Pasquale Totaro-Ziella

 

 

Alberto Frattini

 

da: "Parnaso Lucano contemporaneo"

in: "Poesia e Regione in Italia"

 

Più intensamente coinvolto, nel dramma dei nostri paesi meridionali, dal fenomeno della degradazione e dell'agonia di un'antica civiltà contadina, appare Pasquale Totaro-Ziella (di Senise - nel Potentino - patria del poeta ottocentesco Nicola Sole, da lui ristudiato) che può far ricordare Pierro per lo scavo in una condizione arcaica - quasi una metafisica delle origini - dove la parola, per misteriose implicazioni ai livelli dell'inconscio, animisticamente s'interna nel potenziale simbolico della Terra-Madre, rivelandosi come la punta di un iceberg della solitudine e dell'incomunicabilità della gente del Sud, su un arco di millenni. Regressione ancestrale come astrazione dal presente? Demonizzazione della realtà snaturante della civiltà tecnologica, del consumismo e dell'automazione? Rifugio nel «nido» della tradizione avita? Sono interrogativi che anche i testi di altri giovani poeti lucani - da Domenico Dalessandri a Michele De Luca - consentono di formulare, pur nella varietà delle prospettive e delle tensioni che traspaiono dalle relative proposte.

 

Alberto Frattini         

 

 

in Vent’Anni di Poesia

 

Il Parnaso lucano del Novecento, in particolare dagli anni Cinquanta ad oggi, non è molto conosciuto né studiato: anche tra gli addetti ai lavori non pochi stenterebbero a delineare una rosa allargata oltre certi nomi, da L. Sinisgalli a R. Scotellaro, da A. Rinaldi ad A. Pierro, da G. Stolfi a M. Parrella, da M. Trufelli a V. Riviello a R. Nigro. Debbo la prima conoscenza della poesia di Pasquale Totaro-Ziella a due testi dell'Editrice Forum (Forlì) benemerita nel far conoscere la nostra poesia novecentesca "sub specie regionis": "La poesia di Basilicata" a cura di A. Lotierzo e R. Nigro ("Quinta Generazione", a. VIII, nn. 75/76, settembre-ottobre 1980) e "Poeti della Basilicata", a cura degli stessi autori (Forum/ Quinta Generazione, 1981). Di Totaro-Ziella, nativo di Senise (patria del poeta ottocentesco N. Sole, da lui ristudiato), mi colpì non tanto la disincantata reimmersione nella vita e nella realtà del territorio - la sua prima raccolta Solamente questo paese (1976) è anche una sofferta testimonianza che sfiora il tradizionale e rassegnato "lamento del Sud" - quanto l'avvio di uno scavo su una condizione ancestrale dove la parola, nelle sue implicazioni con il subconscio, s'interna nel potenziale simbolico della Terra-Madre, rivelando, come una punta di un iceberg, il destino di solitudine e di incomunicabilità di una gente. Regressione ctonia, dunque, come rigetto di una storia e di un presente inaccettabile, e rifiuto della civiltà del consumismo dell'automazione della tecnotronica? O anche rifugio, attraverso la memoria, nel "nido" della tradizione avita e familiare? Nel poemetto in ampie lasse del 1979, A canne a pietre a posti fatati, Totaro-Ziella si pone specificatamente su questa linea di ricerca, in una singolare frizione tra il modulo ricorrente della memoria nostalgica ("Come posso scordare la mia fanciullezza") e un capillare acceso ricupero dell'infanzia come innesco ad una quasi ossessiva contestazione della realtà svelatasi ai ragazzi divenuti uomini, che scoprono l'amaro di un destino chiuso, senza speranze.

Agli sviluppi della vicenda esistenziale risponde, nel poeta di Senise, la metamorfosi degli strumenti espressivi. Così in Autocritica di un uomo (1981) ha spicco, nella sezione eponima, la concentrazione dell'autoanalisi in quartini di versi lunghi e ipèrmetri, sull'ipotesi dell'anafora ricorrente ("Potrei anche"), nel tentativo - sempre frustrati dalla preveggenza dell'ineludibile scacco - di chiarire l'enigma della propria sorte, fra istinti terrestri e attrazione celeste. Notevole, nella febbrile invenzione tesa all'autosvelamento, l'ardire delle neoformazioni deverbali, come "angeliarmi", "vangeliarmi", "ammattonare", "ammarmorare" (dove l'estro si fa spia di un'episteme bilicata fra spirito e materia). Ma in questa raccolta già si profila un'altra componente "forte" della poesia di Totaro-Ziella, l'eros, l'amore che è del corpo eppur lo trascende esaltandolo: "con te l'amore è un atto d'amore/ incendiato furibondo cocente". Tale amore-disamore torna ad orchestrarsi, implacato, nel canto di Corale accorato corale (1981) dove, se in qualche più turgido accumulo seriale dei due "corali" affiorano echi dannunziani, nella seconda sezione, "Accorato", trova più personali accenti il senso di un amore inquieto e persino deludente, non meno ardente che misterioso. Su analogo versante d'ispirazione Clena (1984) rappresenta una svolta espressiva nel segno della concentrazione violenta, sostantivale, dove la parola ellitticamente si aggruma e si scande sul puro potenziale eidetico e fono-simbolico. Dall'intenso microcosmo del paese natale - come ha osservato Tito Spinelli nella premessa - lo scavo intimistico nella Laus sponsae si proietta in "referenziale iterativo e parossistico", fondendo la tensione erotico-consolatoria in registri che hanno la nuda forza d'una liturgia primitiva. Anche il polimorfismo bestiario allusivo - da "cerbiatta" a "scimmia", da "lucciola" a libellula" - che può richiamare quello della famosa lirica di Saba alla moglie, è in realtà cosa affatto nuova. L'intero canto sembra deflagrare dalle più profonde radici della civiltà mediterranea, nutrendosi delle linfe di una natura edenica, aurorale, amata e amante, di cui Clena si fa vocalmente magica implosione e ripullulante emblema:

 

Alberto Frattini          

pagina successiva  >>>


 

 

[Home Totaro-Ziella]   [I Geroglifici del Pensiero]

[Mailing List]   [ Home ]  [Scrivici]

 

 

 

 

.