[Articolo di Agostino Gramigna e Adolfo Pappalardo, pubblicato in
"Sette", 4 marzo 2004, pagine 42-44]
Casi da riaprire - La più grande catastrofe ferroviaria
CARO PRESIDENTE CIAMPI, SI RICORDA DEL TRENO DEI MORTI?
Balvano 1944: un convoglio si ferma in una galleria e lì muoiono oltre
500 persone. Per asfissia. Una sciagura taciuta dalle ferrovie italiane
ma soprattutto dagli Alleati, che controllavano la linea Napoli-Potenza.
Per sessant'anni nessuno (o quasi) ne ha mai parlato. Ora i parenti
delle vittime raccontano le loro storie a «Sette». E lanciano un appello
al capo dello Stato.
di AGOSTINO GRAMIGNA e ADOLFO PAPPALARDO
Aveva i capelli lisci e voleva farsi la permanente. Sua madre però era
senza soldi. Così la ragazzina, testarda, aveva insistito. «Mamma, fammi
prendere quel treno». Elisabetta aveva 14 anni quando in una fredda
serata del '44 (marzo) salì sul vagone merci con altri due parenti di S.
Egidio (Salerno), per andare a fare un po' di contrabbando e pagarsi la
permanente. Era il suo primo viaggio. Fu anche l'ultimo. Morì nel sonno,
dentro la galleria piena di ossido di carbonio, un gas tossico e
inodore. E con lei oltre 508 persone, come c'è scritto nella «cappella
dei napoletani», così viene chiamata, del piccolo cimitero di Balvano.
Balvano non dirà molto agli italiani, se non, forse, per il terremoto
dell'80, che distrusse mezzo paese e causò la morte di 77 persone.
Eppure questo piccolo borgo della Basilicata fu teatro, 60 anni fa, di
un'altra tragedia, di ben altre proporzioni. Forse la più grande
sciagura ferroviaria d'Europa: quella del merci 8017, il treno partito
da Napoli diretto a Potenza per prendere legname, che trasportava
abusivamente oltre 600 persone. Morirono professori universitari,
famiglie che sfollavano per sfuggire ai bombardamenti, contrabbandieri e
gente comune che andava a vendere pellame o a comprare farina, formaggi
e salumi.
Una tragedia di guerra, nonostante le vittime fossero quasi tutte
civili, di cui non si è mai parlato. Rimossa e dimenticata dalla
coscienza nazionale. Non per vergogna o per pudore, come è successo in
altri casi (nella vicina Esperia, sempre nella primavera del '44, furono
violentate oltre 700 donne nel silenzio della storiografia e delle
popolazioni locali). Semplicemente affossata e negata dalle autorità
anglo-americane. A Balvano, nei giorni immediatamente successivi alla
catastrofe, prevalse la logica della real-politik. Motivo?
Dopo lo sbarco a Salerno, gli Alleati controllavano trasporti e
ferrovie. Dal primo ottobre del '43 quelle del compartimento di Napoli
erano state assunte direttamente dal Governo militare alleato (A.M.G.).
E sul treno merci avrebbero dovuto viaggiare solamente militari.
Inoltre, il carbone utilizzato, acquistato in Jugoslavia, era di pessima
qualità, altamente tossico. Per questo la censura fu pressoché totale.
Sia durante la guerra che negli anni successivi (tranne due eccezioni:
un articolo dell'Europeo negli anni '50 e di Famiglia Cristiana nel
'79). La prima commissione d'inchiesta (governo Badoglio) concluse i
suoi lavori con un nulla di fatto. La catastrofe fu classificata alla
voce «caso di forza maggiore». Le Ferrovie dello Stato sostennero che
considerata l'occupazione militare da parte del governo anglo-americano
nessuna responsabilità poteva essere addebitata all'amministrazione. E
gli Alleati esclusero ogni responsabilità da parte del personale delle
Ferrovie.
Il foulard nero. «Mio padre riconobbe il corpo di mia madre ammassato
tra i cadaveri da questo particolare», dice Vincenzo Francione (nella
foto). Che aggiunge: «Com'è possibile che le autorità italiane non si
siano mai ricordate di noi?».
Nella sua abitazione di Torre Del Greco, Vincenzo Francione ha un cenno
di commozione. Sono passati 60 anni, ma il ricordo di sua madre,
Giulietta Brancaccio, che si trovava sul treno merci, è ancora vivo.
«Possibile che il capo dello Stato, che pure è molto sensibile ai temi
della memoria, si sia dimenticato di noi? Possibile che questa storia
non interessi a nessuno?». Giulietta non faceva contrabbando, come si
chiamavano allora i viaggiatori che andavano in Basilicata per
acquistare prodotti agricoli che poi rivendevano a Napoli e Salerno. Lei
si era trasferita, con cinque dei suoi nove figli, a Baragiano (30
chilometri da Potenza), dove abitava una sua sorella, per sfuggire ai
bombardamenti. Mentre Vincenzo scaricava le navi americane al porto di
Napoli assieme a suo padre e agli altri fratelli. «Mia madre viaggiava
su quel treno per portarci da mangiare. Purtroppo il destino l'ha
chiamata». Quando il destino ha deciso di prendersi cura di lei, aveva
44 anni. Il marito riconobbe il suo corpo tra la montagna di cadaveri
allineati sul marciapiede della stazione da un particolare: un foulard
nero.
Sulle montagne c'era la neve ed era da poco passata la mezzanotte quando
il merci 8017 s'infilò nella galleria delle Armi subito dopo Balvano.
Per una serie di coincidenze negative (cattiva qualità del carbone,
treno sovraccarico, passeggeri stanchi che dormivano, pioggia che faceva
slittare le ruote sulle rotaie) il treno si fermò in salita. 1
macchinisti per aumentare la pressione delle caldaie misero più carbone,
trascurando il pericolo del monossido di carbonio. Il veleno li prese
alla gola, poi la nube si estese nella galleria. Si salvarono in pochi.
