LA MEDICINA PRIMITIVA
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L'ILLUSTRAZIONE
Questo dipinto presenta un
momento della cerimonia navaho del Canto della Montagna, che dura
ben nove giorni. Tra gli antichi cerimoniali di medicina primitiva e
di pittura su sabbia che hanno luogo presso gli Indiani d'America,
quelli dei Navaho sono tra i più pittoreschi. In tali cerimonie si
ritrovano tutti gli elementi della medicina primitiva: religione,
magia, canti, interventi fisioterapici e psicoterapeutici, nonché
impiego di medicinali. Dopo che la pittura su sabbia è stata
completata, il paziente ci si siede sopra. L'uomo di medicina, o
'cantore', canta, prega e utilizza manufatti magico-religiosi e
polveri sacre. Al paziente vengono dati alcuni sorsi di decotti di
varie erbe, condivisi anche dall'uomo di medicina e dagli astanti.
In seguito, sul corpo del malato vengono applicati dei pezzetti di
pigmenti colorati, mentre si inalano i fumi di erbe aromatiche
sparse su dei carboni ardenti. La famiglia e gli amici fanno da
testimoni e si uniscono alle cerimonie, le quali hanno luogo in una
hogan a uso medico. |
PREMESSA
Non si può studiare correttamente nessun fenomeno naturale isolato: perché
sia compreso, lo si deve analizzare nei suoi rapporti con la natura
tutta.
Non è facile stabilire per quali vie i nostri antenati, secoli orsono,
scoprirono e svilupparono l'arte del guarire. Le teorie sulle origini
della medicina, infatti, sono in gran parte frutto di congetture, dal
momento che non esistono documenti scritti e ci sono giunti soltanto
disegni, rinvenuti in diverse grotte, che si riferiscono a una fase
avanzata dell'Età della Pietra e spesso non sono di facile
interpretazione.
Prima di illustrare le origini della medicina primitiva e del suo grande
protagonista, il medico-sacerdote-stregone, sarà bene accennare alla
paleopatologia. Etimologicamente significa «insieme delle malattie degli
uomini antichi»: esiste infatti un'innegabile continuità tra le
patologie passate e quelle dell'epoca attuale e a ragione, dunque, si
include la paleopatologia nella storia della medicina, dal momento che
quest'ultima, come la storia in generale, copre lo sviluppo globale
della specie umana, dalle origini a oggi. La paleopatologia, insieme ai
documenti scritti, può portare un importante contributo alla storia
della medicina, in quanto la documentazione scritta non investe la
totalità degli avvenimenti medici di ogni epoca e inoltre i testi, i
quali in molte occasioni sono comunque fallaci o poco interpretabili,
spesso sono andati perduti.
La paleopatologia consente di studiare in modo particolare le patologie
correlate alle ossa. Queste ultime, infatti, conservano nel tempo, e
quindi permettono di osservare ancora oggi, le alterazioni provocate
dalle malattie. Tra le patologie diffuse in epoca preistorica vi sono:
la tubercolosi, specie quella ossea, che interessa il cranio, la colonna
vertebrale e le ossa degli arti superiori e inferiori; l'artrosi
cervicale, tra le patologie più riscontrate nei reperti e alla quale si
deve perciò togliere quel carattere di 'malattia della civiltà che
troppo spesso le si attribuisce; l'alluce valgo, altra malattia molto
frequente nei popoli preistorici e che attualmente è legata alla forma
di alcune calzature (e infatti interessa in particolare le donne),
mentre in epoca preistorica, come è ovvio, non era connessa
all'imprigionamento dei piedi nelle scarpe, ma piuttosto costituiva una
deformazione osteoarticolare, testimonianza dell'adattamento ancora
imperfetto dell'uomo alla stazione eretta; i rapporti tra ossa contigue
fratturate o lussate; alcune malattie infettive, come la sifilide.
