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Enzo Petraccone

da: La Basilicata nel Mondo - 1924-1927
 


ENZO PETRACCONE

 È uscita qualche mese fa, per l'amoroso interessamento di Benedetto Croce ed a cura del dottor Nicola Nicolini, una interessante Antologia de “La Commedia dell’arte,, magnificamente edita da Riccardo Ricciardi, che Enzo Petraccone poco prima di partire per la guerra, nella quale doveva trovare morte gloriosa, aveva affidata al Croce.

Come questi dice nella prefazione, la pubblicazione rinnoverà certo il rimpianto per la fine immatura di un giovane che così luminose speranze dava di sé. E poiché egli fu degno figlio della nostra terra di Basilicata, crediamo opportuno pubblicare l’articolo che segue, nel quale il fratello Giovanni ha voluto ricordare per la “Basilicata nel mondo,, la breve vita e la morte eroica di Enzo Petraccone ed accennare alla sua opera così notevole di mole e così interessante di contenuto, sopratutto quando si pensi che Egli a soli ventiquattro anni dovette abbandonare gli studi per recarsi a compiere il più grande dei doveri verso la patria.

Alla Sua memoria mandiamo un reverente saluto, a cui, siamo sicuri, vorranno associarsi i numerosi lettori di questa Rivista, la quale ascrive a suo onore di poter ricordare una delle più belle figure di eroi che la Basilicata abbia dato ne l'ultima grande guerra.

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Nove anni or sono in quella battaglia del 15 giugno 1918 che fu decisiva per le sorti della nostra guerra, cadeva sul Monte Vai Bella, dopo eroica resistenza, il tenente dei bombardieri Enzo Petraccone; il giovane scrittore e critico d’arte già abbastanza noto nel campo delle lettere e del giornalismo. Non è facile scriverne degnamente, specialmente a chi debba reprimere ad ogni istante la commozione indicibile che il ricordo di Lui e della sua giovinezza spezzata nel fiore degli anni suscita nell'animo; né d’altra parte e questo il luogo per dire il profondo affetto che a Lui mi legava e sfogare ancora una volta un dolore che è sempre pronto a riaffiorare nonostante il tempo trascorso. E soltanto mia intenzione, ora che la pubblicazione in una bella Antologia della “Commedia dell’arte,, edita da R. Ricciardi di Napoli, per l’amorosa cura di B. Croce e Nicola Nicolini, viene a rinnovare il rimpianto per la sua fine immatura, dire brevemente chi fu Enzo Petraccone, quali opere restano di Lui e ricordare ancora una volta la sua morte gloriosa sul campo, degno coronamento di una breve e nobile esistenza. E perché non si creda che mi faccia velo l’affetto fraterno riferirò, quasi esclusivamente, giudizi che su di Lui e sulle Sue opere furono dati da Suoi Maestri o da persone cui l'amicizia e l’affetto non ha potuto togliere la serenità.

Enzo Petraccone nacqe in Muro Lucano il 27 dicembre del 1890 e dimostrò sin dall’ infanzia svegliatezza d’ingegno ed indole vivacissima: compiuti i primi studi nella città nativa, si recò per gli studi ginnasiali e liceali a Napoli ove frequentò il R. Liceo Antonio Genovesi, nel quale ora una lapide ne ricorda il nome tra quelli dei Caduti nella grande guerra che uscirono da quell’Istituto. Benché egli non potesse dirsi un ottimo scolaro, tuttavia dimostrò ben presto un grande amore per la lettura ed anche desidèrio di notorietà e di fama pur dicendo di non avere alcuna fiducia in sé stesso: era cioè già in lui una vena di scetticismo e di sfiducia nelle sue forze in contrasto col desiderio di esser qualcuno e con quanto andò a mano a mano facendo nel campo degli studi; scetticismo che culminerà in quei Colloqui col cane Teli, scritti al fronte, compenetrati di amara tristezza, ed anch’essi in contrasto con l’opera sua di ottimo soldato che si apprestava a dar la vita per la patria. Di simile atteggiamento mentale, in questo primo periodo della vita di Enzo Petraccone, ha parlato un suo maestro, Gioacchino Brognoligo che ebbe a scrivere un commosso elogio del suo antico discepolo con un articolo dal titolo: “ Lo scetticismo di un caduto per la patria ".

