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ANTONIO FRABASILIS - da "La Basilicata nel Mondo" (1924-1927)

Antonio Frabasilis nacque il 28 gennaio del 1854 ad Episcopia, e compì il corso della sua vita mortale, che fu venturosa e luminosa, in Napoli, ai 31 di marzo dell’anno volgente.
La sua personalità è una delle più rappresentative e costruttive, che siano apparse in questi tempi più vicini a noi nella nostra Provincia. Nobile di sangue e di animo, forte di ingegno, saldo di carattere e di cultura, poliglotta formidabile, universale, e umanista perfetto, filosofo acuto e poeta delicato e gentile, storico, scrittore e traduttore, cavaliere dell’ideale, patriota integerrimo, Antonio Frabasilis ha lasciato il fuoco del suo cuore e della sua passione purissima, su tutta la multiforme azione della sua esistenza, che fu, nel senso più completo dato alla parola da Paolo di Tarso: milizia.
Vita nihil aliud est nisi militia
E come un milite seppe lottare, soffrire e trionfare.
Egli era il primogenito del Duca di Castelsaraceno, Marchese di Garaguso, Barone d’Agromonte ecc. e dal padre aveva ereditato, insieme con l’animo grande, il titolo nobiliare della sua famiglia. La natura lo aveva dotato maravigliosamente delle doti più elette. Sicché egli rinverdì con lo scintillio del suo ingegno e la purità della sua vita la gloria della nobiltà millenaria della sua stirpe. E interessante seguire un po’ attraverso i suoi maggiori esponenti I’albero genealogico della famiglia Frabasilis, che è senza dubbio tra le più illustri della nostra Regione.
Il capostipite della Casa, fu Antonio Basilis (1054-1143), che per le sue virtù civili e militari fu nominato, nel 1121, dall’imperatore di Bisanzio Giovanni II°, Governatore civile della contea di Lucania, che comprendeva buona parte della odierna Basilicata.
Segue un altro Antonio Basilis (1130 -1215) che Emanuele 1° nominò Barone di Cerda. Nel 1202, un Angelo Basilis partecipa alla crociata di papa Innocenzo III°. Nel 1381, Carlo III° di Durazzo manda un Antonio Basilis ambasciatore al papa. Re Ladislao di Napoli conferisce alla famiglia, nel 1408, insignendone un Angelo Basilis, che visse dal 1375 al 1451, il titolo ereditario di Marchese di Garaguso. Alfonso 1° di Aragona concede il titolo di Duca di Castelsaceno ad Antonio Basilis (1403-1498); e lo stesso è nominato dal Pontefice, nel 1455, Gran Maestro di Rodi.
Ma come crescono le benemerenze dei Basilis, così re e papi fanno a gara per accrescere il lustro e i titoli della famiglia, che, ininterrottamente, nel flusso dei secoli e delle dominazioni, vive tra gli armeggi della politica e il succedersi delle guerre, nel fasto delle corti e sotto le tende dei campi di battaglia, generando inesauribilmente uomini di gran valore e di grande dottrina, letterati e guerrieri, uomini di pensiero e uomini di azione, diplomatici ed ecclesiastici.
Nel 1567, Papa Pio V° nomina un Antonio Basilis (1529 -1611) — è da notare che i due nomi ereditari e tradizionali della famiglia sono Antonio ed Angelo, che si succedono senza interruzione in tutta la genealogia — Barone di Agromonte.
Nel 1622, avviene un mutamento nel cognome della illustre famiglia.
Muore il cardinale Francesco Basilis, dell’ordine dei Benedettini, uomo di grande mente e di dottrina profonda. E al casato dei Basilis si premette il Fra, in omaggio al principe defunto della Chiesa. Da allora, i Basilis divengono Frabasilis. Le fortune della famiglia crescono ancora. Carlo III° di Spagna la insignisce del principato di Moliterno, nel 1720; Carlo VII°, Ferdinando IV°, Gioacchino Murat, hanno in grande onore i Frabasilis, i quali, nel 1824, con rescritto regio di Ferdinando IV°, dopo la restaurazione borbonica a Napoli, ottengono ancora il titolo di Duchi di Pietrapertosa.
La rivoluzione italiana trova i Frabasilis tra i più convinti e ferventi assertori dell’unità della patria. Angelo Frabasilis (1822-1910) è garibaldino dei Mille della impresa leggendaria e si distingue per eroismo nella lotta contro il brigantaggio. E in mezzo alla vasta, squillante epopea dell’ Unità Italiana, il nostro Antonio Frabasilis forma la sua anima italianissima e trascorre l’adolescenza pensosa, tra gli entusiasmi per le vittorie dei liberatori d’Italia e in severo raccoglimento di studi, nei quali egli ravvisò sempre il nuovo splendore del suo casato secolare.
Nella sua infanzia, ricordiamo il seguente episodio, che è come il segno del destino, in tutta la sua vita.
