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Chiesa Matrice di S. Giovanni Battista
“ Fu edificato agli albori del 400,
quando l'intero complesso abitativo calvellese era nel pieno sviluppo
socio-economico e artistico culturale.
Se ne avvertì il bisogno perché
l'abbazia benedettina era in completo abbandono e la chiesa di Santa Maria
de Plano caduta.
Rovinò la prima volta col terremoto
del 1631; e la ricostruzione fu lenta e sofferta. Fu riaperta al culto il
1717. E' di stile romanico lucano, ed è a croce latina, articolata in 3
navate, sorrette da robuste e grosse colonne in muratura. L'abside o
catino, illuminata da un grosso finestrone, che attende ancora i vetri
istoriati, offre al visitatore un aspetto d'insieme solenne ed armonico.
Dalla confluenza dei bracci della
croce si innalza una cupola possente, e insieme snella, che dona
all'intera struttura del Tempio una maestosità basilicale. Una
ininterrotta teoria di cornicioni si rincorre e si snoda lungo tutto il
perimetro, in una progressione di motivi di linee che offrono all'occhio
un aspetto armonico di prospettive in movimento, come all'infinito.
Una imponente scalinata in marmo,
con al sommo una ricca balaustra in marmo policromo, che ripete negli
archetti i motivi architettonici del tempo, porta al presbiterio, ampio,
spazioso e funzionale, ben in vista, con un altare marmoreo di notevole
pregio, a sua volta sormontato da una grossa croce.
La sacrestia, già altare del SS.mo
Sacramento, è spaziosa, con un balcone-loggia che la inonda di aria e di
luce, e che si affaccia sul fiume ‘La Terra’, di fronte al ‘Timpo del
Castagno’, al ‘Volturino’, alla ‘Serra di Marsico’.
Al di sopra del bancone, che ha occupato il posto dell'altare del
Sacramento, campeggia, incorniciata di marmo, una grossa tela raffigurante
la ‘Ultima Cena’. Ha un notevole valore artistico, e la si colloca a mezzo
del '600. Non se ne conosce l'autore. Essa merita tuttavia un attento
esame, per la delicata distribuzione dei colori, vivi, caldi, delicati. La
scena è movimentata. L'espressione dei visi degli apostoli denota
chiaramente la vivacità della discussione nella quale sono impegnati:
mentre il Maestro, paziente, esprime una dolcezza infinita, pur di fronte
al tradimento di Giuda, il cui volto è torvo e nero, atteggiato al
sarcasmo e all'ingratitudine. La tela riproduce uno spettacolo veramente
impressionante, in tutta la sua drammaticità, sconvolgente e paurosa.
Alle pareti sono sistemate altre tre
tele: un ‘Sant'Antonio di Padova’ del '600, notevole per la vivacità dei
colori, ma alquanto manierato negli atteggiamenti; comunque di buona mano;
denota nell'autore ignoto, un animo assai sensibile; un ‘San Gennaro’, in
atteggiamento di estasi, con l'ampolla del sangue in una mano, e
l'espressione classica del viso; la terza tela è assai compromessa, tanto
che si stenta a identificare il personaggio raffigurato: forse si tratta
della Veronica. Da un attento esame di tutto l'insieme, deve trattarsi di
un'opera del 400; infatti, malgrado il forte degrado, si notano sfumature
particolari ben curate, e sprazzi di colori vivi e caldi.
Nell'interno del Sacro Tempio si
conservano altre pregevoli opere d'arte. Una tela raffigurante ‘San
Giovanni Battista’, giovane; è di scuola napoletana; la si data al pieno
'600. Ha una forte espressione ed è anatomicamente perfetta. Lo sfondo è
luminoso; i colori intonati, sfumati, delicati e vivi.
Sulla parete della sacrestia
troneggia, nella sua inconfondibile bellezza, un meraviglioso dipinto,
certamente il più prezioso che si abbia a Calvello: la ‘Madonna di
Costantinopoli’. E' un'opera classica del '500, della migliore scuola
fiorentina. Ha un volto dolcissimo, materno, profondo; non ci si stanca a
guardarla. Ha un sorriso che affascina. I lineamenti del viso sono
perfetti e gli occhi, dallo sguardo incantevole, infondono pace e
suscitano tenerezza e commozione.