Scrive adunque il Brognoligo: “Io ricordo che un giorno, quando era ancora studente di prima liceale, a me, suo professore, egli disse che era un abulico: in lui era dunque una precoce naturalmente mal sicura e fallace, ma non per questo meno pronta, anzi per questo appunto più pronta a manifestarsi, conoscenza di sé che lo portava alla diffidenza delle sue forze e quindi, per un istintivo e assai giovanile bisogno di consolarsi della sua debolezza, generalizzandola ed obbiettivandola, allo scetticismo. Nello stesso tempo era in lui un gusto per tante cose, come ad esempio, per raccogliere libri antichi, cercare ed indagare vecchie cose e vecchie storie, per tentare varie esperienze, e questo gusto lo portava ad un’attività che l'assorbiva tutto e gl’impediva di manifestare lo scetticismo verso di sé, verso gli studi, verso la vita altrimenti che con qualche frase staccata e qualche risolino

Fu proprio negli ultimi anni del liceo che Enzo Petraccone ebbe occasione di conoscere Benedetto Croce al quale si rivolse per averne consiglio ed aiuto in certe ricerche che Egli tentava sulla teoria e la storia delle leggende storiche; e fu senza dubbio l' incontro col Croce che decise della sua vocazione di scrittore. Si era in quel tempo pubblicata una monografia del Prezzolini, su Benedetto Croce, e fu appunto una recensione di tale libro il primo scritto del Petraccone che egli pubblicò sul “Fanfulla della Domenica,, giornale che anche dopo accolse altri suoi articoli. L’influenza benefica del Croce nell’indirizzarlo, nel consigliarlo, nell’aiutarlo si rivelò chiaramente negli anni seguenti e dette luogo ad una ammirazione affettuosa e cordiale del discepolo verso l' illustre Maestro è ad una deferente amicizia che doveva terminare solamente con la morte del Petraccone.

Da allora (cioè da quando l'editore Ricciardi glielo presentò nel 1909) ,, scrive il Croce nella prefazione al Luca Giordano “ l'ho avuto a fianco quasi di continuo: studiava nella mia biblioteca, mi consultava per le sue indagini, si intratteneva con me quotidianamente accompagnandomi a passeggio. In quel primo tempo, com’è dei giovani, tentava vari generi di lavoro, esclusa peraltro la filosofia, sebbene il filosofare ed il dilettarsi nel filosofare fossero allora la nuova moda: era raccoglitore di libri rari e curiosi (me ne donò qualche centinaio di bizzarra letteratura secentesca, che mi riempiono ancora un paio di palchetti); frequentava pittori e altri artisti, e prendeva gusto alle arti figurative; conduceva ricerche storiche in biblioteche ed archivi, vagheggiava di comporre un romanzo e qualche parte ne scrisse, e poi ebbe sempre ritegno a mostrarmela, perché io celiavo con lui sui folti amori che ne formavano oggetto.,,

Intanto, terminati gli studi liceali si era iscritto all’Università, alla facoltà di lettere ove fu caro ai suoi maestri e specialmente a Francesco Torraca che fu suo relatore all’esame di laurea.

La tesi che egli presentò e discusse nell’ anno 1912 in cui si laureò, aveva per argomento “ La Commedia dialettale napoletana del ‘700 ,, ed il relativo manoscritto si conserva presso Benedetto Croce, il quale così ne scrisse: “ Il tema che in essa trattava era rimasto fino allora del tutto negletto, ed egli l'aveva inteso nel giusto verso lumeggiando quella commedia napoletana, non buffonesca ma realistica (che precorse la commedia veneziana del Goldoni) come da una parte, un ricollegamento alla tradizione dialettale secentesca di Napoli, che vantava i nomi del Basile e del Cortese, e dall’altra un segno dei nuovi tempi, tendenti all’osservazione morale del costume e della società.

Fu in questo medesimo periodo che il Petraccone preparò la bella Antologia della Commedia dell’Arte che ora ha visto la luce nella sontuosa edizione del Ricciardi. Essa ha riempito una vera lacuna nella letteratura degli studi sulla Commedia dell’Arte in quanto essa fornisce agli scrittori i testi di quella produzione artistica così spiccatamente italiana e raccoglie da stampe e manoscritti le antiche notizie intorno alla sua storia, dettate in gran parte dagli attori stessi, le regole e i modelli secondo cui le recite si disponevano e, infine, una serie dei più importanti “ scenari ,, del Cinque e Seicento.

