INDICE

Avanti >>

.

SULLE TRACCE DI UN MONASTERO "SCOMPARSO"

IL "CASO" DI SANTA MARIA DEL SAGITTARIO


I ruderi di quello che fu il monastero cistercense lucano di S. Maria del Sagittario sono situati a circa due chilometri a sud-ovest di Francavilla in Sinni, nell'estremo sud della provincia di Potenza, presso il torrente Frido, affluente di destra del Sinni.
Intorno a questo che fu un importante insediamento cistercense dell'Italia meridionale, si è creata una inspiegabile lacuna storiografica, solo parzialmente sciolta da qualche studio più recente. Per tale motivo, ad esempio, è rimasto tuttora irrisolto il problema della sua origine storica. La stessa ricostruzione fatta da Gregorio de Lauro, abate e archivista del Sagittario nel XVII secolo, sebbene almeno in parte verosimile, si basa su una evidente scarsità di documentazione. Il monastero sarebbe sorto intorno al 1061, quando un ricco abitante di Chiaromonte, Tancredi Murrino, avrebbe fondato una chiesa ai piedi di una montagna sita alla confluenza tra il Sinni ed il Frida, in località Ventrile, dove avrebbe fatto riporre una venerata statua della Vergine. Qualche tempo dopo, Tancredi Murrino avrebbe ceduto la chiesa ad una comunità benedettina che, fra il 1150 ed il 1155, avrebbe costruito un nuovo monastero e una nuova chiesa nell'attuale sito del Sagittario, a circa tre miglia dal primo insediamento che da allora in poi cominciò ad essere identificato come Sagittario Vecchio. Lo studioso Pietro Dalena ipotizza che, dopo il violento terremoto che nel 1184 colpì le valli del Crati e del Sinni, il monastero benedettino venisse incorporato intorno al 1200 all'ordine cistercense di Casamari. Nella zona si sarebbe insediato, seguito da alcuni monaci, l'abate Palumbo, proveniente da Casamari, al quale nel 1203 Rinaldo del Guasto e la moglie Agnese di Chiaromonte avrebbero donato tutto il territorio di Castro Sicileo. Grazie alle numerose donazioni, il monastero accrebbe rapidamente le sue proprietà, particolarmente lungo la fascia ionica lucana. Agli inizi della dominazione angioina il monastero attraversò un periodo di grave decadenza, durante il quale dovette assistere all'usurpazione di molte sue proprietà. A partire dagli inizi del XIV secolo il monastero uscì dalla grave crisi riappropriandosi di molti beni perduti, grazie anche alla protezione accordata da Giacomo Sanseverino e dalla moglie Margherita di Chiaromonte, i quali nel 1338 confermarono al monastero tutte le donazioni fatte dai loro predecessori. Ma il 18 marzo 1441 il monastero venne dato in commenda: ebbe nuovamente inizio un periodo di decadenza, agevolata dalla fondazione a poca distanza della certosa di S. Nicola in Valle, la quale finì con l'attirare le maggiori attenzioni dei Sanseverino. Il primo ottobre 1664 papa Alessandro VII, di origine senese, aggregò il monastero alla Congregazione toscana dell'ordine cistercense, scatenando un lungo contenzioso con la Congregazione calabrese, la quale nel 1674 chiese invano la revoca del breve papale. Solo il 2 settembre 1726 il Sagittario tornò alla Congregazione Calabro-Lucana. Le vicende politiche dell'ultimo decennio del XVIII secolo determinarono la dispersione della comunità monastica il cui priore fu costretto a rifugiarsi a Chiaromonte. Nel 1807 il monastero fu soppresso: la sua collocazione in un sito lontano dai centri abitati non ne permise il riutilizzo da parte degli enti pubblici. Nel 1812 il regio demanio ne vendette i materiali, come travi e legnami, mentre nel 1814 fu venduto il fondo boscoso con i casamenti diruti. Nel corso di una causa fra la mensa vescovile di Anglona e Tursi e i signori Brandi e De Salvo, nuovi proprietari del bosco, nel 1853 fu compilata la pianta topografica dell'area boscosa, dalla quale si ricavano molti toponimi che rinviano all'antica organizzazione agraria gravitante sul monastero in cui si integravano lo sfruttamento delle risorse forestali, la coltura dei cereali e l'allevamento (1). Sulla pianta sono disegnati anche i ruderi dell'antico monastero cistercense (2). Attualmente, del complesso sono superstiti parte del perimetro fortificato, il campanile ed un esiguo tratto della facciata principale della chiesa abbaziale, una serie di ambienti annessi ai chiostri mentre alcuni edifici moderni sono stati realizzati all'interno del recinto claustrale inglobando o sostituendo resti di fabbriche antiche (3).