Il primo a morire fu il macchinista Espedito Senatore.
Il macchinista Espedito. Fu uno dei primi a morire. Ora le figlie Gilda
e Giuseppina rivendicano un risarcimento.
Le sue figlie Gilda e Giuseppina ora abitano a Cava de' Tirreni, vicino
a Salerno, dove si erano trasferite dopo la morte del papà. Gilda aveva
cinque anni e al momento della notizia della sciagura, ricorda, stava
giocherellando con una foto di famiglia. Giuseppina di anni ne aveva
dodici. Per lei suo padre non è morto: «Me lo immagino sempre sul
treno». Espedito aveva 38 anni e sin da piccolo sognava di fare il
macchinista. Alla vigilia del suo primo viaggio aveva avuto la febbre
alta. Per l'emozione. Nonostante sia trascorso molto tempo, le figlie
avrebbero deciso di chiedere un risarcimento. «Ma non sono i soldi che
ci interessano. Lo facciamo perché vogliamo che si parli di quella
tragedia. Per la memoria di nostro padre».
Memoria che non ha abbandonato Vincenzo Pacella, oggi ultraottantenne,
all'epoca un giovanotto dal fisico possente. Era rientrato a Balvano
dopo l'armistizio dell'8 settembre, dalla Jugoslavia. Aveva visto morire
un soldato italiano, ucciso dai tedeschi, solo perché aveva gridato viva
l'Italia. «Nel '44 eravamo tutti sbandati», ricorda. Quella mattina del
3 marzo fu costretto dal podestà e dai carabinieri ad andare alla
stazione dove era arrivato il treno con i cadaveri. «Cominciammo a
scaricare». Pacella fu uno dei primi a giungere sul posto. «Sul vagone
appena dietro la locomotiva, sul carbone, c'erano quattro donne e due
uomini. Uno aveva ancora una sigaretta in mano, l'altro stava succhiando
un uovo». Quelli che davano segni di vita venivano messi nella sala
d'attesa. Gli altri sul marciapiede. «Molti corpi furono sfregiati con
le pale da avvoltoi per rubare anelli, catenine e fedi».
Al cimitero furono scavate tre fosse comuni: due per gli uomini e una
per le donne. Pioveva e nevicava. Il cimitero di Balvano è stato
allargato nel '44 una prima volta. Poi, dopo il terremoto, una seconda.
Filomena Di Stasio oggi ha 82 anni, ricorda che la sorella, dell'Azione
cattolica, ne salvò uno. Capì che era ancora vivo e lo portò via. Dopo
alcuni anni l'uomo ritornò a Balvano per ringraziarla e per sposarla.
Lei era già morta.
«O destino», come lo chiamano da queste parti, fissò l'appuntamento
anche a Vincenzo Iura, medico, direttore della patologia chirurgica di
Bari, ufficiale medico nella guerra del '14-18. Quel giorno era partito
da Eboli, doveva andare a Potenza. A Sicignano, un capostazione che lo
conosceva gli consigliò di scendere: «È pieno dotto'». «Lui scese»,
ricorda suo nipote che si chiama come lui, Vincenzo, «ma poi deve averci
ripensato. Purtroppo è risalito».
Suo nipote faceva la terza elementare, il giorno della disgrazia aveva
piazzato delle tagliole sulla neve per gli uccelli. «Mia zia mi fece una
bella ramanzina, diceva che dovevo studiare. Poi sentii le urla dei
parenti. Il corpo di mio zio arrivò su un carrello». Vincenzo Iura aveva
guadagnato la croce al merito di guerra. Era una figura imponente, di
carattere forte, molto religioso, in rapporto epistolare con Saverio
Nitti. Aveva partecipato alla disfatta di Caporetto. Quando gli
ordinarono di ritirarsi e di abbandonare la postazione, lui restò. Non
poteva lasciare i feriti e sfidò la morte. Morì invece la notte tra il
due e il tre marzo. Su un treno merci, per ossido di carbonio.
Agostino Gramigna e Adolfo Pappalardo
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[Proposta di legge n. 4798 del deputato Giuseppe Molinari, presentata
il 10 marzo 2004, pubblicata negli Atti Parlamentari della Camera dei
Deputati, XIV Legislatura]
Istituzione del Giorno della memoria e del Museo della memoria in
ricordo delle vittime della sciagura ferroviaria di Balvano del 3 marzo
1944
Presentata il 10 marzo 2004
ONOREVOLI COLLEGHI ! - Nella notte tra il 2 e il 3 marzo del 1944 un
treno partito da Napoli e diretto a Potenza, giunto nella galleria del
Monte Armi nei pressi di Balvano (Potenza) a causa della forte pendenza
della salita e del peso superiore alla sostenibilità da parte dei
locomotori si bloccò. Si trattava di un convoglio di 47 vagoni trainati
da due locomotori, era il treno n. 8.017. I suoi passeggeri erano per lo
più gente disperata, gente povera che cercava nella economia dello
scambio e del baratto una opportunità di sopravvivenza. Ben 517
passeggeri di quel convoglio ferroviario rimasto fermo in galleria
morirono asfissiati per le esalazioni della combustione del carbone dei
motori delle locomotive. La ricostruzione dell'incidente, dopo sessanta
anni, è ancora frammentaria e parziale. Persino le Forze alleate di
stanza in Italia avviarono una inchiesta sull'incidente i cui risultati
sono ancora secretati. Si è trattato di una vera tragedia che sconvolse
in particolare la comunità lucana, che fu generosa nel prestare soccorso
alle vittime della sciagura. Oggi il cimitero di Balvano custodisce le
salme delle vittime del 3 marzo 1944. Di quella tragedia sono apparsi
reportage giornalistici persino sulla stampa internazionale, senza però
giungere ad una ricostruzione storica completa di quanto accadde
realmente nella galleria del Monte Armi.
