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STORIA DELLA MEDICINA PER IMMAGINI

ANTONIO MOLFESE
 

RAZI E LA MEDICINA ARABA

L'ILLUSTRAZIONE

Ràzì (865-925 d.C. circa), medico persiano che scriveva in arabo, è qui raffigurato al capezzale di un giovane paziente malato di morbillo. Primo a descrivere il morbillo e il vaiolo con precisione clinica, Ràzì fu anche il primo a osservare e a registrare la reazione della pupilla alla luce. Scrisse inoltre il primo libro che conosciamo sulle cure pediatriche. Ciò che Ràzì fece e scrisse più di mille anni fa suscita ancora oggi ammirazione, in quanto rappresenta il meglio della medicina araba.

 

PREMESSA

Se a un medico capita un infortunio, non aprir bocca per condannarlo, perché ciascuno ha la sua ora.

I compilatori bizantini furono gli ultimi ad arricchire l'immenso patrimonio di conoscenze della medicina greco-romana al tramonto della gloria greca e della grandezza romana seguirono infatti 1000 anni e più anni bui, durante i quali il sapere fu deriso, le nuove esperienze avversate e ogni innovazione ritenuta pericolosa. La medicina divenne succube delle sole tradizioni e questa situazione si prolungò fino a quando non si affermarono gli audaci spiriti innovatori del Rinascimento: gli insegnamenti di Galeno, imposti per necessità, e di conseguenza le asserzioni dogmatiche, sono stati ritenuti fattori determinanti che hanno sostanzialmente ritardato il progresso della medicina in età medievale.
Vi è da tenere presente, inoltre, che nel Medioevo la medicina era coltivata in due ambienti spiritualmente assai diversi fra di loro: la Chiesa cristiana e il mondo musulmano (soprattutto da parte di studiosi arabi). Per comprendere l'enorme apporto fornito dagli Arabi alla scienza medica durante l'alto Medioevo, è necessario contrapporvi l'influenza che il Cristianesimo esercitò sulla medicina nello stesso periodo. Non si può negare che la Chiesa cristiana nei primi tempi abbia frenato il progresso della scienza medica: infatti, la cura e la guarigione dei malati erano considerate eventi miracolosi che potevano essere operati solo dal Grande Medico (o da persone da Lui designate), con l'aiuto della preghiera e del digiuno. Secondo la concezione cristiana, la malattia era inviata da Dio in punizione dei peccati commessi e richiedeva per la sua guarigione solo preghiere e pentimento
(1). Si negava, cioè, che la malattia avesse un'origine naturale, si rinnegavano i principi di Ippocrate e ritornavano in auge idee analoghe a quelle cui si informava il culto di Esculapio.
Le miracolistiche guarigioni che avvenivano (e avvengono tuttora) nei luoghi sacri, escludevano e rifiutavano qualsiasi atto e intervento risanatore; il concetto di guarigione dei cristiani escludeva l'intervento dello iatròs. Inoltre — come del resto per i musulmani — per i cristiani il corpo umano era sacro e quindi la sua dissezione era proibita: anatomia e fisiologia divennero quindi scienze morte e si potevano studiare solo sui libri di Galeno. Tutte queste restrizioni dissuasero molti studiosi dall'intraprendere la professione medica.
Se per tutti questi motivi il cristianesimo dei primi secoli influenzò negativamente il progresso della medicina, tuttavia la pietà e la dedizione nell'assistenza dei malati e l'opera dei monaci amanuensi, impegnati a tradurre e trascrivere le opere antiche, fino a quando l'invenzione della stampa mise la scienza a portata di tutti, controbilanciarono senza dubbio questo fattore negativo.
Per quanto riguarda gli Arabi
(2), durante l'alto Medioevo la loro influenza sulla medicina fu meno negativa di quella della Chiesa cristiana, dato che essi assorbirono le idee dei loro predecessori e vi aggiunsero numerosi apporti originali. Le radici della medicina araba erano state impiantate prima della nascita di Maometto(3), da un cristiano non ortodosso, Nestorio(4), patriarca di Costantinopoli; egli con i suoi seguaci si applicò a tradurre in arabo i testi della medicina greca (talvolta con un primo passaggio attraverso la lingua siriana).
