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LA STORIA  (Potenza)
 

L'origine della città, certamente antichissima, non sempre offre coordinate storiche certe e sicure. E’ da credere che la sua posizione equidistante tra le colonie greche di Poseidonia e Metaponto deve averla esposta al soffio della civiltà greca.

Strabone e Plinio annoverano Potentia tra le più antiche città libere ed indipendenti della Lucania, ed anche se non si ha notizia di sue monete o di altri ritrovamenti che ne attestassero pienamente questa autonomia, essa dovette effettivamente rimanere libera fino a quando Roma non iniziò la sua politica di espansione.

L'atteggiamento delle popolazioni lucane e di Potenza nei riguardi di Roma fu sempre di aperta ostilità: nelle guerre tra Romani e Sanniti prima e tra Roma ed i Bruzi dopo, essi si schierarono sempre con i nemici di Roma.

Assoggettati dalla forza delle armi, i Lucani vissero senza particolari condizionamenti fino all'epoca della battaglia di Canne, allorquando passarono nel campo di Annibale, puntando sulle sue fortune.

Dopo la battaglia del Metauro, nel corso della quale fu vinto ed ucciso il fratello Asdrubale, Annibale oramai sconfitto si ritirava in Africa, lasciando Potenza alla vendetta di Roma; la città, da municipium, fu ridotta al rango di praefectura, e, successivamente a mera colonia militare. Roma, tuttavia, non sottovalutò la posizione geografica e strategica della città, che fu collegata, con l'apertura di strade militari, a molti centri limitrofi: per Oppidum con Venusia e per Anxia con Grumentum. La città seguì poi le vicissitudini dell'Impero fino alla sua decadenza, e la sua fortuna peggiorò fino al rovinoso periodo delle invasioni barbariche.

Nel tempo dei Normanni la città fu soggetta alle scorrerie dei Saraceni, sebbene fosse lontana dalle coste e arroccata sui contrafforti dell'Appennino. Nei pressi della città, una località denominata Campo Saraceno conserva nel nome il ricordo di tali incursioni. Tuttavia, il periodo normanno fu ricco di importanti avvenimenti per Potenza. Nel 1137, al tempo di Roberto il Guiscardo, vennero accolti in città Papa Innocenzo II e l'Imperatore Lotario; più tardi nel 1148 (o 1149?) Re Ruggero vi ricevette Ludovico re di Francia, liberato ad opera della flotta normanna dalle mani dei Saraceni, mentre ritornava da una sfortunata spedizione in Terra Santa.

Già in tale epoca, Potenza rivestiva particolare importanza come città vescovile. Il suo primo vescovo pare fosse Amando o Amanzio, di epoca incerta; ma il suo pastore più venerato fu Gerardo da Piacenza, salito alla sedia vescovile nell’anno 1111 e morto il 1119. Egli fu in seguito santificato ed eletto a patrono del città. Altro vescovo importante fu Martino V, che nell’anno 1400 partì da Potenza verso Roma per partecipare al conclave che lo elesse pontefice.

Le nozze di Costanza d’Altavilla, ultima erede dei Normanni, con Enrico IV figlio del Barbarossa, segnarono l’arrivo degli Svevi nel regno del Sud. Potenza seguì l'aquila sveva di Federico II, il quale, però, sospettandola di dubbia fede la punì devastandola.

Potenza fu legata alla sorte di Manfredi e di Corradino e, quando il giovane e biondo re cadde decapitato in piazza del Carmine a Napoli, le città che avevano parteggiato per lui, come Potenza, furono soggette alla punizione ed all'ira del vincitore. Carlo d'Angiò, infatti, per mano dei suoi fedelissimi, conte di Belcastro e Ruggiero Sanseverino, conte di Marsico, infierì sui potentini ritenuti ribelli e sul loro centro abitato, che per gran parte fu raso al suolo.

Il 18 dicembre 1273, un terribile terremoto si abbatté sulla città seminando distruzione tra un popolo già stremato ed affamato.

Nel 1414 Giovanna d’Angiò successe al fratello Ladislao e la città fu ancora coinvolta nelle lotte che seguirono con i vari pretendenti al trono.

Ebbero ancora la città Francesco Sforza, che la passò a Michele Attendolo di Cotignola, e, per brevi periodi, gli Zurlo e Iacopo Caracciolo.

Sopraggiunti gli Aragonesi, il re Alfonso la sottrasse alla contea degli Attendolo e la concesse con il suo contado al suo fido don Indico de Guevara, giunto con lui dalla Spagna. A don Indico seguirono don Antonio e quindi don Giovanni che partecipò dalla parte degli Aragonesi alle guerre contro Carlo VIII e Luigi XII.

