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CAMPOMAGGIORE  VECCHIO E NUOVO

Campomaggiore nuovo è un piccolo comune agricolo della provincia di Potenza, con circa 2000 abitanti, che s’incontra dopo il bivio per Albano di Lucania, percorrendo la strada provinciale Marsicana n. 13, che dalla SS. n. 7 Appia -km. 492 - porta ai paesi interni di Castelmezzano, Pietrapertosa, Accettura, ecc.

Le abitazioni del paese si presentano allineate lungo il corso principale rettilineo e lungo altre vie parallele più strette. Le abitazioni stesse sono tutte più o meno uguali e modeste, eccetto uno stabile al centro del paese che ha l’aspetto di un palazzo signorile, attualmente adibito ad uffici pubblici; di fronte a questo vi è la chiesa parrocchiale, intitolata a Mania SS. del Carmelo. Tutto l’insieme dà l’idea di un paesino piuttosto moderno, mentre gli abitanti conservano nei loro usi e costumi qualcosa di antico,

Campomaggiore vecchio: Palazzo Residenziale così come oggi si presenta

come un po’ tutti quelli degli altri antichi centri della Lucania.

Questo fatto, a prima vista, lascia alquanto perplesso il visitatore, che ignora la storia di Campomaggiore e dei suoi abitanti e, per rendersene conto, è necessario che si porti a circa tre chilometri ad est, dopo l’abitato, cioè verso la Valle del Frassino, seguendo l’accidentata strada comunale. E’ da qui, dopo avere superato le alture della contrada Difesuola, che si scorgono in fondo alla valle i ruderi abbandonati del paese di Campomaggiore vecchio.

Questi ruderi fanno pensare ad una città morta, abbattuta come sotto un colpo da una forza straordinaria improvvisa e violenta; come se il destino avesse un giorno pronunziato il suo giudizio, una maledizione sul paese, o perché dovesse scontare colpe proprie o per la malvagità degli altri! E la sentenza, purtroppo, era stata eseguita! Quei medesimi ruderi, che destano al viandante un certo senso di timore, non sono frequentati da nessuno, se non da stormi di corvi che vi abitano indisturbati da anni. Tuttavia allo stesso viandante pare che vogliano suggerire: soffermati, queste mura dall’aspetto sinistro hanno tante cose da raccontare!

Infatti, il visitatore che si addentra cauto fra quelle mura cadenti coperte di erbacce, ha modo di constatare che esse occupano una area di forma quasi quadrata e di circa un chilometro per lato. Osservandolo dal lato ovest si nota sulla destra una zona di case crollate, disposte in cinque file, fra le quali corrono strade diritte a fondo naturale, e si vedono i resti di una canalizzazione e di sistemi di scarico. Mentre le ultime due vie esterne percorrono tutta la lunghezza dell’abitato, le altre si interrompono quasi al centro, perciò si incrociano con due viuzze trasversali, oltre le quali vi sono le rovine di una chiesa abbastanza grande, con annesse abitazioni canoniche, o monastiche. Dietro la chiesa altre due vie corrono parallele lungo il lato sud-est. Di fronte alla chiesa vi è un ampio spiazzale, e dopo questo, un grande palazzo di due piani, oltre il piano seminterrato, dalle mura imponenti, che dà l’idea di una vena e propria fortezza. E’ costituito da una ventina di ambienti per ogni piano. Al lato destro anteriore, osservandolo dallo spiazzale davanti alla chiesa, si nota l’ingresso principale, oltre il quale si scorge un cortile quadrato, in cui esisteva un grande acquario a forma di croce greca, dalle quattro bocche sistemate una per ogni angolo del cortile. Nella parte centrale del piano superiore si notano delle pareti dipinte con immagini sacre e delle nicchie; forse lì c’era la cappella privata dei baroni. Nel lato posteriore, poi, vi è un gruppo di piccoli ambienti che potrebbero essere quelli in cui vi abitava la servitù. Caratteristica esterna del palazzo sono le numerosissime feritoie, il che mostra il criterio difensivo col quale venne costruito, evidentemente nei tempi in cui la zona era infestata di briganti e nemici.