Mentre attendeva a queste ricerche ed a questi studi il Petraccone fu attratto dal giornalismo e mercé l’aiuto del Croce fu accolto nella redazione del “ Giorno ,, diretto da quell’illustre scrittrice che era Matilde Serao, la quale lo ebbe carissimo e gli dedicò, dopo la morte, parole di affettuoso e sincero compianto. E numerosi articoli di vario genere, sempre accurati nella forma e spesso adorni di curiose ed interessanti illustrazioni, andò allora pubblicando su Riviste illustrate e giornali quotidiani e settimanali quali il “ Secolo XX ,,, “ Noi e il Mondo ,,, “ Emporium ,,, “ Italia I ,,, “ Il Giornale d’Italia ,,, la Tribuna ,,, il Mattino ,,, il Fanfulla della Domenica ,,, “ Orfeo ,,, il Corriere del Vomero e di Posillipo ,,. Così egli si andava addestrando nello scrivere e preparando a lavori di maggior lena che dovevano ben presto dimostrare di che ricca e varia cultura egli fosse già fornito nonostante la giovanissima età e di quanto gusto artistico e letterario fosse dotato il suo stile. Un soggiorno a Capri, negli anni 1911 e 1912, fruttò una bella monografia pubblicata nel 1913 nella Collezione diretta da Corrado Ricci “ L’ Italia Artistica,, presso l'Istituto di Arti grafiche di Bergamo, col titolo “ L’ Isola di Capri,, che il Croce qualifica “una delle migliori della raccolta, accurata nella trama dei fatti, sennata nei giudizi, scritta con bel garbo letterario, che comprova le felici attitudini artistiche del suo ingegno ,,. E un anno dopo, nel 1914, usciva pei tipi dell’Editore Sandron di Palermo un’ altra monografia di carattere storico su un argomento al quale egli aveva atteso vari anni raccogliendo notizie, documenti, illustrazioni e consultando quasi tutti i volumi pubblicati al riguardo: Il Conte di Cagliostro nella storia e nella leggenda. Anche a proposito di questo lavoro ricorderemo il giudizio del Croce il quale benevolmente così si esprime:

Respingendo tutte le apologie di recente tentate dal Cagliostro, che si sforzano di purgarlo delle frodi e degli imbrogli che commise, e lo lodavano sapiente ed umanitario promotore della massoneria, il Petraccone acutamente giudicava che ciò che leva sopra del comune la figura del Cagliostro è l'energia della volontà, l'arte del dominare, e un certo indomito istinto rivoluzionario onde egli appare affatto diverso dall’altro celebre avventuriero, a cui malamente si vuole accostarlo, il Casanova, e non indegno dell’interessamento che per lui provò Volfango Goethe.

Intanto, però, le attitudini di Enzo Petraccone si erano andate chiarendo e specificando ed il suo spirito fino allora incerto sulla scelta degli studi finì coll’orientarsi verso quelli delle arti figurative. Conobbe allora artisti quali Edoardo Dalbono e Francesco Galante che lo ebbero entrambi carissimo ed il Galante ebbe a rendere un omaggio delicato all’amico perduto col bel ritratto di cui pubblichiamo la riproduzione. Visitò pure in quel tempo le principali città italiane, ed i più importanti musei, soggiornando alcuni mesi a Roma e a Firenze; nella primavera del 1914 si recò anche a Parigi ove visitò diligentemente i due grandi musei del Louvre e del Lussemburgo e si rese conto delle tendenze dell’arte contemporanea. Conobbe letterati e critici d’arte e con molti rimase legato da amicizia come dimostrò il largo e sincero rimpianto dopo la sua morte.

In quello stesso anno 1914, l'Accademia Pontaniana di Napoli bandiva un concorso sul tema:

“Luca Giordano, la sua vita e la sua arte ,, ed il Petraccone dopo aver raccolto una grande quantità di materiale erudito e di fotografie, dopo essersi reso conto, nelle varie città italiane, della numerosissima produzione del Giordano, nei mesi della neutralità italiana, mentre era già in servizio militare, preparò e scrisse rapidamente una monografia sul pittore napoletano, che più tardi, mentre era già in guerra, fu premiata dall’ Accademia, su relazione del conte Antonio Filangieri di Candida, insegnante di storia dell’arte nell’Università di Napoli. Quest’ultimo lavoro pubblicato postumo a cura di B. Croce ebbe l'onore di molte recensioni italiane e straniere, tutte assai benevoli e nelle quali la perdita del Petraccone era lamentata come un vero danno per gli studi di storia dell’arte, che avrebbero avuto in lui un cultore pieno di gusto e di preparazione. Qui basterà ricordare il giudizio di Lionello Venturi, amico del Petraccone, e che ebbe a rimpiangerne e lamentarne la fine immatura su L’ Arte,, di Adolfo Venturi e sul “ Giornale Storico della Letteratura Italiana ,,. Ecco quanto scrisse il Venturi su quest’ultimo periodico: “E una monografia scritta con amore, studiata a fondo. Per la vita di Luca Giordano il P. ha risolto la questione dell’attendibilità del De Dominici come storiografo dell’arte del Seicento, accettandone i dati con prudente riserbo. Ha composto un quadro dell'attività pittorica napoletana del Seicento, profittando di studi recenti con un risultato più completo di quello ottenuto sinora. Ha poi seguito passo passo, cronologicamente, l’attività del suo pittore dimostrando una rara sensibilità nel sapere scegliere il motivo essenziale atto a interpretare ogni singola opera.

