Dove la terra finisce
"i lucani in Cile"
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A Iquique. Dove il deserto incontra l’oceano.
Dopo la Guerra del Pacifico (le cui tappe essenziali abbiamo riferito in precedenza), l’Emigrazione italiana divenne più numerosa, in Cile come in Perù. Le ottimistiche notizie di abbondanza di nitrato di soda nelle regioni del Tarapacá e dell’Atacama (il Norte Grande) attraversarono l’Atlantico e costituirono un richiamo dal vecchio continente. Dall’Italia gruppi di emigrati cominciarono ad arrivare sulla costa di Iquique, principalmente dalle regioni della Liguria e della Basilicata. Nel 1907 la presenza italiana nel Tarapacá superava le mille unità, ripartite tra il porto e la pampa salitrera62. Esse rappresentarono quel nucleo che successivamente, insieme ai figli e alle generazioni successive, avrebbe costituito fino ad oggi la numerosa e significativa collettività italiana nel Norte Grande.
Avvolta in un’ampia coperta, su un sentiero stretto e ripido, Rosa è
a dorso di una mula. Fa freddo, benché sia estate. Intorno a lei, la
roccia dell’arido paesaggio andino mostra qua e là le chiazze
abbaglianti di nevi perenni.
Rosa è un fagotto in braccio alla mamma, e si lascia trasportare con
l’indolenza di una precoce rassegnazione alle vicende della vita.
Non ha ancora cinque anni. Va a raggiungere il papà che l’aspetta in
un paese dal nome strano, così diverso dai nomi dei paesi che ha
lasciato da ormai più di un mese. Iquique. Chissà quanti giorni ci
vorranno ancora per quella meta lontana. Sembrava già tanto lungo il
viaggio da Oppido a Napoli. Un paese intero all’imbarco. Tanta gente
che sembrava la festa di Sant’Antonio, non fosse stato per quella
stanchezza, quegli abbracci e quelle lacrime che sapevano così poco
di festa.
Ma il mare! Quel mare sembrava non voler finire mai. Quanti giorni,
settimane, prima di poter ridiscendere dalla nave? Più di un mese
per Mar del Plata, e non era che una tappa di questo percorso
interminabile. Poi in treno fino a San Martín de los Andes, il
confine andino dove insieme all’Argentina finisce anche la ferrovia.
Là, un mulattiere ha proposto alla mamma di accompagnarle di là
dalle Ande, a Los Andes del Cile. A dorso di quella mula che ora la
culla ora la fa sobbalzare, strattonata com’è perché non perda la
direzione.
Ma la bimba sa che, dopo, questo viaggio non sarà ancora finito: dal
confine a Santiago e Valparaíso, il mulattiere dice che saranno non
meno di due settimane di carretto; dal porto mamma e figlia dovranno
prendere ancora una nave per il lungo nord cileno, altre mille
miglia fino a Iquique. Per ora sono già tre giorni almeno lungo la
Cruce de los Andes, sentieri tortuosi, ripidi, polverosi, ponti
stretti che passano su baratri e precipizi da far paura anche alle
bestie.
Sarà per questo che la mula è bendata.
Una storia che potrebbe chiamarsi Dagli Appennini alle Ande,
se questo titolo non l’avesse già scelto qualcuno di ben altra
stoffa... Perché dagli appennini lucani parte questa vicenda, dai
monti di Oppido che allora —siamo alla fine dell’Ottocento — si
chiamava Palmira63.
Nonna
Felicia Muscio e la piccola Rosa ci misero due
mesi per arrivare a Iquique. Sono Canio Antonio Sciaraffia64
e il cugino Francesco Lasala a raccontare. Come nonna
Felicia, come la piccola Rosa, tanti italiani, tanti lucani hanno
attraversato quell’arida e fredda barriera naturale delle Ande
argentine. Così la bisavola di Gianni Corvalan, partita da
Oppido per il Cile attraverso l’Argentina e le Ande per raggiungere
il marito Benedetto Napoli, emigrato da Oppido all’età di 14
anni. In treno o a dorso di mulo, verso luoghi nuovi della speranza
in una sconosciuta lingua di terra che si allunga dai tropici
all’Antartico, stretta tra la cordigliera andina e l’Oceano
Pacifico. Come dice un ritornello del Tamarugál: “Vivo atrapado/
entre dos mares./ Uno de sal y rocas./ Otro de agua y sal.”
