<< precedente INDICE successivo >>
.

.

Ferdinando Petruccelli della Gattina


In questo articolo, io tenterò fermare i poli mistici — tutti i grandi scrittori e pensatori dell’ottocento europeo, primo Rènan e non escluso Kant, furono dei mistici — verso i quali Ferdinando Petruccelli della Gattina protese il suo pensiero, marcato come una schiena di Titano, nello sforzo mirabile di compendiare, in potente sintesi storica, il suo secolo, che fu quello della conoscenza, e preludiare questo secolo nostro, che, attraverso il travaglio e la selezione delle nazionalità, sarà, forse, il secolo della storia.
Immenso lo scenario, immensi i protagonisti dell’azione storica, che Petruccelli della Gattina inquadrò nella visuale del suo pensiero, sottomise al vaglio della sua critica, marchiò col segno del suo giudizio.
Erano i tempi, che, sepolta in una fossa cristiana la chimera sacra dell’Impero romano, soffocato per sempre dalla stessa strage persiana, che uccise l’Apostata, e risuscitato fittivamente da Carlo Magno e da Carlo V, nella loro duplice concezione unitaria, politico - religiosa, del mondo occidentale; sepolta anche, entro una fossa italiana, la chimera sacrilega dell’impero feudale, già impiccata, sul campo di Legnano, alle antenne e alle rosse croci del Carroccio; erano i tempi che, finalmente, le nazionalità europee tendevano, con le guerre e con le rivoluzioni, con le congiure e con le azioni di governo, a costituirsi in unità nazionali , entro frontiere nazionali, stati sovrani, retti da liberi governi nazionali, elettivi.
L’ultimo sognatore dell’Impero federale d’Occidente Napoleone III — l’uomo, che, come scrisse Petruccelli della Gattina, «viaggiò sempre, senza saperlo, fra due cadaveri, due vittime sue la rivoluzione e 1’impero», urtò appunto, e si disfece, contro il nascere della coscienza nazionale dei popoli, ch’egli non senti o non comprese.
Fascinato dall’amore per la venturiera di Spagna, ch’egli — scimiottando inconsciamente lo Zio, anche in questo — importò sul trono di Caterina dei Medici e di Maria Antonietta, il Figlio di Ortensia si lasciò trascinare dalla piccola mano bianca della moglie
tanto piccola mano esile, che sembrava estenuata dal peso delle gemme reali — verso il miraggio azzurrissimo del Reno germanico.
S’illuse di ricalcare le orme di Cesare le orme dello Zio. Ma lo Zio era tanto grande che aveva osato camminare e pensare sul sudano tragico delle nevi di Russia. Egli, invece, era così piccolo, che la vista del Reno lo sgomentò. Eppure Riccardo Wagner non aveva ancora tratto da quelle acque i miti, i simboli, gl’iddii incomparabili del popolo e della civiltà germanica, o non li aveva ancora universalizzati. Sèdan fu tomba dell’ultimo impero federale, culla dello Stato nazionale moderno.
La Francia, per ricomporsi a nazione, dovè passare per lo smarrimento tragico della Comune.
Oltre Reno, invece, il Conte Ottone di Bismarck, che aveva compreso come l’ora delle nazionalità fosse ormai scoccata sul quadrante europeo, lavorava, di cervello e di passione, con tutti i mezzi, a creare l’unità imperiale della sua grande patria tedesca, alla quale riservava 1’egemonia politica e militare, che impose al riconoscimento tacito e ammirativo dell’ Europa e del Mondo, con tre guerre e tre vittorie, di cui la prima fu scellerata, la seconda santa, la terza fatale.
In Italia, spentosi Cavour, uomini di secondo ordine — iddii minori, come li chiama, sarcasticamente, Petruccelli della Gattina — si affannavano, tra mille contraddizioni e umiliazioni, speculando, per viltà e per mancanza di iniziativa, sulle concomitanze politiche e militari europee, a concludere alla meno peggio la vicenda dell’unità nazionale, che nessuno, né la Monarchia, né la Rivoluzione — osava portare alla sua soluzione logica e definitiva Roma.
L’ Inghilterra, che non si era trovata, per sua ventura, di fronte a un problema nazionale da risolvere, e che — un secolo innanzi — aveva affogato nelle acque di Trafalgar l’unica rivale talassocrazia del mondo, consolidava il suo immenso impero coloniale e ostentava disinteresse per le cose di Europa, salvo poi a mandare al Congresso di Berlino quel suo diabolico e sottile lord Beasconfleld, il quale vi agì da vero dittatore, riplasmando « pollice verso » e in nome della regina Vittoria, le carte e le sorti di Europa, e riuscendo sembra incredibile! — a legare le mani a Bismarck, il quale, di cinismo e di diabolismo era pure maestro.
La Russia di Cortkachotf — dimentica della sua missione slava — si esauriva a preparare e a sognare le sua calata sul Corno d’Oro e la incoronazione del suo Tsar in Santa Sofia.
In queste forze rivali, è la tragedia delle nazionalità europee, come balza dalla concezione che Petruccelli della Gattina compose a dignità storica, in un’opera armonica come un’ode, solida come una duna, vasta come un epopea.
Io non considererò, di proposito, la sua opera puramente d’arte, i suoi romanzi, le sue novelle, le sue lettere, i suoi scritti e appunti di letteratura.
Come Alfredo Oriani, col quale il grande Pensatore di Moliterno ha comuni molte affinità spirituali, nonché la tragedia della vita e della morte, a me sembra che Ferdinando Petruccelli poco importa se barone o no della Gattina, si, poco importa! — sia un troppo incompiuta artista, ma sia un troppo grande Pensatore; e che nell’antitesi della sua natura privilegiata, a esprimere di lui un giudizio adeguato, bisogna pertanto raccogliersi solamente nello studio e nella esegesi delle sue istorie, nelle quali veramente lampeggia, come un acciaio temprato, la virtù adamantina di un intelletto, tanto vasto da serrare, come in un abbraccio, i confini del mondo. Cervello veramente sovrano, si direbbe quasi ch'Egli sdegnasse di rendere la misura perfetta di sé e del suo genio, se non quando la grandiosità ignita delle materie, ch’Egli prendeva a trattare, fosse, da lui stesso, giudicata degna del suo pensiero. Simile, in questo, a Nicolò Machiavelli, del quale si narra Ciìc, prima di mettersi al tavolo di lavoro, si vestiva più o meno sontuosamente, a seconda dei personaggi, di cui, volta a volta, doveva scrivere nelle sue Istorie.
 
