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DONNA ISABELLA GLINNI

- Romanzo -

Rachele Zaza Padula

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INDICE

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PARTE
VI

Per molti giorni visse come un automa, spenta ad ogni richiamo. Poi, gli avvenimenti precipitarono. Un mattino si sentì un grido fortissimo provenire dalla camera dei nonni; tutti corsero e videro don Nicola riverso sul letto già nell’immobilità della morte. Un altro lutto, un altro funerale nella grande casa. Isabella fu confortata dalla presenza dei suoi genitori, giunti da Napoli per l’occasione, e della sorella Marianna, che era diventata una giovanetta simpatica e spigliata e che per queste sue doti trovava intesa col carattere gioviale e furbesco del cugino Pietro Paolo. Da parte di ognuno fu riservata particolare cura a donna Anna, affranta dal dolore. Il figlio Giuseppe non la lasciava mai; si era legato a lei in una forma esasperata. Aveva il terrore di perdere anche lei. A donna Anna mancava il suo uomo, con cui aveva condiviso le scoperte d’amore; le mancava la sua dedizione, quel suo affidarsi a lei con aria sperduta di fronte ai problemi di famiglia. < Anna, che fare?>- era solito dirle;- le mancava la sua silenziosa gentilezza. Ripercorreva le tappe della loro vita in comune: i primi anni di passione, l’insaziabile desiderio che aveva di lei. Era stata felice con lui che l’aveva fatta sentire la padrona degna di rispetto, la sua dama, la madre dei suoi numerosi figli.
Era novembre: una bruma scura copriva il paese e tutto intorno una pioggia insistente e sottile gonfiava le radici, i funghi, i ricci al macero e il muschio natalizio. Donna Anna avvertì un malore che la costrinse a letto. Erano passati quattro mesi dalla morte di don Nicola e l’estate era trascorsa tristemente, senza le solite gite, le escursioni nei boschi, le merende all’aperto che proprio don Nicola era così bravo ad organizzare. In casa regnava una costernazione indicibile. Maddalena, ormai vecchia, chiese aiuto ad Isabella perché prendesse le redini della casa. Ella di buon grado si prodigò in tutti i sensi. Fu chiamato il medico che dette poche speranze < E’ molto debilitata. L’età, le numerose gravidanze, la recente morte del marito…E’ difficile che si riprenda, anche perché si nutre poco e quel poco che mangia non le giova, è come se lei lo rifiutasse. Mi pare che non abbia più voglia di vivere.> Così crudemente si era espresso di fronte ai figli, ai nipoti, attoniti e poco preparati ad accettare la fine di donna Anna, che era stata sostegno e riferimento per tutti e che sembrava non dovesse mai venire a mancare.
Una sera Isabella, più stanca del solito, desiderò rifugiarsi in biblioteca dove lo zio Giuseppe ormai trascorreva tutto il suo tempo da quando la madre era malata. Era diventato il suo rifugio.
-Oh Isabella, che bella sorpresa! Pensavo che tu rifuggissi da me e da questo luogo. Siediti, parliamo un po’ come ai vecchi tempi.
-Mio caro zio, i vecchi tempi sono ormai lontani. Nulla è più come prima e nella nostra famiglia incombe una nuova prova dolorosa.
-No! Non dire così! Sono certo che la mamma guarirà. Ha una tempra forte, supererà il suo male- rispose con una convinzione che egli si imponeva e con la quale sembrava volesse esorcizzare la paura.- Non poteva accettare di perdere tanti affetti. Gli sembrava un torto, una persecuzione.
Isabella soffrì nel vederlo così debole e inconsapevole, nel costatare il suo tenace e irrazionale rifiuto della realtà. Gli carezzò la guancia con tenerezza.
-Mia cara, voglio dirti quanto ho racchiuso nel cuore da tempo. Non commettere il mio errore, non rimanere sola. La solitudine, col passare degli anni, è una morsa che toglie il respiro, debilita, smorza il sorriso e la fantasia.
Lo zio continuò dicendole che da giovane aveva inseguito ideali alti, eroici, con la illusione che il corso degli anni fosse interminabile. Aveva perduto di vista l’essenza di una vita normale, serena, secondo la natura e le leggi della Chiesa che vuole che gli uomini e le donne si uniscano in nome di Dio e procreino. Attratto dai suoi studi, aveva trascurato di coltivare le gioie più semplici che i più perseguono: l’innamoramento, una famiglia propria, i figli, che, soli, assicurano la continuità e fanno sentire completi gli essere umani. Il vederli crescere procura affanni e preoccupazioni, oltre che gioie e soddisfazioni; ma dà un senso ineffabile di potenza e di forza. Gli pareva di essere vissuto inutilmente, di essere un albero sterile, senza frutti. Era quella la causa del suo male così sfuggente, che lo faceva vivere nell’inerzia dell’animo con una sensazione di inconsistenza.
-Voglio che la mia condizione sia di monito per te, Isabella. Ti prego, non sacrificare la tua giovinezza ad un ideale, che, se pur diverso dal mio, può avvolgerti in una rete pericolosa che ti soffocherà. E’ come essere prigionieri. So tutto di te e di Mario, e da tempo. Non si può amare un sogno irrealizzabile, si rischia di morire di languore. Alla tua età così preziosa hai bisogno di un uomo che ti stia vicino, ti faccia sentire donna, risvegliando in te i richiami terreni dell’amore. Non voglio che anche tu…
-Voi sapete? Che sollievo potervi aprire il cuore! Dopo la morte dello zio Filippo, che era il mio confidente, non sono riuscita ad esternare a nessun altro la mia pena. I miei sono lontani e la mamma è così diversa da me. Marianna, forse, ma è così gioiosa e sbrigativa negli approcci che non mi pare adatta ad ascoltarmi e a condividere una storia dai contorni tanto sfumati, come quella tra me e Mario, che mi accora e mi impegna, ormai, esclusivamente a livello spirituale e intellettuale. Sono successe tante cose ed ora la malattia della nonna. L’ultima volta in cui Mario è stato qui, abbiamo deciso dolorosamente di non nutrire più i nostri sentimenti; ma mi sono rimasti dentro e talvolta mi sento smarrita e confusa. Ciò che mi avete detto mi è di grande consolazione e mi spinge a scuotermi dal mio torpore, dall’insidia di un pensiero che è come un tarlo: che a me non sia concesso vivere come gli altri, quasi fossi una persona cui la fortuna toglie e non può concedere. Come vorrei essere più superficiale e affidarmi al caso, a ciò che porta ogni nuovo sole…