Egli aveva appena cinque anni, quando Garibaldi fece visita al padre, nell’avita casa di Moliterno. La vita dell’eroe infiammò l’anima precocissima del fanciullo, che si accese di passione per la libertà. E, appena Garibaldi si fu accomiatato, il piccolo Antonio fuggì di casa, per seguire il Liberatore. Subito rintracciato e fermato, fu ricondotto come un prigioniero a macerare il suo ardor bellicoso, nella casa del nonno, uomo di carattere austero e di grande dottrina, al quale egli dovè la solida base della sua cultura, e che, fin da quando aveva tre anni, gl’insegnava a parlare il greco e il latino.
La vita di Antonio Frabasilis è così densa di fervore e di azione, che solo schematicamente se ne può seguire lo svolgimento e la continua ascensione. E noi questo faremo, sulla scorta dei dati cronologici.
Egli fa i suoi studi regolari nel Collegio “Torquato Tasso,, di Salerno, ove lo troviamo iscritto dal novembre del 1861 al luglio del 1869. Nel settembre del 1873, all’Università di Napoli, egli consegue la laurea in lettere e in filosofia. Ogni anno, così durante i corsi di studi secondari, come all’Università, Antonio Frabasilis veniva encomiato e premiato per il suo profitto negli studi con medaglie d’ oro e d’ argento e con pubblici elogi dei professori. Egli incomincia subito la sua carriera professionale, nella quale si afferma maestro, nel senso più illuminato della parola. Dall’aprile del 1873 all’agosto del 1874, è interprete di paleografia e diplomatica agli archivi di Stato partenopei, e, contemporaneamente, professore di lettere greche e latine nel Liceo napoletano “Cristoforo Colombo,,. Nel settembre del 1874, si reca in Grecia, attrattovi indubbiamente dal fascino che la patria immortale dell’arte e della poesia esercita sui cultori di classicismo. Insegna privatamente, e fa il traduttore ad Atene, ispirandosi a poetare e a filosofare sotto l’ombra eterna del Parthenone. DaI 1875 al 1889 è professore di lingue nel Regio Collegio “Varvakion,, della capitale greca. Gli ateniesi lo considerano un saggio, un virtuoso, un veggente. Lo circondano di stima e di venerazione. Forma discepoli, come ne formavano i grandi maestri dell’antichità ellenica. Insegna lingue antiche e moderne a tutti i membri del Corpo diplomatico delle Potenze ad Atene, fra cui sono Lord e Lady G. Wyndham, Sir Edwin Corbett, Sir I. Ford e Miss Ford, della Legazione britannica.
Alla Legazione austro-ungherese insegna al conte e alla contessa Dubski, al conte e alla contessa Chotterk. Alla Legazione italiana, ha fra i suoi discepoli il marchese Curtopassi, il conte A. Maffei, il conte A. Velini, il cav. R. Cantagalli, il comm. A. Panza, il cav. A. Baglio. Alla Legazione tedesca, ha l’onore di apprendere lingue al principe di Bulow, al barone Hirschfeld, ad Herr won Holdemberg. Alla Legazione turca, è maestro di Riza Bey, di Aziz Bey, di Alfred Bey, alla Legazione degli Stati Uniti insegna al generale Meredith Reed.
Dalle Legazioni passa alla Regia, dai diplomatici ai re. La Legazione britannica di Atene lo nomina sue traduttore ufficiale, dal 1876 al 1879; contemporaneamente, e nominato professore di lingue della Regina Olga di Grecia. Dal 1879 al 1885, è membro della Commissione dei concorsi per la nomina dei professori nelle scuole greche. E, come se tanta mole di lavoro non bastasse alla instancabilità, alla fertilità vulcanica del suo ingegno, diviene corrispondente dalla Grecia di molti giornali, sopra tutto italiani e spagnuoli, ai quali invia articoli pregevolissimi per bontà e originalità di contenuto, elettezza e purezza di forma, scintillio di immagini e di frase, acutezza di dottrina e di osservazioni. Nel campo del giornalismo, diventa così subito autorevole e popolare. Dal gennaio 1879 al maggio 1885, fonda e dirige in greco il quotidiano politico “Akropolis,, che conquista tutto il pubblico migliore di Atene ed è il miglior commentario ed annotatore degli avvenimenti della politica ellenica di quegli anni. Il governo greco lo nomina, per i suoi meriti speciali, bibliotecario e recensore della Biblioteca nazionale di Atene. Poco dopo, è nominato anche traduttore generale alla suprema corte di giustizia ateniese.
Ma la nostalgia della Patria lo riprese, indi a poco. Fors’anche la volontà di quiete. Tornò in Italia. E, dal 1889 al 1892 si occupò di speciali, pregevolissimi e interessantissimi lavori letterari e statistici nelle principali biblioteche italiane, per commissione del nostro governo.