Scettico, irrequieto, indomabile, eternamente nomade, conoscitore perfetto delle lingue, dei costumi, delle tradizioni, delle glorie e delle vergogne dei popoli europei, Ferdinando Petruccelli della Gattina è tra i maggiori pensatori, tra i maggiori scrittori di istorie d’Italia e dell’Europa contemporanea.
Come storico delle lotte per l’assestamento nazionale degli Stati nell’Europa contemporanea, egli è addirittura un precursore, l’unico storico, anzi, della passione delle nazionalità europee.
Vivente nell’età stessa dell’azione, Egli ha fermato uomini e cose di quel tumultuario periodo della vita europea, che va dalla Restaurazione dei governi della Santa Alleanza al Congresso di Berlino, in un altorilievo di bronzo, in uno stile di Apocalisse.
La luce, sotto la quale Egli vede e coglie gli uomini e gli eventi della grande tragedia, non è quella, che si fa tra il suo occhio e la portata lunghissima del suo sguardo, ma tra il suo occhio e il profondo del suo spirito. Luce interiore, non luce esteriore.
Egli s’impadronisce dell’evento, appena caduto dalle mani del destino, ancora caldo del sangue e del travaglio degli uomini.
Ora per ora, entro Parigi assediata e affamata, dai bastioni di Montmartre battuti dal fuoco prussiano, Petruccelli della Gattina segue l’agonia della città fradicia del secondo impero, che si redimeva nella morte, e ne scolpisce le convulsioni, e ne anticipa il destino.
Come lo aveva anticipato a Napoleone III, in una lettera al piccolo Despota, nella quale osa predirgli il bivacco degli Ufficiali prussiani nel parco di Versailles nei saloni delle Tuileries, la resa ingloriosa dell’esercito francese, il crollo dell’Impero, la consegna del1’ Imperatore al nemico. Dopo Sèdan, infatti, facendo 1’ inventano delle prede di guerra, lo Stato Maggiore prussiano lo incominciò, oltraggiosamente, così « Imperatori uno ».
Questa lettera, nella quale 1’Imperatrice Eugenia è accusata come causa prima della rovina della Francia, valse a Petruccelli le persecuzioni della polizia imperiale e la espulsione immediata dai territori francesi.
Egli si rifugiò a Londra, dove si guadagnò subito la stima e la protezione di Palmerston, di Gladstone, di Disraeli, e collaborò, per bisogno di vivere, nei più grandi giornali della metropoli, scrivendovi in lingua inglese.