Ma la maggiore attenzione dello scrittore e rivolta al giudizio sul “valore storico e lirico,, dell'arte di Luca Giordano. Il P. non ha eccessive indulgenze per il suo soggetto, perché egli è educato a intendere maggiori valori d’arte; anzi è assillato dal problema metodologico, di cui tratta nella introduzione e che riprende di nuovo più volte. A traverso l'esame delle attuali tendenze della critica d’arte, malgrado qualche apprezzamento unilaterale, egli giunge alla conclusione cui deve aderire chiunque non voglia fare cronaca o critica dottrinaria.

Come non è possibile fare della critica che si rida della storia, non è nemmeno possibile fare della storia di aride date e di secche biografie. Ma come la storia, intesa quale studio del progresso delle forme artistiche, viene implicitamente ad esaurire criticamente l'opera d’ arte, così essa rappresenta, in certa guisa, la fusione organica delle due tendenze estetica e storica ,,. E però con la propria esperienza critica, sorretta da quella del Croce e di altri, il P. giunge a scernere l'arte di Luca Giordano pur tra molte scorie. La portentosa facilità di assimilazione, l'inarrivabile ostentazione di abilità, i caratteri, cioè, sinora disprezzati o esaltati a seconda del gusto dei tempi, sono giustamente interpretati come semplici qualità commerciali. Pure, al di là di tale convulsa attività pratica, il P. ritrova i momenti in cui, non più schiavo della sua mano, improvvisando per riposo un disegno o un abbozzo, il pittore libera la sua sensibilità e la sua fantasia, e concreta una visione di vita pittorica. Il Giordano minore diviene così il Giordano massimo. Onde l'appellativo di “ fa presto ,, non è soltanto più la notazione di un fatto, ma una condizione necessaria al Giordano per risolvere sulla realtà della creazione la sua vena pittorica, la sua instabile fantasia. In tal modo, ricostruzione storica della personalità e senso d’arte si fondono perfettamente in un giudizio che, per quanto può dirsi di cosa umana, appare definitivo.

Nel bel mezzo di questa attività e di questo fervore di studi di Enzo Petraccone, scoppiò l'immane conflitto europeo. Il Petraccone che aveva ritardato per ragioni di studio il servizio militare, si iscrisse a un corso di allievi ufficiali nell’arma di artiglieria presso il 24° Reggimento di Napoli, donde uscì sottotenente proprio pochi giorni prima della nostra dichiarazione di guerra all’Austria. Fu mandato a raggiungere il 16° Reggimento di Artiglieria a Brescia che, quasi immediatamente dopo il suo arrivo, fu dislocato, in attesa della dichiarazione di guerra, verso il confine: da allora per tre anni, fino al fatale 15 giugno del 1918, egli fece silenziosamente, senza mai lagnarsi, il suo dovere, con le sole interruzioni delle licenze annuali. Nell’estate del 1917 trovando troppo monotono il tranquillo settore delle Giudicarie dove si trovava, fece domanda per essere ammesso alla scuola dei Bombardieri in Susegana, e di là, appena nominato tenente di detta arma, fu mandato nel settore del Carso. Dopo alcuni mesi fu destinato sull’Altipiano di Asiago in una posizione assai pericolosa, senza che mai si alterasse la calma filosofica con cui egli prendeva quegli avvenimenti dalla cui fatalità si sentiva come dominato, e poscia fu mandato per un. breve periodo di riposo a Vicenza. Si trovava in questa città quando ad un tratto alla vigilia della battaglia del giugno 1918 ebbe ordine di raggiungere con la sua batteria il monte Val Bella, posto difficilissimo, ove la mattina del 15 giugno soccombeva dopo aver combattuto eroicamente. Non è il caso di rievocare la circostanza della sua morte che fu conosciuta solo più tardi, essendo dal Comando stato dato come disperso, e neppure ricordare le ansie di vari mesi di speranze, seguite da una terribile disillusione.

