GOLDBERGER: CARENZE E MALATTIE
ALIMENTARI
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L'ILLUSTRAZIONE
Quando nel 1914 il dottor Joseph
Goldberger, medico del Servizio sanitario federale degli Stati
Uniti, e il suo assistente, dottor C. H. Waring, iniziarono le
ricerche sulla pellagra presso l'Orfanotrofio battista nei pressi di
Jackson, si trovarono a dover risolvere diversi interrogativi:
perché gli adulti, i ragazzi più grandi e i bambini più piccoli non
contraevano la malattia? Perché ogni anno essa colpiva i bambini dai
tre ai dodici anni? Goldberger scartò l'ipotesi dell'infezione o dei
cibi tossici come causa di questa patologia. Con la collaborazione
del direttore J. R. Carter e della governante 'Miss Ida', i medici
fecero aggiungere ai pasti dei bambini carne fresca, uova e latte:
la pellagra scomparve. Attraverso i suoi coraggiosi esperimenti,
Goldberger dimostrò che a causare la pellagra era una carenza
alimentare, indirizzando altri ricercatori verso la scoperta di
elementi nutritivi essenziali, oggi chiamati vitamine,
indispensabili per la salute. |
PREMESSA
La
nutrizione alimenta la qualità della vita.
Il 'mal de
la rosa', nome con il quale il medico di corte di Re Ferdinando, Gaspar
Gasàl, chiamò la pellagra nel 1762, si presentava con una sintomatologia
varia, in cui prevalevano le alterazioni cutanee e l'infiammazione delle
mucose; più rari erano i disturbi gastrici e quelli nervosi. A Madrid,
il medico dell'Ambasciata francese Frarnois Thiery, che aveva conosciuto
Gasàl e aveva sentito parlare della malattia, ne trasse una relazione
che spedì al Journal de medicine, chirurgie et pharmacie, che la
pubblicò qualche anno più tardi, nel 1775.
In Italia, un medico dell'Ospedale Maggiore di Milano, Francesco Frapolli,
aveva pubblicato nel 1771 le Animadversiones in morbum vulgo Pelagram.
Fu con la sua trattazione che il nome popolare della malattia, che si
riferiva al sintomo più evidente, la secchezza della pelle, passò alla
letteratura scientifica.
I Provveditori alla Sanità della Repubblica Veneta emanavano il 27
novembre 1776 un proclama contro «li perniciosi effetti, che possono
derivare alla salute dei più poveri abitanti, e specialmente dei villici
del Polesine, Padovano e Veronese, dal cattivo alimento dei sorghi
immaturi e guasti, in gran copia recuperati da terreni sommersi dalle
alluvioni».
Dopo la prima segnalazione del Frapolli, furono molti gli studiosi che si
dedicarono allo studio della pellagra: tra di essi vi fu un gruppo che
la interpretò senz'altro come scorbuto. Il medico Odoardi lesse il 18
luglio 1776, dinanzi all'Accademia di Belluno, una memoria dal titolo
Di una specie particolare di scorbuto, e uno scritto dello stesso
tenore venne stampato da F. L. Fanzago a Venezia.
Perché proprio lo scorbuto? Perché la sintomatologia aveva parecchi punti
di contatto. Un eritema cutaneo, l'infiammazione della lingua e delle
gengive erano elementi più che sufficienti per istituire un parallelo; e
poi, sia in un caso sia nell'altro, cominciava a farsi strada l'idea che
la causa fosse l'alimentazione.
L'idea sostenuta dal alcuni medici italiani del Veneto dove, come abbiamo
visto, la malattia era particolarmente diffusa (anche oggi, in tedesco,
questa malattia conserva il nome di Mailandísche Rose, e in
inglese può essere chiamata anche lombard leprosy) che la
pellagra fosse una specie di scorbuto era tutt'altro che sbagliata, solo
che in quell'epoca nessuno poteva sospettare quanto fosse giusta. Che la
sua causa fosse da ricercare nell'alimentazione, lo asserivano tutti, ma
era in qualcosa che mancava o in qualche veleno?
Una prima soluzione del problema venne da Gaetano Strambio, un oscuro
medico condotto di Trezzo, al quale il governo arciducale di Milano
decise di affidare la direzione di un ospedale specializzato dove la
malattia venisse curata e studiata. A Milano governava l'arciduca
Ferdinando(1),
che cercava per quanto possibile la collaborazione della nobiltà e della
borghesia progressista. L'iniziativa di un nobile milanese legato al
governo, il conte Cavenago, fece sì che questi approvasse l'istituzione
di un pellagrosario, non solo per assistere quei poveri contadini che
erano attaccati da una così grave malattia, ma anche per poter, con
l'opera di buoni medici e con attente osservazioni, trovare un rimedio
sicuro(2).
