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SASSANO - LA STORIA

Per Sassano, come del resto per altri paesi del Vallo, risulta quasi impossibile tracciare le linee d’origine, sia per il silenzio che avvolge le nostre zone dalla caduta dell’impero Romano fino all’anno mille, sia per essere stata la nostra comunità per lunghi secoli legata alle vicende del più ampio Stato di Diano in maniera tale che la nostra storia si fonde e confonde con questa più vasta entità territoriale. Ma il fatto che i primi documenti in cui compare il nome di Sassano partono dall’anno mille non esclude che, prima di tale data,
territorio dove attualmente si estende il nostro Comune ci sia stato un nucleo abitato, anche se non molto consistente. con i Longobardi, con i Normanni, e con maggi ore incidenza, con i monaci itali-greci, comunemente chiamati Basiliani, che si gettano le basi del nostro Comune, ma già prima doveva esistere qualcosa. Non si hanno molte prove per affermare con sicurezza tale ipotesi, ma gli indizi sono a favore di essa. Se per l’antichità parlassimo di spopolamento totale nel territorio di Sassano, dovremmo affermare che almeno all’epoca romana, mentre nel versante che va da Atena a Montesano avevamo un fitto e continuo sviluppo urbano, viceversa nel versante opposto si aveva un completo deserto da Teggiano fino a Sanza, dal momento che Buonabitacolo come sappiamo risale al 1333.
Invece i ricercatori locali e nazionali parlano di lapidi con epigrafi in latino rinvenute in località di Sassano. Ci riconducono ancora ad insediamenti molto antichi il toponimo di Civita, dato alla località immediatamente retrostante l’attuale cappella di San Rocco (e Civitas in latino, significava città) e la figura racchiusa nel prospetto della Fontana, sita nella parte bassa del paese. Tale figura dalla tradizione locale per molto tempo venne attribuita a S. Bernardino il santo che nel 1400 si trovò ad attraversare le nostre contrade: ma, a guardarla con un minimo di attenzione, ci si accorge subito che è una tipica figura funeraria romana, che coloro che sisternarono la fontana inserirono nella costruzione utilizzando rovine del posto.
Se non un centro abitato vero e proprio, nei primissimi tempi dovette esistere sul posto almeno un "forum" cioè uno di quei piccoli agglomerati urbani che si sviluppano sui percorsi di alcune strade, dove si trovava un minirno indispensabile di servizi e intorno ai quali si creava una certa vitalità urbana. Un’analisi accurata del dialetto sassanese rafforza quanto si va sostenendo. Senza tener conto degli etimi latini e greci che brillano quasi 1' ottanta per cento del nostro dialetto, ci sono alcuni termini, addirittura risalenti all'osco (1), quali «tempa», «visciglio». Ma se tempa e visciglio ricorrono anche in altri dialetti della zona, e quindi possono essere benissimo vocaboli d’imprestito, ce n'è tipico della parlata sassanese e non riscontrabile in altri vicini «auzi» (òntano). La persistenza secolare di tale espressione, è indice di lontanissime radici . Ma a fugare con sicurezza, ogni dubbio residuo è, soprattutto negli ultimi tempi, l’emergere sempre continuo di numerosi reperti archeologici.