Basterà qui riferire la motivazione della medaglia d’argento concessa alla sua memoria: “ Comandante di una posizione durante un irruzione nemica, avvisato del pericolo incombente, si spingeva arditamente con altro ufficiale oltre la linea dei pezzi per chiarire la situazione: accerchiato da nuclei di nemici, dopo accanita resistenza, cadde da prode sul campo.

A riguardo della sua fine gloriosa così scrisse il Croce: “ Così questo giovane che non ciarlava di politica, che non portava sulle labbra parole enfatiche, che si ammantava volentieri di freddezza e asseriva di non credere a nulla, andò forte e sereno a dare la sua vita per la patria e la dette in una memorabile giornata nella quale, per opera sua e degli altri a lui simili, furono restaurati l'onore e la fortuna d’Italia.

Durante gli anni di guerra egli ebbe ancora occasione di scrivere i Colloqui col cane Tell, il cui manoscritto egli mandò al Croce a mezzo di un suo commilitone, e che furono pubblicati postumi in appendice al “ Luca Giordano.

Informati ad un profondo scetticismo essi formano uno strano contrasto con la vita nobile e laboriosa e la morte gloriosa di Enzo Petraccone. “ Coloro che li leggeranno ,, scrive il Croce “ saranno colpiti dall’amara tristezza che li compenetra, dall’aperta professione che vi si fa di scetticismo e di pessimismo, dalla sfiducia che si manifesta su quelli che si chiamano gl’ideali, dal disamore per la vita in sé stessa. Lo scrittore indirizza il pensiero e la parola ad un cane che gli fu a lungo compagno nei presidii montani e nelle trincee; e con quella finzione intende significare che egli non trova nella vita degli uomini maggior pregio che in quella di un qualsiasi animale, la quale paragonata alla umana sembra più schietta e più logica, com’è forse più felice. Scritti in guerra, da un ufficiale che faceva la guerra combattuta, sull’altipiano di Asiago, la guerra vi è appena menzionata e solamente quasi a sfondo di paesaggio: composti nella maggior parte tra la fine deI 1917 e i primi deI 1918, non vi e traccia degli avvenimenti di quei giorni, né di travaglio e passione per la patria che non vi è mai nominata ,,. Come si spiega questo contrasto tra il pensiero informato a scetticismo e l’azione così nobile e alta? Il Croce risponde a questa naturale domanda, dicendo che i Colloqui erano niente altro che brama di luce, bisogno di sincerità rigorosa, autocritica di un anima nobile che non era riuscita ancora, sebbene vi si sforzasse, a dominare con la mente il mistero delle cose; erano l'anelito religioso di chi cercava e non trovava ancora il suo Dio, il Dio che pur viveva nel suo petto e che ispirava e guidava tutto il suo sentire e tutte le sue azioni. Ed il Brognoligo, che anch’egli si poneva la stessa domanda, dopo aver lodata “ la bellezza letteraria dei Colloqui, la sobrietà efficace della frase e la serenità che li governa, l'una e l'altra proprie di chi, quasi straviandosene, è riuscito a dominare il proprio pensiero ,, e che ne fanno una delle migliori opere suscitate dalla guerra, osservava acutamente che il contrasto si può spiegare “con quella squisita delicatezza per cui certe anime hanno una specie di pudore dei loro buoni sentimenti come delle loro forze intellettuali; non se ne vantano anzi non ne parlano mai, paghi di mostrare gli uni e le altre coi fatti, paurosi che questi non siano quali vorrebbero, schivi sopra ogni cosa di far parlare di sé, parlano e non sembrano abbiano doti che giustifichino quel parlare: anime profonde e ardenti, ma timide e chiuse, lavorano in silenzio e si rivelano solo in qualche occasione ,,. E che Enzo Petraccone sentisse profondamente anche la guerra e la patria lo dimostra il breve bozzetto inedito che pubblichiamo in altra parte di questa stessa Rivista. Così che il paragone tra Enzo Petraccone e Luigi La Vista, accennato da più persone, che ebbero a scrivere di Lui, tra cui il Marone e Concetto Valente, tenuto conto delle differenze delle epoche, può bene rendere il concetto di una simiglianza di idealità in due giovani cui tanto luminoso avvenire nella carriera delle lettere splendeva dinanzi. Ed il paragone può essere proseguito nel caldo elogio che del Petraccone ha fatto il suo maestro Benedetto Croce, così come del La Vista fece Francesco De Sanctis.

