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GUGLIELMO GASPARRINI

 

da: La Basilicata nel Mondo - 1924-1927
 

Veri poeti senza canto, ma tutti passione, i naturalisti sono gl’immortali aedi della natura, della quale scoprono e rivelano a se stessi e agli altri attonitamente, i muti misteri profondi della sua anima più essenziale ed occulta. Un bulbo filiforme, una foglia, un filo di erba, una stellina di prato, un ricamo di felce, mai prima osservati e finalmente sorpresi nel loro angolo di ombra dall’occhio acuto dello studioso, e una nuova melodia viene a colmare un silenzio dell’infinito, ad accrescere di un altra voce il coro immenso della proteiforme immortalità della vita.
Animatori della natura e dell’infinito, i naturalisti appartengono, insieme con gli scopritori dei cieli, a quella eletta schiera del genio umano, che è più vicina al segreto di Dio.
E in questa schiera, noi siamo fieri di annoverare, ai primi posti, un insigne botanico lucano, che grande orma del suo ingegno e della sua passione lascio nei suoi studi e nella sua attività scientifica: Guglielmo Gasparrini.
Nacque in Castelgrande di Basilicata, il 3 gennaio del 1804. Il padre aveva bottega di maniscalco, ma in tutta la provincia veniva
reputato come buon perito in materia veterinaria e, sovente, consultato.
Nella fucinetta incandescente, il piccolo Guglielmo trascorse l'infanzia pensosa e rivelò la sua anima di artefice insonne e la sua grande passione per la natura vegetale, osservando minutamente i fiori dei campi, gli alberi, le fiore dei monti e del piano, che al suo cuore presago parlavano gia, nel loro linguaggio verdissimo, del mistero di una sconosciuta e inimitabile vita interiore.
A quindici anni, nel 1818, la provincia di Potenza gli concesse un tenue assegno, col quale, merce sacrifici e restrizioni, il giovinetto poté frequentare il collegio veterinario di Napoli, ove, a soli 18 anni, conseguì la laurea.
In quei tempi, i1 merito era subito esaltato e i maestri spianavano la via agli alunni promettenti.
Così fu buona ventura di Guglielmo Gasparrini imbattersi in un valentuomo e scienziato come il prof. Covelli, il quale si ha il merito di averlo condotto alle prime affermazioni scientifiche. E l’alunno non poteva essere più grato al maestro che intitolando al suo nome un importante genere di piante da lui scoperto : Covellia.
Dalla Scuola di Veterinaria napoletana, Guglielmo Gasparrrni passo all'Orto Botanico, ove ebbe subito la guida e la luce di altri due grandi e nobili maestri e scienziati: Michele Tenore e Giovanni Gussone, botanici, insieme con i quali egli, ormai dedicato, anima e corpo, alla sua passione per la natura vegetale, fece studi importantissimi, e attese alla scoperta e alla classifica delle specie vegetali, seguendo le orme di Linneo e i dogmi della botanica descrittiva.
Curò, nel frattempo, la sua cultura classica e divenne, uno dei più compiuti umanisti di quel suo tempo cosi fervido di studi e di iniziative, educandosi alla rigida scuola letteraria di Basilio Puoti, dal quale derivò quel suo stile puro e fiorito, che ammiriamo ancor oggi nelle sue numerosissime monografie scientifiche, e coltivando anche, sino ad aver fama di latinista espertissimo, la lingua di Virgilio e di Orazio.
Poi nel 1821, anno cosi grave di fato italico, Guglielmo Gasparrini si trovò impigliato nei movimenti politici liberali. E si fu anche per sottrarlo al fascino della venturosa cospirazione antiborbonica che il Gussone volle condurlo seco a Boccadifalco, presso Palermo, quando egli vi fu inviato come direttore di quell’orto botanico, ricchissimo di piante esotiche, e ve lo lasciò quando, nel 1826, ritornò a Napoli.
Ma il fascino della città mediterranea attrasse nuovamente il Gasparrini: e tornò a Napoli a in
segnar botanica, nella Scuola veterinaria, ov'erano il Guarini, il De Martino, il Palasciano, finchè, nel 1844, in seguito a concorso, ebbe la cattedra di professore aggiunto di botanica nella Università napoletana.