Il 'pellagrosario' venne ospitato nel Convento di Santa Chiara a
Legnano, già residenza di religiose francescane che, prima della
soppressione dell'ordine, si erano dedicate alla fabbricazione della
cipria. Né l'eritema, che pure era caratteristico, né i disturbi
gastrici, né quelli nervosi erano costanti, ciò nonostante Strambio
riuscì a differenziare la malattia dalla lebbra, dallo scorbuto e
dall'elefantiasi. Quanto alle cause e alla cura, il 26 maggio 1788,
vista la mortalità ancora elevata al terzo anno di funzionamento del
piccolo Ospedale, fu ritenuto opportuno chiudere l'istituzione. Le
ricerche di Gaetano Strambio(3)
continuarono all'Ospedale Maggiore di Milano, dove gli furono affidati
venti letti; la semplice teoria eziologica, basata sulla carente
alimentazione, non riuscì ad affermarsi e prevalse l'idea di un
avvelenamento (ergotismo). Furono chiamati in causa dei funghi, che
erano stati isolati e che contenevano tossine: il Penicillum glaucum
e l'Oidium lactis. Anche Cesare Lombroso, con i suoi Studi
chimici e sperimentali sulla natura, causa e terapia della pellagra del
1869 e con il Trattato della pellagra del 1892, pur non accettando
talune indicazioni precise di muffe e parassiti, era per
l'avvelenamento. Tuttavia, nello stesso tempo tutti si convinsero che
per guarire la malattia bastasse cambiare l'alimentazione, in quanto era
fin troppo evidente il rapporto con l'uso del granoturco e con le
condizioni di vita. Sorsero così, specie nel Nord Italia, varie
istituzioni, come le Commissioni provinciali contro la Pellagra (1890),
le Cucine economiche, le Locande sanitarie(4).
Nella ricca America le cose non andavano meglio e nei primi anni di questo
secolo in molte località degli Stati Uniti, soprattutto al sud, la
pellagra infieriva tra i braccianti, i negri e i ragazzi degli
orfanotrofi; la situazione era aggravata dalla convinzione che si
trattasse di una malattia contagiosa, diffusa forse dalla zanzara dei
bufali. Fu così che nel 1914 l'Ufficio federale di sanità pubblica
decise di mandare nel Sud il dottor Joseph Goldberger per studiare il
problema.
LA
SCHEDA
Il dottore
alto, magro e dallo sguardo penetrante stava ispezionando l'orfanotrofio
insieme al suo giovane assistente. I bambini camminavano ordinati in
fila per due, quando improvvisamente uno di loro si staccò dalla fila e
corse verso il dottore aggrappandosi alle sue lunghe gambe. Alzando lo
sguardo con un'espressione di timida ammirazione, il bambino gli chiese:
«Sei tu l'uomo che ci dà tutte le cose buone da mangiare?».
«Sì» disse il dottore, rivolgendogli uno dei sorrisi che solo raramente
gli illuminavano il volto. «Vi piacciono?».
«Oh, sì che ci piacciono. Spero che non smetterete di darcele!».
Il sorriso aleggiò ancora un po' sulle labbra del dottore, mentre un
sorvegliante faceva rientrare il bambino nella fila; riacquistando
quindi la solita serietà, gli occhi luminosi del dottor Goldberger
continuarono la loro rapida e incessante osservazione di quanto lo
circondava. In particolare egli scrutava i visi dei piccoli: perché
dovevano soffrire di quelle sgradevoli lesioni pellagrose, con tutti i
disturbi che le accompagnavano? Perché la pellagra aveva colpito più
della metà dei bambini che vivevano nell'orfanotrofio, anno dopo anno da
diciassette anni, cioè da quando l'Istituto era stato fondato? La nuova
dieta che aveva prescritto avrebbe guarito gli ammalati? Avrebbe evitato
il ritorno della pellagra la prossima primavera?
La mente di Goldberger cercava impaziente delle risposte, ma la sua
esperienza scientifica lo avvertiva che solo il tempo gliele avrebbe
fornite. Nell'attesa, c'erano tante altre cose a cui pensare: il dottor
Warning poteva dirigere da solo le ricerche negli orfanotrofi, mentre
lui andava a vedere come procedevano quelle del dottor Willets al
Sanatorio di Stato. Poi c'era l'appuntamento con il Governatore ...