“In quel giovane ,, cosi il Croce in una conferenza tenuta a Muro Lucano per l'inaugurazione di una Biblioteca al nome di Enzo Petraccone — consentite che ciò attesti chi lo ebbe per più anni accanto a sé e sentirebbe di mancare di riverenza ad una tomba se non attestasse il vero — in quel giovane niente era di volgare: non cupidigie, non vanità, non brama di spingersi innanzi e di mettersi in mostra. Una naturale dignità, non disgiunta da garbo e grazia, e velata ma non turbata da malinconia, si manifestava in tutti i suoi atti e nelle sue parole.

E crudele pei suoi genitori, pei suoi fratelli, pei suoi parenti, per noi tutti averlo perduto; eppure, sollevandoci sul nostro dolore e contemplando, non possiamo non riconoscere che quella bella figura giovanile ebbe nella nobile morte a difesa della patria, nella memoranda battaglia del Piave, il suo compimento di bellezza, la luce che l'avvolge e le dà risalto. Lo abbiamo amato e stimato quando era tra noi; lo amiamo con maggiore tenerezza e lo veneriamo da quando l'abbiamo perduto. Quante volte ci accade di dire, nel corso dei nostri studi di storia e di arte, a proposito di questo o quel lavoro che sarebbe da eseguire, di questo o quel libro che sarebbe da scrivere: — Oh se vivesse Enzo! Egli avrebbe potuto farlo meglio degli altri. —Ma il rimpianto nasce, anche in questa parte, da una mancanza che proviamo in noi: a Lui, alla sua pensosa e generosa giovinezza niente è mancato ,,.

Con queste alte e sobrie parole del Maestro, nelle quali la figura ideale e morale di Enzo Petraccone è delineata in tutto quello ch’Egli non ebbe tempo a compiere, io chiudo questa rapida rievocazione di Lui. E ancora una volta mi pare accomiatarmi da Lui, come l’ultima volta, sulla soglia della nostra vecchia casa paterna di Muro, alla quale Egli non tornò più, se non come fantasma di luce e di gloria.

 

GIOVANNI PETRACCONE

Uno scritto inedito di Enzo Petraccone

Macchiette e pupazzetti dal fronte

 

Ho scoperto tempo fa un pupazzettista. È caporale nella Fanteria: si chiama Gigi Brondi, è alunno dell’Accademia di Brera e ha diciott’anni.

Alto, magro, con un viso mobile e intelligente, Gigi Brondi non è uno di quei tipi di soldati rumorosi che spandono dappertutto il loro buon umore e l'allegria: è un tipo chiuso, modesto ma non triste ed eccessivamente pensieroso. Egli vede tutto quel che gli accade intorno attraverso la sua sottile vena umoristica, fine e non sguaiata, malinconica e non mordace e segna tutto quel che lo colpisce in certi suoi albums della guèrra che sono un po’ il suo diario.

Nelle ore di riposo egli si ritira in un angolo e circondato da pochi fidi amici che seguono con occhio curioso e meravigliato il rapido succedersi dei tratti della sua matita sulla carta, scrive le sue impressioni, annota i suoi commenti délla giornata. Quando l'ho scoperto, o per dir meglio, quando mi si è scoperto, mostrandomi un mio riuscitissimo pupazzetto, ho pensato subito al profitto che se ne poteva trarre e ho pensato subito a “ Noi e il Mondo ,, e a Lucio D’Ambra. Ma sarà ancora a Roma — mi sono poi domandato — e detterà ancora Lucio D’Ambra (novello Petronio della Rivista mensile) dall’elegante redazione di via Milano le sue raffinate leggi dell’eleganza tipografica? E nella speranza che la guerra non abbia ancora strappato Lucio D’Ambra alle abitudini e all’affetto del suo pubblico di lettori, un po’ pregando, un po’ valendomi dell’autorità del grado, ho fatto man bassa del libro dei ricordi di Gigi Brondi di cui presento una parte con qualche brevissimo commento.