Per quanto riguarda gli esiti del trattamento delle fratture e delle
lussazioni, lo studio dei reperti consente di affermare che la frattura
di un solo osso guariva spontaneamente, senza alcun intervento. Le
fratture di due ossa appaiate, invece, che potevano portare ad
accorciamento o angolazione piuttosto accentuati, dovevano essere curate
e guarite appropriatamente, perché fosse possibile continuare a svolgere
le attività quotidiane. In molti casi le ossa appaiono consolidate senza
accavallamento e senza accorciamento eccessivi, quindi si può pensare
che siano state usate delle ferule o siano state ridotte le fratture,
con
restitutio ad integrum quasi perfetta. Lo stesso vale per le
lussazioni, in specie per quelle della testa dell'omero, come si
riscontra in reperti provenienti da diverse parti del mondo. Studi più
approfonditi dovranno accertare in qual modo gli antichi riuscissero a
curare queste malattie. Anche il recupero delle funzioni articolari è
stato riscontrato in numerosi casi di articolazioni patologiche, in cui
la cartilagine era scomparsa e le superfici ossee erano state in seguito
levigate a causa dello sfregamento; in questi casi si presume che
l'individuo, con l'uso, abbia rimodellato le pseudo-cartilagini e reso
possibile, anche se con qualche limitazione, la funzione motoria
dell'arto interessato dalla lussazione.
Circa la comparsa della sifilide in Europa(1),
è opinione generalmente condivisa dagli studiosi che essa debba essere
fatta risalire al ritorno degli esploratori colombiani, che quindi
l'avrebbero importata dall'America. Tuttavia, i dati raccolti da molti
ricercatori contraddicono questa ipotesi. In particolare, C. J. Hackett(2),
che ha dedicato uno studio approfondito all'argomento, ha stabilito che
vi sono tre ordini di considerazioni — di carattere clinico, biologico e
farmacologico — contro di essa. Per quanto riguarda l'aspetto clinico,
occorre tenere presente che nel passato numerosi errori di diagnosi
possono aver portato a confondere la sifilide con altre malattie, quali
la blenorragia e la lebbra. Dal punto di vista biologico, sappiamo che
il treponema esisteva in Europa prima dell'era colombiana, anche se
aveva caratteri biologici diversi dal tipo americano: la sintomatologia
della sifilide autoctona, infatti, era molto meno severa di quella di
importazione. Infine, la considerazione di ordine farmacologico è che
l'arrivo in Europa del guaiaco contemporaneamente alla spirocheta
pallida avrebbe indotto gli osservatori a ritenere quest'ultima l'unica
responsabile della sifilide.
Nel capitolo dedicato alla paleopatologia nella Storia della Medicina
della Walk Over(3)
sono riportate notizie scientifiche interessanti tratte dall'esame
completo di un corpo mummificato, con l'applicazione di tecniche
radiografiche, istologiche, seriologiche, chimiche, batteriologice e
parassitologiche(4).
Anche gli studi eseguiti dai Cockburn(5)
su alcune mummie hanno fornito risultati di notevole valore scientifico,
che possiamo così riassumere: nel piccolo tratto dell'intestino che è
stato rinvenuto si è potuta riscontrare, tra l'altro, un'infestazione da
ascaris; numerose placche ateromasiche sono state rilevate
sull'aorta; è stata diagnosticata una periostite delle ossa della gamba;
la perforazione del timpano ha denunciato un'otite media; i polmoni sono
apparsi affetti da silicosi, causata dalla sabbia del deserto; infine,
sono state scoperte proteine appartenenti al gruppo delle gamma
globuline, il cui studio, non ancora completo, è stato intrapreso per
ricercare eventuali anticorpi.
Gli studi di paleopatologia, insomma, aiutano a gettare una qualche luce
sulle radici della professione medica, che, come si è già accennato,
sono sepolte in un'epoca pre-storica. La pratica di una qualche forma di
medicina ha accompagnato lo sviluppo dell'uomo, condizionando in molti
casi il cammino della civiltà; specialmente in epoca preistorica, la
medicina è stata indissolubilmente legata a pratiche di tipo
magico-religioso, presso popoli che avevano sviluppato interesse per la
scienza e intendevano migliorare la qualità della loro vita.