Ecco come lavorava il dottor Joseph Goldberger, medico del Servizio
sanitario degli Stati Uniti. Nel 1914, Goldberger era già un veterano:
la sua esperienza di ricercatore in materia di salute e misure sanitarie
era solida, e, quando si presentava un problema particolarmente
complesso che richiedeva un'azione immediata, il Surgeon General
(Direttore generale federale della Sanità) chiedeva per lo più a
Goldberger di accorrere sul posto. Se c'era qualcuno in grado di trovare
una soluzione al problema della pellagra, questo era sicuramente
Goldberger.
Goldberger, infatti, riuscì a scoprire le cause e la cura della pellagra,
dimostrandole al di là di ogni possibile dubbio e nonostante la tenace
opposizione di alcuni suoi colleghi, contribuendo così a fornire solide
basi allo studio scientifico delle vitamine e dell'alimentazione.
Le malattie che oggi sappiamo essere provocate da carenze nutrizionali
furono osservate e descritte nelle opere di Ippocrate e di Plinio. Il
beriberi è conosciuto in Oriente da tremila anni; nel 1757 James Lind
notò che lo scorbuto poteva essere curato e prevenuto con il succo degli
agrumi; la pellagra era stata studiata in modo esauriente nel 1730 da
Gaspar Gasal, medico spagnolo di Oviedo, e il nome, attribuitogli per la
prima volta da Frapolli nel 1771, deriva dalla locuzione 'pelle agra'.
Questa malattia si manifestò in Spagna e in Italia dopo l'introduzione a
uso alimentare del mais proveniente dal Nuovo Mondo. Nell'America
settentrionale, la pellagra fu descritta per la prima volta nel 1864,
anche se doveva esservi diffusa già da molto prima, e agli inizi del XX
secolo negli Stati Uniti del Sud era diventata un problema serio e
sconcertante. Derivava forse, come credevano alcuni medici, da una
potente tossina contenuta nel granoturco? Oppure era causata da
microrganismi infettivi, come ritenevano altri medici? La malattia non
seguiva i soliti schemi delle malattie infettive: era comunemente
associata a condizioni di povertà e, a differenza delle malattie
infettive, era più diffusa nelle zone rurali che nelle città affollate;
era particolarmente grave tra coloro che vivevano in comunità come
orfanotrofi, prigioni e ospizi, dove, tuttavia, non colpiva mai il
personale ausiliare o amministrativo, anche se il loro lavoro li
costringeva a stare a stretto contatto con gli ammalati.
Tutto ciò che oggi si conosce sulle carenze alimentari deriva dagli studi
di Casimir Funk, il quale, nel 1911, descrisse come era riuscito a
isolare, dagli scarti della raffinazione del riso, una sostanza attiva
in grado di curare il beriberi. Era stato però preceduto nella scoperta
da alcuni ufficiali medici olandesi di stanza nelle Indie orientali: nel
1897, infatti, Eijkman stabilì che il beriberi, malattia diffusa tra i
prigionieri, poteva essere curato e prevenuto aggiungendo alla loro
dieta lo scarto della raffinazione del riso. Il suo successore, Grijns,
ipotizzò — cosa rivoluzionaria per quei tempi — che la malattia fosse
dovuta a una carenza alimentare e non a tossine o infezioni. Funk,
ritenendo che la sostanza che era riuscito a isolare avesse le
caratteristiche della famiglia chimica delle ammine, suggerì
l'appellativo di 'vitamina' e procedette ad elaborare la teoria delle
malattie da carenza alimentare e dell'esistenza di fattori nutritivi
specifici per la cura di ciascuna di esse: la 'vitamina antiberiberi',
la 'vitamina antiscorbuto', e così via.
Nel frattempo, nei campi di cotone negli Stati Uniti meridionali la
pellagra era diventata così diffusa da minacciare seriamente l'economia
di quelle zone. I produttori di cotone facevano pressione sui propri
senatori e deputati del Congresso, i quali, a loro volta, premevano sul
Servizio sanitario nazionale affinché facesse qualcosa per combattere la
pellagra. Sebbene un gruppo di ricercatori esperti inviati da tale ente
avesse studiato la malattia per cinque anni, seguendo ogni possibile
traccia che potesse portare a una soluzione, nessuna di esse era
riuscita a fornire delle risposte soddisfacenti. Così, all'inizio del
1914, il direttore generale Rupert Blue ordinò a Goldberger di lasciare
a un assistente la cura dei casi di difterite di Detroit per
intraprendere delle ricerche sulla pellagra negli Stati produttori di
cotone.