Trascorre quindi un periodo di tempo nella sua Basilicata natia. Ma il fervore di opere e di iniziative, che sono l'alimento comune del suo spirito, lo persegue dovunque, non gli concede tregua. Egli ha sempre bisogno di pensare, di studiare, di lavorare. Non vuol perdere un giorno. Fonda e dirige, a Moliterno, dal 1892 al 1894, il Collegio “Petruccelli,,. Dal 1894 insegna lingue classiche e moderne nel Collegio “Silvìo Pellico,, di Viggiano. Torna quindi a Napoli, dove dà lezioni private e attende a varie traduzioni e a lavori letterari originali.
L’ inquietudine del suo spirito, lo porta di là dall’Oceano, negli Stati Uniti di America. Dal 1900 al 1902, dirige a New-York “L’Araldo italiano,, fondato dal Comm. Giovanni Vicario, nobilissimo organo di italianità. Nella grande città americana, in un più vasto mondo, il suo ingegno e il suo spirito rinnovano il successo che già si ebbe nella capitale greca. Dal 1902 al 1903 è professore di inglese ai greci di New-York, nella scuola pubblica N.o %. Fino all’ottobre 1904 è bibliotecario e recensore nella biblioteca di New-York. Sulla fine di quell’anno, la compagnia poliglotta Park Row lo assume come suo traduttore. Questa carica insigne, Antonio Frabasilis la tenne ininterrottamente, magistralmente, sino al 1926.
Il suo patriottismo italiano s’impone all’ ammirazione degli americani, specialmente durante la guerra, il nostro Ministero degli Esteri lo nomina conferenziere per la propaganda italiana in America. Ottiene successi entusiastici, deliranti. La sua parola è di fuoco, come il suo spirito. Il Ministero americano di immigrazione lo nomina interprete. E diviene interprete anche alle corti di giustizia di New-York.
E quest’opera immensa è tutta pervasa dalla luminosità del suo spirito, dalla forza del suo talento maschio e inesauribile.
Antonio Frabasilis ha lasciato una numerosa collana di volumi, in varie lingue, in cui si occupa di storia, di politica, di letteratura, di arti con una freschezza di stile e un acume di critica, che sbalordiscono.
Noi non abbiamo i dati precisi per riportare l’elenco completo delle sue opere principali, e rimandiamo i lettori al “Dizionario degli scrittori contemporanei di Angelo De Gubernatis e alle Enciclopedie di Hoepli, di Sonzogno, di Boccardo, che dell’opera A. Frabasilis fanno degna menzione.
Ma, a dare un giudizio del valore delle sue opere sulla storia e sull’arte di Grecia, che può lumeggiare il valore di tutte quante le opere di lui, riportiamo il seguente brano della “Gazzetta Ufficiale,, di Atene, in data del 10 settembre del 1879: “La Camera dei Deputati dichiara le opere del professore A. Frabasilis sulla Letteratura e sulla Storia della Grecia essere di valore nazionale e, per questo, decreta che esse vengano pubblicate a spese dello Stato.
Re Giorgio di Grecia volle personalmente esprimere ad Antonio Frabasilis il suo regale compiacimento. Lo ricevette affettuosamente alla Reggia, da uguale ad uguale, il 15 novembre del 1879, e lo decorò dell’ordine reale del Salvatore “per gli eminenti servigi resi alla Letteratura, alla Lingua, alla Storia di Grecia, tanto antiche che moderne,, come dice la lettera reale, che accompagna il diploma.
Il grande scrittore americano Booth Tarkington, presentandolo al suo editore, così scriveva di lui: “Il mio caro amico Prof. A. Frabasilis conosce a fondo tutte le lingue e i dialetti che esistono, e se ne inventassero una nuova oggi, domani egli la potrebbe insegnare,,.
Molte, forse il maggior numero delle opere di Antonio Frabasilis sono traduzioni. Egli era convinto che la comunione di pensiero fra popolo e popolo è il maggior viatico di fratellanza universale e di civiltà. I popoli devono comprendersi, devono conoscersi, per reciprocamente stimarsi. Tradusse, quindi, in tutte le lingue che conosceva, cioè tutte, presso a poco.
Ma fu anche fecondo scrittore originale, di molta forza e di grande efficacia, come fu poeta ispirato, profondamente dolce e sincero. Delle poesie, ch’egli ha lasciato, sono particolarmente e suggestivamente belle e semplici quelle scritte per i bambini, verso i quali egli era attratto dal suo misticismo cristiano:
“Sinite parvulos Venire ad me,,. Egli amava comunicare con l’anima pura dei pargoli. Ricordiamo di Lui una poesia di immensa bellezza, scritta per la sua bambina diletta, Italia Maria, ora consorte dell’ex ministro greco Papadakis, il cui figlio ha ereditato l'ingegno potente del nonno materno, la quale poesia arieggia il candore pascoliano.
E la bimba che parla e dice alla sua bambola, come in sogno:
“Com’ è bella la mia bambola! quasi quasi più bella di me!,,.
 