A proposito dell’espulsione dalla Francia, cade l’opportunità di ricordare che Petruccelli della Gattina non era nuovo ai... fasti delle espulsioni.
Nella prefazione, ch’Egli mise innanzi al primo volume di « I fattori e malfattori della politica italiana » è narrato un aneddoto molto significativo, che noi riportiamo.
Verso il dodicesimo anno, per volere di uno zio prete, Petruccelli della Gattina era stato chiuso nel Seminario di Marsico, e avviato alla carriera sacerdotale. Quel Seminario era diretto da padri gesuiti. I quali, a meglio scrutar l’animo — la vocazione, dicevano loro — dei giovani seminaristi, ne immaginavano di ogni colore.
Fra le altre, questa. Per la chiusura del mese di maggio, consacrato alla Vergine, ogni alunno doveva scrivere una lettera alla Madonna, esprimendole il suo voto. Le lettere venivano chiuse e consegnate al padre rettore, il quale, prima di bruciarle ai piedi dell’altare, curava, naturalmente, di leggerle lui per... delegazione della Vergine.
Apprendeva così tutto quello che voleva, e, fors’anche, tutto quello che non voleva sapere.
Anche Petruccelli della Gattina scrisse la sua brava lettera alla Madonna di maggio. Ma che essa non contenesse proprio un voto, è dimostrato dal fatto che, con un corriere espresso, il padre rettore chiamò lo zio prete di Moliterno al Seminario di Marsico e gli consegnò, senza spiegazioni, il riverito nipote.
Fra l’espulsione gesuitica dal Seminario di Marsico e l’espulsione napoleonica dalla Francia, quanto destino e quanto pensiero avevano premuto e battuto sotto la fronte e nel cuore di Petruccelli della Gattina, l’insigne lucano, che, non avendo trovato né pane né riconoscimento, né pace né libertà nella sua terra italiana, dovè errare per 1’Europa convulsa, recando Egli stesso, in sé, le convulse veemenze dei suoi sogni di gloria e di liberazione.

