Dove la terra finisce
"i lucani in Cile"

 

 

PARTE I°  -  NEL PAESE DOVE LA TERRA FINISCE - Maria Schirone
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Le politiche di Emigrazione nella storia cilena La guerra del Pacifico Indigeni, conquistadores, immigrati
Sch. 1 - La leggenda e la festa de La Tirana
La presenza italiana in Cile Le organizzazioni associative degli italiani Le Compañías dei bomberos
Sch. 2 - Le Compañías dei bomberos
Il viaggio: "Ma non riconoscevo le stelle..."

Indigeni, conquistadores, immigrati

Nel delineare un quadro, sia pure per rapidi tocchi, delle trasformazioni sociali conseguenti ai consolidamenti territoriali in territorio cileno, non si può tacere il ruolo della componente religiosa, un “portato” culturalmente molto forte dall’epoca dei conquistadores.

Gli ordini monastici e le gerarchie costituirono sin dalla “conquista” uno strumento fondamentale di penetrazione europea che nel tempo ha consolidato il proprio molo di collante sociale, evolvendosi secondo i diversi momenti storici. Istituzioni ecclesiastiche come il Patronato, festività religiose, chiese, conventi; parrocchie, missioni, arcivescovadi: una rete di presenze che in tutta l’America latina si è sovrapposta laddove ha potuto (o, come in Brasile, si è affiAricata alle altre forti culture popolari indigene e africane, in un effetto moltiplicatore che rende la religiosità brasiliana unica nel subcontinente).

In Cile l’impronta iberica dei vincitori è prevalente e ovunque visibile. Benché politicamente il Cile sia stato sempre orgoglioso della propria capacità di respingere ogni riavvicinamento dell’antica madrepatria40, culturalmente le ha concesso una padronanza incondizionata, non senza ripercussioni sulle scelte di sviluppo.

 

Se dalle lotte per l’indipendenza la chiesa era uscita alquanto indebolita, una nuova numerosa presenza di sacerdoti europei consentì ben presto la ricostruzione dell’organizzazione ecclesiastica, che lentamente ha finito con l’accettare le novità per non trovarsi relegata in ruoli secondari, col rischio di perdere prestigio agli occhi del popolo. Tra i missionari italiani figurano in primo luogo i gesuiti presenti in Cile sin dall’inizio dell’epoca coloniale; dalla metà del secolo scorso hanno operato cappuccini, francescani, salesiani e altri missionari della ‘Propaganda Fide’. Dopo la seconda guerra mondiale giunsero dall’Italia numerose congregazioni moderne: paolini, barnabiti, scalabriniani, Don Guanella, comboniani, stimmatini, focolarini e congregazioni femminili.

In alcuni casi queste presenze sono state anche di sostegno alle prime necessità degli immigrati italiani; ad es. i salesiani delle parrocchie italiane di Santiago, Valparaíso, Iquique e Concepci6n hanno collaborato con l’organizzazione “Italica Gens” con questa finalità; ma l’obiettivo più ampio, esplicito anche da parte dei governi cileni che ne programmavano l’accoglienza, restava la neutralizzazione culturale degli indios ormai sconfitti.

In questo processo di egemonia culturale la tradizione spagnola, con i suoi eccessi coloristici ed emotivi, ha dovuto comunque accogliere man mano anche le tradizioni popolari indie. Secondo una consuetudine ovunque consolidata, quando la Chiesa cattolica, intesa come istituzione vincente, non ha potuto sostituirsi in toto alle più radicate tradizioni locali, le ha inglobate, fatte proprie e — così neutralizzate — controllate nella intrinseca forza potenzialmente eversiva. Tale è la natura di feste nate come pagane e successivamente trasformatesi in feste religiose, come la festa della Tirana (v. scheda I). A tutto questo si è andata man mano aggiungendo la religiosità degli immigrati d’altra provenienza, soprattutto italiani, col proprio vissuto di feste popolari e patronali.

 

 40 Attacchi e incursioni della flotta spagnola avvennero sulle coste cilene ancora nel 1864-65. Cfr. T.H. Donghi, Storia dell’America latina, cit. p. 207.

 

 

SCHEDA I

 

 

LA LEGGENDA E LA FESTA DE "LA TIRANA".