 

I pupazzetti del nostro artista caporale sono però quasi tutti estivi: il freddo e la neve, egli ha dichiarato, si prestano poco alla caricatura e, in genere, alle arti figurative per svariate ragioni che sarebbe troppo lungo esporre ma di cui due principalissime son queste. Io: il freddo permette poco la libera esplicazione del movimento del ritrattabile, cioè del soldato; la neve rende tanto monotono il paesaggio che è possibile e facile esaurirlo in un disegno che ricordi assai da vicino il famoso quadro del passaggio degli Ebrei attraverso il Mar Rosso, in cui, come certo tutti ricordano, l'artista aveva ritratto il suo soggetto proprio nel momento (vedete caso curioso!) in cui il Mar Rosso si era ritirato e gli Ebrei erano già passati.

Contentiamoci perciò di spigolature d’altri tempi aspettando che le rondini ci annunzino la primavera e che sui monti rinverdiscano le zolle. Poiché come ben dice Gigi Brondi, la guerra moderna è fatta dalla zolla, questa cosa modesta e disprezzata invocata per lo passato solo dagli scrittori sodalisti di provincia, questo umile quadratino di terra che offre invece tutto sé stesso con abnegazione e meraviglioso spirito di sacrificio e protegge il sol­dato che combatte dalla trincea e serve di scudo contro la pallottola insidiosa e contro le schegge che vi si affondano senza che essa levi un solo lamento.

Con le zolle si fa tutto: trasportate comodamente in portantina, accomodate, ritagliate, squadrate, le zolle servono a tutto, alle opere puramente guerresche come a quelle, starei per dire, voluttuanie.

Con che cosa si costruisce un appostamento per mitragliatrice?

Con le zolle!

Con che cosa si costruisce una cucina dà campo?

Con le zolle!

Dopo la zolla, il badile e il piccone sono due dei principali fattori della grande trasformazione dei sistemi guerreschi: essi scavano le trincee, tagliano le vie sulle montagne inaccessibili, frugano e sconvolgono la terra adattandola alle diverse esigenze della guerra, spezzano la roccia, tagliano le amiche zolle, preparano il terreno al principe della trincea: il paletto da reticolato.

Figlio del tronco d’albero, il solido e pesante protettore delle ridotte e delle trincee blindate, il paletto agile, tenace, svelto, robusto, è il più forte protettore, come il più poderoso nemico nella guerra dei nostri giorni.

O che protegga una linea di difesa, o che stia lì pronto a sbarrare una strada, un reticolato, infatti è quasi più terribile del fucile, del cannone, della bomba.

Dopo il lavoro, il riposo.

Nelle seconde linee specialmente c’è, ed è naturale che ci sia, più calma, più tranquillità, una più varia e meno preoccupante attività. Dove ora non è che un vasto e desolante lenzuolo di neve, alcuni mesi or sono era ancora un profumato tappeto di fieno secco tra cui s’affacciava timido il tardivo fiore della montagna: il soldato vi dormiva al sole i suoi sonni tranquilli e quando echeggiava per l'aria il tanto atteso grido de la posta ed avveniva la distribuzione della desiderata corrispondenza (ore felici passate rileggendo venti volte la stessa cartolina!) correva a sedervisi per procedere alla prima lettura delle numerose pagine della lettera ricevuta e vi si adagiava per attaccare l'articolo di fondo del giornale sulla politica estera.

Intorno il paesaggio trasformato dall’opera assidua e instancabile: un posto di medicazione dietro un trincerone e le vie d’accesso coperte serpeggianti sulla montagna, dietro cui il sole va scomparendo.

Qualcuno guarda immelanconito: qualche altro pensoso indugia davanti alla fumante gavetta, qualche altro ancora scribacchia già colla matita la risposta alla lettera ora ricevuta; il soldato barbiere attacca la testa di un paziente collega.

Il capitano guarda anche lui e segue con l’occhio il tramonto che va velando d’ombre il terreno e quasi accarezza, guardandole, quelle immagini famigliari di soldati ch’egli conosce uno per uno.

Il cielo intanto diventa oscuro: poi d’improvviso comincia un grandinar di goccioloni grossi e radi che s’abbattono violenti sulla campagna.

Passa il Colonnello.

E mentre il barbuto soldato pensa alla sua casetta di campagna e alla sua donna che l’aspetta, la mente, chi sa perché? si volge compiaciuta verso l'immagine di una comoda poltrona in cui sprofondarsi fumando, immersi nella lettura di un giornale che parli degli ultimi rivolgimenti della Cina.

Ma poi si levano gli occhi, si guarda di là oltre le montagne che chiudono l’orizzonte e ci si sente pronti e sicuri.