-Isabella, coltiva delle amicizie, accompagnati con i tuoi giovani cugini; sarebbe un’infamia che una donna quale sei tu non godesse delle gioie del matrimonio. Mario ha scelto di sacrificare se stesso e le sue aspirazioni personali alla fede in una società fondata sulla uguaglianza e fratellanza delle genti. Lo conosco bene e conosco l’intensità delle sue idee: vive in un costante stato febbrile, che gli toglie l’ansia di qualsiasi altro proposito. Né ancora prova la delusione e il vuoto che condanna me all’infelicità che nasce dalla improvvisa e inattesa constatazione di aver sbagliato ad annullare qualsiasi altro anelito, spinto dall’unico interesse per le lettere e la conoscenza. E’ stato come un risveglio doloroso, ma troppo tardivo.
Aggiunse che anche zio Filippo aveva convissuto con un segreto fino all’ultimo respiro, forse una pena d’amore. Anch’egli aveva molto sofferto, anche se nella numerosa famiglia del fratello aveva trovato, dedicandosi alla educazione dei nipoti, il modo per superare la disperazione cui lo portava il suo tormento. Alcuni giorni era dolente, altri addirittura felice, quasi appagato da dolce visione.
Isabella rimase sorpresa dalle ultime riflessioni del suo interlocutore: egli aveva capito che lo zio Filippo aveva amato senza speranza, ma non sapeva che l’oggetto del desiderio era stata donna Anna e che la dolce visione che talvolta lo consolava era lei. L’arcidiacono era rimasto nella grande casa, oltre che per ubbidire alla volontà del padre e aiutare Nicola, per avere la possibilità di vedere la persona che adorava, condannandosi ad una pena che gli faceva assumere quell’aria sempre pensierosa e un po’ misteriosa. Mai, Isabella avrebbe rivelato ad alcuno il segreto che lo zio le aveva velatamente confidato.
-L’amore per Mario è stato per me incanto e fascinazione; alla sua presenza sentivo un fremito prendere tutta la mia persona, un’attrazione dolcissima; quando era lontano fantasticavo incontri, dialoghi, sorrisi, schermaglie amorose che riuscivano a dare un senso a tante lunghe giornate tediose, specie d’inverno. Non rinnegherò le emozioni che mi ha regalato, la gioia che mi riempiva il cuore alla sua vista, l’ammirazione che mi rapiva quando lo sentivo parlare, l’orgoglio nel sentirmi scelta da lui. Purtroppo, tutto questo si è dissolto, perduto, è svanito come neve al sole, senza drammi poiché entrambi abbiamo compreso che il nostro legame era impossibile. Ognuno di noi per amore ha voluto evitare all’altro di tener fede ad un vincolo che la lontananza, i tempi, le scelte di vita diverse avrebbero, comunque, spezzato. Che sofferenza! Giorni interi ho pianto ed ho temuto di non poter sopportare una prova così dolorosa. Poi, un poco alla volta ho trovato la forza della rassegnazione. Questa rinunzia, però, mi ha cambiata: non sono portata come prima a fantasticare, a sognare, mi sento più matura, certamente più triste.
-Lo vedi che ho ragione! Hai bisogno di distrarti; non vorrei che perdessi il tuo splendido sorriso, il tuo entusiasmo così contagioso. Oh, i sogni giovanili quasi mai si avverano! Tutti i giovani provano l’amarezza del disinganno. Per alcuni sopraggiunge il sano realismo, e sono i più fortunati, altri non riescono ad accettarlo e sono destinati a vivere in un perenne disincanto che li rende incapaci di tessere trame di vita. Salvati, Isabella, ti prego!
-Vi vedo accorato per la mia sorte. Rassicuratevi. Non ho invano ascoltato le vostre parole; al vostro consiglio mi sono sempre affidata. Forse avete ragione: quello che più spaventa è la solitudine, io non posso sottovalutarne gli effetti deleteri, né posso ignorare il grigiore che inevitabilmente porta con sé.Vi ringrazio di avere tanta cura di me; per me è un sollievo sapere che voi conoscete il mio segreto. Ora voglio recarmi dalla nonna per accertarmi che non abbia bisogno di nulla. Ci vedremo a cena.
Isabella uscì dalla biblioteca con il cuore in tumulto per aver parlato di Mario, riaprendo una ferita non ancora rimarginata e per aver ascoltato le argomentazioni dello zio Giuseppe che, se da un lato la rasserenavano, convincendola, dall’altro la rattristavano al pensiero che egli fosse afflitto da un male sottile che lo consumava. Si fermò, aveva bisogno di dominare la sua apprensione prima di far visita a donna Anna. Si augurava di essere forte perché sentiva che stava per cedere.
-Nonna, come state? Maddalena mi ha riferito che avete mangiato poco. Volete che vi prepariamo qualche pietanza particolare? Siete molto debole e dovete nutrirvi.
-Isabella, siamo stati e siamo tuttora degli egoisti a pesare tanto su di te. Alla tua età non è giusto che ti faccia carico di tante responsabilità. Ti sei sempre prodigata per tutti, ora è tempo che pensi a te. Questo è il cruccio maggiore che mi affligge da quando sono a letto. Non puoi assumerti il peso della casa. Prese da tante cose io e te abbiamo parlato poco, anche se ognuna sapeva dell’affetto dell’altra. Da tempo ho in animo di dirti, pur rispettando le tue inclinazioni, che è bene che tu scelga un compagno che ti sia vicino nei momenti difficili, quando la tempesta infuria, ma soprattutto ti dia la gioia della maternità. Non c’è niente che possa essere comparato alla felicità che la natura molto benevolmente ha donato a noi donne. La maternità ci rende degne di rispetto ed è un privilegio solo nostro. Quando il nostro ventre si gonfia ci procura un intimo appagamento e, quando siamo vicine a partorire, proviamo un segreto affanno per il distacco dal piccolo essere, davvero carne della nostra carne e sangue del nostro sangue. Poi, il primo vagito; allora siamo prese da una spossatezza liberatoria.
Ora va, ti tengo nel cuore e pregherò per te.
Isabella si diresse verso la sala dove la attendevano per la cena. Era soprappensiero. La nonna le aveva aperto uno spazio in cui non era mai entrata. La maternità! Un figlio suo!

