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DUNI E PERGOLESI

    da "la Basilicata nel Mondo" (1924 -1927)

Egidio Romualdo Duni, nato a Matera nel 1708 e morto a Parigi neI 1775, è il maggior musicista della Basilicata e tra i più insigni della Scuola di Napoli.

Il  Duni appartenne ad una famiglia materana nella quale 1’ingegno, 1’arte, la scienza furono quasi una speciale prerogativa. Fu infatti uno dei numerosissimi figliuoli di Francesco Duni, maestro di Cappella assai reputato, fratello di Antonio, anch’egli apprezzato musicista vissuto quasi sempre in Ispagna, maestro di musica della R.Cappella di Madrid e poi di quella imperiale di Mosca; di Emanuele, chiaro giurista filosofo e letterato docente all’Università Romana; di Saverio, erudito e giurista non comune; di Giacinto, dotto Abate: tutti, comprese tre sorelle, furono virtuosi ed appassionati di musica.

Dopo essere stato al Conservatorio di Napoli e poi a Roma ed in Austria, fu per due anni, dal ‘43 al ‘45, maestro di Cappella nella chiesa di S. Nicola di Bari, e di li, trasferitosi di nuovo a Napoli dove diede al S. Carlo l’Artaserse, passò successivamente, rappresentandovi numerosi melodrammi, a Venezia, a Parigi, a Londra, a Genova, a Parma. In quest’ultima città si fermò poi fino al 1757 come insegnante di musica alla Corte dell’infante Filippo ed avendo musicato colà con grande successo la Ninetta ci la Cour del Favart, fu richiamato a Pariri dove rimase fino alla sua morte, verificatasi il giorno 11 giugno 1775, nel suo sessantaseiesimo anno di età, tra il compianto generale.

Numerosissime e svariate furono le sue composizioni musicali, tra melodrammi italiani, musica sacra ed opere comiche francesi. Dei primi ricorderemo NERONE, ARTASERSE, BAJAZET, CIRO, IPERMESTRA, DEMOFONTE, ALESSANDRO, ADRIANO, CATONE, DIDONE, DEMETRIO, OLIMPIADE; tra le produzioni di musica sacra l’oratorio GIUSEPPE RICONOSCIUTO, dato a Londra e il cui manoscritto originale conservasi nrll’Archivio del Collegio musicale napoletano, e tra le opere francesi, scritte dal 1755 al 1770, con quella già citata del Favart, queste altre: LA CHERCHEUSE DE SPRIT, LE PEINTRE AMOUREUX DE SON MODELE, LE DOCTUR SAGRADO, LE VEUVEIN DECISE, LA FILLE MAL GARDE, L’ ILE DEX FOUS, NINE ET LINDOR, MAZET, LE BONNE FILLE, LE RETOUR AU VILLAGE, LA PLAIDEUSE ET LE PROCES, LA MILICIEN, LES CHASSEURS ET LA LAITIERE, LE RENDEZ VOUS, L’ECOLE DE LA JEUNESSE, LA FÈE, UGÈLE, LA CLOCHETTES, LES MOISSONNEURS, LES SABOTS, THMIRE.

Tanto nella sua musica seria quanto nelle sue opere buffe, i competenti notano un grande brio, una naturale e spontanea festività, un’arte corretta e pura, un’onda. melodica piena di sentimento, delicata e suggestiva. Qua e là non manca qualche frivolezza e forse anche qualche volgarità, ma esse sono lo effetto del cattivo andazzo e spesso del pessimo gusto dei tempi. Certo il Duni ebbe nella storia dell’opera comica francese una rilevantissima importanza, come han riconosciuto e riconoscono tutti gli studiosi. Essa in grandissima parte prese le mosse da lui e la sua Ninette ci la Cour fu come il capostipite delle opere comiche francesi: il Duni si trovò in Francia quando più imperversava, con le furiose lotte ed iraconde polemiche tra musica francese e musica italiana, quella che fu chiamata la guerre des coins.

Il nome del Duni è congiunto altresì a quello di un grande e sventurato musicista di cui fu contemporaneo ed amico, finita, a soli 26 anni, di tisi: Giambattista Pergolesi, nato a Lesi nei 1710 e morto a Pozzuoli nel 1736. Benché egli si fosse trovato a contendere con lui, riconobbe la superiorità del genio nel suo amico e cercò di consolarlo nella sua vita così breve, ma così travagliata. Anche il Pergolesi quasi fanciullo era venuto a Napoli, che rappresentava allora il maggior centro musicale, a studiar musica, in quel glorioso Conservatorio in cui insegnavano i grandi allievi del grande Scarlatti.

E nel 1731, a vent’anni, riportò un clamoroso successo con la SERVA PADRONA così piena di gaiezza, di movimento, di grazia, di melodia, alla quale, come da una fresca e schietta polla, accorsero tutti i musicisti posteriori, dal Cimarosa al Rossini, dal Paisiello al Mozart, e donde zampillarono poi

la Nina e il Matrimonio segreto, le Nozze di Figaro e il Barbiere.