I trionfi della sua vita furono immensi. Lavorò, lottò, ma ebbe anche grandissime soddisfazioni morali e ideali. La sua anima di apostolo ebbe slanci e parole ispirate per tutte le cose belle, e pure e grandi.
Alla morte di Giuseppe Garibaldi, Lui, quasi ancora bambino, fu così colpito, nel cuore e nella fantasia, dalla scomparsa dell’ Eroe che aveva di sé solo colmata l’epopea di due popoli, da pronunciare sull’ evento funebre, improvvisandolo, un discorso tutto pieno di poesia e di pensiero, che meravigliò tutti e fece epoca. Era un lavoratore indefesso. Pensava e produceva con rapidità vertiginosa, stupefacente. Aveva tutti i caratteri della genialità. Ricordava lo spagnuolo poeta Calderon de la Barca. In una notte sola, tradusse dal greco in italiano, con una perfezione di lingua e una fedeltà di pensiero sorprendenti, il dramma in cinque atti “Galatea,, che il grande attore Ernesto Rossi portò ai massimi trionfi sulle scene ateniesi.
I maggiori uomini di tutte le Nazioni, del tempo che fu suo, lo ebbero in grande stima e ne cercarono l'amicizia. Ricordiamo: Giovanni Bovio, Ferdinando Russo, Federico Verdinois, Michele Kerbaker, Teodoro Momsèn, l’Abate Perrone, i due fratelli Linguiti, (i due gemelli che si somigliavano, tanto che a Salerno hanno elevato alla loro memoria un solo monumento, col nome di tutti e due sullo zoccolo) Ruggero Bonghi, Paolo Emilio, Vittorio e Matteo Renato Imbriani, il Minervini, Giovanni Verga, Achille Torelli, Francesco De Sanctis, l’abate Bonazzi il professore Ambrosoli, ecc. ecc.
Il suo spirito era sempre pronto, il suo ingegno non era mai stanco. Il lavoro lo esaltava.
Quando Umberto 1° cadde vittima della ferocia di Bresci, nel parco di Monza, Antonio Frabasilis era a New-York a dirigere “L’Araldo italiano,,. Apprese la fatale e ferale notizia, alle due di notte, mentre rincasava. Immediatamente, fece svegliare i tipografi, e, da solo, scrisse tutta un’edizione speciale del giornale, che, composta entro la notte, con rapidità fantastica, fu messa in vendita con un successo fantasmagorico, per le vie di New-York, alle sei del mattino, prima che la città si svegliasse, e quando solo negli ambienti ufficiali la notizia era nota.
Di tempra fortissima, il male lo schiantò, all’ improvviso, come fa la folgore con le querci gigantesche. Il grande cuore, la sua nobiltà di animo, uguale soltanto a quella dei natali, la adamantina purità di tutta la sua vita, il suo patriottismo, il suo talento avvincevano. La sua figura fisica imponeva venerazione, soggiogava con la limpidezza acuta degli occhi vivissimi, con la maschia bellezza della testa leonina del pensatore. Ebbe fede da apostolo, slanci da poeta. Con Antonio Frabasilis è mancata al mondo un’anima universale.
Quando lo colse la morte, egli attendeva a un lavoro gigantesco. Esso doveva constare di 400 e più tavole trigonometriche, ognuna delle quali comprendeva 1757 operazioni di seconda e terza equazione.
Non poté finirne che 300.
Non è larga forse la sua fama fra gli uomini, perch’egli disdegnò sempre il rumore mondano. Ma grande è l’opera, grande l’esempio ch’egli lascia. Dovunque è passata la sua anima ha lasciato una traccia di luce. Ed è testimonianza eloquente il reverente affetto dimostrato alla sua memoria, da quanti ebbero la ventura di avvicinare in vita, così in Italia, come in Grecia, come in America, la sua patria adottiva, questo genio italo-ellenico, che, rinnovellando in sé tutte, le virtù migliori della sua stirpe millenaria, ha cinto di nuovo fastigio la gloria del suo nome e quello della sua vecchia e salda terra di Basilicata.