I metodi per registrare gli avvenimenti furono messi a punto all'incirca
nel 3000 a.C., e da quel momento in poi la storia ha iniziato a
costruire le sue basi; tuttavia, agli albori della storia, la medicina
era già una professione in pieno sviluppo e coloro che la praticavano
avevano già un bagaglio di esperienze, conoscenze e credenze tramandate
oralmente, in forma di precetti, nel corso dei secoli, da una lunga
serie di predecessori.
L'uomo primitivo non ammetteva che la malattia potesse essere attribuita a
cause naturali, ma la considerava piuttosto un fenomeno magico o
magico-religioso. La medicina magica è sempre esistita (è un'attività
spontanea e naturale) e non ha netti confini che la separino dalla
medicina empirica, mentre ne ha di più precisi nei riguardi della
medicina sacrale: infatti, la magia è un tentativo diretto dell'uomo di
intervenire nello svolgersi degli eventi naturali, di imporsi alla
natura per mezzo di un potere proprio, senza la mediazione della
divinità.
Figure di maghi e di stregoni, che rappresentano la più antica classe
professionale nell'evoluzione della società, sono state scoperte in una
grotta dei Pirenei e sono i più antichi ritratti di guaritori. Gli
utensili di pietra rinvenuti negli scavi potevano essere usati dall'uomo
primitivo anche come strumenti chirurgici, così come gli aborigeni
d'Australia ancora oggi usano un coltello di pietra focaia per eseguire
incisioni. Anche i resti scheletrici dell'uomo preistorico di Età
Paleolitica o Neolitica sono rivelatori delle malattie sofferte, in
quanto recano segni evidenti di artrosi, di tubercolosi, di tumori ossei
ed esostosi. Numerosi crani preistorici, inoltre, portano segni
inconfondibili di trapanazioni, praticate molto prima che si concepisse
qualsiasi altro intervento chirurgico.
Con l'andar del tempo, l'uomo primitivo si persuase che non tutte le
malattie erano dovute ad agenti sovrannaturali e alcune di esse, meno
gravi, erano curate con semplici mezzi casalinghi. Si sviluppò così un
sistema di medicina casalinga e popolare(6)
tramandata per via orale, del quale troviamo traccia ancora oggi in tutte
le nazioni del mondo (infatti, quanto di meglio è stato elaborato dalla
medicina popolare è tutt'ora alla base dell'erboristica moderna). Non
tutti i rimedi dovevano essere ingeriti, molti dovevano essere portati
addosso a scopo di scongiuro (talismani) o a scopo curativo (come la
moneta d'argento posta sulla sede dell'eresipela).
La medicina casalinga o popolare dell'uomo preistorico prevedeva anche l'
'estromissione' o il 'trasferimento', fattore principale nella cura
delle infermità. Un esempio di questa metodica, praticata ancora oggi in
alcune regioni dell'Italia meridionale, consiste nel praticare una
fenditura in giovani alberi (frassini, querce), attraverso la quale
vengono fatti passare, nudi, bambini affetti da ernia; dopo questa
pratica l'albero viene legato e man mano che le sue parti si rinsaldano,
si ritiene che ai bambini accada lo stesso, cioè che guariscano.
Per concludere, ogni elemento della vita scientifica, professionale o
privata dei medici dei tempi passati è interessante per lo studioso: gli
stadi successivi di elaborazione di una tecnica, le norme pittoresche di
una composizione della triaca o di una fumigazione contro la peste.
Nessun particolare è trascurabile, perché riflette una tradizione antica
che le vecchie mitologie o i ricordi del pensiero logico non sempre
arrivano a spiegare, oppure perché è legato alla situazione economica
del tempo, o ancora perché è il risultato di un'associazione di idee, di
un'analogia che oggi ci sembra sorprendente ma che rappresenta tuttavia
uno dei primi aspetti del pensiero scientifico di allora. La presenza di
zampe di ragno o di pelle di serpente in un farmaco medievale non deve
suscitare la nostra ironia, in quanto per i nostri predecessori essa
aveva una ragione, rispondeva a una necessità di cui si deve cercare la
spiegazione. Essi non potevano ragionare, scrivere, curare diversamente
da come facevano, poiché non avevano né le conoscenze, né gli strumenti
mentali che avrebbero permesso loro di comportarsi come noi. La storia
del pensiero delle scoperte mediche conosce numerosi sviluppi che
formano un capitolo appassionante della storia delle scienze e
dell'evoluzione dell'intelligenza umana e alcune fonti(7)
della storia della medicina, costituite dalle tradizioni (documenti sulla
vita dei medici illustri, loro produzione medica in libri e trattati,
atti delle associazioni, medaglie) rappresentano materiali
indispensabili per la conoscenza dell'evoluzione del pensiero medico.