Nella parte centrale di tutto l’abitato vi è una vasta area rettangolare, libera di ruderi, ora addirittura coltivata, che una volta doveva essere una specie di piazza d’armi ed, in seguito, la piazza pubblica principale del paese. Al lato sinistro di questa, quindi dell’abitato, vi sono altre quattro file di abitazioni diroccato, divise pure da vie a fondo battuto; le abitazioni sono tutte uguali, molto più piccole ed antiche di quelle al lato destro del paese, il loro insieme dà l’idea di un quartiere popolare, se non proprio di una grande caserma. In fondo ad esse vi sono i resti di poche abitazioni più grandi, forse quelle dei notabili; dopo di queste ultime si apre una via principale e si vedono poi altre piccole e più antiche case in ordine sparso, fra cui si rilevano i ruderi di un piccolo convento, con annessa chiesa, che ha la porta principale rivolta verso oriente. Ultimo particolare: ci sono anche i ruderi del vecchio mulino, posti all’angolo nord-ovest del paese.

Dallo studio attento della posizione di tutti questi ruderi inerti si deduce che Campomaggiore vecchio presenta nettamente due stratificazioni, e che quindi fu costruito in due tempi ed a distanza di alcuni secoli l’uno dall’altro. Le costruzioni, infatti, rispondono a due diverse esigenze di quelle antiche popolazioni, cioè: la parte a sinistra, quella più antica, risponde alle esigenze di una popolazione piuttosto guerriera, comunque dedita o costretta a continue guerre; la parte di destra, quella meno antica, compresi il palazzo baronale e la chiesa grande, fanno pensare ad una popolazione dedita piuttosto all’agricoltura, e sottoposta alle leggi dei baroni del paese, ma con una certa indipendenza familiare, che la si può riscontrare nella diversità di struttura delle varie abitazioni.

Ora cerchiamo di stabilire quando e ad opera di chi è stato fondato il paese di Campomaggiore vecchio. Nelle diverse opere di storia Lucana consultate, il nome di Campomaggiore non si riscontra mai prima dell’XI secolo. Infatti, lo si incontra un cenno di esso per la prima volta nell’ordinamento amministrativo dei Normanni, che venne istituito soltanto dopo che questi consolidarono il loro potere nell’Italia meridionale, cioè verso la seconda metà del XII secolo.

Da questo momento troviamo citato più spesso CAMPUM MAJOREM (Campomaggiore), feudo di tre militi con aumento a sei e quattro serventi, che assieme ai feudi di Spinazzola, Forenza, Montemilone, Tnifogio, Tito, Laurenzana e Marsicovetene, dipendeva dalla Contea di Gravina, facente parte questa della Comestabulia di Terra di Bari. Signore e feudatario di Campomaggiore all’epoca era un tale Roberto di Pietraperciate = Pietrapertosa (1).

Si direbbe, pertanto, che l’abitato di Campomaggiore dovette sorgere ad opera di quelle schiere di Normanni che, dal 1016 al 1040, corsero per questa regione alla ventura, assoldati ora dai Principi di Salerno, ora dagli Abati di Cassino, ed è anche probabile che in questo "Campo Maggiore" i Normanni stessi riunissero i loro eserciti quando mossero alla conquista di Melfi (1040-1041), da dove il loro dominio si ampliò in breve tempo in tutta l’Italia meridionale.

Sotto la dominazione Sveva, Campomaggiore fece parte di quell’immenso feudo (comprendeva le contee di Gravina, Tricarico e Montescaglioso, il Principato di Taranto e l’Honor Montis Sancti Angeli) che Federico II, con testamento del 10 dicembre 1250, assegnò a Manfredi. Successivamente assegnato da Innocenzo IV a Bertoldo di Hoenburg e poi da Manfredi medesimo ai Lancia.