A distanza di tanti anni i familiari delle vittime continuano a chiedere
che lo Stato si ricordi di quella triste pagina di storia legata alla
fine della guerra e ad una tragedia del nostro mezzogiorno consumatasi
nel silenzio. La presente proposta di legge oltre ad istituire il Giorno
della memoria in occasione di ogni 3 marzo si prefigge anche di
sostenere la ricostruzione storica di quell'avvenimento per il rispetto
che si deve ai 517 morti. Una tragedia dimenticata che vive nella
comunità lucana e nella memoria dei parenti delle vittime.
Chiediamo pertanto che la proposta di legge possa avere un iter rapido e
si possa così onorare il ricordo di quanti contribuirono anche con la
vita alla ricostruzione del Paese in una fase storica nella quale la
miseria e la disperazione, oggi fortunatamente superate, costituivano la
costante. Per questo abbiamo il dovere di non dimenticare.
PROPOSTA DI LEGGE
ART. 1.
(Istituzione del Giorno della memoria).
1. Il 3 marzo di ogni anno è celebrato il Giorno della memoria in
ricordo delle vittime della sciagura ferroviaria di Balvano del 3 marzo
1944.
ART. 2.
(Istituzione del Museo della memoria).
1. Entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge,
è stipulata una intesa istituzionale di programma tra la Presidenza del
Consiglio dei ministri, la regione Basilicata, la regione Campania,
l'amministrazione comunale di Balvano in provincia di Potenza e la
Trenitalia Spa per l'istituzione presso la stazione ferroviaria di
Balvano di un Museo della memoria in ricordo delle vittime della
sciagura ferroviaria del 3 marzo 1944.
2. All'interno del Museo della memoria sono custoditi tutti gli atti e i
documenti riferiti alla sciagura ferroviaria del 3 marzo 1944.
3. La Presidenza del Consiglio dei ministri, al fine di una compiuta
ricostruzione storica degli accadimenti, è autorizzata a desecretare
tutti gli atti e i documenti che riguardano la sciagura ferroviaria di
Balvano del 3 marzo 1944, inclusi gli atti e i documenti coperti da
segreto militare.
4. Per l'istituzione del Museo della memoria è autorizzata la spesa di
500.000 euro per l'anno 2004.
ART. 3.
(Copertura finanziaria).
1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, valutato in
500.000 euro per l'anno 2004, si provvede mediante corrispondente
riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale
2004-2006, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente
« Fondo speciale » dello stato di previsione del Ministero dell'economia
e delle finanze per l'anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando
l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare,
con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
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[Articolo di Paolo Sgroia, pubblicato in "Il Saggio", Maggio 2004,
pagine 30-31]
Balvano. Il più grave incidente ferroviario d'Europa
di Paolo Sgroia
Sono trascorsi sessanta anni da quella notte tra il 2 e 3 marzo del 1944
e i parenti delle vittime del treno merci 8017 ancora non si danno pace.
Morirono più di 500 persone in quella fredda notte nella galleria "delle
Armi", subito dopo la stazione di Balvano, in provincia di Potenza.
Molti non si accorsero neppure della tragedia, passarono dal sonno alla
morte respirando il monossido di carbonio sprigionato dalle ciminiere
delle due locomotive a vapore, che trainavano il lungo convoglio che da
Napoli era diretto a Potenza.
Una tragedia annunciata, perché nel verbale del 9 marzo 1944 del Governo
Badoglio si legge testualmente: "La sciagura deve attribuirsi alla
pessima qualità del carbone fornito dal Comando Militare alleato perché
già si era verificato, sulla stessa tratta, un caso di morte per
asfissia del personale di macchina di un treno dell'autorità alleata".
Era carbone proveniente dalla Jugoslavia, di quello pessimo che
sprigionava poco calore e tanto monossido di carbonio. Si era in guerra
e le ferrovie erano sotto il comando degli alleati. Sulla linea
Napoli-Potenza gli Anglo-Americani avevano istituito solo due treni alla
settimana per i viaggiatori, tutti gli altri erano treni merci che
servivano per il trasporto di materiale utile ai militari.
Ma era anche il treno che serviva alla popolazione per rifornirsi di
generi di prima necessità, materie che scarseggiavano nelle grandi città
ed erano reperibili solo nelle zone interne come le campagne di Potenza.
Ma su quel treno c'era anche chi doveva viaggiare, e per assenza di
mezzi pubblici era obbligato a salire su quei carri merci.
È il caso del prof. Vincenzo Iura, noto chirurgo, salito ad Eboli e
diretto a Potenza. Il professore, negli anni sessanta in un'intervista
fatta nell'Ospedale Civile di Eboli, era ancora ricordato da tutti come
una persona ricca di umanità che operava nella struttura sanitaria più
delle volte gratuitamente. Anche lui morirà in quella galleria. Del
personale addetto al convoglio si salveranno solo i frenatori, Michele
Palo, Roberto Mallo e Giuseppe De Venuto, e il fuochista Luigi Ronga,
che svenuto cadde dalla locomotiva e con la faccia a terra riuscì a
trovare quel poco d'aria che gli salvò la vita.
Una tragedia che fu subito seppellita nel dimenticatoio, come furono
seppelliti in fretta i 519 deceduti nel cimitero di Balvano, dopo aver
buttato della calce viva su di essi.
A quei corpi si poteva dare una sepoltura migliore, in modo tale che i
familiari ne potessero far riesumare i resti. Erano morti da poche ore
non da giorni, e non per un'epidemia.
Il treno 8017 era composto da 47 vagoni, di cui una ventina scoperti.
Solo 12 erano carichi e tutti gli altri servivano per trasporto merci.