Don Alfonso de Guevara, sesto conte di Potenza, maritò sua figlia Beatrice ad Enrico di Loffredo, marchese di S. Agata e di Trevico. Così, la città, che costituiva la dote nuziale, passò ai Loffredo, che già vi erano stati signori in epoca normanna, prima dei Sanseverino. L'antico castello, di cui oggi resta una sola torre, fu da don Carlo Loffredo, figlio di Beatrice Guevara e di Enrico, trasformato in monastero.

Nelle lotte di predominio che seguirono tra Francesi e Spagnoli per la divisione del regno nella seconda metà del Seicento, Consalvo de Cordova e Luigi d'Armagnac, duca di Nemours, fatto un armistizio, convennero a Potenza per negoziare l'accordo. Gli spagnoli vinsero sui francesi e in breve tutto il Mezzogiorno d'Italia divenne Vicereame spagnolo, subendo così una degradazione politica e morale destinata, a sfociare nella rivolta di Masaniello del 1647.

Anche Potenza, come molte altre città del Viceregno, fu agitata da fazioni contrastanti, teatro di moti di intolleranza popolare antispagnola, anche se facilmente repressi, che tuttavia portarono all'insorgenza di fenomeni di violenza specialmente nelle campagne. Nell’anno 1694 un altro violento terremoto la distrusse quasi per intero e ben poco fu fatto dai dominatori spagnoli in favore delle popolazioni e per la ricostruzione della città. Cessata la dipendenza dalla Spagna, nel Settecento l'Italia Meridionale salutò l'avvento dei Borboni, prima dinastia italiana dopo tanto succedersi di case regnanti straniere.

Carlo di Borbone portò una ventata nuova di rinnovamento sociale e di pace; ma, come dice il Riviello nella Cronaca Potentina "Le riforme di Carlo III e del ministro Bernardo Tanucci o non vi giunsero o vi lasciarono appena superficiali ritoccature...".

Durante il regno di Ferdinando IV, salito al trono di Spagna dopo la morte senza eredi maschi di suo fratello Filippo VI, a seguito delle ripercussione che ebbero anche a Napoli gli avvenimenti francesi della fine Settecento, nel 1799 fu proclamata la Repubblica Partenopea, sostenuta dalle armi di Francia. Il re si rifugiò in Sicilia e Potenza fu tra le prime città del Sud ad alzare l'Albero della Libertà. Ma il movimento repubblicano, che a Potenza faceva capo al vescovo Andrea Serrao, fu rapidamente represso dal Partito borbonico, che per la Restaurazione si avvalse delle bande del cardinale Fabrizio Ruffo, il quale aveva progettato di sterminare le neo repubbliche.

Nello stesso anno, il vescovo Serrao fu ucciso mentre, si disse, "nel suo letto pregava e benediceva". Il colonnello Sciarpa, distaccato dal Ruffo dalla sua direttiva principale di marcia, piegò sulla città e la prese, senza peraltro abbandonarsi a distruzioni o a saccheggi.

I Francesi ritornarono a Potenza nel 1806 con Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone e nel 1808, con Gioacchino Murat, cognato dell'Imperatore e suo fedele generale in molte campagne di guerra.

Sotto il dominio francese, nell’anno 1806, Potenza fu elevata alla dignità di capoluogo della regione. In realtà, già al tempo del Tanucci, sotto Ferdinando IV, si era stabilito di portare la sede della Provincia di Basilicata a Potenza; ma per riguardo verso il conte Carlo Loffredo, feudatario della città e devoto alla Casa regnante, la cosa non fu realizzata. Dai francesi, soprattutto per merito di Murat, fu introdotto un profondo mutamento nell’amministrazione della Basilicata, lasciata nel completo abbandono da Ferdinando IV. Furono migliorate le vie di comunicazione interne e con le regioni limitrofe. Fu anche migliorata l'istruzione ed introdotte nuove norme igienico-sanitarie, quali l'istituzione dei cimiteri fuori dai luoghi abitati. Furono dettate nuove normative sugli acquedotti, sulla prevenzione e l'isolamento di focolai di epidemie infettive.

La fine del periodo francese, estremamente repressivo nella sua prima fase, lasciava la città di Potenza in condizioni certamente migliori di quanto l'avesse trovata. Ma come sempre accade, dopo un periodo di trasformazioni sociali ed amministrative, il ritorno all'antico portò vari scompensi e tra questi la ricomparsa del brigantaggio.

