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Santa Maria della Neve in Laurenzana

Santa Maria della Neve è la denominazione del convento francescano sorto nel 1473, come dice la storia, sul Piano delle Conche nei pressi di un'antica cappella detta di San Niccolò, in territorio di Laurenzana.
La data è la stessa di quella di una bolla pontificia, "Ex suprema dispositione", emanata da Sisto IV per sancire, con delibera congiunta, l'approvazione dell'apertura di un convento ad Aieta ed a Laurenzana.
In realtà, se l'apertura ufficiale di un convento francescano a Laurenzana avviene solo alla fine del '400, il passaggio dei frati "zoccolanti" su queste terre risale a non molti anni dopo il 1232 e, quindi, pressoché alle origini del movimento religioso avviato da S. Francesco di Assisi.
Oggettivi riscontri non lasciano troppi dubbi: i francescani sarebbero giunti sul Piano delle Conche verso la metà del '200, portandovi insieme a quella per San Francesco la devozione per Sant'Antonio, il nuovo grande santo della già grande famiglia del "poverello" di Assisi.
I francescani, tuttavia, erano solo gli ultimi arrivati, perché la montagnola dei Santi Quaranta (denominazione con la quale viene indicata la zona sottostante), aveva probabilmente conosciuto altri passaggi, diventando, come in gergo si dice, "stazione eremitoriale".
Relitti di sostrato culturale, relitti di sostrato linguistico, analisi comparate, tracce di "cose" echi nella leggenda ed un addentellato storico inducono,, con buona certezza, a pensare che i primi a porre piede sullo stesso posto siano stati i Basiliani, giunti da quella parti sul finire del X secolo, in anni turbinosi scanditi dalle alternanze violente di Longobardi, Bizantini, Saraceni e Normanni.
Furono quasi certamente i Normanni a rimuovere gli antichi monaci di rito greco da Laurenzana e dal Piano delle Conche, non già per motivi religiosi, quanto piuttosto per voglia di nuove terre, anche se fu sempre vezzo dei cronisti Basiliani bollare con l'epiteto di saraceno ogni nemico disturbatore.
Effettivamente, l'antico colle che dal torrente S. Pietro passa ai Santi Quaranta e sale su al Piano delle Conche e di San Niccolò per poi procedere sino ai Piani di Santa Maria ed alla Tempa Koriana appare come uno degli angoli più ameni del territorio e sembra proprio rievocare le immagini di lontane e sparse "skiti" basiliane, che ivi portarono conforto e tecniche agricole alle popolazioni martoriate dagli sconvolgimenti, politici e naturali, negli anni a cavallo del primo millennio.
Costituiscono ancora significativa testimonianza sull'amenità del Piano delle Conche, la deposizione stupita di un vegliardo, inclusa d'ufficio negli atti della "Positio super cultu Beati Aegidii a Laurentania", e l'amabile espressione di Padre Bonaventura da Laurenzana, il quale definisce l'entrata in convento del novizio francescano un "imparadisarsi sulla terra". Rieccheggiano, entrambe, il classicismo quattrocentesco, depurato dalla spiritualità francescana di San Berardino da Siena, ma un tantino enfatizzata dall'anima secentesca
Con l'avvento, intanto, della denominazione normanna, la cappella di San Niccolò rimase abbandonata ed i terreni delle Conche divennero proprietà feudale, prima dei conti di Chiaromonte, poi di quelli di Gravina.
Le cose cambiano in età sveva.
Nelle "memorie" francescane di Santa Maria della Neve, testimoniate dall'affresco di cui ci stiamo occupando, scopriamo un sorprendente e giovane Manfredi, conte di Gravina, sancire con una sua visita alla miracolosa chiesetta di San Niccolò la presenza legittima dei francescani su quel lembo di terra.
Il gesto di Manfredi sembra un atto riparatore sull'onda commossa di un'entusiastica volontà popolare, che intendeva ed auspicava veder ripiantato un albero reciso, ma forse quello dello svevo fu solo un atto politico nel tentativo di conquistare credibilità e consensi.
Null'altro possiamo dire, tranne che la storia francescana di quella stazione eremitoriale scompare per due secoli nelle brume soffocanti della denominazione angioina, nella faide accecanti dei conflitti coi durrazzeschi e negli anni avvilenti delle smodate mire di Giovanni Caracciolo, conte di Venosa e Matera ai tempi turbinosi della regina Giovanna II.
La storia, pressoché anonima e leggendaria, degli itineranti francescani, emerge limpida sul finire del '400 con un nome e l'apertura deliberata di un convento: Santa Maria della Neve.