Gli Arabi costruirono il loro sistema medico in modo logico e ben articolato, tenendo in grande considerazione l'aggiornamento continuo. Traducevano testi dal greco aggiungendo ai manoscritti osservazioni originali, molte delle quali riguardavano le febbri epidemiche e le malattie degli occhi, così frequenti in Oriente. Nel campo della chirurgia, rifuggivano quanto più possibile dagli interventi cruenti, portando, per conseguenza, a uno sviluppo notevole la tecnica della cauterizzazione. Non ne furono gli inventori, perché già Ippocrate la conosceva e la raccomandava, tuttavia la svilupparono in misura mai raggiunta prima. È interessante, perciò, conoscere di quali strumenti questi chirurghi orientali si servissero quando, sia pure a malincuore, dovevano intervenire chirurgicamente.
Il maggiore contributo del mondo arabo alla medicina riguardò quel ramo della scienza che nel IX secolo doveva svilupparsi con il nome di farmacologia. Basti pensare che la parola 'droga' è di origine araba come 'alcool', 'alcali', 'sciroppo', 'zucchero', così come i farmaci indigeni (benzoino, canfora, zafferano, mirra, muschio, laudano, nafta, senna). Intimamente legata alla farmacologia era la chimica o 'alchimia': furono inventati dagli Arabi alcuni procedimenti come la distillazione, la sublimazione, la cristallizzazione e perfezionati altri tuttora familiari ai chimici.
Nel periodo di più intenso sviluppo della medicina araba, durante il quale vi furono alcuni medici che si distinsero per gli alti onorari che percepivano
(5), entrò in scena uno dei più grandi, se non il massimo dei medici musulmani, Abu Bakr Muhammad ibn Zakariya al Ràzì, nato a Rai in Persia (vicino all'attuale Teheran) e comunemente noto come Ràzì. Filosofo e musicista, si diede agli studi di medicina quando aveva già quarant'anni, ma dalle sue opere risulta evidente che fece ottimo uso del resto della sua lunga vita(6); Ràzì esercitò la professione nella sua città natale e successivamente a Baghdad. Si racconta che, incaricato di scegliere l'area adatta per l'ospedale, di cui poi divenne primario, appese dei pezzi di carne in varie parti della città e destinò alla costruzione il luogo nel quale la putrefazione si era manifestata più tardi.
All'inizio della carriera ebbe un grosso litigio con il sovrano di Bukhara, il quale diede ordine che gli fosse sbattuto sulla testa il suo stesso libro, fin tanto che uno dei due si fosse rotto. Naturalmente ebbe la peggio la testa di Ràzì, e i colpi ricevuti gli causarono, più tardi, la cecità. Ciò nonostante, egli non permise alle infermità fisiche
(11) di ostacolare la propria missione e scrisse centinaia di opere, alcune delle quali perdute. Il suo libro più famoso, che costituisce anche il suo più notevole contributo alla medicina, tratta della distinzione fra vaiolo e morbillo (sembra che allora queste fossero le due sole infezioni endemiche note agli Arabi). Ràzì ne fa una chiara descrizione in un brano che va considerato un classico della medicina; basterà citarne una sola frase: «Eccitazione, nausea e irrequietezza sono più notevoli nel morbillo che nel vaiolo, mentre il dolore alla schiena è più forte nel vaiolo che nel morbillo»(7).
L'opera più importante di Ràzì fu però l'enciclopedia di medicina, conosciuta come Al Hawi, la cui versione in latino, Liber Continens, pubblicata nel 1486 a Brescia, è estremamente rara (esiste un solo manoscritto completo dell'originale). Nella stesura dell'opera l'autore seguì il caratteristico metodo arabo di premettere alle proprie le opinioni di altri scrittori
(8). Infatti, Al Hawi contiene resoconti assai circostanziati di molti casi, perché Ràzì, fedele seguace del metodo ippocratico, disapprovava l'asserzione, così ricorrente, che si potesse diagnosticare una malattia col semplice esame delle urine ed era fermamente contrario a ogni cura magica o ciarlatanesca. La sua enciclopedia non tratta soltanto di medicina, ma anche di filosofia, astronomia e matematica, perché, come molti altri scienziati, egli era uomo di vasti interessi(9).
Contemporaneo di Ràzì, vissuto però in altra regione dell'impero musulmano, merita di essere ricordato Isacco Ebreo (845-940 a. C.), egiziano, medico del governatore della Tunisia e autore di libri sulla dieta, sulle febbri, sulle medicine semplici e sull'urina. La raccolta delle sue opere fu stampata nel 1515, ed era molto richiesta ancora nel XVII secolo. La troviamo citata anche da Robert Burton (1577-1640) nella sua Anatomia della malinconia. Contiene un buon numero di aforismi , tra cui: «Chiedi il tuo compenso quando la malattia è all'acme, perché il malato, una volta guarito, dimenticherà certamente quello che hai fatto per lui»; e ancora: «Se a un medico capita un infortunio, non aprir bocca per condannarlo, perché ciascuno ha la sua ora».