Le varie motivazioni sociologiche nelle quali questo fenomeno ricorrente nel Sud affonda le sue controverse radici, pur avendo alla base sempre motivi di reazione ad abusi ed ingiustizie subite, in un contesto ambientale tutto particolare, non sembra fossero in tale epoca sostenute da motivi accettabili come nei successivi anni sotto Ferdinando II e, poi, dopo l'Unità d'Italia.

Anche se la città di Potenza non ebbe a soffrire l'azione diretta di questo flagello sociale, tuttavia, la fama di molti briganti atterriva la città. I loro nomi e le loro sanguinose gesta rimasero vive nella memoria degli abitanti e nelle leggende popolari.

Un moto rivoluzionario, scoppiato nella notte tra l'1 e il 2 luglio 1820 e guidato dal generale Florestano Pepe, indusse Ferdinando I a concedere e giurare fede alla Costituzione.

Nell'autunno del 1846 il re Ferdinando II si recò in visita a Potenza, sollecitato dall'intendente Duca della Verdura, che gli illustrò le opere più recenti realizzate in città, tra le quali la nuova Piazza dell'Intendenza  (l'attuale Piazza Mario Pagano), la sistemazione di Piazza Sedile con la costruzione dell'arco del Muraglione e l'apertura della strada, che da Borgo Santa Lucia, per il gomito del cavallo, raggiungeva lo stesso Muraglione ed altre costruzioni. A questo periodo seguì, contrariamente ad ogni aspettativa, una seconda fase repressiva ed intransigente, che sfociò nella rivolta del 1848. Il protagonista assoluto di tale patriottica ribellione fu Emilio Maffei, che il 5 giugno, riunì nel Palazzo Loffredo, i delegati delle Province confinanti, i quali sottoscrissero un "memorandum" a sostegno e difesa della Libertà. La repressione fu dura ancora una volta in tutto il Regno ed anche a Potenza; come dice, appunto, il cronista Riviello "Le carceri si riempirono di accusati, mentre la polizia molestava pacifici e sospetti".

Il terribile terremoto del 1857, distruggendo ancora una volta gran parte della città, aprì nuove tremende ferite e raffreddò notevolmente le attività e le trame dei patrioti. E, solo due anni dopo, le cospirazioni antiborboniche iniziarono a riallacciarsi in modo concreto. Tanto che l'anno successivo, dopo lo sbarco di Garibaldi nel continente, cominciava la dissoluzione delle truppe borboniche, comandate da ufficiali vecchi ed incapaci e già si iniziava ad intravedere in modo tangibile un processo di inevitabile disgregazione del Regno del Sud. Il 16 agosto 1860, la città si sollevava in armi ed il 18 dello stesso mese veniva proclamata l'unione al Regno d'Italia sotto lo scettro di Vittorio Emanuele II di Savoia.

Il brigantaggio meridionale, dilagato nel Sud subito dopo l'Unità, alimentato da correnti filo borboniche, nella speranza di una restaurazione. Sostenuto dalle tradizionali ragioni di scompenso sociale, dalla miseria, dall'ignoranza e dall'incapacità dei nuovi governanti piemontesi a comprendere i veri problemi delle classi oppresse del Meridione, insanguinò molti centri della provincia. Anche se la città di Potenza restò fuori dagli avvenimenti più cruenti, la maggior parte delle direttive operative e strategiche della repressione furono coordinate ed attuate proprio nel capoluogo della regione.

Gli anni successivi del Regno d'Italia, fino alla Prima Guerra Mondiale, furono caratterizzati da lotte politiche condotte sempre in uno spirito di rispetto e correttezza; anche se appassionate ed accese in duelli polemici legati alle personalità più rappresentative degli uomini che ne furono protagonisti.

L'immane tragedia legata al II Conflitto Mondiale richiese alla città di Potenza un tributo di innumerevoli vite umane. Nel settembre 1943, alcuni bombardamenti aerei costarono alla città di Potenza, oltre alle molte vittime tra la popolazione, anche la distruzione di molte costruzioni civili, private e pubbliche, tra le quali l'Ospedale S. Carlo e la Cattedrale.

Nel dopoguerra, finalmente, con il ritorno alla vita democratica, la ricostruzione delle ferite della guerra e la comparsa di nuovi obiettivi all'orizzonte della Nazione, iniziava per Potenza l’espansione urbana e la crescita di tanti nuovi poli di sviluppo civile e sociale. Tuttavia, questa crescita dava luogo alla progressiva scomparsa sul territorio urbano di molte testimonianze del suo passato.

 

 

pubblicazione autorizzata:            

Comune di Potenza - unità di direzione     
cultura, politiche giovanili, promoz. immagine
( testo: D. Mancusi - C. Serra )        

 

 

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