*

Donna Anna continuava a rifiutare il cibo caparbiamente e rifiutava anche di assumere le medicine che il medico le prescriveva. La povera Maddalena, inutilmente, arrancava su e giù per le scale con i vassoi.
Morì di inedia in una notte di dicembre, poco prima del Santo Natale, portando con sé tutta la letizia di questa festa e tutto il mondo di quasi un secolo di casa Glinni. Maddalena non si staccò dal suo letto negli ultimi giorni di agonia e la carezzava e piangeva e pregava. Quando spirò, si mise in un angolo della stanza perché la circondassero di amore i figli e i nipoti. Un dolore composto accomunava tutti. Solo don Giuseppe dava di tanto in tanto in escandescenze, né riusciva ad evitare di scoppiare in un pianto disperato che sembrava non dovesse finire mai. Senza la madre si sentiva completamente solo pur nella numerosa tribù della grande casa; gli sembrava che gli altri avessero affetti propri, occupazioni concrete, mentre lui viveva in una dimensione che non aveva vincoli con il presente e la realtà ed era ossessionato dall’idea di aver sbagliato tutte le sue scelte, di aver costruito un castello di “carte”. Purtroppo, si era rifugiato ad Acerenza nel tempo dei lutti e questo lo sconvolgeva ancor più. Negli esseri umani, per tutta l’esistenza, resta la nostalgia dell’alveo materno che li aveva avvolti in protezione. In lui questo sentimento era diventato fortissimo, tanto da identificare il paese natio con il grembo materno. Da qui il suo ritorno e il suo morboso attaccamento alla madre. La morte di donna Anna lo ricacciò violentemente tra le sue elucubrazioni. Era seduto ai piedi del letto, con gli occhi rossi di pianto, persi nel vuoto.
Don Saverio interruppe le preghiere e si accostò a Maddalena per toglierla dall’angolo d’ombra che si era scelta, ma ella s’accasciò tra le sue braccia. Se ne era andata in punta di piedi, senza far rumore. Grandi furono la commozione e la meraviglia di tutti nel constatare che la fedeltà e l’amore di Maddalena per donna Anna erano tali che ella non era sopravvissuta alla sua scomparsa; ella che per tanti anni si era dedicata alla numerosa famiglia di don Nicola senza altro desiderio che quello di accontentare tutti. Furono concordi nel decidere che le bare fossero uguali, di noce intagliata. Ad alcuni la loro scelta sarebbe apparsa sconveniente data la differenza sociale tra le due donne; a loro, invece, appariva irriverente una qualsiasi forma di distinzione che non tenesse conto che Maddalena per loro era stata una seconda madre.
Fu molto commovente il comune rito funebre; Isabella durante tutta la funzione immaginò la nonna e Maddalena ancora bambina tenersi per mano nell’ultimo percorso, a guida l’una dell’altra, e confondersi in una luce chiarissima.
Per giorni e giorni durò il via vai delle visite di condoglianze: la famiglia Glinni era conosciuta anche in provincia e fuori e, poi, nell’uso del tempo, ognuno che avesse anche poca familiarità con le persone colpite da un lutto era tenuto ad esprimere loro la propria tristezza.
Per l’occasione i genitori di Isabella accorsero ad Acerenza e la loro presenza le fu di sollievo, anche per le decisioni che furono prese. Una mattina, il padre la chiamò in disparte con l’aria di doverle comunicare qualcosa di molto importante.
-Isabella, - le disse- abbiamo deciso di stabilirci qui, in paese; siamo stanchi della lontananza e, poi, non vogliamo lasciarti con lo zio Canio e la sua famiglia, non avrebbe senso, anche se tutti riconoscono che sei un sostegno prezioso nella grande casa e non vorrebbero che ti allontanassi. Ma è tempo che riuniamo la nostra famiglia, ho desiderio di parlarti di tante cose; non mi sento più di curare gli affari a Napoli, dove è giusto che si rechi qualcuno più giovane.
-Padre, anche io avverto prepotente il bisogno di avervi vicino. Ho sofferto molto per la perdita dei nonni e dello zio arcidiacono. Mi pare che con essi sia andata via la giovinezza e il suo incanto. Ed ora lo zio Giuseppe così inconsolabile e in preda ad uno scoramento, ad una perfidia! Sento che per me è necessario un cambiamento se non voglio rimanere prigioniera nelle spire di una morbosa nostalgia, di atmosfere che potrebbero ancor più allontanarmi dalla realtà. Ho bisogno della compagnia di Marianna, della sua gioia di vivere. Per me sarà molto doloroso il distacco dalla grande casa, ma mi sarà possibile conservare tante consuetudini giacché rimarremo ad Acerenza, e poi, i numerosi figli di zio Canio, tra cui Pietro Paolo che è un vero vulcano di idee, porteranno nuova linfa e moderne visioni di vita. Mi piacerebbe che ci stabilissimo nella casa ubicata all’ingresso del paese dalle cui finestre si vede una vasta distesa di verde che mi fa pensare all’Irlanda, la terra dei nostri avi.
Isabella parlò al padre convinta della sua scelta. Erano notti che non dormiva serena, in preda ad incubi; temeva di ammalarsi nell’animo, così intriso di malinconia, e la ossessionavano le parole dello zio Giuseppe ”Salvati, Isabella”. Di giorno le dava la possibilità di sperare in una gioia futura l’idea dolcissima della maternità che le aveva destato la nonna prima di morire. E spesso il pensiero di un figlio suo la faceva sorridere e le faceva gonfiare il petto di commozione.
-Sono contento che condividi il mio progetto. Parlerò con zio Canio e con tua madre e quanto prima sistemeremo ogni cosa- concluse il padre.-
