PRIMI TENTATIVI DI RISTRUTTURAZIONE RADICALE DEL CARMINE: 1967
La guerra
era passata da un pezzo!
Con la ricostruzione in atto di tutta la comunità civile si sentì il bisogno
- senza sconvolgere le testimonianze millenarie della tradizione - di
adattare anche il Santuario alle nuove esigenze delle moltitudini di fedeli
che arrivavano al Monte .sempre più numerose, non solo a piedi o a dorso di
muli, ma anche e - direi - soprattutto, con mezzi meccanici.
Veramente dal lontano 1696 - anno a cui risale la prima costruzione - la
Cappella, in diverse epoche, è stata sempre ampliata e continuamente
restaurata per far fronte alle esigenze che man mano l'afflusso dei
pellegrini, sempre più numerosi, richiedeva, come lo si rileva agevolmente
da più di qualche lapide esistente nella Chiesa stessa e fuori.
In epoca a noi più vicina si senti anche il bisogno di costruire una casetta
per l'alloggio del sacrestano, la cui presenza era richiesta notte e giorno
sul Monte e per il soggiorno del clero che vi si recava a celebrare i sacri
riti non solo il giorno di festa - come era stabilito fin dall'inizio - ma
anche il mercoledì, il sabato e qualche altro giorno durante la settimana e,
inseguito, ogni giorno, dato il continuo avvicendarsi dei pellegrini ad ogni
ora del giorno, al punto da far sentire oggi l'esigenza di avere
continuamente un sacerdote sul Monte a loro completa disposizione. La
casetta, inaugurata il 16 luglio 1934, nel 1936 fu arricchita di un piano
rialzato, ma poi dovette essere demolita nell'ambito di una ristrutturazione
radicale del piazzale antistante la Chiesa, anche perché impediva ai devoti
di ammirarne da lontano la facciata, essendo stato elevato un secondo piano
nel 1964 a cura dell'arciprete don Vito Genovese.
Negli anni 40, Padre Alessandro Giordano, un frate francescano aviglianese,
in paese a causa della guerra, si diede da fare - lavorando anche
personalmente - per ampliare il piano, del lato destro, antistante la
cappella, lavori che però lasciò incompiuti, a seguito del suo rientro in
convento.
I primi tentativi di una ristrutturazione radicale del Carmine risalgono,
però, al 1967, come esigenza viva di un'epoca nuova per il Santuario.
Se ne fece interprete il signor Mario Giordano, procuratore della festa in
quell'anno, il quale si incaricò di dar vita ad un Comitato per la
Valorizzazione religiosa e turistica del Monte Carmine, chiamandovi a farne
parte uomini della cosa pubblica, i parroci della zona e numerosi cittadini
che, riunitisi in cima al Monte, stilarono un programma di massima,
discussero sull'opportunità di dar vita ad un periodico che servisse come
organo del comitato e nel contempo come mezzo per far conoscere la storia
della devozione mariana della nostra gente e per divulgarla sempre più tra
le giovani generazioni e parlarono pure dei finanziamenti necessari e del
come reperirli.
Il progetto, certo, era ambizioso e si sarebbe potuto anche realizzare se le
fondamenta su cui si poggiava non fossero ,state, poi, così fragili come si
appalesarono: un grande entusiasmo da parte del Presidente, un pio desiderio
di tutti i componenti e solo qualche monetina residuata dalla raccolta fatta
in occasione delle due feste annuali.
Comunque nel 1972 - a cinque anni dalla istituzione del Comitato - erano
stati completati i lavori per l'elettrodotto, si era provveduto a circondare
il Santuario di un anello stradale, in modo da lasciare isolato nei tempi di
maggior afflusso dei pellegrini il piano antistante; si erano iniziati - a
cura del parroco don Domenico Mecca - i lavori di restauro e di abbellimento
del Tempio, che i pellegrini, quell'anno, trovarono con sorpresa
trasformato, per una spesa complessiva di quattro milioni; si curò la
costruzione della strada che porta alla fontana, detta "della taverna", si
fecero saggi per approntare un progetto di sollevamento delle acque della
sorgente, detta "dell'occhiene" per portarle in cima al Monte, si interessò
infine il ripartimento forestale perché iniziasse un'opera di rimboschimento
che fra qualche anno cambierà il volto della parte brulla del Monte.
L'iniziativa quindi del signor Giordano non cadde nel vuoto, servi quanto
meno ad interessare della cosa l'opinione pubblica e ad avviare un discorso
su basi più solide circa il restauro dell'antica chiesetta del Carmine con
tutto quello che intorno ad essa la natura, spesso brulla ed abbandonata,
presentava.