Notiamo, infine, che la scienza medica ha conosciuto negli ultimi decenni
uno sviluppo più rapido che nei millenni precedenti e la medicina che si
pratica oggi certamente non è quella che insegnarono gli illustri
cattedratici degli anni Cinquanta. Chi avrebbe potuto credere, infatti,
che nel 1936 la tubercolosi polmonare sarebbe stata sconfitta così
facilmente, e poi che sarebbero stati vinti la poliomielite e il vaiolo,
e che si sarebbe discusso seriamente, in seguito a esperienze
chirurgiche, della possibilità di trapianti cardiaci, e via via fino al
trapianto di organi geneticamente modificati o di cellule staminali?
LA SCHEDA
La
medicina primitiva non ha tempo, è antica come gli abitanti delle
caverne dell'Era Paleolitica, ma è anche attuale come quella di oggi.
Anche se le prime tracce della medicina primitiva risalgono a 10.000 anni
fa, in questo momento c'è sicuramente qualcuno che la sta praticando in
qualche remota area dell'Africa, dell'Asia, del Sud America,
dell'Australia, delle isole del Pacifico o presso le tribù indiane o
eschimesi del Nord America. Il progresso della medicina dalle origini ai
nostri giorni non è stato uniforme: in alcune società che vivono nel
mondo di oggi il livello culturale è rimasto quasi all'Età della Pietra
e si può presumere che le loro pratiche mediche abbiano conservato molte
delle caratteristiche di quell'epoca.
I membri di una società primitiva non fanno distinzioni tra medicina,
magia e religione. Prima di tutto (non diversamente da noi), cercano di
curare la malattia in modo pratico, ricorrendo ai rimedi casalinghi,
senza formulare teorie o richiedere l'aiuto di un dottore. Ma, quando
queste misure falliscono, prendono dei provvedimenti molto diversi da
quelli a cui faremmo ricorso noi. Mentre noi presumiamo che la malattia
e la morte derivino da cause naturali, gli uomini primitivi le
considerano come opera di agenti soprannaturali: divinità, santoni,
fantasmi o stregoni. Gli spiriti e i fantasmi vengono spinti ad agire
nel momento in cui una delle norme sacre (tabù) viene trascurata o
infranta dal paziente o da un membro della sua famiglia.
Ne segue per logica che la diagnosi di una malattia che ha una causa
soprannaturale non può essere fatta in base alla sola osservazione e
all'esame del paziente. L'uomo di medicina, dunque, deve utilizzare
delle tecniche soprannaturali.
Analogamente, le cure per combattere, placare o sconfiggere tali cause
soprannaturali devono essere in primo luogo soprannaturali e consistere
in cerimonie magico-religiose. Di norma, esse sono principalmente
preghiere e incantesimi, ma contengono anche elementi che noi
definiremmo fisioterapici e psicoterapici, sebbene interpretati in
termini magico-religiosi. Dal momento che l'uomo primitivo è
particolarmente incline alla suggestione, ecco spiegata la sua grande
reattività alle formule magiche, agli incantesimi e agli altri riti
magici, nonché la paura di violare i tabù.
Non c'è dubbio che la medicina primitiva consegue una parte non
trascurabile dei propri risultati grazie a terapie che agiscono sulla
psiche. La confessione e la suggestione, che occupano una posizione di
primo piano nella pratica medica delle società primitive, sono
recentemente tornate in auge anche nel nostro sistema medico. La
medicina primitiva non fa distinzioni tra patologie fisiche e mentali.