Dobbiamo alla bontà della Contessa Giuseppina di Castelvecchio Frabasilis, che è una Bonaparte, che di Antonio Frabasilis fu la compagna eletta e diletta, e che del grande Consorte spento serba vivo nell’anima il culto, i dati, sui quali abbiamo tessuto queste rapide note sulla vita di lui. E alla stessa Gentildonna, che porta tutto chiuso nel cuore l'immenso doIore, dobbiamo anche i seguenti aneddoti, che lumeggiano e danno rilievo alla universalità del cervello e della conoscenza linguistica dell’insigne Uomo scomparso.
La Contessa di Castelvecchiò Frabasilis fondò a New-York, durante la guerra, un aristocraticissimo Club “Le Salon,, ch’era convegno sicuro di tutti gli Alleati ivi residenti. Ogni settimana, ella vi dava un ricevimento di gala, ai quali soleva intervenire il fior fiore della società newyorkese. Ad una di queste feste, fu da lei invitata Lady Mc. Kenzie, che era tornata di fresco dalla sua spedizione nell’interno dell’Africa Centrale, e alla quale molto era stato parlato di Antonio Frabasilis e della sua fenomenale virtù di poliglotta.
— Ma io, disse Lady Mc. Kenzie, rivolta alla Contessa di Castelvecchio, conosco una lingua, che egli certo non sa. —
— Può darsi, rispose amabilmente la Contessa, che una gliene sia scappata. — In quel momento stesso, Antonio Frabasilis entrò nella sala, e fu presentato dalla consorte a Lady Mc. Kenzie. Questa, di punto in bianco, gli rivolse la parola nel dialetto dei Baldu-balù, tribù dei jungles dell’Africa Centrale. Senza scomporsi, fra la maraviglia di tutti e lo stupore della celebre viaggiatrice, Antonio Frabasilis rispose in quel dialetto, come se parlasse italiano....
Un’altra volta non riusciva al Governo Americano decifrare una strana lettera sequestrata dalla polizia. La missiva era stata mandata in giro, per 22 mesi, ma nessun interprete, nessun traduttore nessuna università o collegio l’aveva potuta decifrare.
Fu rimandata a Ellis Island, e, finalmente, affidata al Frabasilis. In un’ora e mezzo, egli la decifrò e la tradusse in inglese. Era scritta in un miscuglio di turco e di armeno, con caratteri di tre dialetti russi e polacchi. E si trattava di un accordo, che volevano stringere due ditte di importazione ed esportazione per frodare le dogane.
Di Antonio Frabasilis riportiamo qua, in fine, come il suo congedo dalla vita, l’ultimo scritto, eccetto l’epigrafe pel caro e compianto cugino Vincenzo Sassone Augusto dettata, si può dire, coll’ultimo fiato, un sonetto a Benito Mussolini, improvvisato in meno di un quarto di ora, nel novembre del 1926, sulle stesse rime del sonetto al duce del dottor Felice Costa, che gli veniva letto d'un numero del “Giornale del Podestà,, di Roma.
Eccolo, splendido nella sua compostezza classica, che par fatto dallo scalpello di Fidia:
 
Augusto l’alma, Napoleone il volto
Davano al Duce delle invitte schiere.
E la magia delle camice nere
Cangia in eroe ogni esser vile o stolto.
 
Del nostro Duce il nome in ogni fiera
Lettera ha un raggio ch’ogni cuore scuole;
E del Suo genio le Cesaree note
Di Roma ispiran la virtù più austera.
 
Cesare il gesto, l’anima, il pensiero.
Nel forte pugno Iddio gli pose il fato
Di questo suol che del suo Duce é altero.
 
Iddio protegge il nostro sommo Duce,
Ch’ogni viltà, ogni vizio ha omai fiaccato,
E irradia Italia di Romana luce.

Questa la mente, questo il cuore d’ eccezione che ebbe Antonio Frabasilis. Raccogliamoci reverenti nella memoria di Lui, teniamone vivo l’esempio come una fiamma votiva.

FERD. SANT.

Autore: da "La Basilicata nel Mondo" (1924-1927)

 

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