A Londra, in ambiente di libertà, mentre la grande contesa fra i due grandi partiti storici inglesi alternava al potere conservatori e liberali, Ferdinando Petruccelli della Gattina scrisse i suoi maggiori libri di Storia.
Quest’arte e questa scienza — la storia, come la comprese Petruccelli è, infatti, arte e scienza, insieme — della narrazione e della critica degli eventi umani non aveva oltrepassato il periodo della Rivoluzione Francese.
A questo termine di partenza della novella del mondo si erano fermati gli occhi e il pensiero abbacinati di Taine, di Thiers, di Quinet, di Michelet, di Macaulay, di Carlyle, di Kropotkine, di Maurray, di Momsen.
Napoleone era ancora un mito. Né il razionalismo brutale di Taine, né il positivismo spettrale di Quinet, né 1’ insufficienza, velata di poesia, di Michelet, né il misticismo puro di Carlyle, né il metodo documentale di Mornsen, applicato con fortuna alla storia di Roma, avevano sorpassato quel termine, di cui la presa della Bastiglia era stato l’epinicio e Waterloo l’epicedio.
A quel termine, Petruccelli della Gattina prende nelle sue mani le trame della storia d’ Europa, si mette al telaio di Clio.
Davanti ai suoi occhi, si stende una visione apocalittica. In tutta la vecchia Europa continentale, le rivoluzioni nazionali minano le effimere restaurazioni della Santa Alleanza ; si apre l’abisso fra la vecchia concezione politica « lo stato è la Nazione » e il nuovo imperativo categorico della coscienza dei popoli: « la Nazione dev’essere lo Stato ».
Con quali occhi Petruccelli della Gattina vide e, in parte, previde, questo dissidio spirituale, questo tormento materiale della vecchia Europa ?
Con gli occhi del mistico.
E spiego quello che io intendo, quando affermo, che l’ottocento fu il secolo dei pensatori mistici, in Italia e in Europa, e che a questo misticismo del pensiero si dissetò lo spirito di Petruccelli della Gattina.
Con Mazzini e con Giuseppe Ferrari, Egli appartiene — e prima vi erano appartenuti Nicolò Machiavelli e il Guicciardini, Pietro Giannone e Giovanbattista Vico a quella schiera di filosofi atei, che, quasi inconsapevolmente, e sembra il segno o la vendetta di Dio sul loro genio, sono indotti da una misteriosa forza incontrollabile e indomabile, quando meditano sulle sorti e sugli avvenimenti umani, a magnificare quello che di divino è nel cuore del1'uomo, se esso è capace di mutare la faccia dei continenti, e quanto vi è di soprannaturale venga chiamato Dio o Destino, è poi sempre la stessa verità! — in quella norma immutata e immutabile che regola e governa « i corsi e ricorsi » delle civiltà, e fa scoccare ineluttabilmente le ore fatali dei popoli.
Valorizzazione dell’elemento divino, infuso nell’animo umano; concezione e coordinamento degli avvenimenti umani secondo un fine superiore ai calcoli, alle previsioni e alle disposizioni umane, secondo, cioè, quel principio logico, (che può significare, è vero, una rinunzia o una insufficienza dell’uomo a rendere a sé stesso ragion di ogni cosa, ma che è, però, la base del principio morale) il quale fu enunciato da Heghel — il teorizzatore dello Stato moderno — con la formula ermetica : « Tutto quello che accade, deve necessariamente accadere ».
Questo principio hegheliano è il polo mistico fondamentale dell’opera storica di Petruccelli della Gattina. E la sua grandezza sta tutta nel saper profondamente trovare la necessità storica, per cui quello che accade, deve accadere.
Prima di lui era stato mistico così Giovanbattista Vico: il quale, col suo metodo dei « Corsi e ricorsi »assoggettando il flusso e riflusso degli avvenimenti umani, il sorgere e il declinare delle potenze e delle civiltà, a una legge meccanica, matematica, aveva creduto bandirne l’influenza della Provvidenza. Ma si ritrovò il dito di Dio sopra la fronte.
L’altro polo mistico di Petruccelli della Gattina è il fondamento morale delle sue Istorie.
Come Gian Giacomo Rousseau, egli trova nella decadenza dei costumi la ragione di tutto il male del mondo e della umanità; come il filosofo ginevrino egli non ha fede che nelle cose pure.
Di qua gli deriva quel tono caldo e potente, quella veemenza stilistica delle sue Istorie, scritte in una lingua meno sintetica, meno forte e meno perfetta di quella del Machiavelli, ma eloquente come quella del Guicciardini; quella cruda vivezza di colori e di particolari, onde uomini e situazioni, drammi e protagonisti balzano fuori dell’ombra, in una luce, che, molte volte abbacina per troppa chiarezza; quella visione punica delle cose, per entro alle quali egli indaga, incessantemente fisso all’universale.
Dovrei ora esaminare, partitamente, l’opera storica di Petruccelli della Gattina. Ma preferisco rimanere alla sintesi : non solo per la solita.., tirannia dello spazio, ma anche perché quelle povere cose che io potrei dire, ogni lettore di buona volontà e di occhi profondi le potrà pensare e sentire da sé, leggendo, per suo conto, tutte le opere storiche di Petruccelli.
Ci guadagnerà, in più, la conoscenza razionale e compiuta della storia dell’ Europa contemporanea e apprenderà a conoscere la grandezza di un Pensatore, che dovrebbe essere assunto nell’Olimpo della Patria; e che — notissimo all’Estero e, specialmente, in Inghilterra, in Germania e nella Francia — è appena non ignoto ai dotti della sua terra di Basilicata e a qualche erudito della Penisola italiana.
Ma le gioventù, che dovrebbero saziare la loro brama di conoscenza a questa, e a simili fonti, di pensiero inesauribile, non la conoscono. O diffidano, per cecità, della sua acqua, che scaturisce dall’alto, troppo dall’alto, e tuona troppo nell’impeto della caduta.
A lumeggiare il carattere fiero, grafitico come le montagne della Basilicata nativa, di Petruccelli della Gattina, ricorderò un episodio parlamentare della sua vita di opera e di battaglia.
Era presidente del Consiglio d’Italia Agostino De Pretis, il quale procedeva alle elezioni politiche generali.
Dall’Inghilterra, era tornato in Italia Petruccelli della Gattina, sembra, appunto, per partecipare alla battaglia elettorale. Infatti, pose la sua candidatura per il Collegio di Sassano Teggiano, in provincia di Salerno.
Avvenne che lord Palmerston, scrivendo a De Pretis, gli parlasse elogiativamente del Petruccelli della Gattina, ch’Egli aveva conosciuto, stimato e protetto a Londra e, forse a malizia, ma delicatamente, il grande « premier » inglese aggiungeva che sarebbe stato un bene e un vanto per la Nazione italiana, se Petruccelli della Gattina fosse entrato in Parlamento.
De Pretis si affrettò a compiacere Palmerston.
Impartì ordini severissimi al prefetto di Salerno, perché Petruccelli venisse eletto a gran maggioranza; e così avvenne.
Ma, in, Parlamento, Ferdinando Petruccelli della Gattina fu contro De Pretis ! Lo storico di « Sain Christ » della « Storia d’Italia » il costruttore delle « Memorie di Giuda » il grande mistico della stirpe Lucana non poteva e non doveva asservirsi alla politica corrotta e corrompitrice del vinattiere di Stradella.