La dispersione delle pietre del monastero è stata dunque parallela alla dispersione della sua memoria storica. La grave lacuna storiografica fu avvertita da Nicola Cilento nella sua relazione su Insediamento demico e organizzazione monastica presentata durante le Quarte Giornate normanno-sveve del 1979 (4). Il Negri, nel suo volume del 1981 sulle Abbazie cistercensi in Italia, a conclusione delle poche righe dedicate a Santa Maria del Sagittario, afferma che "non sono note le ragioni che ne portarono alla rapida scomparsa" (5). Ancora nel 1991, la relazione tenuta da Pietro De Leo sulla presenza dei Cistercensi in Basilicata nel corso del convegno sui Cistercensi nel mezzogiorno medievale, non offrì segni conoscitivi sufficienti. L'evidente oblio determinatosi intorno al monastero risulta tanto più inspiegabile qualora si ponga mente al ruolo tutt'altro che trascurabile che esso ha storicamente rivestito. A cominciare dalla sua posizione strategica: dall'alto del suo sito, il monastero dominava le valli del Frido e del Sinni, e soprattutto la via che congiungeva le due principali arterie di comunicazione con la Calabria: la via Popilia e la via de Apulia.
Dal punto di vista strettamente spirituale, la chiesa monastica fu santuario mariano assai frequentato, specialmente nella festa annuale del 15 agosto: Silvestro Viola, nel suo Regno di Napoli Sacro del 1654, parla di "gran concorso di tutti li populi della Provincia". In concomitanza con la festa, si svolgeva anche un'importante fiera. Agli inizi del Trecento, inoltre, nel monastero visse il monaco Giovanni da Tolosa il quale, dopo un periodo di vita eremitica sul Monte Caramola, ricevette l'abito monastico dall'abate Ruggero. La santità dell'uomo ed i miracoli attribuitigli amplificarono, dopo la sua morte avvenuta il 26 agosto 1339, il culto della popolazione locale verso il beato.
Il livello raggiunto nelle arti, e presumibilmente anche nell'architettura, dalla comunità tra i secoli XII e XV è testimoniata dai pochi resti dei corredi della chiesa, dispersi fra Chiaromonte, nella cui chiesa madre si trova ora l'altare marmoreo, e altri comuni limitrofi, tra cui soprattutto Lauria, dove nella chiesa di S. Giacomo sono stati individuati il bel coro e altri arredi lignei.
Il vuoto verificatosi nella memoria storica è stato probabilmente in gran parte determinato dalla dispersione della biblioteca e dell'archivio monastico, dati come esistenti dall'abate Gregorio de Lauro nel XVII secolo: egli specifica che erano collocati "in una delle tre celle dell'abate claustrale". Noi riteniamo che la dispersione sia in gran parte precedente alla soppressione del 1807, collegabile al lungo periodo di decadenza che il monastero attraversò nel XVIII secolo. I dati riportati infatti nell'inventario dei beni dell'abbazia redatto in seguito all'atto di soppressione, appaiono già assai scarni. Per quanto concerne il materiale librario, ad esempio, l'inventario cita solo "Due messali guarniti d'argento... Quattro libri di canto... Nove messali. Sei altri de Morti", oltre ad altri due messali nelle grancie del Sicileo e del Ventrile (6).
