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R. Zaza Padula

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DONNA ISABELLA GLINNI

- Romanzo -

Rachele Zaza Padula

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INDICE

 


PARTE X

Il rifiuto categorico di Napoleone alle richieste dello zar Alessandro I aprì la strada alla guerra. La grande armata francese invase la Russia nel giugno del 1812 raggruppando nei suoi quadri tutte le nazionalità dell’Impero, degli Stati vassalli e di quelli alleati. Partì anche il giovane Luigi Glinni, che fu arruolato come velite al servizio dell’esercito napoleonico. Il Regno di Napoli era passato dai borboni, che si erano rifugiati in Sicilia, ai francesi nel 1806 con Giuseppe Bonaparte, poi, con Gioacchino Murat nel 1808. Di Luigi giunse ad Acerenza una lettera, scritta alla vigilia della sua partenza da Napoli, che fu letta da Antonio Glinni ai fratelli e alle sorelle.

Napoli, 8 maggio, 1812

Antonio del cuore, sono molto afflitto sapendo della vostra afflizione e di tutti i fratelli contro i miei meriti. Vi prego di stare di buon animo dopo la mia partenza e fidare nel Signore sì che possa subito ritornare, oppure per strada ricevere un contrordine come si spera. Io ho ricevuto i ducati 34 e le camicie e vi ringrazio di cuore. Vi prego di stare in armonia e sereni, io non posso più sopportare le lagrime. Fratello, vi allego il mio testamento, così come l’avevo già preparato e mi auguro che vi piaccia ciò che ho disposto. Statevi bene e dopo avervi mille volte insieme con i fratelli abbracciato vi lascio. Pregate Iddio per me.

Vostro fratello che vi ama
Luigi


Napoli, 8 maggio, 1812

intendo col presente testamento olografo disporre di tutti i miei beni paterni, materni, odierni come pure di tutti quelli altri che mi potrebbero intervenire, o per donazione, o legato o per qualunque altro titolo. E questa è la mia volontà e quello che voglio sia eseguito. Un solo mio secondo testamento sarà suscettibile a cambiare il mio disposto contenuto nei seguenti termini.
Di tutti i miei beni sia presenti che futuri, giusto l’articolo 899 del Codice Napoleonico, lascio usufruttuari i miei fratelli Francesco, Domenico, Giuseppe, Pietro Paolo, Antonio e Pasquale, proprietari poi tutti i figli di Francesco mio primo fratello ed i figli di ciascun altro dei miei stessi fratelli, quante volte derivassero da legittimo matrimonio. Intendo assolutamente escludere le mie sorelle, né per parte loro ci sarà diritto su tutti i miei beni che mi appartengono e mi potranno appartenere. Siano i fratelli stessi amministratori della mia roba; i quali voglio che non siano circa questo inquietati da chicchessia. E perché il presente è datato, scritto e sottoscritto di mio proprio pugno sarà valido ed avrà la sua esecuzione giusto l’articolo 970.

F.to Luigi Glinni - Intendo disporre come sopra.




Pietro Paolo si recò da Isabella, alla quale amava affidare i suoi pensieri e le sue aspirazioni.
-Cara Isabella, sono ancora in preda ad una grande commozione. Tu non ne conosci la ragione perché non eri presente. Ieri mio fratello Antonio ha letto la lettera che Luigi ha inviato a noi tutti per darci animo, anche se in essa è evidente lo sconforto che alberga nel suo cuore. Incerto sulla sua sorte, ha accluso le sue volontà testamentarie. Ahimè, quando finirà la sofferenza nella nostra famiglia? Rivedrò questo mio fratello, caro più degli altri al mio cuore, che un crudele destino ha strappato a noi per portarlo in una terra straniera, lontana e sconosciuta? Questo è per me un dolore insopportabile. Stanotte ho dormito poco e male assalito da nefasti presentimenti.
-La sofferenza è tanto grande perché tanto grande è la nostra famiglia, così numerosa, così estesa; le vicende vissute dai vari componenti ci toccano tutte da vicino, siano esse liete o tristi e ci sembra di essere avvolti in una storia che non ha fine. Anche a me dispiace molto di Luigi che mi veniva spesso a trovare perché adora i bambini e si tratteneva ore a giocare con i miei figli. Ho fiducia che il Signore lo farà tornare sano e salvo e lo restituirà alla sua famiglia e ai richiami di una vita futura.
Luigi nella sterminata pianura innevata aveva fame e freddo, non sentiva più le mani e i piedi e gli occhi erano velati da trine di cristallo. Napoleone non lo aveva visto, ma i suoi compagni gli avevano riferito che, scuro in volto e distrutto nel morale, aveva ordinato la ritirata resa poco sicura dagli attacchi della cavalleria russa che inseguiva i nuclei sparsi, quello che rimaneva della grande armata.
Luigi si fermò, non aveva più forze. Nessuno lo aiutò, nessuno poteva farlo. Nella fila della morte molti soldati prima di lui, dopo aver resistito fino allo stremo, lottato per non arrendersi all’inevitabile, si erano alla fine accasciati scomparendo d’improvviso alla vista degli altri Erano andati a morire così lontano dalla loro patria, dalle loro case, dai loro affetti. Per chi? Perché?
Un gelo intollerabile gli salì lungo la schiena e la irrigidì senza rimedio. In pochi minuti non fu più in grado di muovere una sola parte del corpo, anche la più piccola. Il cuore, però, era al caldo e continuò a pulsare.
La tempesta che infuriava gli ricordava le grandi nevicate che imbiancavano la parte alta di Acerenza, la piazza, il campanile, i tetti delle case e tutt’intorno, mentre a valle e sui monti regnava un silenzio irreale.
Avevano fatto un pupazzo di neve ed un suo compagno, Andreuccio, come naso gli aveva messo un peperone suscitando il riso di tutti perché così l’omino somigliava straordinariamente al loro maestro che aveva sempre il naso rosso: i più malignavano che gli piacesse molto il vino.
- E’ ora che tu e i tuoi fratelli rientriate in casa, è da un bel po’ che giocate con la neve e siete tutti bagnati. Rischiate di prendervi un malanno.
Così li aveva avvertiti la madre che era sull’uscio del portone e si riparava dal freddo coprendosi il capo e le spalle con uno scialle di lana color glicine, che ella stessa aveva confezionato all’uncinetto.
Gli sembrò di vederla la madre. Com’era possibile? Non c’era più ed egli ancora ricordava il suo volto senza rughe nella bara. La morte le aveva tolto gli anni e i solchi dei dolori, delle gioie, delle pause, dei rancori della vita passata ed era tornata bambina.
Eppure, incredibile a dirsi!, la madre era vicina a lui e gli tendeva entrambe le braccia per rialzarlo e portarlo via con sé. Luigi, rincuorato dal suo dolcissimo sorriso, la seguì felice. Una pace sovrumana lo invase, lo inebriò e, dimentico dell’affanno che gli gravava in petto, si abbandonò alla sua protezione.
Come si sentiva leggero con lei in alto tra le nuvole! Proprio da dove la neve cadeva…e cadeva.
Il suo corpo fu coperto completamente formando una bianca gibbosità. Un ultimo sospiro e la neve si mosse appena, poi, niente più.
Fu pianto a lungo da una fanciulla dai capelli d’oro.