Don Filippo uscì dalla stanza di Isabella visibilmente sollevato. Forse aveva temuto un diniego da parte della figlia. Questa, dal canto suo, rimase a lungo dietro i vetri a pensare al cambiamento che avrebbe subito la sua vita. D’un tratto le sembrò che stesse esagerando. In fondo andava a vivere poco lontano dalla grande casa. Avrebbe continuato a prendersi cura della biblioteca insieme con lo zio Giuseppe, con il quale avrebbe avuto l’intesa di sempre; avrebbe, inoltre, conservato il legame affettuoso con tutti gli altri, in particolare con Rosa.
Entrò Carmelina dopo aver bussato.
-Donna Isabella, c’è una visita per voi. Un distinto signore vi attende in salotto.
Fu presa da una insolita eccitazione. Chi poteva chiedere di vedere soltanto lei? E perché? Si acconciò i capelli, chiuse con uno spillo la pistagnina che rifiniva l’abito al collo e scese.
Don Antonio Pipoli, appena udì i passi leggeri, si girò e i suoi occhi incontrarono quelli di Isabella mentre le faceva un inchino ossequioso.
-Donna Isabella, sono qui per esprimervi il mio rammarico per la morte di vostra nonna, tanto cara a voi e che io stimavo per le sue incomparabili virtù.
Isabella fu sorpresa nel vederlo. Non lo aspettava. Fu sorpresa nello scoprire che la sua visita le procurava piacere e nell’ ammirare la sua eleganza raffinata. Finalmente qualcuno interrompeva la sequela di giornate tristi e noiose!
-Don Antonio, vi ringrazio di cuore a nome mio e di tutti i miei cari. La nonna ha lasciato un vuoto incolmabile. Tutto in questa casa ci parla di lei e noi siamo inconsolabili. Vi prego, accomodatevi, parlatemi di voi e dei vostri viaggi.
-Ho davvero finito di viaggiare. Sono ritornato definitivamente in paese. Pensavo che ciò sarebbe accaduto prima, ma sono trascorsi quasi due anni dal giorno in cui vi incontrai al matrimonio di donna Paolina e donna Carolina e vi anticipai il mio proposito; soltanto ora sono riuscito nel mio intento. Mi dispiace rivedervi in un’occasione così triste, che mi ha fatto ancora una volta apprezzare la vostra famiglia. Mi ha colpito il fatto che sia stato officiato un unico rito funebre per donna Anna e per Maddalena e che le bare fossero uguali. Nel coro delle preghiere recitate dai nobili e dalla semplice gente del popolo ho avvertito un comune anelito all’unione e alla fratellanza. Ho sempre pensato che l’anima di ogni uomo è una particella di vita dell’universo e come tale va rispettata al di là delle diversità. Ho viaggiato molto e sono venuto a conoscenza di fermenti e di idee innovatrici che dalla Francia si vanno diffondendo in Italia e giungono anche nel Sud. Ritengo, senza ombra di dubbio, che la vostra famiglia sia molto aperta ai tempi nuovi. Perdonatemi, donna Isabella. Non sono discorsi da farsi ad una giovane donna che sta soffrendo e ha bisogno che qualcuno le faccia per un po’ dimenticare la sua tristezza…
-Don Antonio, sappiate che le vostre parole richiamano alla mia mente temi che mi stanno molto a cuore; inoltre, mi rendono noto un aspetto della vostra persona che non immaginavo e che mi è molto gradito.
-Quanto dite avvalora l’idea che mi sono fatta di voi: siete certamente diversa dalle altre donne e questa singolarità mi ha sempre affascinato. So che non è il momento adatto per chiedervi ancora una volta il permesso di incontrarvi qualche volta perché possiamo conoscere i nostri intenti. Stabilirete voi le modalità.
-Oggi avete destato il mio interesse. Chiederò ai miei il permesso di vedervi.
-Vi ringrazio. Ora vi lascio, ho già abusato del vostro tempo.
Le baciò la mano con tenerezza e si allontanò spedito. Isabella avrebbe voluto dirgli qualcos’altro, ma la sua visita, il colloquio che avevano avuto l’avevano profondamente turbata. Nel suo sguardo dolcissimo si scorgeva tutta l’ammirazione che nutriva per lei e ne era compiaciuta. Tornata in camera sua fu sopraffatta da tanti pensieri contraddittori. Com’era possibile che la richiesta fattale da don Antonio Pipoli l’avesse lasciata indifferente alcuni anni addietro ed ora, invece, le procurava uno stato di trepidazione, quasi le restituisse la fiducia in se stessa e la possibilità di tessere trame per il suo futuro? E Mario? Lo aveva dimenticato? Immediatamente il suo ricordo la rattristò; a lui non erano più legate speranze ed illusioni, da lui ormai non le veniva quel senso di pienezza nel cuore che la smarriva, ma una pena intima. Lo aveva perduto come aveva perduto lo zio Canio, l’arcidiacono, i nonni, ormai la loro separazione era irrimediabile. Dov’era? Cosa faceva? Non lo vedeva ormai da tempo e la memoria delle sue fattezze andava di giorno in giorno svanendo: rimanevano, però, intatti il magnetismo delle sue parole e l’ incanto di certi momenti che le avevano fatto vivere un sogno. Tutto questo le sarebbe rimasto per sempre nel cuore e nulla e nessuno avrebbe potuto mai cancellarlo, poiché era tutt’uno con la sua dolce giovinezza che era passata. Don Antonio Pipoli era il presente e forse la sua salvezza. Era indubbiamente un bell’uomo; i suoi lineamenti regolari rendevano armonioso il suo volto in cui risaltavano gli occhi di un colore cangiante dal grigio al verde.
Talvolta, di notte si svegliava di soprassalto tanto era forte l’ansia di essere amata ed abbracciata, di avere un uomo accanto a sé. Non le dispiaceva che in quel giorno che si annunziava simile a tutti gli altri, senza cambiamenti, qualcuno le avesse fatto visita e le avesse ricordato che era attraente. Ammirava in cuor suo la tenacia del suo corteggiatore e sorrideva al pensiero che egli l’avesse attesa per tanto tempo, che la desiderasse. Per il momento non si sarebbe confidata con nessuno. Doveva e voleva aspettare qualche giorno prima di parlarne con i suoi. Un dubbio improvvisamente si insinuò nella sua mente ”E se, sapendomi ancora sola, non maritata, volesse rendermi il rifiuto che ha avuto, volesse prendersi una rivincita ?”
