Una Porta puo essere uno scopo, una decisione, uno sguardo su un nuovo
mondo; il
Paradiso può essere qualunque cosa, ma soprattutto il Paradiso è dentro di
noi e vicino a noi. Il Paradiso, quello che ci hanno sempre descritto, siamo
noi.
La Porta in bronzo della chiesa di San Rocco, opera di Marco Santoro,
idealmente si ricollega alla Porta Santa che proprio Giovanni Paolo IL,
durante il Giubileo del 2000, ne evidenziò l’importanza nella Bolla
“Incarnationis Mysterium”.
Essa “evoca il passaggio che ogni cristiano è chiamato a compiere dal
peccato alla grazia. Gesù ha detto: io sono la porta (Gv 10,7) per indicare
che nessuno può avere accesso al Padre se non per mezzo suo (...) C’è un
solo accesso che spalanca l’ingresso nella vita di comunione con Dio: questo
accesso è Gesù, unica e assoluta via di salvezza”.
Quando Karol Wojtyla, nell’atrio della Basilica di San Pietro, si
inginocchiò sulla soglia della Porta, bussò per tre volte e recitò
un’orazione nella quale esplicitò: “Concedi, o Dio, alla tua Chiesa di
vivere lietamente il momento propizio, nel quale hai voluto aprire questa
porta ai tuoi fedeli, perchè vi entrino e innalzino a te le loro preghiere:
così che, impetrati il perdono, l’indulgenza e la piena remissione delle
colpe, camminino speditamente in una vita secondo il vangelo del tuo
Figlio...”
Il testo, nella sua brevità, pone in risalto il significato che il passaggio
attraverso la Porta Santa deve avere per ognuno che lo voglia compiere. E’
segno visibile di un rinnovamento interiore, che prende il suo punto di
partenza dal mettersi in pace con Dio, dal riconciliarsi con il fratello,
dal restaurare in se stessi quanto è stato rovinato nel passato, per
riprendere una vita secondo la legge del Vangelo.
La Porta in bronzo “Omaggio a Karol” e dunque più di un “monumento” alla
memoria del Papa; è un “racconto” da tramandare, una storia che ci riguarda
e vuole testimoniare la gratitudine di ogni uomo, credente o non, di Pignola
o di qualunque altra parte del mondo, per l’opera dell’Uomo venuto
dall’Est”. L’impianto iconografico, semplice nella sua descrizione (il Papa
che incontra Arafat, Fidel Castro, Madre Teresa di Calcutta, Gorbaciov, i
giovani ecc.) loda l’opera di un Papa che ci ha aiutato a “cercare ciò che
si era perduto”: la fraternità tra i popoli, la cooperazione internazionale;
il valore della tolleranza, del perdono, il rispetto dei valori civili.
E, per quanti di noi, hanno avuto la fortuna di incontrare il Papa per due
volte, nei giorni immediatamente successivi a quelli drammatici del
terremoto del 23 novembre 1980 e, durante gli anni della Ricostruzione (il
28 aprile del 1991) il ricordo delle sue parole resta indelebile nella
memoria: “rinnovare la cultura è impresa decisiva ed urgente per il nostro
tempo. Vi è oggi un umanesimo ambiguo, spesso segnato dall’idolatria e dal
disprezzo dell’uomo, la cui conseguenza è una cultura che porta alla morte
morale e fisica nella quale si riconosce come legalmente possibile
l’eliminazione della vita umana nel suo nascere o si ritiene lecito
affrettarne la sua fine naturale. Per vincere tali modelli è necessario
-sottolineò il Papa nel corso dell’incontro all’Università a Potenza - che
si affermi la cultura che scaturisce dall’umanesimo cristiano e che parla
dell’uomo in termini diversi. Una cultura nella quale la ricerca scientifica
deve tendere ad approfondire le comuni radici che affratellano gli esseri
umani. Essa è chiamata ad aprirsi alla vera sapienza, alla verità che fa
liberi...”
Rocco Brancati
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