*

Una tristezza inconsolabile accompagnò Isabella per anni durane i quali ella visse con la calma indifferente di chi si lascia vivere senza volontà e senza programmi. Spesso si chiedeva come sarebbe riuscita a superare il dolore che l’aveva colpita, a continuare a respirare, ad aprire gli occhi al mattino, ad affrontare ogni volta un nuovo giorno. Si convinceva sempre più che avrebbe dovuto dare un senso alle sue ore che, invece, si perdevano nell’inconsapevolezza, nel turbinio di sensazioni penose, di allucinazioni. Avrebbe dovuto radunare le poche forze che le erano rimaste attorno al cuore perché non cedesse e darsi qualche consolazione possibile nella sua condizione. Due circostanze l’aiutarono ad uscire dal vuoto della sua coscienza. Presa dall’ansia del domani dei suoi figli divenne attenta all’andamento della casa e dei terreni, affinché, dopo un lungo periodo in cui non si era presa cura di nulla, i beni non andassero alla malora. Si dedicava con una specie di ossessione solo alla conservazione del patrimonio perché temeva che Giuseppe e Mariannina potessero rimanere senza sostanze e perché le sembrava di continuare l’opera del marito, coltivando la sua passione per la terra e in particolare per i vigneti. Quando le portavano i canestri di uva aveva imparato ad apprezzarne il colore, il sapore, la grandezza degli acini; in questo modo si illudeva che Antonio continuasse a guidare l’azienda.
Era solita farsi accompagnare in carrozza da Minguccio in quella che era la sua meta preferita, nella vigna in contrada detta”Il Lago”, confinante con la strada pubblica. Nel vederla passare, tutti erano colpiti dalla sua bellezza ancora florida e dallo sguardo fiero da cui trapelava la dura lotta che sosteneva quotidianamente per non cadere nella disperazione. Incarnava la nobiltà d’animo degli avi irlandesi cacciati dalla patria, dove avevano subito ogni sorta di vessazione e umiliazione, ed erano diventati insigni e facoltosi in terra di Basilicata.
Quando era in casa leggeva e pregava.
Pietro Paolo, cui si rivolgeva per dirimere controversie riguardanti gli affari di famiglia, le diceva:
-Sei diventata una solerte amministratrice. Chi l’avrebbe mai detto? Tua sorella, invece, non ha in mente che visite, cappellini e i tuoi figli, che adora, e ai quali- ella dice- qualcuno deve pur pensare a procurare un po’ di distrazione, dal momento che tu Isabella non nutri alcun desiderio che non sia legato al lavoro: condizione molto pesante a sopportarsi dai giovani. E proprio per i tuoi figli voglio invitarti anch’io ad uscire dal tuo sconforto.
-Non credere che io non cerchi di superare l’angoscia che mi è rimasta nel cuore. Il ricordo di Antonio mi intristisce per quanto lui ha perduto: la gioia nel veder crescere i figli, i cicli delle coltivazioni, il sole al mattino, le ombre della sera. A volte mi sento in colpa perché penso che avrei dovuto dimostrargli più affetto con la condivisione dei suoi interessi, ai quali ora, quasi per una sorta di riparazione, mi dedico con tutta me stessa. Non l’ho mai seguito in campagna, né comprendevo l’orgoglio che provava per i suoi vitigni speciali. Come vorrei poter tornare indietro!
L’altra circostanza nacque fortuitamente. Una domenica sera, Isabella si recò nella Cattedrale per la benedizione del Santissimo che veniva esposto ai fedeli nell’ostensorio, la teca custodita da una raggiera di metallo dorato. La funzione veniva preceduta dal “Te Deum” e terminava con una sequela di invocazioni al Signore, alla Madonna e a tutti i santi del paradiso. All’uscita dalla Chiesa si fermò nella grande casa, dove fu accolta con gioia e sollievo da don Francesco e donna Cappetta, dai loro figli e dagli altri parenti che si trovavano lì in visita. Tutti espressero il loro compiacimento nel rivederla e le chiesero tante cose del passato, che soltanto lei conosceva, di quando lei viveva nella grande casa con i nonni. Ascoltavano in silenzio e rimasero affascinati dai racconti di Isabella, tanto che quando ella decise di rincasare la pregarono di ritornare la domenica seguente. Tornando a casa sentì che la vita attraverso il passato la riconquistava al presente. Sentì di essere per se stessa e per gli alti il legame tra il prima e il dopo, tra chi non c’era più e chi doveva continuarne l’opera. Giuseppe e Mariannina, che erano in sua compagnia, si strinsero a lei ed ella provò una profonda commozione. Si diffuse la notizia e i parenti convennero più numerosi per ascoltare le storie di Isabella. Le avevano affidato il compito di far rivivere i loro cari attraverso i suoi ricordi. Prima che si fossero dissolti irrimediabilmente i tratti dei loro visi, il loro sorriso, i loro sogni, ella doveva fermarli nel tempo e tramandarli. Questo, ella si diceva, era in fondo il vero valore della memoria. Alcuni episodi le tornavano in mente prodigiosamente chiari e nitidi, anche nei dettagli, altri, invece, non riusciva a ricomporli ed allora soffriva nel costatare che fossero svaniti, scomparsi per sempre.
Era diventata una consuetudine piacevole; tutti, specialmente i giovani aspettavano l’incontro, spinti dal desiderio di conoscere le vicende della propria famiglia. E, poi, “zia Isabella” sapeva raccontare così bene! Era così affascinante!
Ed Isabella parlava di nonno Nicola e dell’orgoglio delle origini; della dolcezza e della determinazione di nonna Anna; dell’eleganza e dell’amore senza speranza dello zio arcidiacono; di zio Antonio, che aveva osato sfidare la famiglia per un amore proibito, quello per la sua Matilde; della docilità del padre, don Filippo e dell’accettazione di un ruolo secondario della madre, donna Lucia.
Partecipava alle riunioni anche Rosa, che arrivava da Oppido, talvolta con grandi sacrifici. A Pietro Paolo e ai due figli più grandi di Rosa, che Isabella sapeva fossero ardenti patrioti, parlò a lungo di Mario Pagano, del suo legame con lo zio Giuseppe, della sua passione per un mondo più giusto, del coraggio delle sue idee. Tornavano a vivere così … il mistero dello zio Giuseppe… la morte di Maddalena…le nozze di Carolina e Paolina celebrate lo stesso giorno tra tanta allegria…e poi Costanza…Rachele…
Le storie di Isabella superavano il portone, le finestre e scendevano nella vallata e oltre fino a confondersi col mormorio del Basento, che scorreva ora lento, ora impetuoso tra i ciottoli levigati.Gli alberi che crescevano sulle sponde ascoltavano e, movendo le foglie, sussurravano preghiere. Talvolta un buio s’allargava sulle acque ed esse, prima chiare, si scurivano e il loro corso diveniva tortuoso e faticoso. Così i ricordi di donna Isabella Glinni venivano portati lontano dalle acque del fiume.