Sicuramente il paziente trae un notevole senso di sicurezza dalle
cerimonie magiche e religiose, cui partecipano sia la propria famiglia,
sia la comunità di appartenenza. C'è quindi da aspettarsi un conseguente
miglioramento dello stato d'animo e della risposta fisica e, con il
potenziamento dei meccanismi di difesa del corpo, forse persino gli
invasori batterici potrebbero ricevere qualche colpo.
Colui che pratica la medicina nella società primitiva, l'uomo di medicina,
è prima di tutto un sacerdote o uno sciamano. In confronto agli altri
membri della tribù è un uomo colto, perché conosce più degli altri il
mondo trascendente, tanto che a volte riesce a controllarlo. Spesso egli
è l'unico 'professionista' in una società indifferenziata: non è né un
impostore, né uno psicopatico, come a volte si è erroneamente supposto,
le sue pratiche magiche e illusionistiche hanno un valore simbolico e
seguono un codice rigido e un rituale prestabilito. Egli è in buona fede
e gli antropologi ritengono che la sua correttezza sia pari a quella del
medico moderno.
Tutti gli elementi della medicina primitiva — la religione, le danze
sacre, la magia, le preghiere, gli inni, la mitologia, mescolati ad
alcuni elementi razionali — si possono oggi ritrovare nelle splendide e
pittoresche cerimonie dei canti sacri, praticate, quasi inalterate, da
almeno un secolo o forse più, dagli indiani Navaho degli Stati Uniti
sud-occidentali.
I Navaho sono un popolo molto religioso appartenente alla stirpe Athabaska
(imparentati con diverse tribù del Canada nord-occidentale) che si
spostò verso sud, in quella che oggi è la parte sud-occidentale degli
Stati Uniti, intorno al 1000 d.C. Secondo alcuni antropologi, i Navaho,
come tutte le tribù indiane del Nord e del Sud America, discendono da
quel popolo che, attraverso la striscia di terra che collegava l'Asia
alla Siberia, iniziò circa 10.000 anni fa ad emigrare verso il
continente americano. Attualmente i Navaho vivono principalmente in una
regione semi-arida che si trova a cavallo tra il Nuovo Messico,
l'Arizona e lo Utah.
La maggior parte dei rituali navaho vengono celebrati con un fine preciso:
far ritornare la salute e assicurare l'immunità da ulteriori malattie.
Con questi rituali essi sperano di propiziarsi il Popolo degli Spiriti,
esseri soprannaturali che hanno un grande potere sugli uomini della
Terra. I canti navaho hanno sempre una base mitologica. Ogni cerimoniale
ha le proprie canzoni, preghiere e medicine a base di erbe, e molti di
essi hanno anche i propri specifici disegni su sabbia.
Sono stati contati circa 600 diversi disegni su sabbia, in ognuno dei
quali sono raffigurate determinate divinità o eventi a esse associati
nella mitologia navaho. Tecnicamente, queste raffigurazioni realizzate
su una base di sabbia pulita o, occasionalmente, su una pelle di cervo o
su un pezzo di stoffa, di solito all'interno di una hogan (la
tipica dimora navaho, o talvolta in una capanna costruita a uso
appositamente medico), dovrebbero forse chiamarsi pitture a secco in
quanto, per alcuni tipi di cerimonie, vengono utilizzati anche vari
materiali minerali e vegetali triturati. I soggetti di queste
rappresentazioni, che gli uomini di medicina o 'cantori' conoscono a
memoria, si tramandano da maestro ad allievo. Al membro della tribù
navaho che aspira a diventare un `officiante' dei rituali religiosi sono
quindi richiesti molti anni di apprendistato e di studio.
Sebbene tali riti possano variare molto per quanto riguarda i canti, le
preghiere e le pitture su sabbia, la sequenza di base seguita dai Navaho
è più o meno sempre la stessa: la famiglia e gli amici si riuniscono
nella
hogan e partecipano con il paziente alle cerimonie. Non appena
viene ultimata la pittura su sabbia, il paziente ci si siede sopra e
inizia la cura dei canti, con l'accompagnamento di musica e preghiere.
Quando la cura è terminata il paziente lascia la hogan, la
pittura viene cancellata e la sabbia portata fuori e disposta secondo il
rituale.