Questo il Pensatore, questo 1’Uomo, cui Moliterno ebbe la ventura di dare il natale.
La sua opera storica rimane — a dispetto di ogni colpa, di ogni dimenticanza, di ogni perfidia o ingratitudine di uomini — testimonianza e documento del suo Pensiero immortale.
Le generazioni venture non la ignoreranno.
Il suo esempio di uomo integerrimo spetta a noi di Basilicata elevarlo a significato di simbolo, a oggetto di culto, specie ora che in Italia c'è tanto bisogno di purità e che da molte parti si comincia a guardare alla nostra terra lucana.
Io vorrei - se avessi veste e autorità per farlo — ammonire tutti i miei conterranei di Basilicata al culto delle memorie e allo studio delle opere di tutti i nostri grandi pensatori, artisti e scrittori. Solamente così, io penso, tutti i basilicatesi, quelli che vivono nella patria e quelli che vivono fuori della patria, oltre monte e oltre mare, potranno apprendere quali e quanti fasci di potenza e di pensiero la « povera »Basilicata ha irradiato sull’Italia. Solo con questa consapevolezza, in tutti noi, si potrà giungere alla redenzione della Basilicata.
Si è per questo fine nobilissimo, che la nostra Rivista illustrerà, una dopo 1’altra, le maggiori glorie del pensiero lucano.
Primo, fra tutti, Petruccelli della Gattina.
E poiché sappiamo che il Cav. Giuseppe Orlando, lui pure di Moliterno, un industre operaio della volontà, che fa onore a sé e alla Basilicata, e che delle opere di Petruccelli della Gattina è cultore appassionato e intelligente, ha pensato, di sua iniziativa e a sue spese, a onorare la memoria del suo grande concittadino, erigendogli un busto in Moliterno, e un altro nell’aula del Consiglio Provinciale, in Potenza, io voglio sperare che 1’inaugurazione dei due busti — quando avverrà consacri la sagra della gloria della nostra Provincia nel nome di Petruccelli della Gattina.
E che la Basilicata — per Basilicata intendo tutta la terra, ovunque batta un cuore lucano sappia, in quella occasione, tributare, al suo Grande, onoranze regionali, degne di Lui, che dovrebbero essere come la prima tappa ideale delle onoranze nazionali a Petruccelli della Gattina. Onoranze, che non dovrebbero svolgersi e consistere in luminarie, discorsi, cortei, banchetti, apparizioni di ministri e simile armamentario, ma in una austera edizione nazionale delle sue opere storiche. E sarebbe un monumento ideale, che la nazione erigerebbe a sé stessa, onorando Ferdinando Petruccelli della Gattina.
Quando un ministro di Basilicata se ne sono avvicendati tanti, troppi, al potere ! —. provvederà a quest’opera di giustizia?
Che l'ombra di Petruccelli della Gattina vigili, senza sdegno, sulla sua Terra lucana !.
 
 
FERDINANDO SANTORO

da: La Basilicata nel Mondo (1924 - 1927)  


 

[ Home ]  [ Scrivici ]