. Né si potrebbe concludere diversamente anche se questo triangolo fosse di data meno antica, dato che potrebbe significare la costellazione nella quale furono posti e venerati Ariete, Andromeda e Perseo, citata nel capitolo dei cenni preistorici. D’altra parte non potrebbe essere un simbolo o l’iniziale del nome di un "ecista" (fondatore della colonia) greco, giacché questi vennero come è noto in Italia soltanto durante l’VIlI-VI secolo a.C. ed erano a capo di quei gruppi di Greci, che vennero a colonizzare le coste dello Jonio e del Tirreno: la città di Gallipoli-Cognato è presumibilmente di data di almeno un millennio anteriore a quell’epoca. Infine, qualunque altra cosa significasse questo triangolo, un fatto si può dire certo, e cioè che da quel segno di "cuneo" deriva il nome di Cognato, che i posteri hanno poi dato a tutto il comprensorio che qualcuno, ancona oggi, per la bellezza del paesaggio naturale, chiama: "un paradiso penduto" (6).

Dallo stesso cuneo deriva l’appellativo di "Croccia", dato particolarmente alla zona più elevata dove vi sono i ruderi. Esso non è che l’espressione dialettale della gente del posto che l’avrà inventato, proprio osservando quel triangolo, che dà l’idea della gruccia (7).

A questo punto non resta che da accennare agli antichi abitanti di Gallipoli-Cognato, cosa naturalmente assai difficile, poiché le notizie sicure al riguardo sono molto scarse. Infatti, l’unica traccia di essi scoperta fino ad oggi è una tomba antica, trovata nel 1882 nel vicino tenimento di Castelmezzano, che gli studiosi ritengono possa risalire all’VIII-IX secolo a.C. e forse più indietro.

In essa furono rinvenute suppellettili in bronzo in gran quantità, tra cui una fibula con l’ordiglione a due ricci di foggia molto simile a quelle risalenti alla prima età del ferro (8). Questa tomba potrebbe, comunque, suggerirei che gli abitanti dell’antica città ciclopica di Gallipoli-Cognato, pur ignorati dalla storia, vissero ininterrottamente nel tempo, come tutte le altre comunità lucane ed ebbero rapporti umani di ogni genere con quanti trafficarono lungo le coste ed all’interno della regione. La loro stessa comunità venne individuata nel Medioevo t’tal casale di Gallipoli de Montana (Gallipoli-Cognato), ma forse in quel tempo era divenuta una località con scarsi abitanti tanto che, al tempo di Basilio I (867-886), venne incrementata da una colonia di Greci venuti da Eraclea sul mar Nero (9). Un altro nucleo o gruppo della stessa comunità di Gallipoli-Cognato venne individuato, nello stesso periodo nel casale di Rodie o Rodia, presso l’attuale paese di Accettura (10).

Tuttavia la zona di Gallipoli-Cognato rimase sempre un luogo piuttosto solitario e selvaggio e, pertanto, fu spesso rifugio di monaci eremiti in cerca di solitudine per pregare e meditare. E’ appunto nel folto bosco di Cognato che, verso il 1130, visse in penitenza San Guglielmo (Vercelli 1085-Goglieto 1142), Abate fondatore della congregazione monastica di Monte Vergine (Avellino), il quale vi costruì una chiesa ed un convento, Inoltre, nell’agiografia del Santo si racconta che un signore delle ville adiacenti, quindi di Gallipoli-Cognato o di Rodie, andando a caccia nel bosco di Cognato lanciò uno spiedo venatorio contro un cinghiale e, per errore, ferì invece l’eremita, poi divenuto San Guglielmo, il quale si medicò infermo nel vicino paese di Albano, dove ebbe la visita di un certo Conte Roberto (11), sembra che fosse il feudatario di Campomaggiore.

Nel cedulario della tassazione focatica del 1277 si trova che Gallipoli-Cognato contava 43 fuochi, pari ad un massimo di 258 abitanti e ad un minimo di 172 (12). Detto cedulario non riporta il casale di Rodie, probabilmente esso non faceva più parte del Giustizierato di Basilicata.

Nell’assegnazione dei lavori di manutenzione dei vari castelli del 1278 si trova, invece, che gli abitanti di Gallipoli e di Rodie, assieme a quelli di Brindisi, Pietrapertosa, Tnifogii, Castelmezzano, Castel Bellotto, Campomaggiore, Tnivigno. Laurosielli, Accettura, Garaguso ed Oliveto, erano tenuti alla manutenzione del castello di Brindisi di Montagna (13).

Nella ripartizione dei vari feudi, pure del 1278, si trova che un feudo di Gallipoli e quelli di Rivisco, Castelmezzano, Gloriosa, Picerno ed un feudo di Trivigno (14), pur facendo parte della Contea di Tricarico, vennero assegnati a quella Curia Vescovile (15).