Quando transitò per Salerno, pioveva, ed era già carico di passeggeri
che provenivano dalle zone del Napoletano. Al nodo di Battipaglia il
treno fece un'altra sosta e la polizia militare americana fece scendere
molti passeggeri abusivi. Ad Eboli transitò alle ore 19.12 e fu preso a
volo da circa cento persone come capitò anche a Persano. Il convoglio a
quel punto aveva a bordo circa 700 viaggiatori abusivi. A Romagnano per
riuscire a scalare le pendici delle montagne fu agganciata in testa una
seconda locomotiva a vapore.
Alle 23.40 il lungo convoglio partì da Romagnano e dopo circa 7 km si
fermò nella stazione di Balvano-Ricigliano, dove c'era un treno fermo in
difficoltà. Dopo 38 minuti di attesa le due locomotive allentarono i
freni e il viaggio continuò.
Erano le ore 0.50, ed il treno doveva giungere alla stazione di
Bella-Muro distante meno di 8 km in un percorso tutto in salita e con
molti trafori. Il messaggio di arrivo alla stazione successiva non
arrivò mai. Il treno s'era bloccato nella galleria che passa sotto il
Monte delle Armi. Le ruote motrici delle due locomotive slittavano sulle
rotaie e dopo aver indietreggiato qualche metro il treno si fermò
definitivamente. Si doveva decidere in una manciata di secondi cosa
fare. Ma ci fu incomprensione tra macchinisti e frenatori, le due
locomotive furono trovate nel senso di retromarcia, mentre c'erano 13
convogli frenati. Una tragica fatalità. Gli addetti alle macchine furono
i primi a morire: la galleria era ancora satura del fumo del treno che
era passato pochi minuti prima. I passeggeri, quelli ancora svegli,
incominciarono a borbottare, non si sapeva cosa fare e nemmeno si era a
conoscenza del pericolo. Solo quando incominciarono a mancare le forze
si cercò di uscire: troppo tardi. Il monossido di carbonio è inodore e
uccide nel giro di pochi minuti.
A questo punto ci sono alcune versioni differenti su chi dei due
frenatori tornò a Balvano per dare l'allarme: Michele Palo o Giuseppe De
Venuto. Erano le ore 5.10 quando la notizia giunse al capolinea.
Staccata una locomotiva da un treno in sosta i funzionari andarono
incontro al convoglio, e solo allora si resero conto dell'immane
tragedia. Si pensava semplicemente ad un guasto delle locomotive, mai ad
un evento così tragico. Il treno fu rimorchiato e riportato indietro e
sui marciapiedi della piccola stazione furono deposti più di 500 corpi
esanimi, altri che davano segni di vita furono trasportati all'ospedale
di Potenza.
Molti di quei corpi non avevano nessun segno di sofferenza sul volto.
Erano passati dal sonno alla morte senza accorgersene.
I militari dopo aver portato i superstiti agli ospedali, ebbero
l'ingrato compito insieme a dei civili di collocare le salme sui camion
e di seppellirle in fosse comuni nel cimitero di Balvano: due per i
maschi e una per le donne.
Sul numero delle vittime ci sono discordanze: molti corpi non furono
identificati perché senza documenti. La stampa dell'epoca, sottoposta a
censura militare, riservò solo alcune righe al più grande disastro
ferroviario d'Europa. Solo dagli anni sessanta in poi furono dedicati
alcuni reportage a questa sciagura. Della tragedia si è occupata anche
la stampa internazionale e le sono state dedicate addirittura delle
canzoni da artisti stranieri, mentre in Italia è stato steso un velo
pietoso di oblio. Proprio per questo è il caso che venga approvata la
proposta di legge n. 4.798 del deputato Giuseppe Molinari, che propone
l'istituzione del Giorno della memoria e il Museo della memoria nella
stazione di Balvano, in ricordo di quelle 519 vittime decedute in quel
funesto 3 marzo 1944.
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[Articolo pubblicato in "kataweb.it", 14 maggio 2004]
Potenza, 14 mag 2004 - 11:11
Cerimonia per la strage ferroviaria di Balvano
Oggi pomeriggio a Balvano (Potenza) si terrà un incontro promosso dalla
presidenza del consiglio regionale della Basilicata in ricordo del 60º
anniversario della tragedia della galleria Monte Armi, il più grande
disastro ferroviario della storia europea, che avvenne proprio a Balvano
il 3 marzo 1944. "L'iniziativa - dichiara il presidente del consiglio
regionale Vito De Filippo - mira essenzialmente alla costituzione di un
comitato per non dimenticare le 521 vittime di un incidente mai chiarito
nelle sue dinamiche e per rievocare una triste pagina storica poca nota
ai più, ma fortemente viva nella memoria dei parenti e della comunità di
Balvano".
Durante la manifestazione sarà presentata l'iniziativa legislativa
dell'onorevole Giuseppe Molinari (Margherita) tesa ad istituire il
giorno della memoria -il 3 Marzo- e a realizzare un museo della Memoria
presso la stazione ferroviaria di Balvano, oggi in disuso. Alla
cerimonia parteciperanno oltre al presidente De Filippo, i familiari
delle vittime, le associazioni, le istituzioni locali, i rappresentanti
delle ferrovie, le comunità religiose, gli studiosi, i giornalisti,
nonché gli abitanti del paese. (cor)
|
[Articolo pubblicato in "www.regione.basilicata.it", 14 maggio 2004]
Consiglio regionale della Basilicata
Struttura di coordinamento attività di informazione, comunicazione ed
editoria
UFFICIO STAMPA
Non dimenticare le oltre cinquecento vittime di un incidente mai
chiarito nelle sue dinamiche, quello avvenuto a Balvano il 3 marzo 1944,
e rievocare una triste pagina storica poco nota ai più, ma fortemente
viva nella memoria dei parenti e della comunità di Balvano. È questo il
senso della manifestazione tenutasi a Balvano questa sera e promossa
dalla Presidenza del Consiglio Regionale della Basilicata in ricordo del
60º anniversario della tragedia della galleria Monte Armi, il più grande
disastro ferroviario della storia europea. "Abbiamo intenzione - ha
dichiarato il Presidente del Consiglio Regionale della Basilicata, Vito
De Filippo - di istituire un comitato costituito da rappresentanti di
associazioni, Istituzioni locali, Ferrovie, comunità religiose, studiosi
e giornalisti. Una iniziativa - ha dichiarato De Filippo - che rafforza
la proposta legislativa dell'onorevole Molinari tesa ad istituire il
Giorno della Memoria -il 3 Marzo- e a realizzare un museo della Memoria
presso la stazione ferroviaria di Balvano, oggi in disuso. Dello stesso
avviso anche il giornalista dell'Ansa, Mario Restaino, autore del libro
"Un treno, un'epoca: storia dell'8017", una ricerca storica
sull'incidente ristampata dal Consiglio Regionale della Basilicata.