Ma piacevoli sorprese hanno riservato alcuni studi e ricerche degli ultimi anni. Sugli intensi scambi di materiale librario fra il monastero del Sagittario e l'abbazia-madre di Casamari, si è soffermato Antonio Maria Adorisio in un suo studio del 1996: lo studioso dimostra come, grazie a tali scambi, presso il monastero si fosse venuta formando una biblioteca di codici importati, i quali andarono verosimilmente ad arricchire un preesistente nucleo librario. Tra i codici importati e sinora individuati, l'Adorisio cita il Sessoriano 51, conservato presso la Biblioteca Nazionale di Roma, contenente una raccolta dei Sermones di papa Onorio III. Originariamente appartenuto al camerario del papa, Pandolfo, molto probabilmente fu alla morte di quest'ultimo donato all'abbazia di Casamari, da dove, probabilmente già nel XIII secolo, passò ad arricchire la biblioteca del Sagittario. La vicenda di questo codice è esemplare per evidenziare quelle dinamiche di acquisizioni e dispersioni a cui la raccolta libraria andò soggetta. Sempre nella Biblioteca Nazionale di Roma si conserva un altro codice proveniente dal Sagittario, il Sessoriano 113, contenente una miscellanea di testi monastici. Scritto in minuscola carolina, il codice sembra databile alla seconda metà del secolo XII. Nelle carte 2r e 15v viene ripetuta più volte la nota di possesso del Sagittario. Esso fu allontanato dal monastero lucano prima del 1664, data in cui fu compilato il catalogo della Biblioteca Sessoriana. Esemplare è anche il caso dello spettacolare codice biblico della Biblioteca Apostolica Vaticana, pur esso appartenuto al Sagittario. Il codice si conserva nel fondo Borghesiano con il numero 331 ed è stato datato a cavallo tra il XII ed il XIII secolo. In base ad una attenta lettura, da parte dell'Adorisio, di alcune note riscontrabili sul manoscritto, questo sarebbe stato donato al monastero nel 1382 da Venceslao Sanseverino e da sua moglie Margherita di Sangineto, ai quali era stato forse donato l'anno precedente dal vescovo di Cerenzia, in Calabria, Tommaso, in cambio forse di un aiuto economico. Molto probabilmente, stando sempre agli indizi rintracciati dall'Adorisio, il codice fu trasferito a Roma nella biblioteca dei principi Borghese agli inizi del secolo XVII, per iniziativa forse del cardinale Scipione, nominato commendatario del Sagittario nel 1606. Nel 1891 la biblioteca dei Borghese fu acquistata dalla Biblioteca Apostolica Vaticana, dove appunto ora si trova il codice (7).
Nella biblioteca del Sagittario si conservavano anche libri di scienze naturali: il de Lauro, infatti, nella vita di Giovanni da Caramola, descrivendo il sito del suo eremo, si sofferma ad illustrare la flora ricca di erbe medicinali che vi cresceva spontanea, indicandone le specie "ut ab herbariis accepi". Nel monastero esistevano dunque volumi di erbari sicuramente collegati alla presenza di una spezieria, storicamente attestata e data come ancora esistente nell'atto di soppressione del 1807. Il de Lauro dà inoltre notizia di due codici liturgici sicuramente conservati nel monastero. Il primo, appartenuto al beato Giovanni da Caramola, era un libro di preghiere, descritto dal de Lauro come un "officiolum tabulis coopertum, in pergamenaceis paginibus manuscri-ptum", conservato come una reliquia nella chiesa del monastero. Un altro codice era invece costituito dal messale membranaceo contenente l'ufficio proprio del beato (8). L'Adorisio dà per scomparsi entrambi i due codici. In realtà, nel corso di alcune ricerche effettuate in occasione di una mostra sui monasteri italo-greci e benedettini della Basilicata promossa dalla Soprintendenza ai beni ambientali e architettonici della stessa regione, il secondo codice, contenente la vita e l'officio del beato Giovanni, è stato rintracciato fra i volumi dell'archivio della chiesa madre S. Giovanni Battista di Chiaromonte (9). Restaurato e gelosamente custodito dal parroco locale, il codice, databile al 1339, merita senz'altro uno studio specifico.
