Pasquale Totaro-Ziella

 

 

Il paese-poesia

 

Una lunga, interminabile intelaiatura è la poesia di Pasquale Totaro-Ziella, da Solamente questo paese (1976) a Spaesamento (1994), costruita con passione e pazienza, quasi a comporre un corpus unitario, geometricamente scandito da insistenze e corrispondenze, con attacchi (Gli uomini della speranza), inserti (Quasi un madrigale) e finali (Lettera per l’uomo). Una sorta di contadino e culturale innesto di rapsodie, destinato a produrre una ubertosa sinfonia.

Non è certo la prima volta che il poeta si fa paese e viceversa, ma in Totaro-Ziella questa geografia antropologica acquista una consistenza talmente consapevole da generare un manifesto di poetica. Il paese, Senise, che vide risuonare L’Arpa lucana di Nicola Sole, vede ora sprofondare le sue frane d’amore e d’avventura verso l’Africa, verso quell’assolato deserto dell’anima, avido di oasi a cui attingere l’acqua della vita. La parola resta allora il tormento e il ristoro di una terra friabile, che nella memoria e nella morte riscopre il magico esorcismo a una diabolica estenuazione dell’esistenza. La parola tenta così di sottrarre alla pietra, ancora una volta, il suono e il sogno di una vita vera. Berbero predone del deserto, il poeta succhia l’anima alla donna terrosa, che sa di mare, per salvarsi da sempre nuovi naufragi.

I Foraterra si inalberano con una epicità esemplare nel corpo di una poesia, che scava le viscere della terra per riemergere, poi, nel ritmo lieve di una tarantella sino all’ossessivo incipit di A canne a pietre a posti fatati, che suona: Come posso scordare la mia fanciullezza”, e che inaugura lo stile della ripetizione variantistica, presente nelPotreidi Autocritica di un uomo, nei “Me ne andrò”, “Tornerò sempre”, “Finché saròdi Spaesamento. Un richiamo sonoro, liturgicamente musicale, che introduce una partitura laica di sensi e sovrasensi, nella memoria di una fanciullezza favolosa, intrisa di un’animalità e di una vegetalità, destinate a segnare nel profondo il corpo e l’anima di un poeta, che con il paese naturale di sempre totalmente s’identifica, sino agli esiti estremi di un panismo antropologico quanto mai denso di immagini e di suoni, che un linguaggio sperimentalmente e spericolatamente neologistico amplifica sino all’inverosimile.

L’impasto di lingua e dialetto provoca una lievitazione di parole nuove, in cui senso e suono si congiungono intimamente nell’esaltare la voglia del poeta difigliareun linguaggio, pregno di quell’animalità e vegetalità, a cui s’è fatto cenno. “Spaso, sconsolazioni, sfatta, sfatata, scastravamoe ancora: avvociavamo, indiavolavamo, maritavamo”, “scacalato”, sino all’amatissimo schiantazione”, in un gioco di assonanze e di allitterazioni altamente consapevole, che tocca vertici sostitutivi proprio nella sezione Autocritica di un uomo, con gli infiniti riflessivi nel segno della letteraa”: “arrendermi, acquietarmi, appassionarmi, attaccarmi, adorarmi, annusarmi, annidarmi, annidiarmi, annibbiarmi, angeliarmi, annestare, annullare, annientare, annichilire, annichilare, ammassare, ammaliare, amoreggiare, ammattonare, ammarmorare”, dove è agevole notare lospaesamento del senso attraverso il cambio e l’aggiunta di una o più consonante o vocale. Si pensi, in tal senso, allo straniamento della parolaamoreinscalamore, strasamore”. Ma proprio in Autocritica di un uomo la costruzione geometrica di Totaro-Ziella invade i singoli componimenti e si riflette calcolatamente sugli altri, nel corpo e in un crescendo nel finale, nel refrain, questa volta, delso già”: “che sarei sconfortato alla dannazione”, “che sarei sconsolato alla superstizione”, “che sarei scongiurato alla passione”, “che sarei scomunicato alla ragione”, “che sarei sconfessato alla religione”, per limitarsi a una sola, prima serie di corrispondenze, che in una serie successiva, nel segno della parola finale con l’inizialeo”, porta a coniare il termine orgiasmo”. La coniatura di nuovi verbi, tra cui il privilegiato “cigliare”, si raddensa in Spaesamento in una miriade verbale, densa di sapore locale: “schiavare, assanguare, sciancare, avvampare”, che conferma in pieno la volontà di una riflessiva immedesimazione con l’universo naturale circostante: “seminarmi, interrarmi, infiumarsi”, sino a quelloscantaredi siculo terrore, non trascurando altresì: “infortire, insertare, accorare, annerare, scervellare, ammasonare”, usati al participio, l’ultimo congiunto al sostantivoammasuono”, che propone la corrispondenza tra verbo e sostantivo, documentato daspamare” e “spamento”. E poi una cascata di aggettivi in “osa”: “adorosa, vandalosa, verminosa”, termini amorosi, che risuonano con i primi aggettivi d’amore dedicati alla terra, al paese: “gramagliosa, ramosa, renosa”, sino a quei sostantivi, carichi di storia e di leggenda, che riportano sempre alle stagioni di un tempo senza tempo: losckorciauagnuni”, una sorta di folletto che rapiva e scuoiava i bambini, la “novanivura” del Foraterra, sino alle pietre diverse: “zozzi, scialandrine”. Questo rapido, suggestivo campionario per richiamare l’attenzione sulla imprescindibilità di una lettura linguistica della poesia di Totaro-Ziella, che “si spandein un canto solitario e corale, destinato ad echeggiare, come conchiglia, ai limiti di una Lucania che con le sue fiumare incontra il mare.