Restaino, presente all'incontro, ha sottolineato la necessità di
recuperare la stazione e destinarla a museo per ricordare le tante
vittime. Durante l'incontro sono stati ripercorsi quei tragici momenti
nei quali il treno merci 8017, entrando nella galleria delle Armi
situata tra le stazioni di Balvano-Ricigliano e Bella Muro, incominciò a
slittare non riuscendo più a procedere. Nella galleria, oltre
cinquecento furono i passeggeri, molti dei quali abusivi in viaggio
verso la Puglia per acquistare viveri da vendere al mercato nero della
Campania e del centro Italia, che perirono a causa delle esalazioni di
acido carbonico prodotte dalla locomotiva. Una tragedia - ha dichiarato
l'onorevole Molinari - consumata in brevissimo tempo e che lascia,
ancora oggi, margini di incertezza sulle modalità con cui l'incidente
avvenne. "Con la proposta di istituire il Museo - ha concluso Molinari -
si vuole onorare il ricordo di quanti contribuirono anche con la vita
alla ricostruzione del Paese in una fase storica nella quale miseria e
disperazione, oggi fortunatamente superate, costituivano la costante".
"Non si poteva - ha concluso De Filippo - lasciare sottaciuto tale
avvenimento nel quale persero la vita centinaia di uomini. Un atto
dovuto nei confronti di quelle persone e dei loro parenti che, ancor
oggi, si recano presso quel luogo, per non dimenticare e per rendere
omaggio ai propri cari".
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[Articolo pubblicato in "basilicatanet.it", 15 maggio 2004]
15/05/2004 14.01.50
(ACR) (ANSA) CONSIGLIO: BASILICATA; TRAGEDIA BALVANO SARA' RICORDATA
BALVANO (POTENZA), 15 MAG - Il Presidente del Consiglio regionale della
Basilicata, Vito De Filippo, promuoverà la costituzione di una comitato
che suggerisca all'Assemblea alcune iniziative da attuare in vista del
2005, per ricordare l'incidente ferroviario nel quale, la notte fra il 2
e il 3 marzo 1944, oltre 500 persone morirono per asfissia in una
galleria nei pressi di Balvano (Potenza). Lo ha annunciato lo stesso De
Filippo concludendo una riunione svoltasi in paese proprio per avviare
iniziative in ricordo della sciagura, la più grave della storia
ferroviaria italiana e fra le più gravi nel mondo: all'incontro ha
partecipato anche l'on. Giuseppe Molinari (Margherita), il quale ha
presentato una proposta di legge per l'istituzione di una "giornata
della memoria" in ricordo delle persone morte quella notte sul treno
8017. De Filippo, in particolare, ha indicato la necessità di
"realizzare una sede per ricordare stabilmente la tragedia, a partire
dal 2005", e l'opportunità di concludere un protocollo d'intesa con le
Ferrovie dello Stato per "salvare e valorizzare la stazione di Balvano.
Siamo figli - ha spiegato il Presidente del Consiglio regionale - anche
dei luoghi, oltre che del tempo in cui viviamo, e Balvano per la
sciagura del 1944 e per il terremoto del 1980 è simbolo del dolore e
della sofferenza ma anche della tenace volontà di rinascita". Il
Presidente del Consiglio regionale della Basilicata ha ipotizzato anche
contatti con la Provincia di Salerno e la Regione Campania, in
considerazione della provenienza della maggior parte delle vittime.
All'inizio della riunione, Molinari - che ha inviato la sua proposta di
legge anche il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi - ha
sottolineato il "carattere istituzionale, e assolutamente non politico,
dell'iniziativa. Credo - ha aggiunto - che nel 2005 dovremo ricordare
l'incidente ferroviario con una manifestazione a carattere nazionale".
Oltre a Molinari e De Filippo, all'incontro hanno partecipato il
consigliere regionale della Basilicata, Gerardo Mariani (Ri), il sindaco
di Balvano, Vittorio Di Carlo, un dirigente delle Ferrovie, i sacerdoti
don Antonio Palo e don Franco Corbo, parenti delle vittime, un
testimone, amministratori locali e rappresentanti di enti e istituzioni,
un macchinista e lo scrittore Gianluca Barneschi. Quest'ultimo ha
annunciato la pubblicazione di un libro che ricostruisce la sciagura
("Balvano: la strage dimenticata", sarà il titolo) e la possibilità che
la storia venga presentata in uno sceneggiato televisivo. Il
rappresentante delle Ferrovie ha sottolineato "la disponibilità della
società a valorizzare la stazione di Balvano". Il testimone, Vincenzo
Pacella, all'epoca dei fatti giovane artigiano di Balvano al quale, come
ad altri, le autorità ordinarono di collaborare alla rimozione dei
cadaveri, ha ricordato che ne furono scaricati dal treno 515 o 520 (il
dato è significativo in considerazione del fatto che la cifra delle
vittime non è mai stata stabilita con certezza assoluta). (ANSA). RES
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Giuseppe Russo ricorda il nonno morto sul treno 8017
Ringrazio il cielo che qualcuno si sia ricordato di quella tragedia
avvenuta il 3 marzo del 44...