Al pari della biblioteca, anche l'archivio monastico è stato considerato per lungo tempo dagli studiosi, tra cui il Kehr (10), come irrimediabilmente perduto. In effetti, gravi conseguenze dovettero avere sulla conservazione delle carte gli eventi maturati nell'estate del 1528, quando il monastero subì l'assedio delle truppe francesi del Lautrec le quali, dopo aver scacciato i monaci, saccheggiarono ed incendiarono la chiesa ed il monastero. Ai danni provocati dalle truppe francesi dovette probabilmente unirsi la negligenza e lo scarso interesse dei monaci,
cui solo nel XVII secolo poté porre qualche riparo Gregorio de Lauro, abate del monastero per molti anni. Egli fu infatti incaricato da Ferdinando Ughelli, in quel tempo abate del monastero delle Tre Fontane a Roma, di riordinare l'archivio del monastero lucano. Il lavoro pazientemente eseguito dal de Lauro gli permise tra l'altro di redigere la storia del monastero insieme al catalogo dei suoi abati. Le due opere sono contenute nel Codice Barberino Latino 3247 presso la Biblioteca Apostolica Vaticana: nel 1995 Pietro Dalena ha curato l'edizione del Cathalogus (11).
Recentissimi studi e riscontri stanno permettendo di chiarire che la grave dispersione delle carte non ha significato affatto, come pure qualcuno aveva pensato, la loro scomparsa. Un gran numero di documenti sono stati infatti individuati in più istituti di conservazione. Una parte consistente è custodita nell'archivio dell'arcidiocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo. In base ai fatti ricostruiti dallo studioso Antonio Giganti, il materiale archivistico venne trasportato a Potenza in seguito alla soppressione del monastero, insieme agli archivi della certosa di San Nicola in Valle e del convento di San Francesco di Senise. Durante il secondo conflitto mondiale l'arcivescovo di Potenza ordinò che tutte le pergamene giacenti nell'episcopio potentino venissero trasferite nella biblioteca del Seminario Regionale per proteggerle da eventuale distruzione. Nel 1974 le pergamene furono riportate nell'attuale archivio arcivescovile (12). Nel 1996 esse sono state temporaneamente depositate presso l'Archivio di Stato di Potenza, dove è in corso il loro riordinamento e la loro schedatura, nell'ambito di un più ampio progetto concernente il censimento delle pergamene conservate negli archivi diocesani e in alcuni archivi parrocchiali della Basilicata (13). Le pergamene ammontano ad un numero complessivo di circa duecento, dalla più antica del primo giugno 1334 a quella più recente del 27 maggio 1735. Ci piace qui ricordare la perg. n. 52 del 10 giugno 1383 in cui Venceslao di Sanseverino, conte di Tricarico e Chiaromonte, concede all'abate del monastero del Sagittario che nessuno nel territorio di Chiaromonte osi edificare o riedificare mulini senza la preventiva licenza del predetto monastero: tutto ciò, in onore della Vergine e del beato Giovanni di Caramola. La pergamena attesta, pertanto, l'affermazione del culto verso il beato Giovanni, affiancatosi ormai a quello mariano.
L'archivio diocesano di Potenza conserva anche documentazione cartacea (secc. XV-XIX) proveniente dal monastero (14). Fra la documentazione dispersa ma rintracciabile sul territorio regionale va ricordato anche un istrumentario redatto fra il 1717 ed il 1718, conservato fra i volumi delle Corporazioni religiose dell'Archivio di Stato di Potenza (15) , piccola miscellanea raggruppante pochi documenti provenienti da alcuni enti ecclesiastici della regione soppressi nel periodo pre e post-unitario.