Non le sembrava possibile che egli nutrisse sentimenti così spregevoli, anzi, le era parso che i suoi occhi fossero animati da sentimenti nobili e sinceri. Comunque, di una cosa era certa: lo avrebbe rivisto. Non poteva più rifiutare la vita, che ora le sollecitava una scelta che prescindeva dalla grande casa nella quale fino ad allora si era circoscritta, difesa dagli avvenimenti, dagli intrighi, dai viluppi e sviluppi che si svolgevano al di là di essa. Scoprì di non avere un’amica con cui condividere un segreto; la sorella, poi, era vissuta sempre lontana per la qual cosa non sentiva lo slancio di correre da lei e chiederle consiglio, confessandole ciò che provava dopo la visita di Antonio. Si sorprese piacevolmente a pensarlo col solo nome, poi, continuò a lasciarsi trascinare dalle sue riflessioni. Doveva rompere il cerchio doloroso che la teneva prigioniera; aveva addirittura pensato che il suo amore per Mario, nato nella grande casa, potesse crescere e rafforzarsi in essa senza affrontare le prove che la storia personale e sociale impone a ciascuno di noi a contatto con gli altri nelle strade, nelle piazze, nei salotti, nei mercati, dovunque la vita si abbarbica con le sue leggi e ineluttabilità. Ecco la risoluzione: la domenica seguente si sarebbe recata in chiesa all’ora della messa cantata che richiamava la maggior parte dei fedeli e avrebbe certamente incontrato Antonio, al quale avrebbe detto che partiva per Napoli insieme con la famiglia e che al suo ritorno avrebbero avuto modo di vedersi. Era una promessa.
Il padre, invero, l’aveva spinta ad andare a Napoli.
-Vieni anche tu, Isabella. Sarà per te un’esperienza nuova. E, poi, ci aiuterai a sistemare le cose prima di trasferirci definitivamente ad Acerenza.
Ella non gli aveva risposto, era ancora sotto il peso di tanti dolorosi accadimenti, ma ora si era decisa a farlo.
Napoli la invase con il suo movimento, con le strade piene di gente rumorosa e con i vicoli bui e rancorosi. Fu presa dal desiderio di vedere, di conoscere. Com’era diverso ad Acerenza, dove le giornate trascorrevano all’insegna del non sapere cosa fare, dove andare! Un mattino entrò in una libreria insieme con Marianna e con sorpresa scoprì che in essa si vendevano molti testi che erano allineati nelle scansie della biblioteca di casa Glinni. L’arcidiacono Filippo e lo zio Giuseppe avevano fatto un buon lavoro. All’improvviso la colse un pensiero ”Chissà quante volte Mario é entrato in questa libreria? Forse anche le sue opere sono a disposizione?” Non osò chiederle; non volle cedere all’insidia di una curiosità interessata, che avrebbe portato con sé non si sa quali conseguenze. Il ricordo di Mario, però, la rabbuiò, le tolse il desiderio di continuare a gironzolare e disse improvvisamente a Marianna di voler rincasare. Marianna che non gradiva farlo cercò di dissuaderla promettendole che avrebbero visitato i negozi più eleganti di Napoli, dove era possibile vedere stoffe pregiate, merletti, borse e scarpe che costituivano le ultime novità della moda.
Niente ormai poteva attrarla. Un senso di impotenza l’aveva presa; avrebbe voluto piangere, ma riuscì a vincere lo sconforto e disse alla sorella:
- Marianna, grazie. E’ solo un po’ di stanchezza; ti prego. Usciremo di nuovo nel pomeriggio o, al più tardi, domani mattina.
Marianna la accontentò, anche se si chiedeva cosa avesse turbato così all’improvviso la sorella e si interrogava se mai avesse detto qualcosa di sbagliato o di sgradevole.
Isabella camminava a fatica. Il pensiero di Mario l’aveva sconcertata, non perché ne desiderasse la presenza, era più che mai rassegnata a non incontrarlo più, ma perché aveva provato un vuoto, come di un sogno svanito, di un incanto spezzato. Dedusse che era una fortuna che i genitori avessero deciso di ritornare ad Acerenza; vivere a Napoli le avrebbe procurato continuo sgomento, legato alla possibilità di rivedere Mario, di incontrare suoi amici o persone che lo conoscevano. Il giovane Antonio Pipoli le apparve, in quella condizione di sgomento come l’uomo che l’avrebbe sottratta ad un destino di sofferenza e di solitudine. Decise, quindi, di parlarne quanto prima ai suoi.
A tavola, non senza impaccio, poiché non era solita confidarsi con loro, disse:
-Miei cari, devo comunicarvi qualcosa che mi auguro vi farà piacere. Don Antonio Pipoli, che appartiene ad una famiglia di origine irlandese come la nostra, da tempo nutre nei miei confronti interesse e simpatia, e, in un nostro ultimo incontro, ha manifestato il desiderio di conoscerci meglio con l’intento di unire le nostre vite. Io sono incline ad accettare la sua proposta. Mi serve, però, il vostro consenso.
Il padre e la madre, evidentemente rincuorati perché avevano seriamente temuto che Isabella non avesse intenzione di maritarsi, si mostrarono contenti e le augurarono quanto era nei voti della figlia e di quelli che le volevano bene.
-Ecco! La verità è che nascondevi un segreto,- le disse Marianna sorridendo,- Don Antonio Pipoli è un bell’uomo e mi pare adatto alla tua persona. L’ho conosciuto al funerale della nonna e mi ha fatto una buona impressione. Ora capisco che ti pesi rimanere a Napoli. Pochi giorni ancora ci dividono dal nostro ritorno ad Acerenza, che su di te in questo momento esercita un fascino particolare. Animo, dunque, Isabella, presto tornerai ai tuoi progetti. Promettimi, però, che, in questo poco tempo che ci resta, andremo in giro a fare spese.
Nel dire questo, si alzò e abbracciò commossa la sorella.
Isabella si sentì confortata. La reazione dei suoi familiari la convinse ancor più di aver fatto la scelta giusta. Era tempo che desse una svolta alla sua vita!