Il compito fu affidato allo studio degli architetti GERARDI - PIRO, i quali
approntarono un progetto di largo respiro, un tentativo corretto di
valorizzare convenientemente un approdo religioso che consentisse di
giovarsi spiritualmente del pellegrinaggio e di lanciare nel contempo sotto
l'aspetto turistico una zona che forse non era stata mai valutata a
sufficienza nel passato, come si sarebbe potuto fare e come del resto
meritava.
Purtroppo, per ragioni finanziare, il progetto fu sconvolto, rabberciato ed
in un certo senso tradito.
L'Ente interessato all'esecuzione dei lavori, forse perché non convinto
dell'opportunità del rilancio quanto meno turistico della zona, anche
tralasciando l'aspetto religioso, e, non volendo - d'altra parte -
scontentare chi da buon aviglianese, con tanta insistenza, spingeva alla
realizzazione del progetto, addivenne ad un compromesso: l'opera sarebbe
stata realizzata, ma non come progettata, con tagli, modifiche,
rabberciamenti che - come abbiamo detto - in un certo senso venivano a
tradire l'idea originaria.
Comunque con la nuova sistemazione della sommità del Monte, le moltitudini
dei fedeli che numerose continuano a recarsi al Carmine, già ora trovano
nell'immenso spiazzale che circonda il Tempio un luogo adatto che consente
loro di partecipare con molta tranquillità alla grande assemblea liturgica
che si celebra accogliendo il Simulacro della Vergine, appena giunto, sulla
vetta; di sostare agevolmente, dopo la visita al Santuario, e di ammirare il
panorama stupendo che da quell'altezza si offre allo sguardo del pellegrino
già ad occhio nudo, ma che potenti cannocchiali, sistemati ai quattro lati
dello spiazzo, potrebbero ampliare notevolmente raggiungendo l'Adriatico da
un lato e la zona del salernitano dall'altro, mentre la Valle di Vitalba,
sovrastata dalla Mole Federiciana, con il magnifico scenario del Vulture e i
monti che circondano Potenza con Rifreddo e la Maddalena, sarebbero più a
portata di mano.
Si è pure pensato di adeguare l'intera zona alle necessità anche umane che
il pellegrinaggio comporta, fornendola di parcheggi, di spiazzi sistemati a
verde, di acqua, di luce, di servizi igienici, di rifugi per la sosta dei
pellegrini, di raccordi stradali, di abitazione per il custode, di sale di
riunione per il clero, modificando in certo senso la stessa struttura fisica
del luogo, senza però sconvolgerla, allo scopo di renderla sempre più
accogliente.
Ma, se dette opere, da tempo iniziate, non verranno - e presto - condotte a
termine, il tutto rischia di cadere nel nulla, rendendo inefficace ogni
sforzo che popolo e clero, aiutati dalle autorità civili ed amministrative,
regionali e locali, stanno compiendo per creare un ambiente - non ostante la
sua altitudine, così facilmente accessibile - che metta il pellegrino a suo
agio in senso sia religioso che fisico e morale.
Ecco perché, da un po' di tempo a questa parte anche il nostro Santuario va
caratterizzandosi per una nota particolare e significativa: la celebrazione
frequente di matrimoni.
I giovani sposi che salgono ai piedi della Madonna per consacrare a Dio il
loro amore, trovano, nel devoto raccoglimento del Tempio, nell'accogliente
spiazzo circostante lastricato a cubetti, nella facilità di accesso e di
posteggio dei mezzi di locomozione e nel magnifico panorama che si gode da
quell'altezza, il clima più adatto per celebrare un rito destinato a
rimanere indelebile nella memoria e nel cuore di chi lo celebra e non solo
di loro.
La Chiesa non presenta particolari pregi artistici: il suo stile è semplice,
come semplice è la vita e la devozione di questa magnifica gente che l'ha
voluta e che da tre secoli - sfidando l'inclemenza del tempo - continua a
mantenerla in piedi, strutturandola ed ampliandola, per tenere il passo alle
esigenze sempre crescenti dei pellegrini, senza però tradirne l'originale
disegno.
Si tratta pur non di meno di una costruzione fatta tutta in pietra da taglio
speronata ai lati da contrafforti e caratterizzata da un originale
reggi-campana, anch'esso in pietra da taglio. Artistici sono gli altari,
tutti in marmo lavorato; le due porte intarsiate in legno da artigiani
locali, ad alto rilievo, raffiguranti, quella centrale, la nostra Madonna
del Carmine e il Cuore di Gesù e, quella laterale, simboli eucaristici; i
leggii e la cassetta per le offerte, anch'essi artisticamente intarsiati in
legno, da artigiani locali e che riproducono due angeli con le ali spiegate
che sovrastano un piedistallo su cui è ritratto il volto di Cristo e vari
pannelli riproducenti il volto della Addolorata e di Gesù e le inferiate
delle tre finestre, in ferro battuto, con simboli della passione e con la
deposizione dalla croce di Gesù in grembo alla Madre.
