Illuminazione
Dai tempi remoti l’uomo ha illuminato le prime abitazioni con il fuoco,
che anche lo riscaldava. Solo successivamente la scoperta di una
sostanza untuosa, che si estraeva da alcune piante e che aveva la
proprietà di produrre una fiamma, fu usata per illuminare i primi tuguri
o poi le case.
Il lentischio, una pianta che cresce spontanea in alcune zone della
Basilicata, in particolari periodi dell’anno produce delle bacche nere,
dalle quali si può estrarre un liquido untuoso, che le classi più povere
usavano anche come condimento: era molto aspro al gusto, per cui fu
rapidamente abbandonato.
L’olio di lentischio, di colore marrone, era posto in apposite lucerne
che venivano adoperate per illuminare gli ambienti di vita; aveva un
grande difetto: quello di produrre fumo, per cui l’ambiente che
illuminava in breve tempo si riempiva di fumo ed era necessario spesso
rinnovare l’aria.
Si passò in seguito all’olio di oliva, che è rimasto in uso fino a
quando non furono scoperti la cera, il carburo, il petrolio ed infine la
elettricità.
In alcune regioni, dove il pino marino era molto diffuso, come nella
parte tirrenica della Calabria, le case erano illuminate (Casa Camodeca
de’ Coronej di Castroregio paese natale di mia madre) con strisce di
cuore del pino, che, per essere molto resinoso, produceva una bella luce
che profumava l’ambiente ma lo rendeva in poco tempo pieno di fumo.
Ogni stanza aveva ad un angolo un posatoio, dove veniva allocata la
lampada, in modo che quando era necessario illuminare l’ambiente erano
numerose quelle che si potevano accendere.
Di notte anche nelle stanze da letto era posto una lampada, che
illuminava i sogni dei dormienti o permetteva di notte di confortare un
figliolo in caso avesse fatto brutti sogni.
Vi erano veri e propri lampadari, prima ad olio e poi a cera, che con
una carrucola si abbassavano al pavimento per accendere gli stoppini e
poi si risospendevano al soffitto. Vi erano lampadari capaci anche di
avere mille lampade ad olio, che venivano usate nei grandi saloni dove
erano tenuti pranzi sontuosi o allegre feste da ballo.
Con l’avvento delle candele di cera le cose migliorarono, in quanto era
più facile e meno indaginoso illuminare le case, la resa era migliore e
la candela, specie se confezionata con cera d’api, non produceva fumo.
Infatti il fumo ed il calore che si sprigionava dai lampadari era molto
fastidioso, specie di estate quando già la temperatura era di per sé
elevata. Oltre che illuminare, le candele opportunamente segnate
scandivano anche il tempo, per cui assolvevano al duplice compito di
illuminare e segnare l’ora.
Con l’avvento del carburo le cose sono ancora di più migliorate, in
quanto, oltre a produrre una luce molto bianca, con un solo lampione si
illuminava una maggiore superficie e con migliore rendimento.
L’era del petrolio come illuminante è durata poco, in quanto, dopo breve
tempo, è stata prodotta energia elettrica, che ha poi risolto
definitivamente il problema.
Anche la necessità di illuminare il viaggio al viandante fu risolta con
lampade protette da tela incerata, che permetteva alla luce di passare
ma al vento di non spegnere la fiammella. Erano speciali lanterne, che,
tenute in mano, illuminavano durante la notte il cammino delle persone,
che per impellenti motivi dovevano spostarsi. I più poveri, non avendo
queste comodità, usavano fasci di canne o di sterpi, che illuminavano il
breve cammino che dovevano intraprendere per chiamare il prete o il
medico in caso di bisogno.
Erano in uso anche torce antivento, usate in condizioni di tempo
perturbato, che erano costruite con un manico, alla cui estremità si
poneva della cera e scarti di pece in modo la fiamma restasse accesa
anche con vento teso.
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