*

-Il passato è irrevocabile! Ti prego, Isabella, esci dal tuo lutto,- le disse un mattino Pietro Paolo.-
-Lo farò. Riaprirò i saloni e organizzerò una gran festa. Anche Antonio approverebbe. Per troppo tempo la casa è rimasta silenziosa, chiusa agli incontri gioviali con parenti e amici, spenta alle allegre risate, ai conviti e alla gioia. Provo un acuto rimorso di aver privato i miei figli di un’adolescenza amena e spensierata, quella che io, invece, ho avuto nella grande casa e il cui ricordo ancora mi allieta e intenerisce. Mi sono legata al mio dolore pensando soltanto a me stessa; trovavo la mia pace solo nella solitudine, che mi consentiva di rivivere i giorni e le ore di un passato felice e non mi chiedevo se ai miei figli assicuravo le condizioni perché coltivassero i loro sogni e le loro aspirazioni. Ora è doveroso che io pensi a loro e, anche se a fatica, metta da parte la mia tristezza e le mie ombre. Riferisci a Marianna la mia decisione e dille che conto sul suo aiuto.
-La renderò felice nel comunicarle quanto mi hai appena detto. Ora devo andar via; ma domani tornerò per discutere alcune vertenze che ti riguardano.
- Pietro Paolo, ti ringrazio ancora una volta di prenderti cura delle mie cose; di portare avanti tante rivendicazioni, difese e così via.
-Oh! Per questo! Le beghe legali sono la mia vita. Ho legami con la Archidiocesi acheruntina di cui difendo i molteplici diritti rispetto alla Chiesa e allo Stato. C’è anche la “Società patriottica” con cui ho un patto di fede sacrosanta a cui non verrò mai meno. Io mi auguro di vivere tanto, fino al giorno in cui vedrò il mio paese e la mia patria liberi.
Pietro Paolo andò via e Isabella si recò in giardino dove, dopo un po’, fu raggiunta dal fedele, vecchio Minguccio.
-Donna Isabella, vengo a farvi una richiesta da parte di mio figlio Michele che lavora accanto a me per voi e lo fa con tutta la dedizione possibile. Si è invaghito di Teresa, che salvaste da un crudele destino di miseria e di violenza, e che ha in questi anni dimostrato di essere una giovane di buoni sentimenti e rispettosa, alla quale mi sento particolarmente legato perché ho cercato di farle da padre così come Assunta è stata una buona madre per lei. Il mio Michele la vuole sposare, voi cosa ne pensate?
-Ella ha dimenticato esperienze tremende e dolorose ed ha dato prova di serietà e di buoni propositi e certamente l’affetto di tuo figlio la compenserà delle sofferenze che ha vissuto da piccola. E’ così giudiziosa, saprà essere una brava moglie. Mi togli un peso dal petto: spesso, infatti, mi chiedevo cosa le sarebbe accaduto quando non ci fossi stata più.
-Cento anni di buona salute a voi, donna Isabella, per il bene che fate agli altri ai quali con le vostre virtù riuscite a dare forza e sicurezza. Corro a comunicare a Michele la buona notizia.
-A proposito, Minguccio, non ti ho chiesto se Teresa è d’accordo. Io ho visto i due giovani parlare insieme, ma non sospettavo…
-Mio figlio mi ha confessato che non è stato facile vincere la sua diffidenza e conquistare la sua fiducia. Tuttora non fa che dire ”Donna Isabella sa quello che devo fare, domandate a lei.
-Quello che mi dici è commovente. Meritano di essere felici: lui per la sua bontà, lei in ricompensa delle tribolazioni passate.
Un caldo le scese nel cuore. Provò un senso di sollievo. La vita non si era accanita con quella creatura, che ella aveva amato subito per la sua sventura e il suo abbandono. Ricordò con quanta dolcezza Antonio aveva accettato la sua volontà di aiutare quella famiglia bisognosa e con quanta benevolenza sempre accoglieva le sue richieste. Avvertì la mancanza della sua carezza.
Una lacrima le bagnò il viso al ricordo del marito. Una sorte ingrata glielo aveva rapito nella piena maturità. Com’era stato possibile che egli così sano e vigoroso fosse venuto a mancare improvvisamente, senza un ultimo addio? Come una quercia robusta colpita da un fulmine. Il tronco cade rovinosamente e la chioma dopo vari rimbalzi si spande larga sul terreno.
Ora, però, bisognava pensare al ricevimento. Doveva invitare i numerosi parenti e amici, scrivere a Rosa perché intervenisse con la sua bella famiglia, a Rachele Cassano che non vedeva dal giorno del suo matrimonio.
Era ancora vivo Antonio. Arrivarono a Montalbano di buon mattino e si diressero direttamente in chiesa. Rachele era bellissima, mai aveva visto una sposa così splendente come la sua amica. Aveva negli occhi un non so che di audace, di indomito che la rendeva affascinante, non aveva rinunziato ai suoi ideali di libertà e di giustizia ed era solita dire”Non dobbiamo violare il ricordo di quelli che sono morti dimenticando il loro sacrificio; anzi il loro esempio deve darci la forza per continuare la lotta. La nostra piccola regione è popolata da gente fiera, onesta che ha nel cuore il coraggio delle azioni giuste. Abbiamo il dovere di guidarla dalle tenebre dell’ignoranza e della schiavitù alla luce del riscatto.”
Era il 24 ottobre 1801 e andava sposa a Francesco Antonio Asprella, un gentiluomo di Rotondella. Antonio in quell’occasione disse ad Isabella che il capitano Pensabene non aveva dimenticato Rachele e, sapendo che versava in condizioni di ristrettezza economica, le aveva inviato sei ducati al mese fino all’indulto del 1800.