Goldberger era infatti la persona più adatta a svolgere tale incarico,
avendo dimostrato di essere un abile medico, un buon batteriologo,
epidemiologo e parassitologo, nonché un eccellente ricercatore.
Joseph Goldberger era nato il 16 luglio 1874 in una fattoria di coloni nei
pressi di Giralt, nell'allora Impero Austro-Ungarico (l'attuale
Cecoslovacchia). Mentre le carestie affliggevano i contadini,
affascinanti storie giungevano da parenti che erano emigrati nel Nuovo
Mondo. Nel 1881, quando Joseph aveva sette anni, il padre Samuel e la
madre Sarah Goldberger presero una decisione radicale: convertirono
tutti i loro averi in denaro contante e partirono per New York. Una
volta giunti, trovarono una sistemazione nel lower East Side; gli otto
figli furono mandati a scuola e Samuel si adattò a fare il venditore
ambulante nel quartiere povero di Bowery, fin quando non riuscì ad
aprire una piccola drogheria. Joseph e i suoi fratelli si occupavano
delle consegne e, ovunque andasse, Joseph portava sempre con sé un
libro. Era un assiduo frequentatore delle biblioteche e delle bancarelle
di libri usati e, mentre a casa la sua educazione era rigorosamente
ebrea ortodossa, a scuola i suoi compagni erano di ogni razza e
religione.
A sedici anni Joseph iniziò a studiare ingegneria civile al New York City
College, dove al secondo anno era già il quinto del suo corso di
seicento studenti. Tuttavia il suo amico Pat Murray, che studiava al
Medical College del Bellevue Hospital, lo convinse ad accompagnarlo a
una lezione di medicina del dottor Austin Flint junior. Con dispiacere
della sua famiglia, Joseph si trasferì alla Scuola di Medicina del
Bellevue. Nel 1895 si laureò, secondo del suo corso, e fu inserito in
cima alla lista di coloro che avrebbero fatto l'internato presso il
Bellevue Hospital, dove Joseph avrebbe dimostrato una notevole
attitudine all'annotazione precisa e accurata dei dettagli.
Il Lower East Side offriva poche opportunità a un giovane medico, così
Goldberger aprì uno studio a Wilkes Barre (Pennsylvania). Dopo due anni
si convinse che l'attività privata non faceva per lui: si poteva
guadagnare molto, ma non c'era avventura, e per Joseph il denaro senza
avventura non aveva alcun interesse. In vita sua Goldberger fu sempre
afflitto da problemi finanziari, in compenso, però, trovò l'avventura
che cercava.
Allo scoppio della Guerra ispano-americana, nel 1899, dopo aver tentato
senza successo di entrare in Marina, Goldberger fu assunto come vice
ispettore medico nel Servizio sanitario federale. Il suo primo incarico
a Reedy Island (Delaware) gli fece conoscere Farrar Richardson, il quale
gli trasmise la propria esperienza e al tempo stesso lo lasciò libero di
migliorare i metodi di ispezione medica allora in uso. Nel 1902 il
direttore generale Walter Wyman inviò Goldberger a Tampico, in Messico,
per studiare la febbre gialla. Dopo cinque anni trascorsi tra Tampico e
New Orleans, Goldberger divenne una delle maggiori autorità del mondo in
materia di febbre gialla, malattia che colpì anche lui, lasciandolo vivo
per miracolo.
Nel 1906 Goldberger diede un altro choc alla propria famiglia: annunciò di
voler sposare una graziosa ragazza cristiana, Mary Farrar, appartenente
a un'importante famiglia di New Orleans e nipote di Farrar Richardson.
Anche la famiglia Farrar, non meno dei Goldberger, nutriva seri dubbi;
ma né il cocciuto dottore, né la sua determinata fidanzata desistettero
dai loro propositi, e si sposarono il 19 aprile 1906. La vita di Mary
non sarebbe stata tutta rose e fiori, in quanto i lunghi incarichi del
marito lontano da casa, la sua costante esposizione al pericolo e il suo
modesto stipendio furono fonte di parecchie preoccupazioni. Il
primogenito non aveva che trentasei ore quando Goldberger dovette
recarsi a Brownsville (Texas) per studiare la febbre di dengue, dalla
quale egli stesso fu contagiato prima di portare a termine le ricerche.
Nonostante questi problemi, tuttavia, il loro fu un matrimonio felice,
da cui nacquero tre maschi e una femmina.