*

Antonio raggiunse Isabella in giardino e le carezzò le spalle.
-Mia cara è bello vederti qui, nella nostra futura casa. La tua presenza mi emoziona, voglio che tu sappia che la mia attrazione nei tuoi confronti si fa sempre più forte e talvolta è passione incontenibile. Non riesco a pensare alla mia vita senza il tuo sorriso.
- Antonio, ti cercavo perché volevo chiederti se a te va bene che i testimoni di nozze siano Marianna e lo zio Giuseppe, le persone che sento più vicine in questa circostanza. Ho voluto avere la tua approvazione prima di parlarne con loro.
-Non avresti potuto scegliere meglio. Ho sempre apprezzato la cultura e la mente di don Giuseppe, che ora vedo accasciato, come sconfitto, e me ne dispiace. Certo la perdita di tante persone care nel giro di pochi anni ha lasciato in lui, così sensibile, segni di amaro sconforto. Da sposati lo inviteremo spesso nella nostra casa per alleviare la sua solitudine, per godere della sua compagnia e del suo giudizio e, soprattutto, perché a te farà piacere dedicarti a lui, così bisognoso di cure che lo sottraggano al suo silenzio.
-Grazie, Antonio. Sai essere così comprensivo ed è cosa che apprezzo molto; devo anche dire che sempre più spesso mi meraviglio di come tu riesca a leggere nei miei pensieri e nel mio cuore. Anche il fatto che io non viva più nella grande casa lo ha reso più triste. Prima di trasferirmi da mio padre e mia madre ho molto riflettuto e mi è parso giusto che io trascorressi con loro il poco tempo che mi separa dal matrimonio. Non c’è giorno, però, che non mi rechi a far visita agli zii, in particolare a lui che, purtroppo, come tu hai ben rilevato, mostra in tutta la sua persona una profonda afflizione. Ha bisogno di aiuto. Talvolta, quando gli parlo, non segue il mio discorso; guarda lontano attraverso i vetri della finestra e mi pare assente, rapito dietro a chissà quale pensiero o fantasticheria. Ciò che mi colpisce di più è il profondo scoramento che fiacca la sua volontà. Io non so cosa fare per allontanarlo dal suo tedio, da Acerenza e da un assillo che lo tormenta.
-So quanto ti adoperi perché esca dalla sua condizione davvero preoccupante; a me pare sia minacciato da un male inafferrabile. Ora, Isabella, devo lasciarti. Gli operai mi aspettano per avere istruzioni riguardo al lavoro di ristrutturazione della nostra casa. Non vorrei per nulla al mondo che non fosse pronta per quando ci sposeremo. E le nostre nozze sono vicine.
Le baciò la mano con trasporto e si allontanò. Isabella lo seguì con lo sguardo e in cuor suo si compiacque, era davvero un bell’uomo, ma, soprattutto la confortava il senso di sicurezza che le infondeva. Negli ultimi tempi, aveva vergogna a confessarlo a se stessa, nel vederlo, veniva presa da un desiderio di abbandonarsi a lui e con lui conoscere i fremiti amorosi che non aveva mai conosciuto. Allora pensieri poco virtuosi le affioravano alla mente e le facevano avvertire addirittura un malessere fisico, quasi uno sfinimento. Distolse volutamente il pensiero da Antonio e ricordò il giorno in cui comunicò allo zio Giuseppe la sua decisione di sposarsi.
-Isabella, cara Isabella, finalmente! Quanto mi dici mi procura sollievo e soddisfazione. Ero in pena per te la cui felicità mi sta molto a cuore. Mi andavo convincendo che io in particolare avessi contribuito al tuo smarrimento, io con i miei discorsi, con la mia dottrina, per averti fatto conoscere Mario…
-Non continuate, non è affatto come dite.Voi mi avete fatto conoscere cose che da sola, legata alla mia condizione di essere donna, non avrei mai conosciuto. Voi avete schiuso mondi negati, purtroppo, alla quasi totalità delle giovani, mi avete illuminato verità, mi avete insegnato a vivere da persona responsabile. Voi e lo zio Filippo siete stati per me i veri maestri di vita. Come pensate che io abbia potuto superare il dolore del distacco da Mario se non con la maturità che mi viene dall’aver ascoltato le vostre letture, dall’essere stata così vicina al vostro sapere. Le affascinanti interpretazioni che facevate dei classici latini e greci hanno radicato in me una grande forza d’animo. E, poi, parlate di Mario come di un male che mi avete procurato. Egli è stato uno dei più bei doni che ho avuto dall’esistenza, è stata l’incarnazione di un sogno. In una giornata piovosa, densa di foschia, forse per effetto del vento le nuvole cominciano a diradarsi, poi scompaiono, riappare il disco solare e un trionfo di luce invade l’aria, le cose, gli uomini, gli spiriti: tutto questo è stato Mario per me e il suo ricordo non uscirà mai dal mio cuore. Certo non lo occuperà tutto, ma esso può contenere molti affetti e un angolino sarà sempre riservato alla nostra storia finita. Il cuore di noi donne, poi, è grandissimo perché deve nutrire d’amore i figli che portiamo in grembo, e l’amore materno a mio parere supera tutti gli altri. Ed è stato proprio il mio forte desiderio di maternità a farmi accettare la proposta di Antonio che non viene dopo Mario o al posto di Mario, è un’altra cosa. Mario è stato ed è l’attrazione intellettuale, quasi un’astrazione; ai miei occhi è addirittura un superuomo, l’eroe del pensiero; Antonio, invece, è la realtà, la certezza, la passione, l’uomo cui devo la salvezza, giacché mi ha fatta uscire dalla cupezza che m’allagava l’animo.