65.
Eppure questa terra, tra picchi rocciosi, spiagge sabbiose e aridi
deserti ha offerto un’alternativa di vita a coloro che si possono
considerare i più coraggiosi e creativi tra gli emigrati italiani.
61 Per la poesia integrale v.
63
Palmira è
un toponimo che compare nel secolo scorso per Regio Decreto n. 1273
e dura solo per pochi decenni, dal 21 aprile 1863 all’8 giugno 1933.
Oppido è. invece, il nome con cui la località lucana è nota sin dai
primi documenti (Catalogo dei Baroni Normanni redatto nel XII sec,
in cui figura un Rogerius de Oppido; dal 1415 come località
denominata Oppido; così figura anche nella carta del Rizzi-Zannoni
-1808). All’indomani dell’Unità d’Italia fu aggiunta la precisazione
“Lucano”.
64 Rosa sposò Canio Sciaraffia Provenzale, padre di Canio. La
sorella Berta sposò Francesco La Sala Giordano. Canio Antonio
Sciaraffia. Sciaraffia è il più piccolo dei 12 figli nati dal
matrimonio tra Canio e Rosa. E’ sposato con Susana Ortega ed è padre
di Canio, José Miguel e Gino. Tiene a precisare che l’ultima
generazione della famiglia Sciaraffia è occupata in attività
professionali: sono ingegneri o medici. 65 Juan Vásquez, A la camanchaca. Il Tamarugál è l’arida pampa dell’entroterra di Iquique, ricca di nitrati.
Questa la storia, così come ce la racconta Canio Sciaraffia:
Là in Iquique, poi, nasceranno i fratellini di Rosa: Maria
nel 1898, Berta nel 1900 e Vittorio nel 1903, che si
troveranno a vivere una terribile tragedia, di cui diremo.
Continua il cugino, Francesco Lasala: “Mio padre
[Francesco La Sala66,
come il figlio] quand’era a Oppido andava in campagna a seminare.
Quando nel 1911 è arrivato a Iquique alla casa del nonno ha
conosciuto Berta, che in seguito (nel 1918) sarebbe diventata sua
moglie”. Allora lei aveva
11 anni, mentre lui ne aveva 18 di più. “Arrivato a Iquique trovò
il lavoro: vendere acqua nelle case”. L’acqua giungeva da Arica
con navi cisterne; gli acquaioli la smistavano di casa in casa.
Successivamente, terminata l’emergenza acqua, Francesco La Sala
passò a vendere il pane finché nel 1915 aprì la Panaderia “La
Universal“, in società con altri quattro lucani
Domenica Cervellino, che
oggi ha 83 anni, arrivò da Oppido a Iquique nel 1958. Ricorda una
grande paura durante il tragitto andino (stavolta in treno) sui
passi montani. Cercava di non vedere il paesaggio dal finestrino.
Soprattutto opprimenti le apparivano le montagne che si affacciavano
sul nulla del deserto, come onde preoceaniche, e sperò di non dover
rivedere le Ande per lungo tempo. Ma non sapeva che la casa che
l’attendeva era situata.. ai margini del deserto e di fronte alla
cordigliera!
66 Si tenga conto delle trascrizioni frequentemente divergenti: talvolta Lasala, altre volte La Sala, I lucani oggi residenti a lquique con questo nome si chiamano prevalentemente Lasala. Francesco (il figlio) che ha rilasciato le testimonianze, è Presidente della Casa degli Italiani di lquique. |
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