Dopo la battaglia di Benevento (1266), Carlo I d’Angiò assegnò il feudo di Campomaggiore a Roberto d’Artois, sotto il quale i Campomaggioresi, come quasi tutti Lucani, insorsero contro i Guelfi; coraggiosamente innalzarono la bandiera Ghibellina e furono tra quelli che più resistettero. Per tale motivo, durante la lotta di repressione da parte dei feudatari dei d’Angiò, condotta in Lucania da Ruggero Sanseverino e Pietro de Beaumont (1268), i paesi di Campomaggiore e di Vaglio subirono le stragi più gravi e saccheggi peggiori da parte delle soldatesche angioine (2).

Domata la rivolta e ristabilito l’ordine, le terre di Campomaggiore unitamente a quelle di Oppido, Albano, Tnivigno e del Potentino, la sera di Natale dello stesso anno 1268, furono donate da Carlo I d’Angiò a Pietro de Beaumont. A questi successe la figlia Margherita, la quale, con aggiunta la contea di Montescaglioso, portò dette terre in dote, sposando Giovanni di Montefonte (3).

Successivamente la terra di Campomaggiore venne assegnata a Federico de Tournespée, a cui, nel 1278, successe il figlio Roberto (4).

Dopo le stragi della lotta di repressione dei feudatari dei d’Angiò, la popolazione di Campomaggiore contò soltanto 15 fuochi, pari ad un massimo di 90 persone ed un minimo di 60, le quali furono tenute a pagare tasse pari a 3 once d’oro, 22 tari e 16 grana (5), nonché un augustale (uguale ad 1/4 di oncia) a fuoco, quale tributo straordinario imposto alla popolazione dei centri ribelli (6). A queste tasse naturalmente seguiva la consegna di generi in natura, che venivano requisiti arbitrariamente per le esigenze della corte napoletana e dell’esercito, come avveniva del resto per gli altri centri lucani (7).

Inoltre, i Campomaggioresi dovettero concorrere alla colletta straordinaria del 1280 che fu fatta per i lavori di ampliamento del castello di Melfi, come già detto, pagando la somma di 2 once d’oro, 28 tari e 16 grana (8). Sempre nella stessa epoca gli uomini di Campomaggiore furono impiegati alla manutenzione del castello di Brindisi di Montagna assieme a quelli di quelle terre ed a quelli di Pietrapertosa, Tnifogio, Castelmezzano, Castel Bellotto, Tnivigno, Laurosielli, Accettura, Rodie, Gallipoli, Garaguso ed Oliveto Lucano (9).

 

Campomaggiore, come tutta la Lucania, che sembrava avesse risentito l’influenza e l’incremento culturale dato dai principi Normanni e Svevi, sotto la lunga e triste dominazione Angioina, per lo stato continuo di oppressione e di abbandono insieme, rimase del tutto estraneo al movimento culturale e del progresso in genere, Il suo territorio divenne demanio regio, quindi abbandonato al latifondo ed alla pastorizia. Si riprese soltanto verso la prima metà del XVII secolo, cioè quando venne nuovamente dato in feudo a Carlo Rendina, il quale, nel dicembre 1622, aveva avuto il titolo di Conte dal re Ferdinando IV. A Carlo Rendina subentrò il figlio Gerardo Antonio, il quale non dovette avere molta fortuna, giacché, il 4 maggio 1673, vendette il feudo a Cassandra Sabariana, marchesa di San Chirico Nuovo (10), A questo punto le notizie storiche ed i documenti sicuri incominciano a difettare e non resta che aggrapparci alle dicerie popolari. Si narra, per esempio, che il palazzo residenziale e la chiesa antistante di Campomaggiore vecchio furono fatti costruire tre quattro secoli fa da una nobildonna di un paese vicino, che qualcuno afferma fosse una marchesa, qualche altro una contessa. Io ritengo si tratti appunto della marchesa Cassandra, della quale si è parlato.