 

LA SCHEDA

L'influenza greca sulla cultura medica del mondo occidentale si estende per tutto il millennio che va dal 500 a.C. al 500 d.C. Il millennio successivo, quello compreso tra il 500 d.C. e il 1500 d.C., può essere considerato come il periodo medievale della medicina: un'epoca di grandi conflitti, di mutamenti socio-politici, di regresso, ma anche di progresso. Nell'arco di questo millennio, le tradizioni classiche del defunto Impero Romano, le pratiche del paganesimo barbaro, le filosofie del Cristianesimo in rapida espansione, e la pressante sete di conoscenza che seguì la straordinaria ascesa dell'Islam, si amalgamarono. La medicina medievale trasse ispirazione in varia misura da tutte queste fonti e tramandò alle epoche successive un corpus medicum che aveva tratto vantaggio da questa commistione di sistemi così diversi.
Nel primo Medioevo, l'Europa occidentale subì una serie di invasioni barbariche, che distrussero senza pietà biblioteche e centri di cultura. Non meno devastanti per la vita e per il morale degli uomini furono le epidemie di peste che dilagarono in tutto l'Occidente.
In questi secoli la medicina greco-romana, divenuta priva di interesse dopo Galeno, era di fatto scomparsa; solo le opere pazientemente copiate e conservate dai monaci nei Monasteri cristiani si salvarono, benché nascoste dentro le mura di chiostri sparsi qua e là per l'Europa. Sebbene fossero considerati d'importanza secondaria rispetto alla missione sacra, gli scritti dei monaci rispecchiavano gli aspetti più pratici della medicina monastica e furono utili per preservare all'interno dei monasteri le infermerie e gli orti di erbe officinali.
Il periodo della medicina monastica si concluse ufficialmente quando, nel 1130, il Concilio di Clermont vietò a tutti i monaci la pratica della medicina.
Ciò che cambiò il corso della medicina nel mondo occidentale, recuperando l'eredità perduta dell'epoca greco-romana, fu l'incontro con la scienza araba. Erano trascorsi meno di cento anni dalla fuga di Maometto dalla Mecca (622 d.C.) e gli Arabi musulmani avevano già conquistato il Vicino Oriente, il Nord Africa e la Spagna, e nel 737 d.C. erano giunti fino alle sponde della Loira, in Francia. La loro conquista 'concettuale' della scienza e dei classici greci non fu meno rapida.
Le conoscenze degli antichi Greci, in medicina come in altri campi, giunsero agli Arabi attraverso i membri delle sette cristiane (come ad esempio quella dei Nestoriani), che vennero cacciati dall'Impero Bizantino, importante centro di cultura quando Roma decadde e il Cristianesimo divenne la religione predominante. Tra queste persone esiliate vi erano degli studiosi, che tradussero le opere degli autori greci nelle lingue semitiche: inizialmente in siriano e in ebraico, poi in arabo. In tal modo, gli Arabi conobbero e abbracciarono con entusiasmo gli insegnamenti di Ippocrate e di Galeno e, prima del X secolo, a Damasco, al Cairo e a Baghdad, tutte le più importanti opere greche di medicina erano state tradotte, assieme a una quantità di classici greci maggiore di quanti ne conoscesse il mondo occidentale prima del Rinascimento. Gli Arabi cominciarono allora a integrare il corpus di opere della tradizione greca con le proprie scoperte e le proprie osservazioni.
Non vi è dubbio che nel Medioevo la civiltà araba fosse più progredita di quella dell'Occidente. Uno dei fattori determinanti fu probabilmente la grande tolleranza saggiamente manifestata dagli Arabi nel primo Medioevo. Molti dei famosi medici 'arabi' erano in realtà siriani, persiani, spagnoli, ebrei o cristiani che scrivevano in arabo; questo era vero non soltanto nei grandi centri del mondo arabo orientale, ma anche nei regni arabi in Spagna. I continui scambi tra i Califfati orientali e occidentali tenevano entrambe le aree geografiche ben informate sulle traduzioni delle vecchie teorie e sui nuovi sviluppi. Fu solo attraverso questo lungo giro per il Vicino Oriente, il Nord Africa e la Spagna, che la tradizione medica degli antichi Greci fu restituita alla cultura occidentale, arricchita dei contributi apportati dagli uomini di scienza arabi.