*

I due fratelli Pipoli, eleganti e sorridenti, ricevevano all’ingresso del vasto salone della loro casa gli ospiti. Mariannina era deliziosa in un vestito di mussola a fiori con un corpetto arricciato, segnato da un vellutino verde che si chiudeva sul davanti con una nocca discreta. Si distinguevano tra gli altri invitati due giovani che nel fisico e nel portamento ricordavano lo zio Filippo. Erano i figli più grandi di Rosa.
-Isabella, che piacere rivedere te e la tua famiglia finalmente riunita per una occasione lieta! Con il lutto e la disperazione i nostri morti non tornano dall’al di là; per merito tuo ci rimane la memoria delle parole che ci hanno detto e l’eredità spirituale delle loro nobili opere.
-Carissima Rosa, la tua presenza è per me sempre di grande sollievo. Antonio mi manca e il mio animo è ancora pieno di lui. Lo sento nel palpito del cuore, nei rapimenti improvvisi che mi tolgono il respiro, ma la sua persona non c’è più. Ora basta, oggi è una giornata speciale ed anche io devo accantonare la mia tristezza. Che bei figli che hai! E che occhi ardenti! Tu sai quanto io sia legata a loro.
-Mi preoccupano per la loro irruenza , per i loro slanci a favore della causa liberale contro i borboni. Come tu sai in gran segreto, fanno parte della Carboneria, come altri giovani della loro età, come d’altronde lo stesso Pietro Paolo. Anzi egli è gran maestro della vendita di Acerenza.
-Non dimenticare mai che nella nostra famiglia è profondamente sentito l’amore per la giustizia e per la libertà, che è nelle nostre radici, cresce con noi e diventa anelito vitale. Quanto mi consola vedere i nostri giovani insieme: sono davvero un bel numero tra figli, nipoti, cugini.
-Il tuo modo di essere, la tua forza e il tuo equilibrio mi aiutano nella vita. Io credo che tu per me rappresenti quello che la nonna Anna ha rappresentato per te. Mi auguro di poter godere a lungo del tuo consiglio e del tuo affetto; il sapere che ci sei mi sostiene nei compiti di sposa e di madre. Mariannina è nello splendore della sua età, ha una grazia innata che la distingue tra le altre sue coetanee.
-Molti giovani la corteggiano ed io credo che presto mi lascerà. Il Signore la aiuti a scegliere il compagno ideale che la ami e condivida le sue scelte; ha perduto il padre quand’era piccola; ha quindi bisogno di qualcuno che la protegga e sappia colmare il vuoto della figura paterna. Ora dedichiamoci agli ospiti. Aiutami ad accoglierli.
-Sono lieta che abbiate accettato il nostro invito- disse Isabella al dottor Gioacchino che era rimasto il medico di famiglia anche dopo la morte di Antonio ed era un amico di cui Isabella si fidava ciecamente. -
-Come avrei potuto mancare ad una riunione tanto piacevole? Mi allieta il vedervi serena. Donna Isabella, vorrei parlarvi in privato quando vorrete. Devo affidarvi un mio segreto.
-Anche domani mattina. Anzi profitterò per farvi visitare Assunta che, da stamani, accusa forti dolori allo stomaco.
-Vi ringrazio, ci vedremo a mezzogiorno. Che bella gioventù! E’un toccasana perché ci fa dimenticare le nostre ansie e incanta i nostri pensieri con il suo entusiasmo e la sua prodigiosa spensieratezza.
Un capannello di giovani discuteva animatamente un po’ appartato; si erano raccolti intorno a Lorenzo Nigri e sembravano infervorati e attratti dalle sue parole.
-Non dobbiamo arrenderci, non dobbiamo farci prendere dalla sfiducia. Dobbiamo, invece, credere fortemente in un futuro di libertà. I moti liberali falliti in Piemonte e a Napoli ci hanno fatto vivere una profonda delusione, ma non devono fiaccare le nostre volontà e le nostre speranze. Noi abbiamo il compito di diffondere le idee nei paesi, nelle campagne, all’ombra dei campanili e conquistare alla causa quante più persone possibili, fino a quando divamperà un incendio che travolgerà gli oppressori.
- Lorenzo, tu sei l’anima del nostro sodalizio e ti amiamo e ti apprezziamo, - disse Donato-; ma sei un sognatore e non valuti razionalmente le cause che hanno portato al fallimento dei moti cui hai accennato. Non sono ancora maturi i tempi: siamo pochi e male armati. E’, invece, valido ciò che dici a proposito della formazione delle coscienze.
-Io condivido le vostre idee- intervenne Gerardo, il secondo dei quattro figli di Rosa, più piccolo di Lorenzo di due anni-. Vi invito, però, alla prudenza. Sarebbe un grave sbaglio farci scoprire; le odiate milizie borboniche sospettano di tutti e su tutti indagano.
-Non bisogna ripetere gli errori del 1799. Non possiamo sopportare che ancora una volta venga annullato il sacrificio dei martiri, sia soffocato il grido di vendetta, sia spento l’amore per la libertà.
Così Damiano, un altro giovane con gli occhi rossi per l’eccitazione.
Continuarono a scambiarsi opinioni e a manifestare i propri stati d’animo fino a quando Lorenzo terminò dicendo:
< Siamo stati fortunati ad incontrarci qui stasera; ora, però, torniamo alla festa. Il nostro comportamento potrebbe quanto meno stupire e, poi, è l’occasione per fare i galanti con qualche bella ragazza. Ci ritroveremo ad Oppido fra due settimane come stabilito: verranno i nostri amici da tutta la Lucania. Evviva la libertà.>
Tutti abbracciarono Lorenzo che si avviò con passo sicuro verso Mariannina che rideva e ammiccava insieme ad alcune fanciulle in un angolo della sala.
Attraversò lo spazio che lo divideva dalla cugina e destò l’ammirazione dei presenti. I capelli rossi testimoniavano la sua discendenza irlandese e la sua figura longilinea ed elegante manifestava l’appartenenza ad una famiglia di antica nobiltà. Nel vederlo a Rosa si gonfiò il petto di orgoglio.