-E sia benedetto! Per me era una preoccupazione e un tormento vederti sola, senza amore, vederti accudire a mansioni di una casa e di una famiglia che per troppo tempo hanno pesato su di te, specie da quando è morta la mamma. Certamente doloroso sarà per tutti noi vederti andar via, ma è giusto che sia così anche perché sono sicuro che non ti perderemo; tu sarai sempre nei nostri destini. Promettimi che verrai a trovarmi spesso… Tu rappresenti un passato felice, la cui memoria mi ossessiona perché non riesco ad accettare la ineluttabile scomparsa di tante persone care, la mamma, lo zio Filippo, mio padre don Nicola, Canio, il mio caro fratello canonico, la preziosa Maddalena. Senza la loro presenza mi pare di essere inutile, un sopravvissuto.
-Non dite questo per carità. La vostra opera di studioso, i vostri scritti sono beni rari ed è un vero peccato che abbiate interrotto il vostro impegno assiduo, che aveva fatto sì che vi costruiste un equilibrio, una saggezza pacata con la quale riuscivate a dominare tutte le situazioni, anche le più difficili.
-Isabella, tutto questo non è più per vari motivi, tra i quali due prevalgono con danno. Ora la mia attenzione è rivolta ad un’indagine di gran peso e di grande interesse, di cui non posso parlarti. Essa mi fu affidata dallo zio Filippo e confido di portarla a termine secondo la sua volontà; questa circostanza mi toglie il sonno e buona parte delle mie energie che già prima erano molto deboli. Ancora, come ho avuto modo di confessarti in altre occasioni, la vita non mi attira più come una volta quando il fervore degli studi appagava tutto il mio essere, quando la fama e il gusto della conoscenza superavano qualsiasi altro desiderio. Mi sento troppo solo, non mi resta che sperare nell’aiuto del Signore e nella comprensione di quanti mi circondano. Per te sono molto felice, peraltro, don Antonio Pipoli mi piace.
-E voi piacete a lui. Vi stima e vuole esservi amico. Ora devo lasciarvi, ma presto tornerò.
Isabella s’accorse di avere gli occhi pieni di lacrime al ricordo delle parole dello zio, che l’avevano commossa, ma anche turbata e preoccupata per la oscurità di alcune frasi a proposito dell’incarico lasciato a lui dall’arcidiacono.
Una voce la distrasse. Era Marianna che le ricordava la prova dell’abito da sposa. Ne aveva scelto uno semplicissimo perché potesse essere messo in risalto il velo che per tradizione indossavano le donne della famiglia Glinni nel giorno delle nozze. L’aveva portato dall’Irlanda la sua trisnonna e veniva custodito come una reliquia; due volte all’anno la scatola che lo conteneva veniva aperta perché il velo arieggiasse per qualche giorno, poi, veniva di nuovo conservato non senza prima mettere tra le sue pieghe due o tre nuovi sacchettini di lavanda. Isabella era orgogliosa dei suoi avi e non vedeva l’ora di indossarlo.
-Hai ragione Marianna, mi faccio prendere da tanti pensieri, li seguo e li inseguo, dimenticandomi che i giorni passano e c’è ancora tanto da preparare. Mi manca tantissimo in questa occasione la nonna: era davvero bravissima nel consigliare, predisporre, organizzare…Ricordo, tu non puoi saperlo, quando nelle ore pomeridiane la casa taceva, allora ci raccoglievamo intorno al tavolo grande ed ella ci guidava in qualche lavoro di ricamo, di cucito con una dolcezza ineffabile. Non mancavano risate e racconti e, poi, c’era la pausa devota della recita del Santo Rosario. Mi pare di ascoltare ancora la cadenza scandita delle Ave Maria e delle litanie cui rispondevamo in coro e solo molto raramente qualcosa o qualcuno interrompeva questo rituale.
Anche la mamma è brava ad organizzare, ma è molto rigida nelle sue scelte, poco fantasiosa, è così per l’educazione ricevuta. Per lei è addirittura dannoso lasciarsi prendere dall’entusiasmo e agire d’impulso; ella consiglia di avere sempre il controllo delle situazioni e di non lasciare nulla al caso.
A proposito, ho deciso che tu e lo zio Giuseppe sarete i testimoni alle mie nozze e Rosa sarà la mia damigella. Voglio che lei, che mi è tanto affezionata, regga il velo e mi sia vicina sull’altare. Rosa è diventata una giovane deliziosa. E’ straordinaria per l’ intuito e la sensibilità, però, a volte mi spaventa per il trasporto e la dedizione con cui fa le cose; temo che questo la farà soffrire. Andiamo, Marianna, rischiamo davvero di fare molto tardi.
-Andiamo. Mi dispiace assai essere stata tanti anni lontana da te. La tua persona mi piace e accanto a te mi sento libera di essere me stessa, libera di confessarti le sensazioni che provo, certa di essere ascoltata e compresa. Sono felice e orgogliosa di essere tua sorella e di farti da madrina.
La sarta trovò che il vestito era perfetto e che non necessitavano ulteriori prove, le sembrava opportuno, però, che Isabella passasse due giorni prima del matrimonio per verificare che non fosse sfuggita qualche imperfezione.
Marianna e Isabella tornarono a casa a passo svelto: erano impazienti di parlare con i genitori dell’abito, della casa dove gli sposi avrebbero vissuto, infine, perché si era fatto tardi ed era l’ora di cena.