Tra le cerimonie o canti navaho, una delle più elaborate e pittoresche è
il Canto della Montagna. Il dottor Washington Matthews descrisse questo
canto con dovizia di particolari in una Relazione al direttore del
dipartimento di etnologia della Smithsonian Institution, pubblicata nel
1887(8).
Matthews afferma che gli scopi del Canto della Montagna sono vari: «La
ragione palese della sua esistenza è la cura delle malattie; ma è anche
un'occasione per invocare, a nome di tutto il popolo in generale, le
potenze invisibili per svariati motivi... Sembra che abbia anche il fine
di tramandare il loro simbolismo religioso [...] La scorsa notte [...]
era una di quelle occasioni in cui tutta la gente si riunisce per fare
festa. Il paziente si fa carico delle spese e, probabilmente, oltre al
favore e all'aiuto degli dèi e alle lodi dei sacerdoti, spera di
procurarsi anche una certa distinzione sociale per la sua generosità».
Le cerimonie dei primi quattro giorni (il rito del Canto della Montagna
dura nove giorni) sono le meno interessanti. Di prima mattina, a
digiuno, il paziente, il cantore e tutti coloro che lo desiderano,
uomini e donne, entrano nella hogan cerimoniale. Seduti intorno
al fuoco, bevono un infuso emetico caldo, ottenuto da varie piante, e
sudano abbondantemente. A volte vengono fatti dei piccoli disegni sulla
sabbia attorno al fuoco o vengono compiuti altri riti, come cospargersi
con una lozione a base di erbe profumate.
Il quinto giorno, secondo quanto descritto dal dottor Matthews, viene
disegnata per terra all'interno della capanna la prima delle
raffigurazioni sacre sulla sabbia. Il sesto giorno viene disegnata
un'altra figura sulla sabbia; ma uno dei disegni più interessanti viene
eseguito il settimo giorno. «Il lavoro dei disegnatori ebbe inizio poco
dopo le 6 del mattino e non finì prima delle 2 del pomeriggio; circa 12
uomini assistevano l'uomo di medicina, il quale, facendo ben poco del
lavoro manuale, lo osservava, spesso lo criticava e lo correggeva.
Quando il disegno, che rappresentava quattro alti dèi, fu terminato, il
cantore dispose del polline di sacro mais sulle sopracciglia, sulla
bocca e sul petto di ciascun dio. Si udì un fischio, la donna malata
entrò con una compagna e cosparse il pavimento di farina di granoturco.
La paziente si tolse i mocassini, si spogliò fino alla vita e si sedette
sul disegno del dio in bianco; a questo punto i canti e i colpi di
tamburo ricominciarono. Senza smettere di cantare, il cantore spruzzò su
tutta la figura un decotto freddo di erbe che aveva preparato
precedentemente. Poi ne spruzzò un altro po' su ognuno degli dèi, ne
fece bere due sorsi alla paziente e alla compagna, ne bevve lui stesso,
e infine diede i sedimenti agli astanti, affinché se li passassero l'un
l'altro. In seguito applicò i pigmenti presi da varie parti delle figure
alle parti corrispondenti della paziente; seguirono infine dei riti di
suffumigazione, che consistevano nello spargere delle erbe dal forte
odore aromatico su dei carboni ardenti.
L'ottavo giorno fu realizzato sulla sabbia un disegno meno elaborato
(sebbene in alcune cerimonie la raffigurazione più elaborata sia
l'ultima), accompagnato da riti molto simili a quelli dei tre giorni
precedenti. Mentre nella capanna del medico accadeva tutto ciò, fuori
una grande pila di legna veniva accatastata al centro del recinto, dove
iniziava a radunarsi un gran numero di persone. Si preparava una grande
quantità di cibo e si organizzavano dei giochi per passare il tempo. Il
nono giorno, fino al tramonto, continuarono i preparativi per le
cerimonie successive. Dopo il tramonto, il vecchio cantore si posizionò
nella parte est del recinto e iniziò a cantare. Il recinto, a forma di
grande cerchio, era fatto con dei rami d'albero, la gente quindi si
radunò all'interno del recinto, fu acceso un grande fuoco ed ebbero
luogo le danze, notevoli per la loro audacia e durata. Le danze furono
almeno dodici e durarono tutta la notte e il cantore cantò per tutto il
tempo, ininterrottamente. Poco dopo l'alba, il recinto fu demolito, il
cantore raccolse i suoi strumenti sacri e se ne andò; la paziente salutò
e ringraziò i suoi amici per aver partecipato e contribuito a curare la
sua malattia».