Prima però di porre mano ai restauri del Tempio o, meglio, quasi
contemporaneamente ad essi, si pensò bene di procedere ai restauri della
Statua della Madonna che l'ala edace del tempo aveva resi necessari... e da
un pezzo!
Il 6 ottobre del 1970 il miracoloso simulacro, accompagnato dal parroco,
partì, così, alla volta di Bari per essere affidato alla Sovrintendenza alle
Gallerie, sotto la cui guida, esperti maestri ne avrebbero curati i
necessari restauri.
In una lettera indirizzata al prof. D'Elia, l'attuale sovrintendente ai Beni
Culturali della Basilicata, il parroco don Domenico Mecca ringraziandolo per
la gentilezza dimostrata e per la premura manifestata di voler mantenere
fede alla parola data dal prof. Chiurazzi di iniziare subito l'intervento
restaurativo, così esprimeva la sua ansietà mista di desiderio e di dubbio
tormentoso: "Se si pensa che ben tre miei predecessori non hanno permesso
che si ponesse mano (al restauro della Statua, n.d.r.) per timore
soprattutto del volto, si può comprendere con quale fiduciosa ansia sarà
accompagnata la esecuzione dell'opera di restauro".
A guardare bene la statua, sembrano in essa quasi incarnate le sembianze
della donna aviglianese, bella, bruna, di aspetto dolce, ma dignitoso,
imponente ed affabile ad un tempo: l'umano è così in sintonia col divino in
tutto il simulacro che mentre ti ispira fiducia, ti eleva con il pensiero
alle altezze del cielo.
Dopo nove lunghi mesi, il 3 luglio del 1971, la sacra Effigie veniva
finalmente restituita al culto della comunità aviglianese.
Nel darne notizia ai fedeli, qualche giorno prima, il parroco così scriveva:
"L'Effigie della Madonna del Carmine, portata a Bari per i restauri, il
giorno 3 luglio p.v. ci verrà restituita.
La Madonna, attraverso i secoli, ha dimostrato di gradire il nostro
attaccamento a questa sua immagine ed è per questo motivo fuori di ogni
retorica - che il 3 luglio, per tutti, sarà una giornata straordinaria, una
giornata - ne siamo certi - di grazie del tutto particolari.
Conoscendo il comune sentire nei riguardi della Madonna, ogni parola spesa
per esortare a vivere tutta la eccezionalità di tale giornata. appare
sprecata.
L'appuntamento è alle ore 17, ai piedi del Carmine..." .
Puntuale, come sempre, all'incontro con Maria, un'immensa folla di
aviglianesi fin dal primo pomeriggio accorse da ogni dove ai piedi del Monte
per dare il primo saluto alla sua cara Madonna.
Calorosi applausi si levarono all'apparire dell'Effigie in tutta la sua
bellezza originaria: "è proprio la nostra Madonna" si disse "non l'hanno
cambiata affatto". Il timore e il sospetto finalmente lasciarono il posto
alla gioia e alla fiducia. L'opera di restauro si appalesò subito perfetta:
se non fosse stato per l'eliminazione delle stelle dal manto, che una mano
inesperta aveva aggiunte negli anni trenta, la statua sembrava non essere
stata affatto toccata.
Di lì si snodò la processione fino al paese, parato a festa con drappi e
festoni floreali lungo le vie per le quali, portata a spalle, doveva passare
la cara Effigie; vie trasformate in un interminabile grandioso arco
trionfale.
La manifestazione si concludeva in piazza Gianturco alle ore 22, - con tre
ore di ritardo sul previsto, a causa della moltitudine immensa dei fedeli
accorsa, - con una solenne celebrazione eucaristica da parte dell'Ordinario
Diocesano, Mons. Aurelio Sorrentino, che alla fine del rito rivolgeva
commosse parole di circostanza.
Con il commovente ritorno, in
processione, tra preghiere e canti, della venerata Statua della Madonna del
Carmine, restaurata, si concludeva una nuova pagina della storia millenaria
del nostro Santuario, storia scandita sulle note di una fede primigenia, di
una spiritualità semplice e genuina, che è anche civiltà, come si rileva da
una comune altezza di sentire, di comprendere e di rivivere con animo
immutato tradizioni che risalgono a tempi remoti e che pure conservano una
freschezza incantata ed affascinante.