Per anni e anni è rimasta celata... Tutti a Balvano si ricordavano del
terremoto dell'80 ma mai nessuno della tragedia ferroviaria avvenuta
quella notte tra il 2 e il 3 marzo 44.
Ero piccolo e mio padre mi raccontava di suo padre morto sotto una
galleria in provincia di Potenza. Aveva appena ventisette anni e
lasciava tre bambini a casa con la moglie in preda alla disperazione.
Mio padre all'epoca aveva due anni, e si ricorda poco del padre "morto
in guerra"... tranne che ha trovato la morte per portare un po' di cibo
ai suoi piccoli... Da piccolo gli chiedevo del nonno e lui con le
lacrime agli occhi riusciva solo a dire due parole: - È lassù in cielo
che ci sta guardando! -. Quando ero più grandicello mi aveva poi detto
che era morto su un treno militare mentre stava andando a Potenza per
prendere un po' di cibo, (farina, formaggi, etc.) in cambio di
qualcos'altro. Riuscì poi a sapere il paese dell'accaduto ed un bel
giorno mio padre decise di partire alla ricerca di quel paese e di
quella maledetta stazione.
Visto che mio nonno si chiamava Giuseppe, proprio come me (suo nipote),
e che il 19 marzo ricorreva il suo onomastico partimmo nella speranza di
trovare il luogo dov'era sepolto.
Era dunque una domenica mattina del mese di marzo del 1992 quando ci
recammo in questo paesino di Potenza di nome Balvano per cercare
qualcosa che ci riportasse indietro a quel 3 marzo 1944.
Ci recammo così in questo paesino giù alla valle e chiedemmo a dei
vecchietti del posto se si ricordavano della tragedia avvenuta nel '44.
Parlando nel loro dialetto riuscimmo a capire che conoscevano tanto
sull'accaduto del terremoto dell'80 ma della tragedia del '44 capimmo
solo che dovevamo recarci al cimitero ed era lì che avevano deposto
tutti i cadaveri: avevano scavato tre fosse comuni a forma di pi greco,
ai lati gli uomini e in capo le donne.
Ed il posto dov'erano sepolti era riconoscibile da una grossa croce
proprio al centro del cimitero e tutt'intorno fiori e lumini... non
potevamo sbagliare.
Fu così che per la prima volta sono andato a trovare mio nonno al
cimitero a Balvano... un piccolo cimitero, come avevano descritto, dove
nel mezzo c'era una grande croce e dove abbiamo deposto una pianta di
margherite bianche.
Nei vari loculi c'erano tante persone morte per il terremoto dell'80 ma
dei nostri cari solo quella grossa croce.
Dopo chiedemmo delle indicazioni per la vecchia stazione dei treni dove
era successo l'accaduto per vedere almeno il luogo della strage e dove,
se non per altro, ripercorrere le tappe di quel 3 marzo '44.
Con le indicazioni avute ci recammo alla stazione... ormai
abbandonata... ma aperta forse dai vandali... ricordo ancora che legata
sulla stazione c'era una pecora e all'interno dei vecchi uffici c'erano
tanti documenti e cartacce ancora con vecchi timbri... mi chiedevo:
- Come mai è stato lasciato tutto in stato di abbandono senza nessun
controllo da allora?
- Come mai il caso è stato chiuso?
- Come mai tutti questi morti da allora sono stati dimenticati?
- Possibile che questa storia non interessi a nessuno?.
... e così tutto è andato nel dimenticatoio: solo il ricordo vivo dei
nostri morti tramite le narrazioni per quel che si sapeva della loro
morte e qualche foto ancora in bianco e nero, per chi aveva la fortuna
di averla.
Fu ritenuto un evento bellico e da alcuni articoli di giornali si evince
che i parenti delle vittime hanno ottenuto un risarcimento (circa
trecentomila lire) con una sentenza che ha inserito la vicenda del treno
n. 8017 tra gli "eventi bellici" e ha fatto valere la legge speciale (n.
10, del 9 gennaio 1951) di cui è competente il Tesoro e in base alla
quale "viene concessa un'indennità per danni immediati e diretti causati
da atti non di combattimento, dolosi o colposi, delle Forze armate
alleate".
Tutte queste persone sono solo rimaste vive nella memoria dei loro
parenti ed è stata narrata la storia, o quel che si sapeva, ai posteri
ma mai niente è stato fatto per le proprie famiglie.
Sull'autostrada durante il viaggio di ritorno verso casa avemmo un
problema con l'auto, iniziammo a spingerla almeno fino ad arrivare al
successivo autogrill...
Dopo un po' ci si presentò una persona tanto gentile da trainarci fino
all'autogrill.
Arrivati che fummo all'autogrill parlando del più e del meno eravamo
tutti interessati alla stessa cosa: dare un luogo di riposo decente a
tutti quei caduti e lui, Salvatore Avventurato, ci disse che aveva fatto
costruire nel 1972 una cappella per dare sepoltura dignitosa ai poveri
resti delle fosse comuni e se volevamo potevamo anche noi contribuire
per dare anche se simbolicamente una degna sepoltura a mio nonno.
Quindi per iniziativa di Salvatore Avventurato, con l'aiuto del Comune
di Balvano, ci tassammo anche noi per far riesumare poche ossa, che ora
si trovano in uno dei loculi della cappella.
Ringrazio ancora tutt'ora questa persona che ha fatto sì che tutto ciò
che è accaduto non rimanga solo un ricordo ma una foto, una lapide, una
cappella... e forse chissà, un giorno, il 3 Marzo sarà dedicato alla
memoria di tutte quelle persone che per potersi sfamare e poter sfamare
le proprie famiglie erano costrette a viaggiare come carico di bestiame
ed hanno dato la vita per gli altri.