Il nuovo secolo si apre con la presenza umana di Fra Egidio da Laurenzana (1443-1518), con la presenza istituzionale degli Orsini di Venosa; procede con la deliberazione ecclesiastica di Sisto IV (Ex suprema dispositione) e con l'operosità amanuense dei frati di Santa Maria; si chiude con le focose polemiche degli anni ottanta, adombrate nel carteggio tra Padre Pietro da Napoli e Raimondo Orsini, che inducono a pensare ad un contrasto tra conventuali e spirituali.
Del vecchio insediamento resterà solo ricordo nell'affresco anonimo del "corrituretto" che simbolicamente cucirà, in un modo indissolubile, i tempi "eroici" del '200 con i tempi "critici" della storia quattrocentesca.
La figura di Frate Egidio di Laurenzana, al secolo Berardino Di Bello, ha sollevato, dietro la spinta di una fitta serie di testimonianze popolari, un forte interesse di natura religiosa nel territorio appulo-lucano, interesse accentuatisi sei anni dopo la morte, quando il corpo del frate riemergerà incorrotto ed attorno sul suo ricordo cresceranno i segni di una santità "muta", ma incredibilmente operosa, che faranno di lui il Beato della Terra di Laurenzana.
Il '500 è per Santa Maria della Neve il secolo più tormentato della sua storia "interna", per via del doloroso e contrastato passaggio dagli Osservanti ai Riformati, un passaggio avvenuto di fatto nel 1593.
Nel '600 la scelta fu difesa strenuamente dai promotori della Riforma e, sul finire, da P. Bonaventura da Laurenzana, che avviò, tra l'altro, le procedure per la causa di beatificazione del Beato Egidio accompagnate dalla pubblicazione di una Vita del Beato e di una breve storia di quei conventi della provincia, che avevano deciso il diverso corso della regola.
Molte sono le figure di francescani laurenzanesi che espressero valori di santità, la storia dei quali ha trovato sufficiente spazio nel volume "Santa Maria della Neve in Laurenzana - la vicenda di un insediamento francescano sepolto" (1995).
Nei secoli successivi, il convento dei Riformati in Laurenzana vede avviarsi il suo lento ma inesorabile declino, stretto nella morsa della frattura sociale e dei valori nuovi della cultura "borghese", mai perdendo, tuttavia, il favore popolano.
Lo raggiungeranno, successivamente, i decreti di soppressione napoleonica prima e quella del governo dell'Italia unita, poi.
Restava, tuttavia, un tempio di memorie. Ma anche questa sua funzione presto scompare sul finire del secolo, quando problemi cimiteriali e "diaspora" lucana determineranno la nuova destinazione d'uso dell'antico complesso. La chiesa verrà demolita, il chiostro verrà sepolto e di Santa Maria della Neve scomparirà persino il nome.
Oggi l'antico convento è ritornato prepotentemente alla luce con la risposta delle "antiquissime pitture a fresco del corrituretto", opera pregevole di un ancora ignoto pittore che ivi la produsse in data certamente anteriore al 1527.
Ma quelle del pittore del "Corrituretto", non sono le sole tracce superstite dell'arte francescana a Santa Maria della Neve. Monumenti di valore storico e di pregio artistico resistono ancora in talune vele del chiostro che meglio hanno retto all'aggressione dell'incuria ed alla indifferenza degli occupanti. Sono ancora riconoscibili tra queste taluni episodi della vita di San Francesco e del Beato Egidio da Laurenzana.
Dopo la complessa e problematica questione storica posta dal Beato Egidio da Laurenzana, risolta a suo tempo con la formula disarmante del "Santo dei fatti e non delle parole", il Pittore del "Corrituretto" apre una sorte di piccola questione omerica, ove luoghi, tempi ed identità sono tutte cose da definire sullo sfondo di un volto paradossalmente presente e battezzabile, ma incredibilmente mitico e al di fuori di ogni anagrafe.
Ma il Beato Egidio ed il Pittore del "Corrituretto" sembrano oggi far rinverdire un lungo sogno e, se vogliamo, un vecchio teorema. Essi riemergono, infatti, come altre figure della Basilicata storica, grandi ed a un tempo fragili. Posseggono la purezza dell'acqua sorgiva e la fragilità delle scaturigini, che scompaiono di schianto in quei "petrosi" torrenti che non raggiungono mai i grandi fiumi della storia. ma, fatto strano, trasmettono agli occhi di chi li scopre gli uguali ed irresistibili connotati dell'immortalità.

Autore: da: storia e metastoria nelle "antiquissime pitture a fresco" del "corrituretto"

 

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