*

Più passavano i giorni e più era ansiosa di scoprire le sensazioni che avrebbe provato di fronte ai cambiamenti che la vita le offriva, alle novità che la attendevano. Il giorno delle nozze, il ricevimento, i parenti, gli amici, i regali. Già alcuni stavano arrivando ed ella gioiva nell’aprire i pacchi poiché aveva sempre amato le sorprese. E, poi, anche se cercava di nasconderlo a se stessa per pudore e perché le sembrava sconveniente, spesso pensava alla prima notte, a quando avrebbe conosciuto l’amore nella sua completezza. Su questo pensiero si soffermava ora timorosa e sgomenta ora trepida e curiosa, talvolta desiderosa che quanto prima si compisse il suo destino di donna. Non riusciva, pur volendolo, ad immaginare Antonio nell’amplesso amoroso, perché, ad un certo punto, le sembrava che fossero licenziose e peccaminose le sue fantasticherie. Allora sentiva le gote in fiamme e provava un languore come se il sangue affluisse tutto nel cuore che palpitava fortemente.
Seguirono giorni ed ore di grande fermento: le visite, le ultime compere, gli appuntamenti in cattedrale con lo zio Saverio. Questi voleva che la nipote fosse pienamente consapevole dei doveri coniugali che l’attendevano. Isabella perse il contatto con le sue occupazioni quotidiane, trascurò di andare nella grande casa ed anche gli incontri con Antonio furono frettolosi e dettati dalle ultime urgenze.
Il giorno del matrimonio tutte le donne di casa Glinni aiutarono Isabella a vestirsi. Alla fine le posero il prezioso velo sul capo. Fu allora che la sposa, commossa, si lasciò andare ad un pianto liberatorio. Pensò a quante prima di lei lo avevano indossato e si sentì investita da un progetto di continuità che in un certo modo la spaventava. Ella avrebbe voluto indossare anche l’antico abito da sposa delle sue ave e custodito gelosamente; ma non si adattava assolutamente alla sua figura, pur con l’intervento di alcune modifiche. Perciò ne aveva fatto preparare uno nuovo, molto essenziale che faceva risaltare le sue forme perfette e le donava un’aria raffinata.
La carrozza l’aspettava. Il padre, sulla soglia del portone, era impeccabile nel vestito da cerimonia. Tutte andarono via e Isabella restò sola; improvvisamente affiorò alla sua mente, non richiamato, il ricordo di Mario. ”Perché non lui?” pensò. Spesso se lo era chiesto, talvolta rispondeva a se stessa che il destino aveva voluto così, talaltra cercava di distrarsi per non cadere nel tranello del suo pensiero e rimanere turbata. Questa volta si impose di non pensarci, anzi razionalmente mormorò tra sé: ”Mario mi ha dato tanto, è stato il primo a far battere il mio cuore e sempre in me vivrà il ricordo del suo fervido intelletto e delle sue passioni. Da oggi, però, l’uomo della mia vita è e sarà Antonio, lo sposo che mi attende e di cui ammiro oltre che la bella presenza, le integre convinzioni e la forza spirituale.”
La sposa comparve in cima alle scale. Tutti tacquero alla sua apparizione: era davvero bella e colpiva per il suo fascino sottile e discreto.
-Oh! Isabella,- le disse il padre – fortunato don Antonio ad avere la tua persona e le tue virtù. Auguri, figlia mia.
Nel dire questo la strinse fortemente al petto.
Avevano deciso di trascorrere la prima notte nella loro casa. Sarebbero partiti l’indomani, giacché non era consigliabile avventurarsi di sera sulle strade dove era possibile imbattersi in diseredati in cerca di aiuto, furfanti, ladri, nomadi e banditi. Era pericoloso anche di giorno; perciò era d’uso farsi accompagnare da una scorta armata di due o quattro uomini, che galoppavano ai lati della carrozza.
Antonio la fermò sulla soglia della camera da letto e le diede un bacio lungo e appassionato. Un fremito inaspettato percorse Isabella in tutto il suo corpo. Era pronta ad amare il suo uomo, finalmente libera da timori, da divieti, da ipocrisie. Si compiaceva all’idea di questa totale libertà: erano soli, lontani da occhi indiscreti e potevano unire le loro vite e la loro giovinezza. Un turbine di piacere dolcissimo la invase. Antonio era forte e delicato e la legò a sé con l’incantesimo antico che avvolge gli amanti.
Partirono di buonora ancora inebriati dal ricordo della notte trascorsa insieme. Durante il viaggio, che si svolse a tappe fino a Roma, Isabella, guardando Antonio seduto di fronte a lei, veniva presa da un forte senso di orgoglio al pensiero di essere accasata ad un uomo così energico e sicuro, ad un amante perfetto, che le aveva fatto provare sensazioni di così forte piacere che in alcuni momenti le era sembrato di annientarsi tra le sue braccia. Capiva di non essere più in attesa del suo destino; sapeva, ormai, con certezza che la sua vita era la stessa di Antonio.
Nella Roma dei papi, di cui tanto aveva sentito parlare, non le sfuggì un’occhiuta vigilanza che rendeva le persone sospettose e misteriosamente reticenti, frutto dei tempi che vedevano i potenti e le autorità insidiati dalla crescita lenta ma inesorabile del popolo, che si avviava a rivendicare i propri diritti soffocati nel corso dei secoli.
La sua meraviglia, di fronte alle bellezze dei monumenti, divenne quasi incontenibile durante la visita ai tesori del Vaticano. Il ”Giudizio Universale” di Michelangelo la rapì tanto, che la figura del Cristo Salvatore le rimase a lungo negli occhi come mirabilmente sospesa tra cielo e terra, tra virtù e peccato. Antonio riusciva a capire sorprendentemente i suoi desideri. E fece di tutto per appagarli. Furono giorni indimenticabili ed Isabella era felice. Comperò regali per tutti e il regalo più entusiasmante fu quello destinato allo zio Giuseppe: un testo antico delle “Bucoliche” di Virgilio illustrato da un bravo miniaturista che ella scovò in una vecchia libreria ad angolo, dove certamente lo zio sarebbe rimasto chiuso per ore ad ammirare edizioni rare e manoscritti.
-Deciderai tu la data del ritorno. Voglio che tutto si svolga secondo la tua volontà.>-disse Antonio.
-Ho un grande desiderio di cominciare a vivere nella nostra casa. Non vedo l’ora di dedicarmi alle mie occupazioni e di rivedere tutti i miei cari. L’unico regalo che mi resta da comprare è quello per Rosa. Sono indecisa tra uno scialle ricamato o un cappellino all’ultima moda. Ormai è una signorinella che io trovo molto attraente.
-Mi commuovi per l’amore che riponi in tutto ciò che fai, per il tuo altruismo e per la limpidezza dei tuoi pensieri che si legge nei tuoi occhi così chiari e luminosi. Penso che potremo partire tra tre giorni.
-Va bene così.
Giunsero ad Acerenza in una mattina di sole. Isabella provò un sentimento di pace, di dolce serenità, come di approdo. Le case, arroccate l’una all’altra in difesa intorno alla cattedrale, sembravano aspettarla. Ella voleva con tutte le sue forze vivere dov’era nata e vissuta e dove si sentiva amata. Quale luogo al mondo, il più rinomato, il più ricco di bellezze artistiche e paesistiche avrebbe potuto compensare il senso di protezione che l’avvolgeva nel paese scelto come rifugio dai suoi avi irlandesi in fuga dalla loro patria, sopraffatta in nome della religione da una persecuzione arbitraria ed ingiusta?
L’arrivo della loro carrozza scosse il paese dal torpore solito. Molti si affacciarono sulle porte e ai balconi mentre uno stuolo di ragazzini la seguiva vociante. Isabella scese aiutata dal marito e varcò la soglia della sua casa con vero sollievo. Le vennero incontro i due servitori che avevano seguito Antonio nella sua nuova casa, Assunta e Domenico, detto Minguccio, e solerti scaricarono i bagagli dalla carrozza. Fu grande la sua sorpresa nel trovare la madre, donna Caterina, il padre, don Filippo, Marianna e tutti i parenti della grande casa ad aspettarla. Li aveva avvisati Antonio del loro arrivo ed aveva anche predisposto che rimanessero a pranzo con loro. Fu un giorno di piena letizia e la rincuorarono le parole che a tavola le rivolse don Saverio, lo zio canonico.
-Isabella il non averti più con noi ci procura un profondo smarrimento giacché tu per noi eri una guida premurosa, specie dopo la morte di donna Anna, la nostra cara madre; ma il vederti nella tua casa accanto ad un uomo accorto, di saldi propositi, ci riempie di soddisfazione e ci fa superare l’amarezza della tua lontananza. Io prego e pregherò perché il Signore elargisca grazie alla vostra unione e alle vostre persone così meritevoli.

 

Parte VII - Segue >>   

 

 

 

 

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