Tra le sculture lignee vanno
annoverate:
1) La Vergine SS.ma della Pietà,
opera del '400. Una mano espertissima ha raffigurato la Madre di Dio, con
il Figlio morto in grembo, in un dolore profondo, ma pacato e sereno. Il
volto scavato è segnato da rughe che incidono e segnano le carni; gli
occhi lacrimanti, contemplano, stanchi ed arrossati, il Figlio irrigidito
dal freddo della morte.
3) Un Cristo crocifisso a grandezza
naturale, posto in una nicchia marmorea, modellata a croce; è una scultura
di rara bellezza del '700 e dalla espressione intensa. L'acuto strazio
delle carni martoriate, lo spasimo dell'agonia, lenta e penosa, e il
lancinante, profondo dolore, sono visibili nell'atteggiamento del capo
rivolto verso l'alto, come in una invocazione disperata d'aiuto. E' una
amarezza acerba e crudele, non soffusa e calmata dalla rassegnazione. I
muscoli sono tesi in uno sforzo disperato di resistenza, e in un vano
tentativo di liberazione, mentre il sangue inporpora le carni straziate.
Sottostante la mensa dell'altare, lo
stesso autore ha scolpito il Redentore schiodato dalla croce e in
posizione di riposo, col volto disteso e rassegnato, come in attesa del
risveglio. Sembra sprofondato in un sonno ristoratore, dopo tanto patire.
4) Un ambone, sistemato su una
grossa colonna della crociera; è un delicato lavoro di un artigiano
locale, scomparso da poco. Si notano vivace fantasia nella concezione e
attenta cura nelle rifiniture.
Tra le sculture in pietra e in
marmo sono di notevole interesse:
1) un altare del '400, proveniente
dall'ex cripta, ora sistemato nel cappellone di San Michele; ha marmi
pregiati, artisticamente ben lavorati;
2) una pila per acqua santa, in
pietra locale, con al centro della vasca una testa demoniaca cornuta; è
opera di artista molto esperto per i fregi scolpiti con rara maestria. E'
datata 1694;
3) un'altra grossa vasca, pure in
pietra, estremamente semplice e priva di qualsiasi disegno, ad eccezione
di una croce e della data: 1614. Era adibita a fonte battesimale fino a
pochi anni fa.
Il prospetto della facciata esterna
del tempio è segnata da tre porte, di cui quella centrale ha un portale in
marmo, e al sommo una nicchia vuota, che attende da sempre una statua, o
un bassorilievo, o un quadro.
Il lato nord è ad archi. Il più
grande serviva da ingresso laterale, ora murato, ed ha conservato un
prezioso portale del '400, con al sommo dell'architrave l'iscrizione:
‘Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Joannes’.
Il terremoto del 16/12/1857 provocò
gravissimi danni al sacro edificio, e ci vollero molti anni per la
ricostruzione. Una pietra trovata sotto il pavimento, in occasione della
sua rifazione, porta le seguenti parole che ricordano nel simpatico
dialetto calvellese, le vicende del tempio: ‘1857 CARI' LA CHIESA SE
COMINGIO' 1862 SE FINI' 1895 DIRETTORE GIOVANNI VITACCA E FIGLI FECE’.
Ecco come il parroco del tempo, Don
Michele Perilli, annotò nel registro dei morti la terribile sciagura:
‘Una duplice terribile scossa
terrestre avvenuta alle ore 5 della notte del 16/12/57 adeguava al suolo
con due terze parti dei fabbricati di questo paese anche la chiesa
parrocchiale ed i monasteri dei Minori Osservanti e delle Teresiane,
lasciando il resto dell'abitato quasi tutto crollante; e quegli infelici
che uscirono dalle case dopo la prima scossa fatale furono per lo più
vittime delle pietre. Tra i rinvenuti nelle macerie si numerano i
seguenti, che furono sepolti nel camposanto’. La chiesa fu rifatta, ma non sulle vecchia fondamenta, almeno per una buona parte. Si notano lievi asimmetrie. Fu riaperta al culto il 1896. Purtroppo il sisma del 23/11/1980 l'ha di nuovo gravemente danneggiata nelle sue strutture portanti. E’ stata consolidata e riaperta al culto. Ora con la ripresa dei lavori si avvia al termine di quanto programmato: la rifazione del pavimento, il ripristino dell’organo, la revisione dell’impianto elettrico e la messa a punto di tutto il sacro edificio.” Testi tratti da
"Calvello: storia-arte-tradizioni |
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