Goldberger trascorse diversi anni nei laboratori di Washington e a Woods
Hole (Massachussets), diventando un esperto di elmintologia. Nel 1909
ebbe l'occasione di dimostrare le sue spiccate doti di
'medico-detective'. Ogni anno, in primavera, a Philadelphia si
manifestava in forma epidemica una malattia, descritta per la prima
volta da Schamberg nel 1901, che causava un forte prurito, deturpando
temporaneamente la pelle. Incaricato di trovarne l'agente patogeno
responsabile, Goldberger si recò a Philadelphia. Nel giro di due giorni,
aveva già escluso la possibilità di un'infezione provocata da germi e
aveva stabilito che la causa erano dei parassiti, riuscendo a isolare
alcuni campioni del 'colpevole', un piccolo acaro (Pediculoides
ventricosus), che giungeva alle sue vittime attraverso i materassi
riempiti con paglia fresca. Bastò sterilizzare i materassi per porre
fine a tale fonte di afflizioni.
A Woods Hole, Goldberger strinse amicizia con il dottor H. T. Ricketts,
dell'Università di Chicago, che aveva fatto delle ricerche sulla febbre
esantematica delle Montagne Rocciose; nel 1909, i due si incontrarono di
nuovo a Città del Messico per studiare il tifo. Il dottor C. J. H.
Nicolle, medico francese che lavorava a Tunisi, era stato il primo a
descrivere la trasmissione del tifo attraverso i pidocchi del corpo.
Goldberger confermò le sue scoperte e dimostrò che anche i pidocchi
della testa potevano trasmettere il tifo. Inoltre, egli provò che il
tifo e la febbre esantematica delle Montagne Rocciose, entrambe causate
da insetti, erano due patologie distinte. Nel 1910 per poco Goldberger
non pagò con la vita i propri esperimenti, riuscendo però a guarire da
un infezione di tifo causata da un incidente di laboratorio. Qualche
mese dopo, Ricketts non fu altrettanto fortunato e morì.
Goldberger svolse tutta una serie di incarichi come, ad esempio, nel 1910,
la ricerca sul morbillo. Egli fu il primo a dimostrare che anche le
scimmie potevano contrarre il morbillo, aprendo la strada a nuove
scoperte sulle malattie infettive. Nel 1913 fu inviato a Detroit
(Michigan) per studiare un'epidemia di difterite sfuggita a ogni
controllo. Nonostante la forte opposizione politica, il risoluto e
coraggioso ispettore medico del Servizio sanitario federale identificò e
denunciò un problema di negligenza pubblica, dimostrò il pericolo dei
veicoli della difterite e stabilì dei metodi per individuarli e tenerli
sotto controllo. Dopo questo trionfo Goldberger, non senza nutrire
personalmente forti dubbi in merito, si spostò verso Sud, nelle terre
dei campi di cotone e della pellagra.
Sapendo poco sulla malattia che doveva studiare, Goldberger cercò di
acquisire quante più informazioni poteva. Visitò le città con le
fabbriche di cotone e i campi di cotone, passò in rassegna le colline e
le valli, trovando centinaia di persone affette da lesioni cutanee,
debolezza, difficoltà digestive, diarrea e disturbi mentali: tipici
sintomi della pellagra. Molti pazienti con turbe mentali causate dalla
pellagra erano stati ospedalizzati, altri l'avevano contratta dopo
essere entrati in ospedale. In particolare, suscitavano l'interesse del
dottor Goldberger due orfanotrofi nei pressi di Jackson (Mississippi),
dove avrebbe potuto effettuare degli studi di massa. I due orfanotrofi,
uno metodista e l'altro battista, distavano fra loro meno di un miglio.
Nonostante godessero di un buon servizio di assistenza e fossero
alloggiati in edifici di condizioni discrete, e nonostante i pasti
nutrienti (almeno per gli standard di allora), ogni anno più della metà
dei bambini era soggetto a uno o più attacchi di pellagra. La sofferenza
che si leggeva sui piccoli volti ossessionava il dottore, anche se
esteriormente egli si mostrava imperturbabile.
Con il suo tipico modo di fare, Goldberger, sottraendosi alla confusione
delle consuetudini e della letteratura medica, arrivò subito alle
conclusioni di fondo: era improbabile che la pellagra fosse una malattia
infettiva, dal momento che non colpiva tutti coloro che facevano parte
di uno stesso gruppo, neanche se vivevano a stretto contatto come
accadeva per il personale e i bambini dell'orfanotrofio; non sembrava
neppure causata da una tossina, perché gli adulti e i bambini assumevano
per lo più lo stesso cibo. Cosa strana, in questo tipo di istituti la
malattia colpiva raramente gli adulti e, cosa ancora più strana, essa
sembrava circoscritta ai bambini appartenenti ad una specifica fascia di
età: quella compresa fra i tre e i dodici anni. In questo gruppo, la
percentuale di incidenza della pellagra era altissima. Con il suo
assistente, il dottor C. H. Waring, Goldberger esaminò gli orfanotrofi,
gli orfani, l'amministrazione, gli edifici, i servizi sanitari, il
terreno, i dintorni, il tipo di alimentazione e le abitudini di tutti
coloro che erano in qualche modo associati agli istituti.
