SCHEDA
I
LA LEGGENDA E LA FESTA DE "LA TIRANA".
La Tirana è un piccolo villaggio stretto attorno al santuario
omonimo in pieno deserto, nella pampa del Tamarugàl1,
e rappresenta uno dei centri più significativi dell’espressione
della religiosità popolare nel nord cileno, la cui fama
travalica la frontiera. Ce ne occupiamo anche per meglio
inquadrare il clima culturale che fa da sfondo alla vita dei
lucani, particolarmente numerosi nella vicina lquique (a circa
70 km.) e nell’ancora più prossima località di Pica (una
trentina di km.), oasi del deserto del Tamarugál, nell’Atacama.
lI
16 di luglio più di trentamila pellegrini invadono il
villaggio, che nel resto dell’anno conta non più di 250 abitanti
permanenti, per rendere omaggio alla
Virgen del Carmen
(ma il culto ha origini pagane), protettrice dell’Esercito,
danzando per le strade e indossando maschere e costumi indigeni
in un’atmosfera carnevalesca. La ritualità rimanda a un mosaico
di distinte tradizioni culturali in cui si ravvisano elementi
europei, moriscos,
africani, andini
(aymari e di altri indios) e del sud cileno, sicché i dati
folklorici che ne derivano sono diversamente interpretabili.
Tale fusione ha creato caratteristiche del tutto originali.
La
leggenda della Tirana
è molto nota in Cile2.
Si narra che nell’anno 1535 il terribile
Diego de Almagro3
fosse sceso da Cuzco alla conquista del Cile alla testa di 550
spagnoli e 10.000
indigeni, tra cui Paulo Tupac, principe degli Incas, e Huillac
Huma, l’ultimo
sacerdote del culto del Sole, insieme a sua figlia, la
principessa Ñusta Huillac, dell’età di 23 anni, accompagnata da
alcuni wilkas,
guerrieri incas. Costoro erano tutti ostaggi destinati a pagare
con la vita il
minimo accenno di ribellione. Giunti all’altura di Cálama, con
l’aiuto della popolazione Huma fuggì. A sua volta la figlia
Ñusta
si nascose nel bosco di
tamarugos
insieme ai
guerrieri wilkas. Per quattro anni Nusta dominò nel bosco e da
lì giurò morte a tutti gli spagnoli o indios che cadessero in
suo potere. Abile con arco e frecce, la sua fama oltrepassò i
confini del territorio. Da qui il nome con cui divenne
leggendaria: la “tiranna” del Tamarugál.
Le tribù vicine videro in questa donna bella e coraggiosa il
simbolo vivente della profonda protesta contro la dominazione
spagnola e della propria identità minacciata. Ma non è tutto. Un
giorno fu condotto da lei un prigioniero, Vasco de Almeyda,
minatore portoghese di Huantajaya, condannato a morte dagli
wilkas e dagli anziani della tribù. Mai Nusta aveva vacillato in
simili casi, ma uno sguardo al prigioniero la cambiò. In veste
di sacerdotessa finse di dover consultare gli astri e
interrogare gli dèi della sua gente, facendo così rimandare la
sentenza fino al quarto plenilunio. Nei quattro mesi che
seguirono non vi furono persecuzioni né attacchi, che erano il
terrore dei coloni di Pìca e Huantajaya. Intanto Almeyda aveva
convertito la tiranna
alla fede cristiana, I due furono sorpresi dai
wilkas
proprio mentre egli stava per battezzarla. I guerrieri
uccisero la “tiranna” a colpi di frecce ed ella, prima di morire
pregò i suoi uccisori che venisse seppellita insieme ad Almeyda
e che fosse posta una croce sul luogo della loro sepoltura.
Qualche decennio più tardi, frate Antonio Rondón, del Real y
Militar Orden de Merced, durante una campagna di
evangelizzazione della regione, giunse al Tamarugál e scoprì la
croce. Sul luogo del martirio volle erigere la cappella dedicata
a Nuestra Señora
del Carmen de la Tirana.
Come interpretare la leggenda? Intanto come un trionfo del
cristianesimo sulla religione india; l’unione poi di Ñusta
Huillac con Vasco de Almeyda è una rappresentazione simbolica
del processo di fusione meticcia che ebbe luogo nella
regione del Tarapacá. Il giovane della leggenda è un minatore,
particolare che ci indica l’importanza dell’attività mineraria
al tempo della nascita del culto: in questo come in altri miti,
infatti, non è importante la connotazione storica della presunta
origine, quanto quella del momento in cui il mito stesso si
afferma, operando nella rielaborazione del mito originale
l’inserzione di elementi più attuali.
E’ evidente, inoltre, l’immediata utilità che un culto già molto
popolare, dai forti connotati etnici e anticoloniali, invece che
represso venisse trasformato in devozione cristiana.