La tecnica della pittura su sabbia è un'arte e le figure vengono disegnate
in base a un sistema preciso. Secondo gli uomini di medicina, i modelli
da seguire vengono trasmessi dal maestro all'allievo e, per ciascuna
cerimonia, restano inalterati anno dopo anno da una generazione
all'altra. Il pittore pone sul palmo della mano delle polveri colorate
che si trovano in contenitori fatti di corteccia d'albero o altro
materiale, poi le prende con il pollice e l'indice e le passa sul
disegno. Il livello di accuratezza raggiunto dal suo metodo a mano
libera è stupefacente.
La logica dell'uomo primitivo è diversa dalla nostra. Sebbene a un
osservatore moderno la sua medicina sembri strana, se non assurda, nel
contesto del modo in cui una società primitiva considera la vita essa ha
significato e logica. Questo tipo di medicina è piuttosto efficace,
tanto da continuare a essere impiegato da varie società primitive, anche
se in competizione con i moderni concetti medici trasmessi loro da
missionari, medici e amministratori governativi.
NOTE
1 - La
letteratura cinquecentesca che rifà a ritroso la storia sulla sifilide è
molto vasta; se ne indicano i capisaldi anzitutto nelle osservazioni-
descrizioni dei medici spagnoli, in primis del medico-vescovo Gaspar
Torrella, curante di casa Borgia in seno alla corte papale di Alessandro
VI, che parla di pudendagra («affezione delle parti pudende»).
Importante quanto celebre è la testimonianza di Josef Griinpeck,
chierico di Augusta, autore del Tractatus de pentilentia scorra (1496) e
di un Libellus de mentulagra (1503), nei quali descrive la propria
malattia con modi e toni da medico-paziente attendibile: «Il suo
racconto è uno dei testi più belli e più terrificanti che siano mai
stati scritti sulla sifilide» (Claude Quetel, Il mal francese, trad. it.
di Maddalena Longo, Il Saggiatore, Milano 1993, p. 25). Il medico
Sebastiano Aquilano, in un trattatello De morbo gallica, pubblicato nel
1498, dice come Leoniceno di credere che il morbo sia antico; di parere
opposto è il medico genovese Giacomo Cataneo, autore di un trattatello
coevo. Nei primi anni del Cinquecento, Antonio Benivieni, nell'opera De
abditis nonnullis ac mirandis morborum et sanationum causis, pubblicata
nel 1507 (cinque anni dopo la morte dell'autore), scrive che la malattia
colpisce prima i genitali con pustole esulcerate e poi tutto il corpo
con pustole sordide e rosse: questo 'prima' e questo 'dopo' sono indizi
di un'interpretazione che porterà alla nozione di manifestazioni
primarie e secondarie. In piena epidemia il medico Giovanni da Vigo,
archiatra di papa Giulio II, che era affetto dal male, afferma nel De
practica copiosa che il mal francese ha origine, senza eccezioni di
sorta, «in vulva in mulieri bus et in virga in hominibus>. Ulteriori
importanti contributi alla precisazione dell'identità della malattia e
alla proposizione di cure in qualche modo efficaci sono portati da
medici italiani quali Giovanni Manardi, Nicola Massa, Antonio Musa
Brassavola, Gabriele Falloppio.
2 -
C.J. Hackett, The Human Treponematosis, in Diseases in Antiquity, a cura
di D.R Brothwell, A.T. Sandison, Springfield (Illinois) 1967.