Non passò molto tempo prima che la mente indagatrice del
'medico-detective' iniziasse a mettere insieme i pezzi del puzzle.
Sebbene l'alimentazione dei bambini fosse adeguata dal punto di vista
calorico, gli adulti consumavano molta più carne e cibi proteici. Nei
primi due anni di vita, ai bambini veniva dato molto latte, dopo i due
anni però la loro alimentazione era costituita principalmente da
carboidrati: pane di mais, fiocchi d'avena, sciroppo di canna e melassa.
La carne veniva servita solo una volta alla settimana, mentre vegetali
ad alto contenuto proteico, come piselli e fagioli, facevano parte dei
pasti molto raramente, soprattutto all'inizio della primavera.
Lo sguardo indagatore di Goldberger notò un'altra cosa interessante: i
bambini che avevano più di dodici anni — e dai dodici anni in su la
pellagra era meno diffusa — integravano spesso l'alimentazione
dell'Istituto con ciò che riuscivano a rubacchiare in giro. Ma la fascia
di età compresa tra la prima infanzia e la pubertà doveva accontentarsi
di quello che gli veniva dato in Istituto e questi bambini erano quelli
che soffrivano di più.
I medici del Servizio sanitario consultarono le amministrazioni e i
consigli direttivi degli orfanotrofi. Questi si mostrarono pronti a
collaborare, ma dichiararono di non potersi permettere di integrare la
dieta dei bambini, così come consigliava Goldberger. Non facendosi
scoraggiare da ciò, egli si rivolse allora alla propria amministrazione,
chiedendo se era disposta a stanziare del denaro per acquistare il cibo
necessario per un test. Verso la metà di settembre ricevette da
Washington una risposta affermativa. Il Sovrintendente
dell'Orfanotrofio, dottor J. R. Carter e 'Miss Ida', la governante (che
in realtà era la signora Carter), collaborarono attivamente. I bambini
cominciarono a mangiare carne quattro volte alla settimana, uova ogni
giorno e latte regolarmente; mentre i farinacei, sebbene non del tutto
eliminati, furono ridotti e integrati con farina d'avena, piselli,
fagioli e vari ortaggi. Ben presto Goldberger e Waring notarono che i
sintomi della pellagra sui visi e sui corpi dei bambini iniziavano a
scomparire. La pellagra sembrava sconfitta, ma sarebbero riusciti a
prevenirla la primavera successiva? Solo col tempo l'avrebbero saputo.
Intanto, con l'aiuto di un altro assistente, il dottor David G. Willets,
Goldberger intraprese un altro studio, stavolta con un gruppo di
controllo, presso il Sanatorio di Stato della Georgia, a Milledgeville.
All'interno di questo Istituto due reparti, uno per le donne di colore e
uno per le bianche, passarono sotto la direzione del Servizio sanitario,
al fine di effettuare alcuni test. A parte il cambiamento di
alimentazione e un maggiore controllo sull'alimentazione individuale,
tutte le altre abitudini dei reparti rimasero inalterate. Delle settanta
due pazienti, egualmente suddivise tra nere e bianche, diciotto avevano
avuto degli episodi di pellagra almeno due volte. Durante il periodo di
osservazione, dal 31 dicembre 1914 al 10 ottobre 1915, nessuna delle
donne che aveva seguito la dieta speciale presentò sintomi evidenti di
una ricaduta di pellagra. Nel gruppo di controllo (gli altri ricoverati
del sanatorio), tra coloro che seguivano l'alimentazione abituale
dell'Istituto, più o meno il solito numero, cioè circa il 47%, ebbe
delle ricadute.
A questo punto Goldberger era sicuro di poter curare la pellagra e di
poterla anche prevenire; ma era altrettanto sicuro che molti dei suoi
colleghi, sostenitori della teoria della tossina o di quella infettiva,
sarebbero rimasti scettici. Il passo successivo fu quello di vedere se
riusciva a causare, oltre che a prevenire, la pellagra attraverso una
dieta controllata. Ma chi avrebbe avuto il coraggio di rischiare un test
del genere? Goldberger ebbe un'idea audace.
