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SCHEGGE DI MEMORIA

ANTONIO MOLFESE
 

Illuminazione

Dai tempi remoti l’uomo ha illuminato le prime abitazioni con il fuoco, che anche lo riscaldava. Solo successivamente la scoperta di una sostanza untuosa, che si estraeva da alcune piante e che aveva la proprietà di produrre una fiamma, fu usata per illuminare i primi tuguri o poi le case.
Il lentischio, una pianta che cresce spontanea in alcune zone della Basilicata, in particolari periodi dell’anno produce delle bacche nere, dalle quali si può estrarre un liquido untuoso, che le classi più povere usavano anche come condimento: era molto aspro al gusto, per cui fu rapidamente abbandonato.
L’olio di lentischio, di colore marrone, era posto in apposite lucerne che venivano adoperate per illuminare gli ambienti di vita; aveva un grande difetto: quello di produrre fumo, per cui l’ambiente che illuminava in breve tempo si riempiva di fumo ed era necessario spesso rinnovare l’aria.
Si passò in seguito all’olio di oliva, che è rimasto in uso fino a quando non furono scoperti la cera, il carburo, il petrolio ed infine la elettricità.
In alcune regioni, dove il pino marino era molto diffuso, come nella parte tirrenica della Calabria, le case erano illuminate (Casa Camodeca de’ Coronej di Castroregio paese natale di mia madre) con strisce di cuore del pino, che, per essere molto resinoso, produceva una bella luce che profumava l’ambiente ma lo rendeva in poco tempo pieno di fumo.
Ogni stanza aveva ad un angolo un posatoio, dove veniva allocata la lampada, in modo che quando era necessario illuminare l’ambiente erano numerose quelle che si potevano accendere.
Di notte anche nelle stanze da letto era posto una lampada, che illuminava i sogni dei dormienti o permetteva di notte di confortare un figliolo in caso avesse fatto brutti sogni.
Vi erano veri e propri lampadari, prima ad olio e poi a cera, che con una carrucola si abbassavano al pavimento per accendere gli stoppini e poi si risospendevano al soffitto. Vi erano lampadari capaci anche di avere mille lampade ad olio, che venivano usate nei grandi saloni dove erano tenuti pranzi sontuosi o allegre feste da ballo.
Con l’avvento delle candele di cera le cose migliorarono, in quanto era più facile e meno indaginoso illuminare le case, la resa era migliore e la candela, specie se confezionata con cera d’api, non produceva fumo. Infatti il fumo ed il calore che si sprigionava dai lampadari era molto fastidioso, specie di estate quando già la temperatura era di per sé elevata. Oltre che illuminare, le candele opportunamente segnate scandivano anche il tempo, per cui assolvevano al duplice compito di illuminare e segnare l’ora.
Con l’avvento del carburo le cose sono ancora di più migliorate, in quanto, oltre a produrre una luce molto bianca, con un solo lampione si illuminava una maggiore superficie e con migliore rendimento.
L’era del petrolio come illuminante è durata poco, in quanto, dopo breve tempo, è stata prodotta energia elettrica, che ha poi risolto definitivamente il problema.
Anche la necessità di illuminare il viaggio al viandante fu risolta con lampade protette da tela incerata, che permetteva alla luce di passare ma al vento di non spegnere la fiammella. Erano speciali lanterne, che, tenute in mano, illuminavano durante la notte il cammino delle persone, che per impellenti motivi dovevano spostarsi. I più poveri, non avendo queste comodità, usavano fasci di canne o di sterpi, che illuminavano il breve cammino che dovevano intraprendere per chiamare il prete o il medico in caso di bisogno.
Erano in uso anche torce antivento, usate in condizioni di tempo perturbato, che erano costruite con un manico, alla cui estremità si poneva della cera e scarti di pece in modo la fiamma restasse accesa anche con vento teso.

 

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