 

ENZO PETRACCONE

 

 

 

Opere di Enzo Petraccone
 

Volumi:

L’ Isola di Capri —. con 130 illustrazioni — Istituto Italiano d’Arti Grafiche — Editore — Bergamo 1913.

2°   Cagliostro nella storia e nella leggenda — Remo Sandron —Editore — Palermo 1914.

Luca Giordano — opera postuma — aggiunti “ I colloqui,, a cura di B. Croce — Riccardo Ricciardi — Editore — Napoli 1919.

La Commedia dell’Arte — Storia — Tecnica — Scenari —a cura del dott. Nicola Nicolini — opera postuma — Riccardo Ricciardi Editore — Napoli 1927.

 

 

Articoli più notevoli:

 

  Un aeronauta italiano del ‘700 — in “Secolo XX ,,— Anno 1910 — pag. 580.

2°  Dieci anni di vita letteraria (a Roma dall’ 80 al ‘90) in “Secolo XX Anno 1910 — pag. 650.       -

3°   Il poeta dell’ anima napoletana Salvatore di Giacomo — in Secolo XX ,,— Anno 1901 pag. 789.

4°   Maria Carolina e Napoleone — in “Giornale d’ Italia ,,— del 21 agosto 1911 — n. 232.

5°  Cortesie italo-turche verso la metà del ‘700 — in “ Giornale d’ Italia ,, del 25 dicembre 1911 — n. 358.

6°  I sommi interpreti dell'anima napoletana: Edoardo Dalbona e Salvatore di Giacomo — in “Noi e il Mondo,, Anno 1912 —pag. 150.

7°   Benedetto Croce — in “Noi e il Mondo,, Anno 1914 — pag. 430.

8°   Matilde Serao — in “ Giornale d’ Italia,, del 6 giugno 1912.

9°  Matilde Serao e “O Giovannino o la morte ,, — in “ Orfeo ,, del 9 novembre 1912.

10°  La moglie di Cagliostro — in “Secolo XX, del 1911 — p.619.

11° Posillipo nell’antichità — in “ Corriere del Vomero e di Posillipo ,, del 23 marzo 1913.

12° La Scuola di Posillipo — in “Corriere del Vomero e di Posillipo,, dal 30 marzo 1913.

13° Artisti stranieri a Capri — in “ Italia., del 1913 — pag. 265.

14° Il Capitan Trabucco — in “ Giornale d’Italia,, del 16 mar­zo 1913.

15°  Un artista d’ eccezione: Diefembach — in Emporium 1913.

 

 

Sul Petraccone vedi:

 

1.   La bella prefazione del suo maestro ed amico B. Croce al Luca Giordano, in cui ~ riassunta la vita e si tratta delle opere di Lui.

2.   Il discorso tenuto da Benedetto Croce in Muro Lucano il 12 giugno 1923 inaugurandosi la “Biblioteca Enzo Petraccone,, pubblicato in Conferenze e Prolusioni del 10 agosto 1923 anno XVI n. 15.

3.  Gioacchino Brognoligo Lo scetticismo di un Caduto per la Patria — in “ Sulla corrente ,, del 15 gennaio 1920 anno I fasc. I.

4.   Alberto Buonoconto A proposito di Luca Giordano — in Giornale della Sera,, di Napoli dal 21-22 agosto 1919.

5.  Gherardo Marone Un maestro e il suo discepolo — in “ Il Mezzogiorno ,, del 7 luglio 1919.

6.  Armando Pappalardo Luca Faprasto in “Giorno ,, del 12-13 luglio 1919.

7.  Lionello Venturi — Ampia recensione del Luca Giordano del P. in L’ Arte di Adolfo Venturi — Anno 1920 pag. 92.

8.   Lionello Venturi — Recensione del Luca Giordano in Giorn. Storico della Lett. italiana del 1920.

9.   The Athenaeum — del 24 ottobre 1919. Un giovane critico italiano — Recensione del Luca Giordano.

10.  Der Cicerone del luglio 1921 — Recensione del Luca Giordano — pag. 406.

11.  Concetto Valente Pagine su 1’Italia meridionale in “ Resto del Carlino della Sera,, di Bologna del 25 aprile 1923.

12.  A. Martuscelli L'anelito religioso di uno scrittore morto per la Patria — in “Giornale d’ Italia ,, del 28 giugno 1922.

13. G. Brognoligo in Fanfulla della Domenica del 10 dicembre 1918 — n. 24.

14. Concetto Valente Le città morte dell’Ionio, Zanichelli ed. Bologna — pag. 102,


 

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