Ciò spiegherebbe le due stratificazioni che presenta il centro di Campomaggiore vecchio, e, cioè: la parte di sinistra, compresi il piccolo convento e la chiesetta, sono la parte più antica; quella di destra, compresi il palazzo residenziale e la chiesa grande, la meno antica. Quest’ultima non potrebbe essere stata costruita prima del XVI-XVII secolo, come si può dedurre anche dalle strutture architettoniche e dalla disposizione urbanistica.

I nobili Rendina, signori di Campomaggiore, i cui eredi esistono tutt’oggi, non si sa quando e come, unirono la loro casata a quella dei Cutinelli, altrettanto nobili. I Cutinelli-Rendina sono rimasti a lungo nel buon ricordo dei Campomaggioresi, specialmente di quelli della vecchia generazione, i quali, attraverso i loro avi, hanno sentito più da vicino la benevola protezione di detti signori. Questo reverente ricordo essi lo esternano percorrendo la menzionata via comunale che porta alla valle del Frassino, da dove non sanno fare a meno di guardare ogni volta "il casino della Contessa" (la villa dei Cutinelli-Rendina). Altro sguardo reverente e pietoso essi rivolgono al cippo funerario che si trova a trecento metri ad ovest di Campomaggiore vecchio, dove, come si rileva dall’epigrafe, il 2 novembre 1885, il buon marchese Gioacchino Cutinelli-Rendina, illustre letterato e patriota, cadde accidentalmente da cavallo e morì. Detto cippo venne posto alla sua memoria dalla di lui vedova Signora Laura Antonacci.

L’anno 1885 fu veramente infausto per Campomaggiore vecchio: già il 10 febbraio il centro abitato, che contava circa 350 abitazioni, venne interamente smosso da una improvvisa e gigantesca frana, Gli abitanti fecero, comunque, in tempo nei giorni successivi ad abbandonare le case, portando via tutto ciò che ritennero utile (si dice che portassero via anche gli architravi ed altre opere murarie) e, con la bandiera civica, si portarono in massa verso Gallipoli-Cognato, ove intendevano ricostruire il paese in località chiamata: "‘o chian’ d’ pila" (il Piano della Pila).

Alla ricostruzione del nuovo centro di Campomaggiore in una nuova sede e in una nuova località

Campomaggiore vecchio: la Chiesa

concorsero lo Stato, con le sovvenzioni approvate il 28 giugno 1885 e 26 luglio 1888, e la Provincia di Potenza che offrì la somma di lire 40.000 (11). Ma il nuovo centro di Campomaggiore non sorse al Piano della Pila, presso Gallipoli-Cognato, come era espresso desiderio dei cittadini, bensì in .altra località omonima, a tre chilometri ad ovest di quello vecchio, cioè nella sede attuale.

Il compianto marchese Gioacchino Cutinelli-Rendina, Come i suoi avi, benemerito della Lucania letteraria, fece in tempo a scrivere la storia del paese, dando al libro il giusto titolo: "Necrologia di un paese", volume, o manoscritto, divenuto introvabile e che, purtroppo, non ho avuto la fortuna di rintracciare finora, per quante ricerche abbia fatto.