*

-Assunta ha una gastrite che ha sempre trascurato. Ora, invece, dovrà curarsi, oltre che con tisane lenitive e medicine, con l’evitare cibi che potrebbero ancor più infiammare le mucose dello stomaco.
-Vi ringrazio, don Gioacchino, sedetevi. Gradite un tè, ma l’ora mi pare tarda per questa bevanda, forse è preferibile un bicchiere di vino.
-Niente, grazie donna Isabella. Sono emozionato per quanto sto per dirvi e non desidero altro che sollevarmi da questa ansia che ormai da anni mi consola e mi opprime. Mia dolce amica io devo confessarvi il mio amore. La mia dichiarazione non suoni irriverenza nei riguardi di Antonio che per me è stato più di un fratello e il cui ricordo è sempre presente in me e mi accora. I miei sentimenti sono cresciuti dopo la sua morte; prima, pur ammirandovi, non avrei mai osato sfiorarvi neppure col pensiero. In seguito, ho provato un forte senso di protezione nel vedervi così esposta al dolore, così desolata, così privata. Non riuscivo a sopportare l’ingratitudine della sorte che vi aveva messo a dura prova; tante volte avrei voluto esservi vicino per confortarvi e darvi il calore che vi mancava. Nei vostri occhi, dove prima rideva la gioia, si è insinuata un’ombra di malinconia dal giorno infausto. Io con tutto me stesso desidero togliere quel velo di tristezza e farli tornare a splendere come un tempo. In sogni tormentati mi sembrava che aveste bisogno del mio sostegno ed io correvo a darvelo, che mi invocaste ed io vi infondevo la mia forza.
-Ma, don Gioacchino…
-Vi scongiuro, lasciatemi continuare. Potrei perdere il coraggio… Sono trascorsi molti anni durante i quali avete soffocato ogni slancio, limitandovi a vivere una quotidianità scolorita.E’ tempo che affrontiate l’incognita del caso, che vi aspettiate qualcosa di insolito e nuovo dal giorno che viene. E’ tempo che le vostre ore abbiano un futuro.Il lutto non vi si addice più e, nel ricordo di Antonio, vi offro di aiutarvi e di amarvi. Colmare due vuoti, addolcire due solitudini, sarebbe il fine della nostra unione. Forse sono stato temerario, ho osato troppo. Se vi ho offesa, ditemelo, ed io non comparirò mai più al vostro cospetto. Io…
-Calmatevi, il vostro dire è un fiume in piena. E’ nobile da parte vostra avermi fatto comprendere con quanta partecipazione avete seguito le mie vicende dolorose, e Dio sa se voglio perdere la vostra amicizia. Io sono lusingata per quanto avete detto, per quanto vorreste offrirmi, per l’affetto che nutrite nei miei confronti e di cui non mi sento degna. Non posso, però, accettare la vostra proposta per più motivi, primo fra tutti è che io non potrei darvi la dedizione appassionata che è giusto e umano che voi abbiate, cioè io non potrei corrispondere ai vostri sentimenti. Io ormai non vivo più per me stessa, ho soltanto in cuore il futuro dei miei figli e la cura dei beni che mi sembra doveroso trasmettere intatti ad essi. Vi ringrazio di avermi pensata, per avermi dedicato la vostra attenzione; ma sarebbe un inganno, da parte mia, accettare il vostro amore giacché io ho chiuso il cuore e la mente a gioie personali. Il mio rifiuto, però, non mi privi del vostro appoggio, che per me è prezioso.
-Donna Isabella, non rispondetemi subito. Pensateci, vi prego. Forse…tra qualche tempo…
-No, mio caro amico, non mi sento di alimentare una speranza, una illusione. Sono onorata della vostra richiesta perché vi stimo molto per le vostre qualità umane e professionali e, se la mia vita non fosse appagata sentimentalmente, non ci sarebbe uomo migliore di voi cui affidare il resto dei miei giorni e i miei pensieri. Due sono stati gli uomini importanti per la pienezza della mia femminilità. Mario Pagano è stato il primo a far palpitare il mio cuore: quando si allontanò dai miei progetti pensai di non poter vivere senza i suoi sguardi e le sue parole. E’ stato il sogno della giovinezza, la giovinezza stessa. Antonio mi ha reso donna, mi ha fatto conoscere la passione, che ha sconvolto la mia ingenuità col rapimento di un amore che ha investito la mia anima e i miei sensi. E’ stato il marito desiderato e amato, il padre dei miei figli, il dolce confidente. Vedete, don Gioacchino, non c’è più posto nel mio cuore per un altro compagno, al quale, accettandolo, non potrei dare quello che di intenso e nobile deve esserci in una unione.Vi chiedo, però, di non negarmi la vostra amicizia; essa è per me preziosa; perderla mi procurerebbe un grande dolore.
-Donna Isabella, non avrei dovuto…Sono stato temerario, avventato…Perdonatemi…
Baciò la mano ad Isabella e s’avviò precipitosamente verso l’uscita dimenticando il cappello. Isabella, premurosa, quasi rincorrendolo, glielo porse dicendogli:
-Vi prego, non così, aspettate…
Egli prese il cappello, la ringraziò e si allontanò con le lacrime agli occhi.
Isabella rimase contrariata. Le pesava molto far soffrire quella cara persona, cui era assai affezionata e che apprezzava per la sua disponibilità e per la sua onestà; ma, nel profondo del cuore sapeva che la decisione presa era quella giusta e che non avrebbe potuto fare altra scelta. Non aveva rimorsi, solo un sottile rammarico che le derivava dalla amara considerazione che gli incontri, i legami, nel corso della vita, si intrecciano e si dissolvono al dominio del caso. Da qui la felicità o l’infelicità degli esseri umani.