LA
FESTA -
Elementi andini —
Numerosi aspetti rituali de
La Tirana sono di
origine andina. Nel boliviano ballo dei
Oiablos,
la figura del diavolo, demonio cristiano, si mescola a
quella di Supay, spirito malefico andino. I costumi e le
maschere sono simili a quelle delle cerimonie pubbliche incaiche
già osservate dal XVII secolo in Perù, durante le quali gli
sciamani indossavano maschere di felini o sombreri adorni
di piume di rapaci selvatici. Durante la conquista coloniale
questi elementi zoomorfi furono sostituiti da figure demoniache.
Alcuni strumenti musicali rappresentano antiche armi da guerra
peruviane e boliviane. La festa inoltre coincide col calendario
agricolo andino che colloca festività importanti alla fine del
raccolto. Infine, come si osserva in molte feste andine della
precordigliera e dell’altopiano, i ballerini mimano sacrifici
corporali e la lotta tra il bene e il male, dove dapprima vince
il
male, ma poi la Vergine interviene contro
il
demonio.
Elementi della leggenda —
Tra i balli dei diversi gruppi etnici rappresentati
durante la festa, quelli ‘moreni’ erano anticamente capeggiati
da una regina e da un capitano armato di frusta.
Elementi coloniali —
Sono presenti anche molti elementi di origine
iberico-occidentale, come danze introdotte dalla chiesa
cattolica quando ha cercato di sostituirne altre vistosamente
pagane, per Io più di origine bolìviana. Così come molte
rappresentazioni indigene sono state sostituite dalla
iconografia cristiana. Perché risultasse più adeguata allo
spirito popolare, questa operazione venne affidata dal XVIII
sec. alle confraternite più povere provenienti dal Perù, in cui
si mescolavano creoli, spagnoli, indigeni e schiavi negri4.
La fusione di elementi rituali delle varie etnie fu tale che ne
risultò una religiosità di tipo sìncretista, con una continuità
nella rappresentazione esteriore del culto: la coppia di incas
portata agli onori dell’altare sostituita dalla Vergine. Che,
associata al sole o alla luna, rimanda alle radici incaiche
della divinità femminile Mama Phajjsi (Madre Luna) e quindi alla cultura Aymara e poi
cattolica. A sua volta, la mediazione cattolica è
nella rappresentazione della Vergine con la mezzaluna ai piedi
come simbolo della vittoria del cristianesimo sui Mori, avendo
la religione musulmana come emblema la mezzaluna. Infine,
l’associazione della Vergine con i simboli astrali ne sublima il
potere sulla terra.
Elementi dell’economia del
salnitro —
Tutta l’area riveste grande importanza nello sfruttamento
del suolo. Nel secolo scorso la chiesa cattolica era molto
presente nelle aree di estrazione, favorendo tra gli operai il
formarsi di una nuova identità culturale-religiosa che soppiantò
quella d’origine (molti operai erano boliviani). La popolarità
della Tirana
divenne di massa
proprio in seguito allo sfruttamento economico del deserto di
Atacama, per i
metalli preziosi nel XVIII secolo e per il salnitro nei secc.
XIX-XX. Durante la festa, alcuni tra i danzatori che reggono la
Vergine in processione indossano costumi che ricordano il lavoro
in miniera.
Elementi internazionali
-
Negli ultimi trenta-quarant’anni si sono via via aggiunti
elementi di tipo internazionale; nello stesso tempo la festa
della Tirana ha costituito un modello per le altre feste mariane5.
Nella stessa piazza del santuario, il Museo del
Salitre
ospita
manufatti provenienti dagli stabilimenti dei nitrati. Come
vedremo, in quest’arido entroterra iquiqueño, colorito di storia
e folklore, anche i lucani hanno contribuito ad introdurre i
culti dei paesi di provenienza, come le feste per San Rocco e
Sant’Antonio.
1 Da
‘tamarugos’, rari arbusti del deserto cileno, presenti nella zona.
2 Sulla leggenda della Tirana, la presidente dell’Associazione
Lucana Region Norte de
Chile,
Iris Di Caro,
iquiqueña originaria di Oppido L., ha realizzato un’opera
poetica e teatrale,
Hechizo de la Tirana.
Per una scheda biografica di lris Di Caro,
v. oltre.
3 Si tratta del conquistatore che, insieme a Francisco Pizarro,
aveva attaccato in Perù l’impero degli Incas, commettendo
atrocità spaventose. Insieme misero a ferro e fuoco intere
regioni, bruciarono vivi i capi indigeni, marchiarono con ferri
roventi gli abitanti dei villaggi ridotti in schiavitù.
Atahualpa, l’imperatore inca, sebbene i sudditi lo avessero
riscattato con un’enorme quantità d’oro, fu strangolato il 29
agosto del 1533 sotto gli occhi del suo popolo. Nasceva il
vicereame spagnolo del Perù.
4 negli anni 1850-1860 nella vicina Pica c’era una colonia di
schiavi negri.
5 Cfr. H. Slootweg, Las
raices culturales e historicas de la fiesta de la Tirana, in
Camanchaca, n.14, 1993, p.15 ss. |