Pezzi importanti dell'archivio sono invece conservati fuori regione. Significative ad esempio le ricerche del monaco Damiano Leucci, le quali hanno permesso di individuare presso l'Archivio di Stato di Firenze, nel fondo Compagnie religiose soppresse da Pietro Leopoldo, una pianta dell'abbazia del 1707 e, presso l'archivio di Stato di Napoli, nel fondo conosciuto col nome Patrimonio ecclesiastico, raggruppante le carte della Commissione mista amministratrice del patrimonio ecclesiastico regolare, una platea redatta su richiesta dell'abate Gregorio De Lauro nel 1661 (16) e un inventario dei beni del monastero del 1807. Ancora, presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, fra le carte della Congregazione sopra lo stato dei Regolari, nel vol. 16, è stata rinvenuta la Relatione del Stato del Venerabile monasterio di S. Maria del Sagittario de Sacro Ordine Cistercense Anglonen. In conformità della Costitutione della Santità di N. S. Innocentio Papa X, pubblicata in Roma il dì 22 dicembre 1649, del 1680.
Si rende in tal modo più che plausibile un'ipotesi di ricostruzione, almeno sulla carta, dell'archivio monastico. Tale ricostruzione è per il momento iniziata sulla documentazione pergamenacea Uno dei problemi principali che a tal riguardo si stanno presentando, è quello relativo all'individuazione delle pergamene dell'archivio diocesano di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo provenienti dal Sagittario, confuse in unico blocco con quelle di altri monasteri e conventi soppressi della Basilicata. Una delle chiavi principali per la soluzione di tale problema è costituita, oltre che dal contenuto dei documenti, anche dalle annotazioni tergali. Le pergamene provenienti dal Sagittario, infatti, sono contraddistinte da etichette del secolo XVII, forse apposte dallo stesso de Lauro nel corso del suo lavoro di riordinamento, sulle quali sono annotate le date cronologiche e topiche con una brevissima nota sul contenuto delle carte e un numero progressivo in caratteri arabi. Ciascuna delle etichette reca inoltre stampigliato il timbro del monastero, consistente in un ovale con all'interno la lettera S maiuscola attraversata da una freccia. La presenza di tali etichette si rivela particolarmente preziosa nei casi in cui il contenuto del documento non rivela indicazioni utili all'individuazione della sua provenienza. È ad esempio questo il caso della pergamena n. 129 del 16 giugno 1433, nella quale Giovanna II nomina giudice a contratti Pietro de Alferio di Chiaromonte. Per una chiara svista, Antonio Giganti ha inserito questa pergamena nella sua edizione delle pergamene della certosa di S. Nicola in Valle di Chiaromonte: ma la presenza dell'etichetta tergale non lascia alcun dubbio sulla provenienza dal monastero del Sagittario.
I problemi tuttavia sussistono per quei documenti privi di qualsiasi nota di collocazione archivistica, e per i quali nemmeno il contenuto, in quanto spesso atti fra privati, è in grado di fornire suggerimenti di sorta. La difficoltà sembra comunque almeno in parte risolvibile con l'aiuto della documentazione cartacea che si affianca a quella pergamenacea. Ci riferiamo soprattutto alla già citata platea del 1661, la quale nella prima parte contiene, oltre ad una nota sull'origine e l'istituzione dell'abbazia, la trascrizione del relativo cartulario.
Una metodologia scientifica, quest'ultima, che ha già rivelato la sua utilità nel recente lavoro condotto da Carmine Carlone sui documenti della Certosa di San Lorenzo di Padula, edito nel 1996 (17). Lo studioso è infatti riuscito a ricostruire gran parte dell'archivio certosino, come quello del Sagittario in parte perduto e in parte disperso fra diversi istituti di conservazione, mettendo insieme i regesti di tutti i documenti da lui individuati, fossero essi originali o copie riportate in registri e incartamenti settecenteschi e ottocenteschi. Una metodologia che a nostro avviso induce a riflettere sull'importanza che le fonti archivistiche di epoca moderna spesso possono rivestire per gli studi di carattere medievistico soprattutto in un'area, come quella dell'Italia meridionale, che, come riconosce Giovanni Vitolo nella presentazione del lavoro del Carlone, ha conosciuto "una dispersione della documentazione di dimensioni incomparabilmente superiori rispetto al resto dell'Italia".