Lasciò l'insegnamento per la politica. Nel 1848, infatti, il Governo liberale, a premiare il suo merito di patriota, lo assunse a capo dipartimento nel Ministero di Agricoltura. Ma, dopo la giornata sanguinosa del 15 maggio, egli fu revocato dalla carica e visse di lezioni private, fin quando per opera del prof. Viviani, dell’Università di Pavia, il quale ne rivelò e rivendico l'alto merito scientifico, Francesco Giuseppe d’Austria accolse nei suoi stati d’Italia il fuoruscito suddito di Ferdinando II di Borbone e con lettera da Vienna lo nomino professore nella gloriosa università pavese.
A Pavia, si conserva ancora e si ammira l'erbado del Gasparrini, di cui egli dotò la città, fra un suo viaggio scientifico e l'altro attraverso tutte le nazioni europee. L’alba della redenzione italiana lo trovò rettore della grande università lombarda: e, in tale qualità, egli fu delegato a porgere il saluto della nobile città a Vittorio Emanuele IX, che vi entrava in nome d'Italia, trionfalmente.
Ma nel 1860, un decreto del governo provvisorio di Napoli lo richiamo a dirigervi l'orto botanico, succedendo a Michele Tenore, eletto senatore, alla morte del quale, avvenuta il 14 luglio del 1861, egli fu assunto alla cattedra del maestro, nella Regia Università.
Le sue lezioni erano inni alla bellezza della natura vegetale. Poeta del mistero e artista dell’inafferrabile egli si rivelò pienamente e magnificamente. E la sua dottrina, abbellita dalla poesia dell’eloquio e del sentimento, attirava e fascinava le moltitudini degli studenti.
In ben sessantatre lavori originali, come appare dall’elenco pubblicato dal prof. Cesati nell'opera.
Alla memoria di sei illustri naturalisti napoletani ,, Guglielmo Gasparnni spezzo al mondo il pane della sua scienza.
Ma le sue più importanti lezioni giacquero inedite, per la grande modestia dell’uomo, che appariva come distratto da ricerche più elevate, e dimenticava il lavoro assiduo di tutti i giorni.
Solo dopo la sua morte, i parenti rinvennero a caso una cassetta con oltre duecento scritti, arricchiti di disegni, dovuti allo stesso solerte autore. Il prof. Gaetano Caporali del R. Istituto Industriale e Professionale di Napoli, chiamato dalla famiglia, li ritenne cosi importanti da farne una esauriente esposizione al R. Istituto d'incoraggiamento di Napoli e poi ne esegui la consegna alla Biblioteca Nazionale. Per dare un’idea della complessità degli scritti, composti da una mente si vasta e profonda, pubblicò i nomi delle materie contenute nelle quattro cartelle, che si trovano nella Sala dei Manoscritti della Biblioteca con la numerazione XV, A, 1, 4.
La prima cartella è divisa in quattro parti: I. miscellanea (note varie), che comprende i seguenti fascicoli : 1°) fiori, seme, frutto, uovicini, fecondazione. 2°) studi sulla Vallisneria e Sdvinla. 3°) peli e glandole. 4°) succiatoi, peli, innesto, parassitismo. 5°) ufficio dei succiatoi e delle radici. 6°) organografia delle caclacee, la Musa speciosa (cosi detta dal Tenore), lo stame di Opunlia Vulgaris (fico d’ India).
Fisiologia delle piante (16 fascicoli).
Fitognosia (14 fascicoli).
Crittogame (16 fascicoli).
La seconda cartella comprende:
1. Notizie di agricoltura spettanti ai contorni di Napoli (28 fascicoli).
2 Alberi fruttiferi della provincia di Napoli.
3 Miscellanea (coltura degli agrumi , governo della cocciniglia, varietà degli albicocchi , le vigne di Napoli, gli alberi fruttiferi).