Terre d’amore e di dolore sono quelle che il poeta ripropone con un linguaggio atavicamente contemporaneo, aedo avido e sfiduciato di una gente, costretta sempre ad emigrare e a vivere in un altrove, esterno ed estraneo, il proprio più autentico destino. A questo aborto della mente e del cuore Totaro-Ziella si oppone, rivendicando una più adeguata coscienza civile e culturale del dramma meridionale.

Restando, egli può così raccontare il miracolo e il mistero del nostro essere soli e insieme in una grande alba, che può improvvisamente diventare sera. Il paese resiste e rinserra i suoi serti di fichi, seccati al sole impavido di un Sud, che ti penetra con tutti i suoi umori di passione e di ragione. Gli spartiti amorosi, che il poeta spande a seccare nella scrittura, svelano, talvolta più di altri, l’ansia di imprigionare l’assoluto nella smania selvaggia di un abbraccio, di un bacio, di un amplesso, che faccia sentire l’idolatria di un eros senza veli.

Totaro-Ziella trova sempre spazio nelle sue raccolte per questi inserti amorosi, che conquistano una dimensione esaustivamente autonoma in Corale accorato corale, speculare e trinitario diario, che sventra” la parola per restituirle una sorta di sacrale carnalità espressiva. Il cuore-corallo sogna sempre di possedere, tutta intera, la vita, prima che diventi cenere. Solo arrossando l’anima, si può forse esorcizzare la malinconia di un tramonto. Bisognerebbe rendere il sole insonne per sconfiggere la solitudine della sera, che solo l’amore può colmare delle sue estasi e delle sue memorie.

Molto resterebbe da dire dell’“affatamentoaffabulante di questa poesia, che, se penetra il Sud di sempre in un empito cristianamente evangelico, rincorre evidentemente l’umanità tutta intera, nella speranza di una parola, destinata realmente a divenire polline di vita, coscienza critica, fede ferma nel futuro del mondo. Ma altri critici si saranno, a ragione, soffermati sul Sud universale del nostro poeta.

Qualche notazione è tuttavia necessaria. L’impaesamento e spaesamento erano già scanditi, in Solamente questo paese, dall’incapacità, “tra serte d’aglio e di peperoni forti”, diodorareunpaese disumano di pietra (Forafosso), alla quale faceva eco una densa dichiarazione di umanità, oltre ogni confine geografico e temporale: “io non ho patria/ma un’umanità di fratelli” (Non vado alla guerra), ma anche di disperazione: “Io non vado alla guerra/ho già perso tutto nella vita” (ivi). Questo paese, dunque, da avvicinare e da allontanare, da amare e disamare, da colmare e svuotare di amore e nostalgia, proprio nel momento in cui — non si può fare a meno di ricordare uno splendido passaggio di un racconto autobiografico di Sinisgalli — la mamma scaccia dal seno, come un cucciolo, il proprio figlio, per timore di innamorarsene troppo e per sempre. Ma l’amore non può conoscere ragione, anzi, come già accennato, si carica di strani rafforzativi, per meglio fissare, in Autocritica di un uomo, quel “calvario di cardi(Sto qui), dove la morte acquista connotazioni selvagge e surreali (Ad Antonia). Una morte, segnata, in Spaesamento, dal volto lazzariato” della madre, dalpaese insensato”, dal “ventre inventato”, dalcuore accorato”, dalla piazza infortita”, dall’“aria stramortita”. Una morte, dunque, come sempre in poesia, sorgente irrefrenabile di vita.

A chi scrive preme, infine, richiamare l’attenzione sulla calcolata combinazione tra parola ed immagine, che il poeta opera, ricorrendo alle partiture pittoriche di amici-artisti, Guerricchio, Celano, Cosenza, Dimatteo, Lisanti, Linzalata, Lovisco, Paonessa, Santoro, sino all’esplosione espressionistica di Clena, estrema punta di arte e poesia.

In Lucania gli artisti danzano con i poeti: ricordo la levità di Luigi Guerricchio, quando al battesimo del figlio di Antonio Capuano fu intonata l’aria di una tarantella. La poesia, la pittura è soprattutto questa grazia naturale, che l’arte sempre invoca a chi veramente l’ama.

 

 

Francesco D’ Episcopo   

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