Note

1 Cfr. Il disegno del territorio. Istituzioni e cartografia in Basilicata. 1500-1800, a cura di G. Angelini, Bari, Laterza, 1988, pp. 121-122.

2 Archivio di Stato di Potenza, Tribunale civile di Basilicata, Perizie e atti istruttori, b. 39.

3 Sulla storia del monastero cfr. H. Houben, Basilicata, in Monasticon Italiae, vol. III: Puglia e Basilicata, a cura di G. Lunardi, H. Houben, G. Spinelli, Cesena, Badia di Santa Maria del Monte, 1986, pp. 182-183; F. Caputo, Chiaromonte, l'abbazia cistercense di S. Maria del Sagittario, in Ministero per i beni culturali e ambientali, Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici della Basilicata, Monasteri italogreci e benedettini in Basilicata, a cura di L. Bubbico, F. Caputo, A. Maurano, Matera, 1996, vol. II: Le architetture, pp. 73-79; P. Dalena, Basilicata cistercense. (Il codice Barb. Lat. 3247), Galatina, Congedo, 1995, pp. 7-43; F. Elefante, Luoghi sacri, casali e feudi nella storia di Chiaromonte, Rionero, Litostampa Ottaviano, 1988, pp. 7-32.

4 Cfr. N. Cilento, Insediamento demico e organizzazione monastica, in Potere, società e popolo nell'età dei due Guglielmi. Atti delle quarte giornate normanno-sveve. Bari-Gioia del Colle, 8-10 ottobre 1979, Bari, Dedalo, 1981, pp. 196-198.

5 D. Negri, Abbazie cistercensi in Italia, Pistoia, 1981, p. 227.

6 Cfr. D. Leucci, Santa Maria del Sagittario. Inventario dei beni nell'atto di soppressione in data 26 febbraio 1807, in "Rivista cistercense", a. X, n. 3, 1993, pp. 257, 260, 261, 272, 277.

7 Cfr. A. M. Adorisio, Dinamiche librarie cistercensi: da Casamari alla Calabria. Origine e dispersione della biblioteca manoscritta dell'abbazia di Casamari, Casamari, Edizioni Casamari, 1996, pp. 55-80.

8 Ivi, pp. 57-58.

9 Cfr. F. Caputo, art. cit., p. 73.

10 Cfr. P. F. Kehr, Italia Pontificia (Regesta Pontificum Romanorum... cong. P. F. Kehr), VIII: Regnum Normannorum-Campania, Berlin 1935; IX: Samnium-Apulia-Lucania, Berlin, ed. W. Holtzmann, 1962, p. 471.

11 Cfr. P. Dalena, op. cit.

12 Cfr. A. Giganti, Le pergamene del monastero di S. Nicola in Valle di Chiaromonte (1359-1439), Potenza, Deputazione di storia patria per la Lucania, 1978, pp. V-VIII.

13 Il progetto è stato promosso nel 1995 dalla Deputazione di Storia Patria della Lucania e finanziato dal Ministero per i beni culturali e ambientali. Approvato dalla Soprintendenza archivistica per la Basilicata e dall'Ufficio centrale per i beni archivistici, il progetto culminerà nella pubblicazione di una guida-inventario: cfr. Vita della Deputazione, a cura di V. Verrastro, in "Bollettino storico della Basilicata", 14, 1998, p. 237.

14 Cfr. L'Archivio diocesano di Potenza e Marsico (continuazione), in "Rassegna storica lucana", 25-26, 1997, pp. 197-206.

15 Cfr. Archivio di Stato di Potenza, Corporazioni religiose. Opere Pie. Inventari, a cura di V. Verrastro, Potenza, Ermes, 1996, p. 40.

16 Cfr. D. Leucci, La platea, una descrizione e la pianta del Sagittario, in Monasteri italo-greci e benedettini... cit., pp. 85-87.

17 Cfr. I regesti dei documenti della certosa di Padula (1070-1400), a cura di C. Carlone, Salerno, Carlone Editore, 1996.



tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 2000

Autore: Valeria Verrastro

 

[ Home ]  [Scrivici]