La terza cartella contiene:
1 Sulla composizione chimica della cellula: note proprie e di altri (20 fascicoli).
2 Sui cistomi (40 fascicoli).
La quarta infine contiene:
1 Sul caprifico e sul fico (12 fascicoli).
Già nel 1844 egli aveva stampato : Nova genera quae su per nonnullis Jici speciebus struebai Guilielmus Gasparrin, opera che gli valse il premio della R. Accademia delle Scienze in Napoli e poi il grado di socio nell'anno seguente.
2 Botanica diagnostica (8 fascicoli con tavole pregevoli di piante esotiche).
3 Licheni, crittogame, alghe (miscellanea di 24 fascicoli con tavolette belle disegnate) ed infine compie la raccolta un trattato di fisiologia vegetale in quattro parti.
Le quattro cartelle , che io ho esaminato , confrontano col catalogo particolareggiato del prof. Caporali, pubblicato nel 1869 nel lavoro: Manoscritti inediti del Gasparrini.
Con questa immane congerie di materia scientifica, accumulata in lunghi anni di ricerche febbrili e di meditazione profonda, Guglielmo Gasparnni ha aperto sconfinati ai botanici dell’ avvenire, inaugurando egli stesso in botanica il nuovo metodo, preconizzato dal Tenore : non più classificazioni di specie secondo i loro esteriori, ma studio dell’anatomia e della fisiologia vegetale. Era una rivoluzione scientifica, ed egli ebbe animo di compierla tutta da solo, navigando contro-corrente, come solo sanno i grandi navigatori del pelago, svolgendo in pratica le induzioni teoretiche di G. B. Della Porta e seguendo metodicamente il progresso degli studi botanici, e specialmente della Fitognosia e Fitologia, in Germania.
Per primo in Italia il Gasparrini ottenne che a Pavia, secondo l'esempio germanico, fosse inaugurato l’insegnamento della botanica in due corsi distinti : uno per lo studio delle specie, l'altro per le ricerche sulle origini e sulle influenze esterne nello sviluppo della vita delle piante. Indirizzo, questo, conforme alla tradizione botanica italiana, come ne fanno fede il Malpighi, il Micheli, il Corti, il Gallesio e l’Amici. Alla stessa Germania, Guglielmo Casparrini fu precursore scientifico: e la Germania lo riconobbe, innalzando nell’Accademia di Scienze di Berlino il busto di bronzo del grande naturalista Lucano.
Quale monito tremendo per la Patria immemore! Guglielmo Gasparrini si spense il 28 giugno del 1866.
La sua fine fu commemorata nobilmente da Luigi Palmieri. Antonio Ranieri disse che il Gasparrini era il “ secondo Humbold ,, ; e il Pasquali, direttore del Regio orto botanico, lo definì nuovo Malpighi.
Un faro della scienza botanica italiana.
E gli fu anche versatissimo in scienze fisiche e matematiche, fu vice-presidente della Società Reale di Scienze, socio dell’Accademia dei quaranta scienziati italiani, dei Georgofili e dell’Accademia delle Scienze a Parigi. Appartenne alla Pontaniana e al R. Istituto di incoraggiamento di Napoli. Un suo discepolo, il prof. Bertoloni, gli dedicò, denominandola Gasparrini, una nuova specie di ombrelltfera, da lui scoperta.
La tomba di Guglielmo Gasparrini, eretta a spese della R. Accademia di scienze fisiche e matematiche, sorge nel Cimitero di Napoli, nel luogo scelto dal prof. Vincenzo Tenore, degno nipote del grande Michele Tenore, che, a poca distanza, nella magnifica cappella gentilizia, dorme nell’ipogeo, su cui e scolpita nel marmo la Musa sùeciosa.
Dall'altro lato, è il sarcofago del botanico Nicola Antonio Pedicini di S. Giuliano del Sannio. Ma le tombe di questi tre grandi botanici, i quali sembrano continuare nella morte i loro colloqui dell‘infinito mistero e dell’infinita poesia con la natura vegetale, fuori del recinto degli uomini illustri, subiscono qualche ingiuria. Giù nuoce alla conservazione dei marmi e dei bronzi, perchè la testa in bronzo del Pedicini e altri ornati furono asportati da ignota mano violatrice.
Ci distolga l'animo da tanta bassezza, il pensiero che alla gloria dei Grandi bastano le loro opere e il nome, se anche hanno per sepolcro una nuda pietra o una fossa!