3 -
Storia della Medicina della farmacia, dell'odontoiatria e della
veterinaria, Walk Over Italiana, Bergamo 1982. La trattazione mette in
luce, tra l'altro, il fatto che la rappresentazione femminile in Età
Paleolitica (in particolare quella delle cosiddette 'Veneri')
generalmente mostra figure con inizi di obesità. L'iconografia si
sofferma specie sul ventre, sul seno e sul volto, raramente sulle
estremità superiori o inferiori: il simbolismo del ventre voluminoso, la
raffigurazione degli organi genitali e della pinguedine (che spesso
accompagna le donne durante la gravidanza) sono stati interpretati come
segni della volontà degli artisti di rappresentare la donna nella sua
fecondità.
4 -
Come abbiamo osservato, se è difficile l'accertamento di segni o di
reperti patologici su ossa e corpi conservati per arrivare a una
presunta diagnosi di malattia, ancora più difficile è raggiungere
conclusioni certe circa l'azione terapeutica esplicata dai farmaci
dell'epoca sui reperti.
5 -
A. Cockburn, E. Cockburn (a
cura di), Mummies, Disease, and Ancient Cultures, Cambridge 1980.
6 -
La medicina popolare è
una miniera di superstizioni molto curiose e sovente i suoi insegnamenti
sono tramandati oralmente e risalgono alle epoche più remote, salvo una
piccola parte di essi, che è stata tramandata per iscritto.
7 - Con
il termine 'fonti' indichiamo tutti i reperti del passato utili per
ricostruire un periodo storico. Esse possono essere classificate con
criteri diversi; la distinzione più importante è quella tra 'resti
materiali' e 'testimonianze figurate o scritte'. Per resti materiali si
intendono svariati elementi (ossa, scheletri, mummie, utensili); accanto
ai resti materiali, ma non sempre distinte da essi, troviamo le
testimonianze figurate o scritte (incisioni rupestri lasciate dagli
uomini preistorici, papiri di epoca egizia o greca, monete ed epigrafi).
Nel novero delle fonti possiamo considerare anche il patrimonio
linguistico di una certa epoca che è riuscito a sopravvivere, gli usi e
i costumi, le abitudini, le feste; anche questi, infatti, sono resti
delle età passate che parlano allo storico al pari di un monumento o di
un elmo. Spesso, dunque, i resti materiali coincidono e si sovrappongono
con le testimonianze scritte. Vi sono poi le testimonianze orali; quelle
antiche ci pervengono, ovviamente, se riferite per iscritto dai
resoconti degli storici del tempo, quindi sono orali solo in un senso
mediato (mentre nelle ricerche di storia contemporanea larga attenzione
viene prestata ai racconti orali dei testimoni diretti di fatti).
Le fonti, poi, possono essere distinte anche in 'primarie' e 'secondarie'.
Per fonti primarie intendiamo i documenti che appartengono all'epoca
studiata e testimoniano direttamente un evento; per questo motivo
vengono chiamate anche fonti dirette. Le fonti secondarie (o indirette)
sono invece documenti che raccontano l'evento, offrendo una
testimonianza mediata. Naturalmente le fonti primarie hanno maggiore
importanza, perché non sono inquinate dalle inevitabili deformazioni
prodotte dalla trasmissione attraverso più persone e
dall'interpretazione.
Un'ulteriore divisione va fatta tra fonti 'intenzionali' e 'non
intenzionali'. Una fonte intenzionale, ad esempio, è costituita dalle
memorie che un personaggio scrive, con l'intento di tramandare ai
posteri il suo racconto e la sua interpretazione delle vicende che lo
hanno visto protagonista. Naturalmente una fonte intenzionale risente in
partenza del fatto che l'autore ha inteso offrire una 'sua' visione
degli eventi e ha costruito un documento proprio con l'obiettivo di
trasmettere ai posteri un certo messaggio. Una fonte non intenzionale
può essere invece l'epistolario privato e non ufficiale di un
personaggio storico.
8 -
W. Matthews, The Mountain
Chant. A Navajo Ceremony, U.S. Bureau of American Ethnology, Fifth
Annual Report (1883-84), Smithsonian Institution, Washington DC, 1887.
"La Trapanazione del Cranio nell'Antico
Perù" SEGUE >>
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