*

La notizia dilagò, si diffuse, superò mura e castelli, boschi e vigneti e giunse ad Acerenza.
- Hanno arrestato il figlio di Rosa Glinni, il figlio di Federico Nigri di Oppido. E’ accusato di essere il capo di una cospirazione che comprende i fratelli e altri loro compagni. Povero giovane, salvatelo! La famiglia Glinni, così importante, vanta relazioni con i potenti, se ne serva. Certamente, Pietro Paolo, così in vista per la sua competenza in campo medico, giuridico, storico, trarrà in salvo il nipote, il figlio di Rosa.
Così in piazza, tra il popolo, nelle abitazioni dei ricchi e dei poveri, così ad Acerenza nella cattedrale e fuori nei vicoli stretti in ripida salita. Nessuno, però, poteva immaginare l’agitazione e il fermento nelle case dei parenti di Lorenzo. Congetture, progetti, vie di scampo in una ridda di voci, di proposte. Cominciò una fitta rete di informazioni che Rosa, disperata, angosciata, faceva pervenire ad Acerenza. Bisognava riunire le forze; Federico dal canto suo stava facendo il possibile, ma tutto risultava inutile di fronte alla inflessibilità della gendarmeria borbonica e dei vertici più alti, che si trinceravano dietro la ipocrita dichiarazione di avere mani e piedi legati, poiché dal governo centrale giungevano dispacci che proibivano qualsiasi cedimento o debolezza. Era necessario dare una lezione di severità e intransigenza ai giovani patrioti che erano i più audaci sostenitori della caduta dei borboni in nome della libertà. Erano pericolosi perché univano al sogno l’ardimento e alle loro parole vibranti i più sentivano una specie di trascinazione che li spingeva a seguirli, anche sulle barricate com’era capitato a Napoli e altrove. Andavano, quindi, puniti senza pietà. Questi gli ordini.
Intanto, Rosa con gli occhi rossi per l’insonnia e il pianto vagava; chiedeva aiuto, scriveva ai fratelli e pregava. ”Vergine Santa, tu che patisti l’agonia di Cristo tuo figlio, aiutami, sono una madre afflitta, addolorata. Lorenzo è bello come il sole e come il sole riscalda con la sua giovinezza, con la purezza del suo cuore. Illumina le menti di quelli che dispongono della sua vita e della sua morte; convincili che non è capace di fare del male, l’unica sua colpa è un amore grande per la Libertà e la Patria che gli viene da lontane radici ataviche. I nobili Glinni lasciarono la loro terra, i loro averi; affrontarono mille disagi per non abiurare la fede, per non tradire l’ideale dell’indipendenza.Vergine Immacolata, madre del Figlio lucente di grazia, madre colpita, madre tradita, vieni in mio soccorso! Tu, concepita senza peccato, dopo lo strazio terreno fosti assunta in cielo ove siedi accanto al Figlio risuscitato alla gloria del Paradiso; ma a me, quale destino riservano i giorni futuri? Un destino di morte e di pena o un destino rischiarato da un miracolo che solo tu, o Madre nostra, puoi compiere nella mia casa, casa di dolore e di paura.”
Anche in casa di Isabella si respirava un’aria pesante di attesa. La servitù partecipava alla inquietudine della famiglia e cercava, nei limiti del possibile, di sollevare la padrona da qualsiasi compito, perché potesse dedicarsi alle urgenze che la tragicità del momento richiedeva.
-Per l’amore di Dio e di noi tutti, salva Lorenzo,- disse Isabella a Pietro Paolo-. Non è giusto, non è umano perdere la vita alla sua età e, cosa più dolorosa, per un eroico ideale. Tu puoi molto, non risparmiarti e non tralasciare nessun tentativo. La sua vicenda riapre un’antica ferita nel mio cuore, il martirio di Mario Pagano e con maggiore crudezza perché appartiene alla nostra famiglia, così giovane e indifeso nell’entusiasmo della sua offerta.
-Tu pensi, Isabella, che io non stia facendo l’impossibile. Sto bussando a tutte le porte e quando ricevo una lettera di Rosa mi sento straziare il cuore. Pensa che ho tentato finanche…ma forse è un bene che non te ne parli…
-Credo fermamente che tra noi ci sia una comune devozione per la famiglia che ci lega oltre ad una affinità di intenti e di idee. Fa’ che io conosca le tue iniziative. Chissà che possa aiutarti con il mio consiglio o, comunque, sostenerti poiché il tuo compito non è facile. Non è ragionevole che tutto il peso della triste vicenda cada su di te, non è conveniente lasciarti solo con questa tremenda responsabilità.
-E sia! I Cavalieri dell’antico Ordine dei Templari sotto il regno di Filippo IV re di Francia, detto il Bello, furono arrestati sotto l’accusa di eresia e blasfemia: da un lato il re mirava ad impossessarsi delle loro enormi ricchezze, dall’altro il papa aveva lo scopo di demolire il loro potere nell’ambito della Chiesa. Per anni furono sottoposti a torture indicibili, molti furono uccisi e l’ordine fu sciolto nel 1311. La loro persecuzione terminò l’anno 1314 quando il gran maestro Jacques de Molay fu bruciato sul rogo insieme a 54 adepti.
-Ora forse sarà chiarito il mistero che spesso mi ossessiona. Continua, Pietro Paolo, ma sappi che anche io ho da rivelarti qualcosa in proposito ed è bene che sia io a scegliere il momento opportuno per farlo.
-Davvero mi incuriosisci. Quale mai il legame tra te e i Templari? D’accordo sulle modalità della tua interruzione. Numerosi Templari scamparono all’eccidio dirigendosi in località disparate. Molti di essi, non si sa quanti, giunsero in Scozia dove nel 1450 costruirono la Rosslyn Chapel a 20 miglia a sud di Edimburgo. La cappella è piena di simboli che testimoniano la loro presenza; in essa celarono molti loro segreti e lasciarono strani segnali di antiche reliquie di cui essi erano i misteriosi custodi. Dalla Scozia alcuni passarono nella cattolicissima Irlanda e, durante le lotte di indipendenza contro l’Inghilterra, combatterono a fianco degli insorti. All’epoca il nostro avo, Patrick o Connors, era il loro Gran Maestro, molto venerato ed apprezzato. Egli insieme alla sua famiglia e ad altre nobili famiglie partecipò alla famosa “Fuga dei Conti”, cioè furono esiliati perché avevano partecipato all’insurrezione e non avevano, poi, abiurato la fede cattolica. Come ci raccontava nonno Domenico, le loro vicissitudini furono tante e di diversa natura; ma, giunti in Italia, ebbero l’appoggio indiscusso del Papato. Patrick o Connors, con la sua numerosa famiglia e con altri due nuclei, giunse ad Acerenza, sede di Archidiocesi Metropolitana. Certamente Patrick o Connors portò con sé un segreto dall’Irlanda o forse anche dalla Scozia, dove gli era stato affidato perché lo custodisse, e che con lui raggiungeva la Lucania.
-Quanto mi dici mi spiega circostanze e fatti che hanno irretito me e lo zio Saverio per lungo tempo. Lo zio Giuseppe scoprì qualcosa di terribile legato al segreto del nostro avo templare dal momento che distrusse con le fiamme i suoi scritti e, nella sua quasi follia, diceva frasi sconnesse e inquietanti e lanciava anatemi e raccomandazioni con gli occhi stralunati mentre un tremito gli percorreva le membra.
-Cosa diceva? Che cosa hai sentito? Sei in grado di riferirmi le sue parole?
In quel mentre il vecchio Minguccio arrivò trafelato per avvertire che dei signori chiedevano di essere ricevuti con urgenza.
Il notaio Segni il giovane, l’avvocato Antonio Lagala, Giuseppe Vosa ed altri nobiluomini, tra i quali il dottore Gioacchino, entrarono in salotto e furono subito messi a loro agio da Isabella.
-Donna Isabella e don Pietro, senza la vostra famiglia il nostro paese avrebbe meno lustro e minore ricchezza. I vostri avi stabilendosi qui dettero impulso a tante attività e portarono con sé alti valori, quali l’onestà come regola di vita, la forza del sacrificio e la disponibilità ad aiutare gli altri, che hanno migliorato le condizioni morali e materiali di molte famiglie. Di questo vi siamo grati e vogliamo in questo momento triste per tutti voi manifestare la nostra partecipazione e darvi un modesto contributo con la speranza che possa favorire la risoluzione del caso. Inoltre, siamo convinti che giovani che rischiano la propria vita per la libertà e l’indipendenza del proprio paese meritino a pieno titolo un appoggio incondizionato. Eccovi la copia della sottoscrizione che abbiamo inviato a Potenza, alla sede del distretto militare borbonico, in cui chiediamo la grazia per il prigioniero, degno di rispetto per il suo coraggio e di perdono.
Pietro Paolo profondamente commosso li abbracciò e disse loro:
-Il vostro nobile gesto ci onora e colpisce la nostra sensibilità. Siamo grati a tutti quelli che hanno sottoscritto la petizione e sono tanti; li ringrazierò personalmente ad uno ad uno anche a nome della mia famiglia. Purtroppo, non sono in possesso di buone notizie, per meglio dire, non abbiamo alcuna notizia. A quanti hanno cercato di chiedere, di intercedere, gli esponenti del governo borbonico non hanno risposto, mantenendo il silenzio pure con personaggi eminenti della Chiesa. C’è dalla loro parte un muro di silenzio che preoccupa e sconforta. Voglia il Cielo che il vostro generoso intervento sortisca un esito positivo.
Dopo essersi trattenuti ancora un po’a parlare della triste situazione di sudditanza in cui versava la Lucania il Regno delle Due Sicilie, si accomiatarono. Pietro Paolo andò con loro rassicurando Isabella che sarebbe ritornato l’indomani per concludere il discorso.
Isabella rimase confusa e frastornata. Era vicina alla verità; sicuramente l’abito di Cavaliere Templare era appartenuto al suo avo, ma chi in seguito lo aveva sottratto dalla scatola? Pietro Paolo avrebbe fatto luce sulla sparizione e da lui avrebbe saputo più cose di quante poteva immaginare. Ben presto il pensiero tornò a Rosa e al giovane Lorenzo che forse, in quel momento, si interrogava con angoscia sulla sua sorte. La famiglia era in fermento ed anche gli amici; colpiva tutti la disgrazia di Rosa Glinni. Non potè non pensare al suo figliolo, a Giuseppe, così poco veemente ed estroverso; ma così rassicurante, così pacato, dedito alla speculazione e alla cura dei campi ereditati dal padre dal quale aveva anche ereditato la passione agreste.
Di buon mattino Pietro Paolo tornò da Isabella. Era teso, pallido, il suo aspetto non faceva pensare a niente di buono.
-Rosa mi ha fatto recapitare con molta segretezza una sua lettera nella quale rinnova il suo straziante appello a far presto perché, come si legge tra le righe, la vita del figlio è in grave pericolo. Leggila.
Così Pietro Paolo porgendo la lettera ad Isabella.