 

 

Altri particolari

Lo stemma del Comune di Campomaggiore rappresenta una donna sotto una quercia, con la mano sinistra sollevata alla quercia stessa, mentre con la destra regge una cornucopia; sullo sfondo un campo di grano ed ai piedi una piccola falce ed un covone di spighe. Secondo il Racioppi ciò sembra volesse simboleggiare l’agricoltura e la feracità dei campi (12). Credo che si possano aggiungere altri significati: la benevola e paterna potenza dei signori di Campomaggiore, simboleggiata dalla donna, e la forza secolare del carattere dei Campomaggioresi, simboleggiata dalla quercia, dato che questi ultimi furono educati a lottare sin dalle loro lontane origini per una libertà democratica. Infatti, se non siamo in errore, quel popolo nacque dai Normanni e venne poi educato e governato dagli Svevi, mediante le leggi Federiciane. Perciò a malincuore sopportarono le dure successive dominazioni e, appena scorsero lo spiraglio da cui a intravedeva vagamente una lontana possibilità di libertà, scesero in campo e lottarono per l’indipendenza loro e d’Italia.

Questi i nomi degli illustri patrioti di Campomaggiore che si distinsero nella lotta del Risorgimento dal 1700 al 1870: ABRIOLA Pasquale, BALSAMO Gaetano e Michele Arcangelo, BAROTTA Antonio, BISCAGLIA Michele Arcangelo, BLOSI Rocco, BONOMO Egidio, CAFARELLI Achille CARBONE Vincenzo, CHIAROMONIE Leonardo, CUTINELLIRENDINA Gioacchino, GALOPPI Giuseppe, GIUDICE Angelo Maria e Giuseppe, LAROCCA Gaetano, MUGNO Vincenzo, PINTO Vincenzo, PERRONE Vincenzo, RENDINA Giuseppe e Saverio, SANSONE Saverio, SCERRE Luigi e SPANO Vito (13). Molti di questi furono senz’altro fra i volontari di quella grande schiera di patrioti che, al comando del Luogotenente LUCIANI, marciò su Potenza nel pomeriggio del 18 agosto 1860.

Sotto l’aspetto religioso i cittadini di Campomaggiore si possono considerare dei ferventi Cattolici. Essi, sotto questo aspetto, dovettero essere educati prima dai monaci Basiliani, milizia pretoriana della Chiesa di Costantinopoli, che, durante il X secolo, vennero a stabilirsi sul litorale Adriatico, penetrando poi all’interno, quindi in Lucania, dove vennero in contrasto con i monaci Benedettini, i quali potettero affermarsi soltanto dopo la dominazione dei Normanni (14).

Questo fatto lo possiamo dedurre dal fatto che il piccolo convento di Campomaggiore vecchio e l’annessa chiesetta in particolare, erano rivolti verso oriente, cioè verso la madre Chiesa di Costantinopoli.

Seguirono ai monaci Benedettini, i Francescani e gli Agostiniani. Verso il ‘600 giunsero dalla Calabria i Carmelitani, i quali si diffusero nei luoghi più remoti di questa regione, favorendo il culto di Maria SS. del Carmelo, che i cittadini di Campomaggiore, in seguito, scelsero ed elessero a loro Patrona (15).

 


 

(1)   FORTUNATO G.:   Op. cit., vol, III, pag. 93-98.

(2)   FORTUNATO G.:   Op. cit., vol, III, pag. 127.

(3)   FORTUNATO G.:   Op. cit., vol, III, pag. 133.

(4)   FORTUNATO G.:   Op. cit., vol, III, pag. 136.

(5)   FORTUNATO G.:   Op. cit., vol, III, pag. 153.
(6)   FORTUNATO G.:   Op. cit., vol, III, pag. 128.
(7)   FORTUNATO G.:   Op. cit., vol, III, pag. 159.

(8)   FORTUNATO G.:   Op. cit., vol, III, pag. 149.
(9)   FORTUNATO G.:   Op. cit., vol, III, pag. 146.

10)  Pedio T.: Storia della storiografia Lucana, Ediz, del Centro Libranio, Bari, 1964, pag, 23, 40 e 43.

(11) RACIOPPI G.: Storia dei popoli, ecc., Op. cit,, vol, II, pag. 40.

(12) RACIOPPI G.: Storia dei popoli, ecc., Op. cit,, vol, II, pag. 203.

 

 

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