Il dottor E. H. Galloway, capo del Dipartimento della Sanità dello Stato
del Mississippi, si era dimostrato di grande aiuto per Goldberger, e
Galloway era anche un intimo amico del governatore Earl Brewer.
Goldberger, allora, chiese di poter esporre il proprio progetto al
Governatore. Benché fosse rischioso, una volta assicuratosi che il
progetto soddisfacesse tutti gli aspetti legali e che garantisse la
sicurezza dal punto di vista medico, il Governatore dette la sua
approvazione.
Al Penitenziario di Stato del Mississippi, a otto miglia da Jackson,
Goldberger e il suo assistente, G. A. Wheeler, presentarono il loro
progetto: chiesero dodici volontari bianchi, maschi e in buona salute
per un test di sei mesi durante il quale avrebbero dovuto seguire una
dieta ridotta. Si pensava che, in condizioni normali, quegli uomini,
fossero in assoluto i meno predisposti alla pellagra. I volontari
sarebbero stati isolati dagli altri per quanto riguardava gli alloggi e
i pasti, per il resto, avrebbero ricevuto un trattamento sostanzialmente
uguale a quello degli altri prigionieri. Se si fossero ammalati,
avrebbero ricevuto le migliori cure e, alla fine del test, ognuno di
essi avrebbe ricevuto dal Governatore il condono della pena. I volontari
furono parecchi e tra loro ne furono selezionati dodici. Dal 4 febbraio
al 19 aprile 1915 furono tenuti sotto osservazione, senza alcuna
modifica nell'alimentazione. Nessuno mostrò segni di pellagra. Quindi la
loro dieta fu cambiata: gli furono dati soltanto biscotti, farinata,
fiocchi d'avena, sugo, sciroppo, patate dolci, riso e verza (tutti
componenti dell'alimentazione tipica della regione), ma niente carne,
latte, fagioli o piselli. Gli altri detenuti della prigione, che
seguivano una dieta normale, costituivano il gruppo di controllo.
Uno dei volontari dovette essere rilasciato per motivi di salute a luglio,
ma gli altri undici portarono a termine il test. Per cinque lunghi mesi,
dal 19 aprile al 12 settembre, non accadde nulla di particolare; poi,
però, la dermatite pellagrosa iniziò a comparire ed entro il 10 ottobre
1915, data di scadenza del test, sei degli undici volontari
manifestarono delle lesioni pellagrose. La diagnosi fu confermata da
Galloway e da molti altri medici esperti. Goldberger era euforico: aveva
dimostrato non solo che la pellagra poteva essere prevenuta e curata
attraverso l'alimentazione, ma che poteva anche essere provocata a
seguito di carenze alimentari.
Goldberger dedicò il resto della sua vita allo studio della pellagra,
degli alimenti che erano in qualche modo carenti, e del valore relativo
di quegli alimenti che invece potevano prevenirla. Affermò senza mezzi
termini che la povertà era uno dei principali fattori scatenanti della
pellagra: coloro che vivevano in condizioni di povertà spesso non
potevano permettersi di comprare i cibi necessari a proteggerli dalla
patologia. Altri, per abitudine, non consumavano quei cibi che li
avrebbero protetti.
Alcuni medici, tuttavia, continuavano a non essere d'accordo con
Goldberger e con il Servizio sanitario federale, sostenendo ancora la
teoria dell'infezione. Così Goldberger, per non lasciare spazio ad alcun
dubbio, iniziò un'altra serie di esperimenti drastici, disgustosi, ma
decisivi. Con un gruppo di sedici volontari, tra cui se stesso e la
moglie, cercò di trasmettere la pellagra da una persona all'altra.
Iniettò ai volontari il sangue dei malati di pellagra, introdusse negli
orifizi dei volontari tamponi passati prima nel naso e nella gola di
pellagrosi, prelevò dai pellagrosi dei campioni di urina, di feci e di
pelle e li impastò insieme a della pasta di pane in modo da formare
delle pillole che i volontari coraggiosamente inghiottirono. Sebbene
tali esperimenti fossero ripetuti più volte, nessuno dei sedici
volontari mostrò il minimo sintomo di pellagra e la pubblicazione dei
risultati di questi test tacitò tutti, eccetto forse gli oppositori più
ostinati.