FURTO SACRILEGIO AL SANTUARIO: 26 LUGLIO
1973
Quella domenica il Santuario aveva preso l'aspetto delle grandi occasioni.
Durante la Santa Messa e per tutto l'arco della giornata il numero dei
pellegrini non si contava: erano giunti da Avigliano e dagli altri centri
vicini per riparare al sacrilego atto compiuto, qualche giorno prima, da
ignoti malfattori e per esprimere altresì con la loro presenza sul Monte la
più viva indignazione per il furto che tanta dolorosa impressione aveva
suscitato nell'animo di tutti.
Nella notte tra il 26 e il 27 luglio 1973, infatti, ignoti malviventi, -
ripetendo un gesto già effettuato nella Chiesa parrocchiale nel 1936 - dopo
aver divelto l'inferiata di protezione di un finestrone laterale,
penetravano nel Santuario, trafugando il tabernacolo con la pisside e le
ostie consacrate, le corone della Madonna e del Bambino, un'artistica stella
in oro - di recente sostituita per altro furto perpetrato alcuni anni prima
- e altri oggetti sacri.
Tutto sommato, un bottino, piuttosto modesto, dal punto di vista venale, se
si tien conto che il tabernacolo e la pisside erano di poco valore, le
corone non erano quelle vere; di oro gemmate, di gran pregio e che non fu
possibile ai malviventi mettere le mani - come era loro intenzione - sulla
parte più cospicua del così detto "tesoretto" del Santuario, ricco di altri
ornamenti in oro di valore inestimabile, custodito, con le corone, in luogo
più sicuro.
Era la prima volta che il Santuario veniva così profanato da gente -
certamente - non del posto, e questo spiega l'indignazione, il dolore, la
profonda impressione espresse nella compatta partecipazione ai riti di
riparazione che l'autorità religiosa programmò per la domenica successiva,
29 luglio 1973.
Durante la celebrazione eucaristica si parlò di questo atto sacrilego e al
posto della preghiera dei fedeli ci fu la rinnovazione della consacrazione
alla Madonna del Carmine per esprimere a Lei pubblicamente l'amore e la
devozione della gente di Avigliano e riparare così l'oltraggio fatto alla
sua immagine. Per tutto l'arco della giornata, poi, rimase esposto
solennemente il SS. Sacramento.
I numerosissimi devoti, pervenuti da ogni parte, si avvicendarono ad ogni
ora del giorno sospinti dal desiderio di dire a Gesù e a Maria che se mani
sacrileghe si erano levate contro di loro, per profanare le sacre specie e
l'immagine benedetta, essi erano lì per offrire i loro cuori in cambio
dell'offesa ricevuta e per implorare perdono, pietà e misericordia per
tutti.
In tempi a noi più vicini, a questo furto si sono aggiunti altri fattacci,
come il furto dei fari sul piazzale del Santuario, non una volta sola, ma
due; l'imbrattatura degli altorilievi intarsiati in legno sulla porta
centrale, con liquido a spray ed infine la distruzione vandalica dei punti
luce sistemati lungo le pareti laterali della gradinata di accesso al
Santuario, ai quali la nostra buona gente ha sempre risposto energicamente,
ma con equilibrio e dignità, senza farsi prendere dall'impulso del momento o
da una reazione incontrollata, collaborando con il parroco - a seconda delle
proprie possibilità - al ripristino, in tempi records, delle opere
deteriorate.
Fatti di tal genere speriamo che non si ripetano più.
Tralasciando il valore materiale di quanto è stato rubato o deteriorato, che
pure è consistente, soprattutto se si tien conto che il Santuario non ha
altri cespiti all'infuori delle offerte dei fedeli, è il gesto che suscita
sdegno e riprovazione.
Ciò che addolora il cuore della nostra Mamma del cielo e dovrebbe far
piangere anche noi se ci sentiamo suoi figli, non è tanto il furto di
oggetti che adornano qualche sua immagine, quanto la depravazione dei
costumi, con la perdita in molti del rispetto anche per ciò che è sacro, che
sta alla base di questi gesti sacrileghi.
Davvero commovente la risposta di un vecchietto ad un sacerdote che la
mattina dopo il furto del 26 luglio 1973 faceva osservare ad alcuni devoti,
sdegnati per il gesto sacrilego, come fortunatamente l'immagine non era
stata deturpata: "LA POTEVANO PORTARE ANCHE VIA, - disse - NOI LA MADONNA LA
PORTIAMO NEL CUORE".
Sì, è vero, ma dobbiamo convenire che se tutti portassimo veramente la
Madonna nel cuore, saremmo più buoni e non ci sarebbero più rapine, furti,
uccisioni che fanno piangere tanti nostri fratelli... |