Grazie a tante testimonianze adesso conosco la storia di mio nonno Russo
Giuseppe anche lui morto in quella tragedia.
Poiché anche lui come tanti altri avevo preso posto a bordo del merci
8017 con altri seicento passeggeri, dei quali 521 compirono in quel
treno l'estremo viaggio della loro vita, un viaggio la cui stazione
d'arrivo aveva il nome "Morte".
Parlando con mia zia, mi raccontava di come gli era arrivata la notizia
di quel treno... "sono morte moltissime persone asfissiate nella
galleria di Potenza" si diceva il giorno dopo in Paese e mia nonna
saputo questo è partita subito, lasciando a casa i suoi figli e andando
verso il luogo della tragedia... arrivata lì ha assistito all'orrore più
cruento... centinaia di corpi ammassati l'uno sull'altro e ormai era
arrivata troppo tardi, quando stavano dando la gettata di cemento... ha
provato a guardare, a cercare fra tutti i corpi ma quello di mio nonno
era troppo in basso per essere tirato fuori e ormai tutti i corpi
stavano andando in putrefazione... ha dovuto abbandonarlo lì, armarsi di
tanto coraggio e lasciare alle spalle tutto l'accaduto, ritornando al
paese dove c'erano ad aspettarla i suoi tre figli...
Nessuno ha mai raccontato le loro storie. Un disastro dimenticato con la
stessa velocità con la quale ufficiali inglesi e americani intimarono di
scavare tre grandi fosse comuni nel cimitero di Balvano per seppellire
le centinaia di cadaveri, che non sarebbero mai stati conteggiati né fra
i morti di guerra né tra quelli della pace da riconquistare. Erano i
morti della miseria, da dimenticare, da seppellire in fretta, da
nascondere... Era il 1944.
Solo queste furono le notizie che riuscirono ad avere...
L'inchiesta condotta dalle Ferrovie e dalle Forze Armate Alleate non è
mai stata ritrovata.
Forse alle famiglie delle vittime dopo tanto tempo basterebbe solo che
le Ferrovie e il ministero della Difesa deponessero un mazzo di fiori.
Basterebbe solo quello. Almeno il ricordo di loro, che sono in ognuno di
noi.
Grazie
Giuseppe Russo
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Storia Futura
Un programma di Fabio Andriola
Produttore esecutivo: Alessandra Giorgi
Regia: Andrea Della Ventura e Giancarlo Russo
Settima puntata (trasmessa giovedì 23 dicembre 2004 sul canale digitale
terrestre Rai Doc)
Nel servizio di apertura del programma Storia Futura l'avvocato
Gianluca Barneschi ha presentato in anteprima il risultato delle sue
ricerche sul disastro del treno 8017.
[intervista all'avvocato Gianluca Barneschi]
Balvano 1944. Un disastro ignorato
Il 3 marzo del 1944 in provincia di Potenza, nel comune di Balvano, più
di 600 persone morirono in quello che può essere considerato il più
grave incidente della storia della ferrovia.
La cosa più sorprendente è che questo incidente, dopo sessanta anni, è
pressoché sconosciuto alla moltitudine delle persone e anche agli organi
di stampa.
Uno dei motivi della mia indagine, uno dei fattori che più mi ha indotto
in questa indagine decennale sul disastro del treno 8017, in Balvano, è
stato quello di scoprire non solo perché questo incredibile incidente
ferroviario avvenne, ma anche, e soprattutto, perché nel corso degli
anni e dei decenni si calò sull'incidente stesso un incredibile e
sorprendente oblio.
Era l'anno 1944, forse il peggior anno della storia dell'Italia
post-unitaria. In effetti nel 1944 non esisteva neanche l'Italia:
esistevano due nazioni nelle quali, dietro governi formalmente italiani,
in realtà agivano e comandavano eserciti e nazioni straniere.
Nell'Italia meridionale c'era il regno del sud di Vittorio Emanuele III
e del suo capo di governo Pietro Badoglio, che tentavano di continuare,
di dare una continuità istituzionale al Regno d'Italia dopo la fuga del
9 settembre a Brindisi. Nell'Italia centro-settentrionale invece c'era
la Repubblica Sociale di Benito Mussolini, alleata con i nazisti di
Hitler.
Nell'Italia meridionale, nonostante il passaggio del fronte bellico, la
situazione era gravissima, soprattutto quella alimentare. Così, dai
primi mesi del 1943, dalla zona del napoletano e anche dalla provincia
di Salerno, persone con ogni mezzo di trasporto, preferibilmente
assaltando i treni, anche quelli merci, si recavano negli agri della
Calabria, della Basilicata e della Puglia, in cerca di generi
alimentari.
Con l'arrivo degli Alleati questa specie di commercio, questa specie di
baratto di sussistenza, in realtà ebbe una grossa evoluzione perché
nella zona di Napoli era facile approvvigionarsi, in maniera anche
illecita, di materiali di ogni genere che poi venivano barattati appunto
con i generi alimentari della zona della Basilicata, della Puglia e
della Calabria.
Questo è il motivo per cui centinaia di persone partirono dalla stazione
di Napoli con un treno merci nonostante il controllo delle forze
dell'ordine. Il treno merci si mosse dalla stazione di Napoli nelle
prime ore del pomeriggio del 2 marzo 1944 e, nel corso del suo viaggio
verso la Basilicata, incrementò la sua composizione, ma soprattutto
incrementò il numero dei suoi passeggeri.
Centinaia e centinaia di persone erano sul treno 8017 nonostante fosse
un treno merci, composto prevalentemente da carri scoperti. Queste
persone, uomini, donne ma anche bambini, adolescenti e ragazze,
viaggiavano allocati in ogni luogo possibile, anche sui predellini dei
carri e sul tetto dei carri merci coperti.