Oppido, 9 febbraio 1828

Mio caro fratello, è da alcuni giorni che sono priva di notizie da costà, giacché nessuna lettera mi è stata recapitata. Mi auguro intanto che state tutti bene. Vi sia a cuore la mia urgenza anche perché nella speranza dei vostri favori non ho fatto altre richieste, anche perché non so più a chi rivolgere la mia preghiera. Un brutto presentimento nutre il mio sconforto e accompagna le mie veglie notturne. Nessuno spiraglio di luce nel buio che mi circonda riesce a tenere viva la speranza. E’ prudente che io non dica altro, sappiate che siamo nelle vostre mani e che il tempo scorre contro di noi. Fate in fretta. Vi abbraccio con Marianna ed i fratelli, bacio le mani a tutti e sono

la vostra sorella aff.ma
Rosa



Isabella, dopo aver letto, presa dallo sgomento, rimase silenziosa. Le sembrava che qualsiasi cosa avesse detto sarebbe stata inutile e insensata.
-Temo il peggio, mia cara, -riprese Pietro Paolo- anche perché non trovo appoggio, nessuno ascolta le mie preghiere. Ieri ti ho parlato di storie antiche, di voci tramandate. Ti dirò fin dove sono arrivato partendo, dal nostro passato, nel tentativo di salvare il nostro ragazzo. Cosa portò qui Patrick o Connors? Forse non è estraneo alla scoperta raggiunta dallo zio Giuseppe attraverso i suoi studi; dovette essere una rivelazione sconvolgente se è vero che, preoccupato, impaurito, dette al fuoco le sue carte.
-Ero arrivata a questo punto del mio racconto quando sono stata interrotta da Minguccio. La notte in cui nacque la piccola Marianna, Assunta, che era stata mandata a chiamare mia madre perché accorresse, vide due strani personaggi che indossavano un mantello bianco con una croce sul petto. Per quanto io cercassi di smontare il suo racconto ella non cadde in contraddizione e riaffermò che era certa di averli visti. Non è tutto. Io e lo zio Saverio ci recammo nella stanza dello zio Giuseppe per riordinare le poche carte rimaste e in un angolo riposto, in un vano nel quale si accedeva mediante un meccanismo segreto, tra vecchie cose, trovammo una scatola in cui con nostra sorpresa era conservato un abito di Cavaliere Templare. Lo copriva una pergamena, ma appena la prendemmo, lo scritto diventato polvere scivolò nel fondo con nostra grande delusione. Quando, alcuni mesi dopo, tornammo perché avevamo deciso di distruggere il vestito non lo trovammo più. Io e lo zio Saverio decidemmo che avremmo custodito questo segreto temendo che nascondesse qualcosa più grande di noi.
-Quante rivelazioni! Nulla però mi è nuovo. Nel corso degli anni fino ai nostri giorni i Templari non sono svaniti nella storia, ma hanno conservato il fondamento spirituale dell’Ordine antico; inoltre, hanno dato vita anche ad altre organizzazioni con scopi diversi, tutti nobili. Hanno carattere filantropico, benefico, svolgono la loro opera in difesa dei deboli, lottano contro il potere sfrenato, contro i soprusi e con la rigorosa premessa di aiutarsi l’un l’altro. Questi principi sono alla base di tante società segrete di grande attualità, ad una delle quali, come sai, appartengo io stesso. Proprio per questa strada io mi sono incontrato con la eredità dei Templari e ho avuto contatto con personaggi autorevoli dell’Ordine, che conoscevano molto bene la storia della nostra famiglia. Da loro ho appreso come il nostro avo irlandese avesse destato grande curiosità e fosse stato al centro di numerose ricerche alle quali non è estraneo il trafugamento dell’abito, non per impossessarsi di esso, ma perché erano interessati alla pergamena purtroppo rovinata dal tempo e dall’umidità. La loro delusione fu grande, ma presero lo stesso l’abito pensando che insieme con altri indizi forse avrebbero potuto decifrare o scoprire qualcosa. Mi parlarono anche di misteri celati nella cripta della cattedrale e mi dissero che avevano tentato di demolire la lastra di marmo che chiude il sarcofago di San Canione, ma erano stati disturbati dal sacrestano che, svegliato dai rumori, era accorso con altri uomini. Mi hanno rivelato che Canione per loro ha il significato di ”magnifico sorvegliante”.Da qui l’idea che egli fosse il custode di un segreto di grande valore.
-Come vorrei che fosse qui con noi il povero zio Saverio che negli ultimi anni della sua vita è stato tormentato dalle vicende di cui ti ho parlato senza venire a capo di nulla. Quali misteri, quali arcani racchiude la nostra cattedrale! Ci sarà mai chi scioglierà tanti enigmi, chiarirà vicende e circostanze che ci sembrano così astruse e incomprensibili? Se ho ben capito i Templari conservano direttamente e indirettamente un grande potere occulto e tu me ne hai parlato per farmi comprendere che ti sei rivolto addirittura a loro in nome del passato della nostra famiglia per salvare il nostro giovane nipote.
-Proprio così, Isabella, ma, finora, nessuno, nessun potere politico, ecclesiastico, di singoli o di gruppi, è riuscito a revocare la decisione dei nostri oppressori. E Dio sa se ho tentato tutte le strade! E tutto con la massima prudenza perché noi familiari siamo sorvegliati e una mossa sbagliata potrebbe far precipitare la situazione, già così precaria. Mi pare che una fine avversa e crudele incomba sulla giovane vita di Lorenzo. Che il Signore ci aiuti! Marianna non fa che piangere e pregare.
-Che ore terribili sta attraversando la nostra famiglia e la nostra terra!