Ma se e vero che le tombe dei grandi inspirano a nobili sensi e, negli animi dei forti infondono l’ardore della gloria e la brama eroica di imitare ed emulare la virtù antica, noi dobbiamo rammaricarci che l'inconscia mano dei viventi abbia potuto, con atto sacrilego, turbare il sonno infinito dei tre grandi poeti della Musa Speciosa, che in vita furono accomunati dall’amore immenso per il mistero dell'immensa natura, e vegliarono i prodigiosi parti della terra, per arricchire le cognizioni scientifiche dell’umanità sulle innumerevoli maraviglie della natura vegetale, cosi provvida, così bella, cosi mutevole, e aggiunsero un inno magnifico al poema sempre incompiuto della creazione eterna, accrescendo di un’ala la gloria ardimentosa dell’uomo e il mistero faticoso di Dio.
La nostra generazione ha troppa fretta di egoismi ed è troppo stretta dalle angustie dei disagi materiali e delle disarmonie spirituali per comprendere bene e pacatamente meditare. L’esistenza si fa sempre più trista. Ma, per questo appunto, dovrebbe risorgere il culto di coloro , che, scoprendo nuove bellezze, molto contribuirono con la loro virtù e con il loro intelletto, a rendere più buona e più santa la vita.
E or che altro fu la vita di Guglielmo Gasparrini se non azione di amore e di bontà, perennemente ispirata e sorretta dal fine morale di elevare l’uomo attraverso la coscienza della sua grandezza,, della sua dignità, e la forza del suo genio, capace di signoreggiare sulla natura creata, di indagare nei campi dell’infinito, nel profondo dei mari, nel seno della terra, nello spazio senza limiti dei cieli, nell’abisso dei cuori, capace di giungere fino a Dio? Chi eleva la vita, è degno dell’immortalità. E il culto dei posteri deve celebrare questa consacrazione per Guglielmo Gasparrini, poeta dell’infinito cuore floreale, saggio e geniale scopritore di nuove forme di vita e di bellezza vegetale. Ha donato vita. Si abbia dunque l'immortalità della gloria.
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Intorno al 1910, per . . dell’ allora provveditore agli studi per la . provincia di Basilicata, prof. Giulio Natali, marchigiano, prese forma e consistenza la magnanima idea di commemorare gl’ illustri Lucani, allo scopo di rinverdirne il culto fra gli immemori conterranei, nella sala del Consiglio Provinciale d i Potenza, dalla cui volta ammoniscono i medaglioni di Q. Orazio Flacco Mario Pagano, Luigi La Vista, Nicola Sole.
Il 19 maggio del 1912, il prof. Antonio Gargiulo commemorò Guglielmo Gasparrini, mettendone in evidenza la grandezza del genio e La semplice austerità della vita.
Due anni dopo sorse in Castelgrande, il paese che ha la gloria di aver dato al Gasparrini i natali , per . . . del Sindaco comm. Potito De Sanctis, un cittadino, con lo scopo di raccogliere fondi, specie tra gli emigrati, per curare la ripubblicazione delle opere di Guglielmo Gasparrini, che tanto contributo di luce recano alla scientifica della natura, e per eregergli un monumento nel nuovo edifizio scolastico del Comune.
Parve, insomma, che il fuoco sacro delle memorie e la fierezza delle nostre glorie si fossero riaccesi sulla cima delle anime lucane e che un fervore nuovo di vita più degna pervadesse tutta quanta la nostra terra di Basilicata, bramosa alfine di rinascere, nel nome e per la gloria dei Suoi Grandi, alla luce dell’avvenire e della civiltà.
Ma nuovo fato ci attendeva al varco e tutte iniziative furono troncate.
La guerra europea distolse l'anima lucana da questa opera di gratitudine e di fierezza della nostra gente.
Ma tempo è che, nella ricomposizione delle sue forze di vita, morali e materiali, la Basilicata, ritornando agli studi, che ne formarono sempre il vanto principale, rivendichi a se stessa e imponga al riconoscimento della nazione la gloria di Guglielmo il cui genio ha portato un contributo immortale alle basi della scienza sperimentale.


 

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