Nel carnevale del 1735 al Teatro di Tordinona a Roma si diedero contemporaneamente il Nerone del Duni e l’Olimpiade del Pergolesi, ma mentre la prima opera ebbe un gran successo e fu ripetuta varie sere, quella del Pergolesi, sui versi del Metastasio, cadde irremissibilmente. Che anzi, mentre il Pergolesi dirigeva al cembalo, qualcuno del pubblico giunse financo a lanciargli contro un arancia, la quale, scrisse uno storico francese, fu per lui come une balle mortelle.

«O mio amico, o mio maestro, costoro non ti conoscono» narrano abbia il Duni detto al Pergolesi in quella occasione, cercando in tutti i modi di consolarlo. Ma il Pergolesi tornò a Napoli vinto ed affranto, con l’anima spezzata e col corpo, già minato dal male, distrutto, e ben presto si spense.

E da quello stato di scoramento, di smarrimento, di angoscia, sgorgò lo Stahat famoso, che egli ebbe appena la forza di finire con tremula mano a Pozzuoli, dove si era rifugiato in quel convento dei Francescani, quasi presso all’estremo anelito.

 

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Attorno alla breve e sconsolata esistenza del Pergolesi corse a lungo una mesta leggenda.

Si narrava che egli amasse e fosse riamato da una bella e nobile fanciulla di una delle più cospicue famiglie napoletane, Maria Spinelli, ma l’orgoglio e l’albagia di casta impedirono le nozze e la fanciulla, per non sposare la persona alla quale i fratelli l’avevano destinata, preferì farsi monaca di S. Chiara: distrutto il suo dolce sogno di amore, la fanciulla si spense ben presto e sulla sua lacrimata salma il Pergolesi volle egli stesso dirigere la messa funebre.

La leggenda ispirò drammaturghi e poeti in gran numero, dal Bolognese al Baldacchini, al Persico. E di essa si servi pure per un dramma intitolato appunto Pergolesi e rappresentato nella primavera del 1 873 al Teatro Nuovo di Napoli, quel Michele Cuciniello che, in quegli anni, fu dei più fecondi e numerosi per quanto assai mediocri drammaturghi: tra essi un solo emerse e si segnalò, Achille Torelli, per parte di padre, sangue basilicatese.

Ed in quel dramma storico, come lo chiama l’autore, coi principe di Cariati, con l’Abate Antonio Genovesi, col Pergolesi, col pittore de Mura, col principe di Colobraro, con Maria Spinelli ed altri minori personaggi ritroviamo anche il nostro Egidio Romualdo Duni, al quale l’autore ha però riservato una parte quant’altra mai antipatica ed odiosa ed ha dato senza alcun fondamento la più volgare e malvagia figura.

Nei due primi atti, invero, nei quali soltanto il Duni ha la sua azione,è presentato come iettatore. Un amico del Pergolesi, per impedire che quel grugno di jettatore e quegli occhiali, presentandosi in teatro, portassero sventura alla musica, come egli dice, lo invitò con una scusa nel suo studio di pittura e lo rinchiuse a forza in un camerino, la sera della prima rappresentazione della Serva padrona. È poi messo in beruna dal Principe di Colobraro e dagli altri, oltre che per la sua sinistra possanza, anche per 1’umile funzione, alla quale era adibito spesso, di portare a spasso la cagnetta della marchesa; ma sopratutto è rappresentato come un vile ed invido emulo del Pergolesi. È lui infatti che spia gli atti e le parole della Maria e del Pergolesi, è lui che si accorge e denunzia al fratello di lei e fa scoprire una lettera di amore della fanciulla, è lui che tutto gongolante di una maligna soddisfazione, quando Pergolesi è chiamato dal Principe, scappa via mormorando: « La mina è accesa, sentirò di lontano lo scoppio ».

Come scrisse il Cuciniello nella prefazione, pel suo dramma, esattamente storico in tutti i suoi particolari, si era fondato su di una cronaca manoscritta della Biblioteca di famiglia del Principe di Colobraro, comunicata al Florimo. Se non che 1’indagine acuta e gli studi pazienti di Benedetto Croce, alcuni anni or sono, dettero una grande smentita alla leggenda degli amori disgraziati di Maria Spinelli e di G. B. Pergolesi:

nessuna Maria Spinelli fu ritrovata in quegli anni, nessun accenno alla sua monacazione tra le suore di S. Chara, nessuna notizia sulla pietosa istoria negli storici e nei cronisti dell’epoca e nessuna autenticità sopratutto della cronaca manoscritta alla quale si riporta il Cuciniello e che appare assai chiaramente opera del secolo successivo.

E svanendo la leggenda degli amori con la Spinelli, cadono del pari gli atti ed i gesti che nel dramma del Cuciniello sono attribuiti al Duni, senza alcuna base seria, anzi in aperto contrasto con quanto sul Duni, sul suo carattere, sugli episodi della sua vita e dei suoi rapporti col Pergolesi scrissero gli storici più autorevoli. 

 

     SERGIO DE PILATO

 

da "la Basilicata nel Mondo" (1924 -1927)
 


 

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