 

La Tirana è un piccolo villaggio stretto attorno al santuario omonimo in pieno deserto, nella pampa del Tamarugàl1, e rappresenta uno dei centri più significativi dell’espressione della religiosità popolare nel nord cileno, la cui fama travalica la frontiera. Ce ne occupiamo anche per meglio inquadrare il clima culturale che fa da sfondo alla vita dei lucani, particolarmente numerosi nella vicina lquique (a circa 70 km.) e nell’ancora più prossima località di Pica (una trentina di km.), oasi del deserto del Tamarugál, nell’Atacama.

lI 16 di luglio più di trentamila pellegrini invadono il villaggio, che nel resto dell’anno conta non più di 250 abitanti permanenti, per rendere omaggio alla Virgen del Carmen (ma il culto ha origini pagane), protettrice dell’Esercito, danzando per le strade e indossando maschere e costumi indigeni in un’atmosfera carnevalesca. La ritualità rimanda a un mosaico di distinte tradizioni culturali in cui si ravvisano elementi europei, moriscos, africani, andini (aymari e di altri indios) e del sud cileno, sicché i dati folklorici che ne derivano sono diversamente interpretabili. Tale fusione ha creato caratteristiche del tutto originali.

La leggenda della Tirana è molto nota in Cile2. Si narra che nell’anno 1535 il terribile Diego de Almagro3 fosse sceso da Cuzco alla conquista del Cile alla testa di 550 spagnoli e 10.000 indigeni, tra cui Paulo Tupac, principe degli Incas, e Huillac Huma, l’ultimo sacerdote del culto del Sole, insieme a sua figlia, la principessa Ñusta Huillac, dell’età di 23 anni, accompagnata da alcuni wilkas, guerrieri incas. Costoro erano tutti ostaggi destinati a pagare con la vita il minimo accenno di ribellione. Giunti all’altura di Cálama, con l’aiuto della popolazione Huma fuggì. A sua volta la figlia Ñusta si nascose nel bosco di tamarugos insieme ai guerrieri wilkas. Per quattro anni Nusta dominò nel bosco e da lì giurò morte a tutti gli spagnoli o indios che cadessero in suo potere. Abile con arco e frecce, la sua fama oltrepassò i confini del territorio. Da qui il nome con cui divenne leggendaria: la “tiranna” del Tamarugál.

Le tribù vicine videro in questa donna bella e coraggiosa il simbolo vivente della profonda protesta contro la dominazione spagnola e della propria identità minacciata. Ma non è tutto. Un giorno fu condotto da lei un prigioniero, Vasco de Almeyda, minatore portoghese di Huantajaya, condannato a morte dagli wilkas e dagli anziani della tribù. Mai Nusta aveva vacillato in simili casi, ma uno sguardo al prigioniero la cambiò. In veste di sacerdotessa finse di dover consultare gli astri e interrogare gli dèi della sua gente, facendo così rimandare la sentenza fino al quarto plenilunio. Nei quattro mesi che seguirono non vi furono persecuzioni né attacchi, che erano il terrore dei coloni di Pìca e Huantajaya. Intanto Almeyda aveva convertito la tiranna alla fede cristiana, I due furono sorpresi dai wilkas proprio mentre egli stava per battezzarla. I guerrieri uccisero la “tiranna” a colpi di frecce ed ella, prima di morire pregò i suoi uccisori che venisse seppellita insieme ad Almeyda e che fosse posta una croce sul luogo della loro sepoltura.

Qualche decennio più tardi, frate Antonio Rondón, del Real y Militar Orden de Merced, durante una campagna di evangelizzazione della regione, giunse al Tamarugál e scoprì la croce. Sul luogo del martirio volle erigere la cappella dedicata a Nuestra Señora del Carmen de la Tirana.

 

Come interpretare la leggenda? Intanto come un trionfo del cristianesimo sulla religione india; l’unione poi di Ñusta Huillac con Vasco de Almeyda è una rappresentazione simbolica del processo di fusione meticcia che ebbe luogo nella regione del Tarapacá. Il giovane della leggenda è un minatore, particolare che ci indica l’importanza dell’attività mineraria al tempo della nascita del culto: in questo come in altri miti, infatti, non è importante la connotazione storica della presunta origine, quanto quella del momento in cui il mito stesso si afferma, operando nella rielaborazione del mito originale l’inserzione di elementi più attuali.

E’ evidente, inoltre, l’immediata utilità che un culto già molto popolare, dai forti connotati etnici e anticoloniali, invece che represso venisse trasformato in devozione cristiana.