Ci fu l'intervento della polizia militare alleata, molto violento, a
base di colpi di sfollagente e anche di colpi di mitra alla stazione di
Battipaglia, ma ciò non impedì che, pochi minuti dopo la mezzanotte del
3 marzo 1944, il treno 8017 entrasse in stazione a Balvano, carico di
più di 600 persone.
Il treno era partito da Napoli in trazione elettrica ma a Salerno era
avvenuto un mutamento decisivo, in quanto la linea non elettrificata
necessitava della trazione a vapore. E qui si concretizzò un elemento
decisivo per la costituzione della tragedia perché, per motivi mai
spiegati, vennero utilizzate non una ma due locomotive a vapore e, del
tutto incongruamente, queste due locomotive a vapore vennero posizionate
ambedue in testa al treno 8017.
Nonostante il treno stesso fosse molto lungo e la linea molto tortuosa e
in salita, e nonostante il fatto che, non solo le prescrizioni della
regolamentazione ferroviaria, ma la logica e il buon senso imponessero,
in quelle condizioni, di utilizzare la cosiddetta "trazione simmetrica"
con una macchia a vapore in testa e l'altra in coda.
Cinquanta minuti dopo la mezzanotte del 3 marzo 1944 il treno 8017 si
mosse dalla stazione di Balvano: era composto di 45 carri e, appunto, di
due locomotive in testa. La successiva stazione di Bella-Muro si trovava
a meno di otto chilometri da quella di Balvano, e il treno 8017 avrebbe
dovuto impiegare un tempo oscillante tra i venti minuti e gli ottanta
minuti per raggiungere la stazione di Bella-Muro.
Il treno 8017 non giunse mai alla stazione di Bella-Muro. Infatti, dopo
aver imboccato la galleria delle armi, una galleria di circa due
chilometri, la più lunga del tratto ferroviario tra Battipaglia e
Potenza, inspiegabilmente il treno perse velocità e si immobilizzò
all'incirca cinquecento metri all'interno della galleria.
A questo punto le testimonianze inevitabilmente diventano contrastanti e
contraddittorie, anche perché soltanto il fuochista della macchina di
testa sopravvisse tra tutto il personale di macchina.
In ogni caso pare che il treno tentò di riavviarsi, prima in una
direzione e poi nell'altra, e che fatalmente si fermò, bloccandosi
praticamente tutto all'interno della galleria delle armi con soltanto
due carri e mezzo fuori dal portale sud della galleria.
E qui evidentemente emerge un aspetto decisivo della tragedia: poiché la
linea in quel punto era in salita, evidentemente qualcuno del personale
di bordo frenò il treno, anche perché altrimenti il treno stesso sarebbe
scivolato per gravità.
Seicento persone rimasero inerti mentre le due locomotive continuarono a
eruttare gas venefici dalle loro ciminiere. Il destino di questo oltre
seicento persone era inevitabilmente segnato.
Ma cosa accadde dunque, dopo che il treno 8017 si fermò improvvisamente
all'interno della galleria delle armi?
Finalmente, dopo più di sessanta anni possiamo ricostruire tutti gli
eventi. Questo grazie agli atti della segretissima indagine della
commissione alleata, commissione che venne costituita immediatamente
dopo l'incidente e che svolse delle approfondite indagini, ascoltando
anche molti testimoni oculari dell'incidente.
Gli atti di questa inchiesta fino a poco tempo fa erano appunto
segretissimi, e solo dopo la loro desecretazione è stato possibile
consultarli, e chi vi parla per la prima volta ha potuto analizzarli e
acquisirli.
Una cosa emerge in maniera molto chiara dalla lettura di questi atti e
da una analisi incrociata di tutti gli eventi e di tutti i documenti: le
responsabilità di quanto accadde al treno 8017 il 3 marzo 1944 sono
molto chiare, però è altrettanto chiaro che nonostante queste
responsabilità fossero evidenti non ci fu alcuna volontà di perseguire i
reali responsabili di questo disastro.
Eppure qualche colpevole c'era: basti pensare che i primi soccorsi
arrivarono ben quattro ore dopo l'arresto del treno 8017 all'interno
della galleria delle armi.
Ma anche gli italiani, anche gli organi italiani svolsero delle
indagini. Il verbale della riunione del consiglio dei ministri del 7
marzo 1944 è emblematico, e spiega anche per quale motivo poi, nel corso
dei decenni successivi, sulla tragedia di Balvano calò l'oblio.
Infatti il verbale del governo Badoglio non trova meglio che definire le
povere vittime del treno 8017 come viaggiatori di frodo.
Ma neanche questo è vero perché, proprio dagli atti dell'inchiesta
americana, emerge che costoro non erano viaggiatori di frodo, nonostante
si trovassero a viaggiare in maniera incredibile su un treno merci,
perché proprio da questi verbali emerge che il personale ferroviario
aveva chiesto e preteso il pagamento di biglietti per il viaggio.
Effettivamente la strage di Balvano può essere considerata la prima
della lunga, purtroppo, serie di stragi post-belliche rimaste impunite:
più di seicento persone morirono e, a quanto pare, non si trovò un
responsabile per tutto questo.
L'inchiesta del procuratore del Re di Potenza identificò quale unico
responsabile il carbone fornito dagli alleati: evidentemente non era
così.
Però ci fu ancora una volta chi, nonostante l'inerzia delle istituzioni,
non si dette per vinto. I parenti di alcune delle vittime attivarono
contenzioni civili presso il tribunale di Napoli e, dopo una vicenda
ultraventennale in cui non mancarono ancora una volta episodi
sconcertanti, ricevettero un indennizzo assai modesto.
Questa vicenda, con tutti i suoi particolari, è narrata nel mio libro di
prossima pubblicazione, nel marzo 2005, per l'editore Mursia. Il titolo
del libro sarà "Balvano 1944. I segreti di un disastro ferroviario
ignorato". |