*

Un vento si levò forte e sconvolse le chiome degli alberi, strappò le foglie avvolgendole in mulinelli impetuosi; poi, dissolvendole con furia nell’aria. Nelle gole dei monti il vento raccontava di un atroce misfatto, di un delitto compiuto dalla violenza di uomini bruti, di usurpatori dei diritti dei popoli.
“Si squarciò il velo dei tempio alla morte dell’Agnello Pasquale”. Su una camicia bianca una rosa di sangue all’altezza del cuore.
Il grido superò case, strade, si allargò nelle valli, ribollì nelle acque del lago che si sollevarono e coprirono la terra. Piansero i fiori, gli alberi; gli animali del bosco corsero tra i rami all’impazzata e, poi, improvvisa, scrosciante la pioggia battè violenta sui muri, sui tronchi e ingrossò le radici e i funghi. Il grido superò i monti, trovò una verde distesa, rasente sconvolse l’erba e, poi, s’innalzò ad inseguire un raggio di sole che compariva e si nascondeva tra le nuvole fino a quando lo raggiunse e si circonfuse. Tutte le creature si chiesero cosa fosse successo. Perché quel grido aveva stravolto le menti, aveva ferito gli animi, aveva fatto rabbrividire e commuovere? Perché era così vivo nel belato dolente del gregge, nel nitrito irato dei cavalli? Aveva varcato ogni confine e nel sole sarebbe rimasto ad illuminare le gesta degli eroi. Perché quel dolore universale?
Era morto un giovane bello e ardente, intrepido e generoso; era stato fucilato perché aveva amato sopra ogni cosa la libertà.
Era morto al tramonto il figlio di Rosa Glinni e da allora cominciò il compianto lungo e disperato, il dolore inconsolabile. Era il 10 marzo 1828.
Rosa Glinni morì dieci giorni dopo l’uccisione del figlio. Le scoppiò il cuore tra i mandorli in fiore.
Isabella dopo queste due morti dolorose si chiuse in un lutto di parole e di gesti. Rifiutò i commenti, le sollecitazioni anche dei figli, le visite, ogni consolazione e non si recò più nella grande casa. Troppi richiami, troppe voci antiche che echeggiavano nell’atrio, nelle stanze e la illudevano con la loro inconsistenza.
Sentiva tutto il peso degli anni e delle assenze.



Acerenza, 8 novembre, 1828

Francesco I°

Per la grazia di Dio Re del Regno delle due Sicilie, di Gerusalemme: Duca di Parma, Piacenza, Castro ecc.ecc…
Copia- Al numero 13 del Repertorio- Regno delle due Sicilie- Regnante Francesco I:° per la grazia di Dio Re delle due Sicilie, di Gerusalemme ecc.ecc…Oggi che sono li otto,8, del mese di Novembre dell’anno milleottocentoventotto, 1828, in questo Comune di Acerenza,Distretto di Potenza in Provincia di Basilicata, e verso le ora sedici, 16, dello stesso giorno- avanti a Noi Notar Antonio Segni del fu Michelangelo residente in questo suddetto Comune di Acerenza, Distretto di Potenza, Provincia di Basilicata, quivi domiciliato con lo studio casa propria, sita dietro la Curia Arcivescovile senza num.°; ed alla presenza dei qui sottoscritti testimoni in numero opportuno intervenuti richiesti dalla legge, maggiori di età, ed a me noti, si è presentata la Signora Donna Isabella Glinni del fu don Filippo, vedova del fu Signor Antonio Pipoli, Gentildonna proprietaria in questo Comune di Acerenza e qui domiciliata Palaggio proprio sito strada La Curia senza num.°; persona di maggiore età, ed a me e ai testimoni ben nota, la quale ha dichiarato che, considerando gli acciacchi di sua salute e lo stato frale e caduco dell’umana natura, e che non vi sia cosa più certa della morte, quanto incerta l’ora di quella; perciò ora che si trova sana di mente ed in tutti li suoi detti sentimenti esistente, ha disposto farsi il suo ultimo nuncupativo testamento, come realmente lo fa, cassando ed annullando qualunque altro testamento per l’addietro si trovasse fatto, ma vuole, e comanda che a questa sua ultima volontà si attenda, da doversi esattamente eseguire dopo la sua morte, giusta la sua contenenza e tenore- Quindi, dopo aversi raccomandata l’anima sua al Signore Iddio, a Maria Santissima, ai suoi Santi Avvocati, affinché per mezzo della loro intercessione ottenendoli il perdono dei peccati, farla partecipe della gloria del Paradiso; ha disposto dei suoi beni nel modo che segue- E perché il capo e principio di ogni ben regolato testamento, si è l’istituzione dell’Erede, senza del quale ogni testamento rendesi nullo ed invalido; perciò nomina, fa e vuole che di tutti li suoi beni, dritti e ragioni, stabili , mobili, semoventi, e di quant’altro potesse appartenerle, e possiede siano eredi i suoi figli, Donna Marianna e don Giuseppe. Similmente vuole, ed ordina che a titolo di legati particolari si desse il numero di trenta,30, pezzi di vaccine, computate tra grandi e picciole, rivalutate per docati cinquecento novanta, 590, che essa possiede in piena proprietà, e la vigna che da essa testatrice si possiede dell’estensione di circa sei migliaia in contrada detta il Lago, confinante con la strada pubblica da un lato e da sopra con la vigna di Domenico Smaldone, e li quattro casamenti ch’essa possiede in questo Comune, consistenti in due soprani e due sottani siti e confinanti con l’antiche case de’ Signori Pugliese, ai signori Don Pietro Paolo Glinni, e don Antonio Glinni del fu don Canio, fratelli germani, e la Signora donna Marianna Glinni del fu Filippo e moglie del detto Pietro Paolo, tutti e tre eredi di essa testatrice donna Isabella, eredi tanto in proprietà, che in usufrutto, ed a porzioni uguali, delle sostanze sopraddette e ciò perché ad essa donna Isabella così li è piaciuto, essendo libera Padrona dei suoi beni, ed avendo anche in considerazione l’amore che essa porta a tutti e tre, ed atteso anche per dare un compenso per l’assistenza ed interesse che han preso sempre verso di lei , nelle critiche e dolorose circostanze di lutto della sua famiglia.- Essa vuole che seguita la sua morte il cadavere sia trasportato con quella pompa decente allo stato di una gentildonna nella Chiesa Cattedrale, dove, dopo essersi eseguiti li corrispondenti funerali, vuole che il suo cadavere sia posto nella sepoltura dei suoi antenati, dove pure fu sotterrato il di lei marito-
Similmente vuole che a titolo di legato particolare detti di lei suoi eredi facciano celebrare in ogni anno nella Chiesa Cattedrale quattro anniversari, cioè due per i genitori di essa testatrice, un altro per il marito Signor Antonio Pipoli, e l’altro in suffragio dell’anima di essa testatrice, donna Isabella Glinni, e tutti in ciascun giorno della loro morte…
Il presente testamento è stato scritto da me Notaro negli stessi termini nei quali mi sono stati da essa testatrice espretati e da lei dettati parola per parola, alla quale donna Isabella Glinni ho letto ad alta ed intellegibile voce, alla presenza de’ qui presenti testimoni, ed ha dichiarato di averlo ben capito, e di persistervi come quello ch’esprime la sua volontà. Il tutto nel medesimo contesto senza deviare ad altri atti. Fatto, letto, e stipulato oggi dietro scritto giorno, ora, mese ed anno in questo suddetto Comune di Acerenza in casa di abitazione di essa testatrice donna Isabella Glinni, e propriamente nella stanza dove la stessa riposa, la quale perché scrivente ha firmato di sua mano il presente atto , alla presenza de’ qui sottoscritti testimoni richiesti dalla legge non parenti, né affini della testatrice, tutti di questo Comune di Acerenza, maggiori di età, ed a me cogniti…

Notar Segni Stipulatore

 

 

 

 

 

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