LA FESTA - Elementi andini Numerosi aspetti rituali de La Tirana sono di origine andina. Nel boliviano ballo dei Oiablos, la figura del diavolo, demonio cristiano, si mescola a quella di Supay, spirito malefico andino. I costumi e le maschere sono simili a quelle delle cerimonie pubbliche incaiche già osservate dal XVII secolo in Perù, durante le quali gli sciamani indossavano maschere di felini o sombreri adorni di piume di rapaci selvatici. Durante la conquista coloniale questi elementi zoomorfi furono sostituiti da figure demoniache. Alcuni strumenti musicali rappresentano antiche armi da guerra peruviane e boliviane. La festa inoltre coincide col calendario agricolo andino che colloca festività importanti alla fine del raccolto. Infine, come si osserva in molte feste andine della precordigliera e dell’altopiano, i ballerini mimano sacrifici corporali e la lotta tra il bene e il male, dove dapprima vince il male, ma poi la Vergine interviene contro il demonio.

Elementi della leggenda Tra i balli dei diversi gruppi etnici rappresentati durante la festa, quelli ‘moreni’ erano anticamente capeggiati da una regina e da un capitano armato di frusta.

Elementi coloniali Sono presenti anche molti elementi di origine iberico-occidentale, come danze introdotte dalla chiesa cattolica quando ha cercato di sostituirne altre vistosamente pagane, per Io più di origine bolìviana. Così come molte rappresentazioni indigene sono state sostituite dalla iconografia cristiana. Perché risultasse più adeguata allo spirito popolare, questa operazione venne affidata dal XVIII sec. alle confraternite più povere provenienti dal Perù, in cui si mescolavano creoli, spagnoli, indigeni e schiavi negri4. La fusione di elementi rituali delle varie etnie fu tale che ne risultò una religiosità di tipo sìncretista, con una continuità nella rappresentazione esteriore del culto: la coppia di incas portata agli onori dell’altare sostituita dalla Vergine. Che, associata al sole o alla luna, rimanda alle radici incaiche della divinità femminile Mama Phajjsi (Madre Luna) e quindi alla cultura Aymara e poi cattolica. A sua volta, la mediazione cattolica è nella rappresentazione della Vergine con la mezzaluna ai piedi come simbolo della vittoria del cristianesimo sui Mori, avendo la religione musulmana come emblema la mezzaluna. Infine, l’associazione della Vergine con i simboli astrali ne sublima il potere sulla terra.

Elementi dell’economia del salnitro Tutta l’area riveste grande importanza nello sfruttamento del suolo. Nel secolo scorso la chiesa cattolica era molto presente nelle aree di estrazione, favorendo tra gli operai il formarsi di una nuova identità culturale-religiosa che soppiantò quella d’origine (molti operai erano boliviani). La popolarità della Tirana divenne di massa proprio in seguito allo sfruttamento economico del deserto di Atacama, per i metalli preziosi nel XVIII secolo e per il salnitro nei secc. XIX-XX. Durante la festa, alcuni tra i danzatori che reggono la Vergine in processione indossano costumi che ricordano il lavoro in miniera.

Elementi internazionali - Negli ultimi trenta-quarant’anni si sono via via aggiunti elementi di tipo internazionale; nello stesso tempo la festa della Tirana ha costituito un modello per le altre feste mariane5.

 

Nella stessa piazza del santuario, il Museo del Salitre ospita manufatti provenienti dagli stabilimenti dei nitrati. Come vedremo, in quest’arido entroterra iquiqueño, colorito di storia e folklore, anche i lucani hanno contribuito ad introdurre i culti dei paesi di provenienza, come le feste per San Rocco e Sant’Antonio.

 

 

 

1 Da ‘tamarugos’, rari arbusti del deserto cileno, presenti nella zona.

2 Sulla leggenda della Tirana, la presidente dell’Associazione Lucana Region Norte de Chile, Iris Di Caro, iquiqueña originaria di Oppido L., ha realizzato un’opera poetica e teatrale, Hechizo de la Tirana. Per una scheda biografica di lris Di Caro,

v. oltre.

3 Si tratta del conquistatore che, insieme a Francisco Pizarro, aveva attaccato in Perù l’impero degli Incas, commettendo atrocità spaventose. Insieme misero a ferro e fuoco intere regioni, bruciarono vivi i capi indigeni, marchiarono con ferri roventi gli abitanti dei villaggi ridotti in schiavitù. Atahualpa, l’imperatore inca, sebbene i sudditi lo avessero riscattato con un’enorme quantità d’oro, fu strangolato il 29 agosto del 1533 sotto gli occhi del suo popolo. Nasceva il vicereame spagnolo del Perù.

4 negli anni 1850-1860 nella vicina Pica c’era una colonia di schiavi negri.

5 Cfr. H. Slootweg, Las raices culturales e historicas de la fiesta de la Tirana, in Camanchaca, n.14, 1993, p.15 ss.

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