Un altro feudo di Gallipoli insieme a quelli di Guardia Perticara, Torre Perticara, Craculo, Corleto, Pietrapentosa Aliano Inferiore, Aliano Superiore, Missanello e Guardia vennero assegnati a Roberto Bellicampi, conte di Montepeloso, persona di fiducia di questo secondo feudo di Gallipoli fu certo Alessandro da Gallipoli (16).

Il feudo di Rodie unitamente a quelli di Albano, Casalaspro, Oppido ed un altro feudo di Trivigno, già affidati a Pietro de Sommereuse, furono donati a Leonardo, cancelliere del Principato di Acaja (17).

La rimanente parte del comprensorio di Gallipoli fu assegnata ai nobili Tontomanno, che vendettero ai Sanseverino verso il 1339 per 310 once e 15 tornesi. Metà di questa foresta in data 14 luglio 1346 fu venduta dal Conte Ruggiero alle Religiose di Santa Chiara del convento di San Pietro e Paolo di Tricarico, per 156 once d’oro. Dopo qualche anno anche l’altra metà venne ceduta alle stesse Chianiste, dietro compenso di altre 140 once (18).

Si ritiene che gli abitanti di Gallipoli-Cognato e Rodie, in seguito, non abbiano avuto maggiore fortuna di quelli di molti altri casali della regione, scomparsi in seguito alle continue scorrerie dei banditi protetti dai vari baroni locali. Perciò anch’essi furono costretti a trasferirsi nei centri vicini più sicuri, ed il nome dei loro casali scomparsi è rimasto ad indicare vagamente le località, dove essi sorgevano una volta.

In seguito alla legge che aboliva i beni ecclesiastici, le vaste tenute di Gallipoli e Cognato furono incamerate dallo Stato e, nel 1910, furono affidate all’Amministrazione Forestale, quale primo nucleo demaniale della regione.

Questo straordinario complesso boschivo, che per fortuna figura nella lista dei 700 biotopi da salvare, costituisce un patrimonio di cultura incomparabile, ed è destinato a giocare un ruolo assai importante al servizio del turismo Lucano, purché il turismo stesso sappia rispettare la natura dell’ambiente naturale e le testimonianze di antiche civiltà, e non si trasformi in una chiassosa invasione di gente, che, senza comprendere la profonda bellezza della regione, disturbi questi luoghi sacri al silenzio della storia.

 


 

(1) SALERNO M.: Lucania da salvare, Matera, Tip. BMG, 1971, pag. 7:

I resti di questa città ciclopica, ricoperti dalla prorompente vegetazione, vennero individuale nel 1884 dallo studioso Francesco Mattiace di Oliveto Lucano.

(2) Racioppi G.: Storia dei Popoli, ecc., voi. II, pag. 32: Questo campo a forma di cuneo era detto l’Ager Cuneatus dai Latini. Di qua l’attuale nome alla località (Cognato).

(3)  n.d.t. Le antiche popolazioni Indoeuropee in principio abitavano la regione del Chersoneso che comprendeva le penisole di Cimbrico (l’odierna Slesvig-Holstein e Jutiand); di Tàurico, Tauride (la odierna Crimea); di Tracio, l’odierna penisola di Gallipoli e la penisola di Aureo, l’odierna Molacca.

(4)  DE LA RONCIERE Ch.: Op. cit., pagg. 3-27,

(5) n.d.t. Anche lo studioso Vittorio DE CICCO nella sua "prima relazione sugli scavi a Monte Croccia" del 1919, asserì che quella città dovette avere il nome greco di Gallipolis e fu abbandonata dagli abitanti non per un fatto militare, ma per un cataclisma sismico.

(6)   n.d.t. Molte particelle del comprensorio di Gallipoli-Cognato sono ancora oggi chiamate con il primo nome di "cugno", quali: Cugno del Pero; Cugno delle Caselle; Cugno dei Vescovo, ecc.

(7)   n.d.t. Nel dialetto locale la gruccia si dice croccia.

(8)   RACIOPPI G.: Storia dei popoli, ecc., vol, I, pagg. 70-71.

(9)   RACIOPPI G.: Storia dei popoli, ecc,, vol. I, pag. 95.

(10) RACIOPPI G.: Storia dei popoli, ecc,, vol, Il, pag. 99.

(11) RACIOPPI G.: Storia dei popoli, ecc., vol, II, pag. 127.

(12) FORTUNATO G.: Op. nt., vol, III, pag. 153.

(13) FORTUNATO G,: Op. cit., vol. III, pag. 147.

(14) n.d.t. Questo feudo di Trivigno si dovrebbe identificare nella località "Serra del Ponte", sita fra i tenimenti di Albano, Trivigno e Vaglio, tutt'oggi appartenente al Comune di Tricanico.

(15) FORTUNATO G.: Op. cit., vol, III, pag. 93.

(16) FORTUNATO G.: Op. cit,, vol, III, pag. 94.

(17) FORTUNATO G,: Op. cit., vol, III, pag. 135,

(18)  SALERNO M,: Op. cit., pag. 39.

 

 

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