Il dottor Goldberger scoprì che tra tutti gli alimenti il lievito di birra
conteneva la più alta percentuale della sostanza che preveniva la
pellagra, da lui chiamata il fattore P-P. Con più tempo a disposizione,
Goldberger probabilmente avrebbe anche scoperto le caratteristiche
chimiche del fattore P-P, ma non gli fu concesso. Dovevano essere altri
a scoprire quella che fu poi chiamata vitamina B, e altri ancora
dovevano scoprire che la vitamina B era in realtà un complesso; mentre,
nel corso dei tre decenni successivi, il complesso vitaminico B venne
scomposto in almeno undici sostanze diverse: la vitamina B1 o tiamina
(la vitamina antiberiberi), la B2 o riboflavina, la niacina o
niacinammide (il fattore antipellagra), la B5 o piridoxina, la B12 o
cianocobalamina (la vitamina che previene l'anemia perniciosa), l'acido
folico, la biotina, l'acido pantotenico, nonché altri fattori ancora
poco conosciuti. I ricercatori che hanno contribuito all'acquisizione di
conoscenze sulle vitamine (quelle sostanze che il corpo umano non riesce
a sintetizzare da sé, ma che sono essenziali per il suo benessere e per
la sua vita) formano un lungo elenco di eminenti scienziati.
Una rara forma di cancro frenò le ricerche di Goldberger: si vide presto
costretto ad abbandonare il suo amato lavoro e, il 17 gennaio 1929,
morì. Le sue ceneri furono portate ad Haines Point, sul fiume Potomac.
Dopo una semplice cerimonia celebrata dal rabbino Abram Simon, il dottor
McCoy, secondo la volontà di Goldberger, sparse le ceneri al vento, che
le disseminò sulla superficie del fiume tanto amato dal defunto.
NOTE
1 - A
Vienna, al fianco di Giuseppe II, vi era il ministro principe Kaunitz,
che, a suo modo, si preoccupava anche della salute dei sudditi.
2 -
Il trentaduenne
direttore, assistito da qualche infermiere e da una lavandaia, lo aprì
il 30 maggio 1784 e nel primo giorno vide presentarsi alla porta 50
malati di pellagra; per tre anni, nonostante difficoltà e insuccessi,
Strambio curò i suoi malati e raccolse una enorme quantità di dati, che
pubblicò in tre volumi di Osservazioni fatte nel Regio Nosocomio dei
Pellagrosi, con i quali chiari definitivamente il quadro sintomatico di
una malattia i cui aspetti erano così mutevoli.
3 -
Alla fine del Settecento
e nei primi anni dell'Ottocento erano in gran voga i bagni quali rimedio
per molte malattie, soprattutto riguardanti il sistema nervoso; Strambio
provò anche quelli, non si sa con quanta convinzione. Nel 1811 la
Congregazione di Carità decise però di abolire la cura balneare,
giudicandola «per lo più inutile, spesso dannosa, generalmente
indecente»: forse era soltanto costosa e la Congregazione doveva
risparmiare. Il problema della causa della malattia e della relativa
cura si trascinò per tutta la prima metà del secolo senza alcuna
soluzione. Al VI Congresso degli Scienziati, tenutosi a Milano nel
settembre 1844, si riaffacciò la teoria già contenuta implicitamente nel
proclania dei Provveditori alla Sanità di Venezia del 1776: il dottor
Balardini sostenne che la malattia era legata all'uso del granturco
nell'alimentazione, ma dovuta in particolar modo all'alterato chimismo
del mais, causato dalle muffe e favorito dall'imperfetta maturazione. La
tesi contraria era sostenuta dal fisiologo Filippo Lussana, che nel 1852
attribuiva la pellagra alla mancanza di proteine nel granturco;
avvicinandosi sensibilmente alla verità, egli scriveva che è il più
scarso di « ingredienti plastici fra quanti cibi la umana famiglia
apprestossi». Del resto la tradizione popolare, conservatasi nel Veneto
per molti anni dopo che la pellagra era stata debellata, ne dava la
colpa alla «polenta senza sale», espressione che può essere
interpretata, letteralmente, ma anche in senso traslato, come segno di
estrema miseria. Forse vi sono ancora dei vecchi contadini delle zone
più povere che ricordano il modo di dire «magnar polenta con na man
sola», che tradotto in italiano scientifico significa 'alimentazione
maidica' o anche, più semplicemente, 'fame'.
4 -
«Sotto quel nome, non
bisogna intendere, come sarebbe ovvio, una casa nella quale contro
danaro si alloggiavano persone malate ma una cucina economica, dove,
oltre la minestra, si distribuivano pane bianco, carne e vino». La
distribuzione veniva fatta ai soli pellagrosi, con l'obbligo di
consumare il cibo sul posto, altrimenti quella povera gente sarebbe
corsa a dividere con la famiglia quella grazia di Dio. La cura durava 60
giorni per chi riceveva un solo pasto, 30 per chi mangiava due volte al
giorno..
"Banting, Best e il Diabete"
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