Gli enormi vantaggi che l'Occidente trasse in tutti i campi dai suoi contatti con la civiltà araba sono testimoniati dal fatto che usiamo ancora oggi il sistema numerale che gli Arabi adattarono dall'India; inoltre, molte delle parole attualmente in uso come 'algebra', 'alcool' e tante altre, sono di origine araba. Nel XII secolo, grazie soprattutto alle scuole che si trovavano in Sicilia e in Spagna, le traduzioni in latino dei grandi libri di medicina arabi basati su Galeno e su Ippocrate furono fruibili in Occidente e, fino al XVI secolo, nelle nuove Università occidentali, come Montpellier e Bologna, gli Arabi furono considerati le maggiori autorità in medicina.
Tutti, Arabi, Ebrei e cristiani, reputavano Avicenna e Ràzì i più grandi autori arabi di libri di medicina. Oggi si pensa generalmente che le opere di Ràzì siano più importanti di quelle di Avicenna, per la maggiore attenzione che in esse viene attribuita all'osservazione e per la grande capacità inventiva dimostrata dall'autore; tale giudizio è però l'opposto di quello che veniva dato su questi due scrittori nel Medioevo.
Abu Bakr Muhammad ibn Zakariya al Ràzì, conosciuto in Occidente come Ràzì, era nato nella città persiana di Rai nell'865 d.C. circa. Sembra che fino a trent'anni i suoi interessi principali fossero la musica, la fisica e l'alchimia. Si dice che durante una visita all'ospedale di Baghdad egli fu preso da una tale passione per la medicina che decise di dedicare il resto della sua vita a questa professione. Studiò con il medico ebreo Ali ibn Sah al-Tabari, esperto di medicina greca, persiana e indù e, dopo essere stato direttore dell'ospedale della propria città, intorno al 907 d.C. Ràzì divenne direttore di un grande ospedale a Baghdad, nonché medico di corte. Sembra che viaggiasse molto e che si sia recato a Cordova, a Gerusalemme e in diverse città africane. Divenne celebre come medico, professore, erudito e benefattore dei poveri.
Si ritiene che Ràzì abbia scritto 237 libri, dei quali solo 36 sono sopravvissuti fino a oggi, e, anche se in essi egli trattò tutte le scienze, quella per cui nutriva più interesse era la medicina. Nelle sue teorie Ràzì era un galenista, ma nella pratica sembra che si ispirasse maggiormente ai principi di Ippocrate. Dimostrò una grande indipendenza e originalità e i suoi scritti sono ravvivati da descrizioni e osservazioni personali.
Tra le opere di Ràzì la più famosa è la raccolta conosciuta in latino con il titolo di Liber Continens, una specie di enciclopedia medica postuma, ricavata dai suoi appunti. Più breve è invece il libro, sempre a carattere enciclopedico, dedicato al principe persiano Almansor. Tuttavia, l'opera che oggi viene tenuta in maggior considerazione è il piccolo libro che Ràzì scrisse sul vaiolo e sul morbillo (uno dei pochi a essere stato tradotto in inglese), il cui grande pregio sta nell'offrire la prima descrizione medica di queste due importanti malattie infettive. Sebbene le teorie umorali ivi menzionate sembrino strane a un lettore moderno, e sebbene Ràzì non differenzi pienamente le due malattie, le descrizioni cliniche sono chiare e concise e il volume si occupa principalmente della componente terapeutica.
Gli scritti di Ràzìi contengono osservazioni sagaci e penetranti su svariati argomenti, come il singhiozzo, i purganti, le lesioni alla spina dorsale e l'embriotomia. Altri contributi pratici da lui dati alla scienza medica furono l'introduzione dei composti di mercurio come purganti (dopo averli testati sulle scimmie), l'introduzione degli unguenti al piombo e di fili per le suture ricavati dalle budella degli animali. Egli fu forse il primo a osservare e a registrare la reazione della pupilla alla luce. Ràzì, poi, consigliava l'uso di acqua fredda nei casi di febbre infiammatoria e insisteva sul fatto che la cura della febbre si dovesse basare sulle cause. Il suo libro sulle 'abitudini che diventano naturali' può essere considerato un primo e imperfetto abbozzo della teoria del riflesso condizionato.
Le malefatte dei ciarlatani erano soggette a severi attacchi e Ràzì scrisse molto su di loro; ma criticò anche le pratiche negligenti di alcuni medici, che spingevano i pazienti a rivolgersi ai ciarlatani.
Ràzì scrisse anche il primo libro a noi noto sulle malattie infantili e un volume sulla 'cura in un'ora', che doveva sicuramente essere stato molto popolare. Descrisse uno strumento per rimuovere i corpi estranei dall'esofago e inventò un catetere in piombo, che a suo parere era da preferire per la sua flessibilità.
Il suo trattato Una dissertazione sulla causa della coriza che si manifesta in primavera quando le rose emanano la loro essenza è la prima descrizione del raffreddore da fieno (la coriza è la rinite).
Dotato di grande sensibilità, Ràzìi non poteva tollerare la povertà e la sofferenza e, sebbene i suoi onorari fossero molto alti, la sua generosità era tale che morì in povertà. Negli ultimi anni della sua vita divenne cieco, probabilmente come conseguenza di colpi in testa datigli dal principe Almansor durante un accesso di rabbia. Sembra che di conseguenza in vecchiaia soffrisse di cataratta e che avesse rifiutato l'operazione, sostenendo di aver visto talmente tanto «dei dolori e delle miserie» del mondo da esserne ormai stanco. Sebbene la documentazione a tal proposito sia piuttosto vaga, si ritiene che sia morto intorno al 925 d.C.
Anche dopo più di mille anni di progresso in campo medico, ancora oggi le opere e le realizzazioni di Razi suscitano ammirazione fra gli studiosi di medicina del giorno d'oggi.
Dopo Ràzì la fiaccola della medicina araba venne portata ancora più in alto da Avicenna (Ibn Sina, 980- 1037), un altro Persiano che scriveva in arabo. Egli fu medico, farmacista, poeta, filosofo e uomo politico dalla carriera tempestosa. Il suo grandioso Canone, ritenuto il più famoso testo di medicina che sia mai stato scritto, non fu che uno degli oltre cento trattati medici a lui attribuiti.
Nel Califfato occidentale, i nomi di Averroè (Ibn Ruschd, 1126-98) e del medico e filosofo ebreo Maimonide (Musa Ibn Maimun, 1135-1208) brillavano nel firmamento della medicina medievale.
Nel 1148 la conquista di Cordova da parte dei primitivi e bigotti Almoadi, musulmani rigidamente ortodossi, segnò la morte della scienza e della medicina araba in Occidente; mentre, nel 1258, l'Impero d'Oriente cadde a sua volta nelle mani degli spietati Mongoli, guidati da Hulagu Khan. Non solo i tesori intellettuali accumulati vennero distrutti, ma gli intellettuali e gli eruditi furono quasi tutti uccisi senza pietà. In Occidente, tuttavia, gli Almoadi furono sottomessi dai Cristiani, i quali fortunatamente non distrussero la cultura islamica, ma la assorbirono in gran parte, a vantaggio delle successive generazioni di medici.
«La medicina e la scienza islamica» scrive Meyerhof
(10), «riflettevano la luce del sole ellenico, dopo che ormai i suoi giorni erano volti al termine; esse splendevano come la luna, illuminando la notte più buia del Medioevo europeo. Alcune stelle luminose offrirono la loro luce, quella luna e quelle stelle impallidirono all'alba di un nuovo giorno: il Rinascimento».
 

NOTE

1 - San Basilio di Cesarea, che nel 372 d.C. fondò uno dei primi ospedali, sosteneva proprio questo principio. L'ostilità alla scienza secolare raggiunse il suo massimo nel 391, quando una turba di fanatici cristiani diede fuoco al Serapèion, distruggendo anche l'annessa biblioteca, con i suoi inestimabili tesori del sapere.

2 - Va detto che le parole 'arabo' e 'arabico' si usano qui esclusivamente in relazione alla lingua in cui si espressero gli scienziati di cui parliamo, che ben di rado erano nati in quella terra o erano di razza arabica; alcuni erano siriani, altri persiani, altri ancora, quando l'Impero musulmano si estese, spagnoli, e neppure erano tutti maomettani: molti erano cristiani, alcuni ebrei.

3 - Il profeta Maometto nacque nel 570 d. C. e l'Impero musulmano da lui fondato, che finì per estendersi dalla Spagna fino a Samarcanda, durò dal VII fino al XIII secolo, cioè dai giorni del profeta fino al sacco di Baghdad da parte dei Tartari.

4 - Bandito per eresia nel 431, Nestorio si trasferì con un gruppo di seguaci a Edessa (ora Urfa) in Asia Minore, dove fondò una scuola di medicina, e di là, ancora a causa di persecuzioni, fuggì in Persia.

5 - Medico capo del grande ospedale di Giundisabur era Jurjir (Giorgio) Bukht Yishù, il primo di una dinastia di eminenti dottori; membro ancora più famoso di questa famiglia di siriani cristiani fu Gabriele, nipote di Giorgio e medico della corte di Hartin al-Rashid, il famoso califfo delle Mille e una notte. Altro medico cristiano di Giundisabur fu Hunàin ibn Ishaq, noto nel Medioevo con il nome di Joannitus, vissuto al principio del IX secolo. Famose le sue opere
Questioni di medicina e Dieci trattazioni sull'occhio, probabilmente il più antico testo di oftalmologia. A quei tempi il papiro e la pergamena erano stati sostituiti dalla carta, inventata in Cina, e una fabbrica di carta era sorta a Baghdad nel 794 d.C.

6 - L'edizione in folio in latino, datata 1486, del suo hiber Continens, pesa circa dieci chili.

7 - Nel 1848 è apparsa una traduzione inglese del volume Del vaiolo e del morbillo, eseguita da Greenhill per la Sydenham Society.

8 - «Il tale e il tal'altro dicono, ma io dico [...]». A proposito dell'asma, asserisce: «Ben Mesue diceva: "alle persone che soffrono di asma, date due dramme di polmone di volpe seccato e ridotto in polvere, sciolte in una bevanda" Galeno diceva che molti curano l'asma con sangue di civetta, sciolto nel vino. Io dico che non si deve dare sangue di civetta, perché ne ho visto somministrare inutilmente».

9 - Mansuri o Liber Almansoris, è un altro breve testo di medicina dedicato al governatore Mansur ibn Ishàq, in cui si parla di argomenti disparati, come ad esempio di fisiognomica, e si danno consigli per l'acquisto di schiavi, istruzioni mediche per i viaggiatori e istruzioni sui morsi di animali velenosi.

10 - M. Meyerhof, Science and Medicine: the Legacy of lslarn, London 1931.


 

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