Sempre mantenendo fermo il dato che l’origine e lo sviluppo di Sassano si avranno con la venuta dei monaci brasiliani, tuttavia non vanno trascurate le tracce di precedenti insediamenti. Ed esse si collegano con la presenza dei Longobardi e dei Normanni. Ancora una volta a conferma di uno stanziamento longobardo, c’è la folta presenza di antichi termini germanici nella nostra parlata (prella, scanzia, scannilo, vrasa, tampa, visciola, spruocchino, scherda, grancedda, schino, scianco, stracquo, locco, stirzato, braida, rogna). Per la possibile obiezione che con il linguaggio non sempre si può essere sicuri, perchè una determinata espressione può appartenere a popolazioni trasferitesi, c’è il dato del Santo Protettore di Sassano, S. Giovanni Battista, anche se la Parrocchia è intitolata a S. Giovanni Evangelista. In alcuni appunti, provenienti dall’Archivio Diocesano di Teggiano, il Canonico Roberti, noto studioso di Sassano, collegava, infatti, il culto di S. Giovanni con l’abitudine dei Longobardi di intitolare le loro parrocchie agli Evangelisti. E che l’attaccamento al Santo fosse radicato si ricava indirettamente dalla constatazione, che, anche con la venuta dei Basiliani molto legati alla venerazione di San Zaccaria, al quale intestarono il Feudo e la Grancia, non venne meno la titolarità di S. Giovanni. Certamente l’edificio di culto in cui si venerava il Santo non era l’attuale Chiesa madre, perché quest’ultima, come pure quella precedente, andata distrutta nell’incendio del 1400. sorgono in una zona di successivo sviluppo edilizio dell’attuale paese.
Meno marcate sono le tracce riconducibili alla presenza dei Normanni, per loro infatti non sono probanti nemmeno i depositi linguistici francesi, perchè alcuni nostri francesismi come «fimiere» (letame),«ammasonarsi» (ritornare a casa) possono essersi introdotti nel nostro dialetto con i successivi stanziamenti francesi nelle nostre zone. Come
testimonianza normanna resta il nome S. Riccardo con cui venne indicata l’omonima contrada del paese e forse il cognome di Ricciardone riconducibile ad un Ricardone comparente spesso in antichi documenti.
In questa epoca dovette iniziare la sudditanza feudale di Sassano alla Stato di Diano. Sassano con S. Giacomo, S. Pietro, S. Arsenio e S. Rufo, faceva parte infatti di tale Stato e ne era un «casale». Seguendo la definizione dell’Ebner sappiamo) che: « in età longobarda si raggrupparono le famig1ie sia nelle «curtes» laiche che in quelle ecclesiastiche. Dette comunità si riunivano soprattutto nei pressi o intorno alle cappelle di legno dei monaci italo-greci più tardi sostituite da edifici costruiti con tecniche proprie dei paesi mediterraneii (costruzioni in pietra). Questi insieme formavano i cosiddetti «casales» che poi, con il tempo, andarono sempre più sviluppando il loro tessuto interno in vicoli molto stretti e tortuosi concepiti anche per difendersi dai freddi venti di tramontana».

Sì verificò, che per una serie di circostanze di carattere amministrativo ed anche per esigenze difensive, questi «casales» andarono riunendosi intorno ad uno di essi (nel nostro caso Diano) che avesse avuto già precedentemente una storia, un consistente sviluppo demografico o che si trovasse in una posizione strategica migliore rispetto agli altri.
Non si conosce l'anno preciso dell’aggregazione, ma sicuramente prima del 1200, se da tale data in poi incon- triamo molti atti giuiridici (compravendite, donazioni) i cui contraenti risultano spesso cittadini teggianesi possessori di beni in quel di Sassano.Per inciso questo rapporto di sudditanza di origine feudale tra Diano e Sassano venne meno soltanto nel 1806, cioè l'anno in cui vennero emanate le famose leggi eversive della feudalità. L’ultimo luogotenente, rappresentante del feudatario di Diano, fu infatti Luigi Capozzoli di Laurino.
Se le notizie riportate ci spingono a ritenere certa l’esistenza di un piccolo nucleo abitato, gravitante nell’area dello Stato di Diano, l’origine dell’attuale Sassano va messa in relazione con l’arrivo dei monaci basiliani nel Vallo. Una notizia del Ronsini ci conferma chè Ruggìero II nel 1131 avrebbe con un diploma concesso al Rofranese Abate Leonzio numerosi feudi e tra questi rientrava il feudo di S. Zaccaria nel territorio di Sassano. E’ intorno a tale data che va individuata la nascita del nostro paese. Il Mandelli, storico teggianese, basandosi su un documento del 967 afferma che già in tale data esisteva Sassano. Uno studioso, il Vitolo, mette in dubbio che tale documento sia veritiero, però lo stesso Vitolo poi dice che il Casale di Sassano, sulla base di un documento dell’Archivio della Badia di Cava, esisteva nel 1165. Confrontando quella data con quella del Rossini si può sicuramente affermare che verso l’anno mille, in coincidenza con la presenza dei Basiliani, Sassano esisteva.
Dalla pubblicazione delle pergamene, curata dal Didier, vediamo che dal 1100 in poi si infittiscono gli atti di compravendita, permute e donazioni riguardanti beni ubicati nel territorio di Sassano. Ma è sempre nel linguaggio e nelle espressioni locali che bisogna ricercare la prova dell’influsso esercitato dallo stabilirsi di questi monaci, in un primo momento nella zona bassa dove attualmente sorge il vicinato della «Fontana». E’ lì che, notoriamente, come era del resto visibile fino a pochi anni fa, incominciarono a sorgere le prime case del paese, che poi, col passare degli anni si sarebbe sviluppato verso l’alto nella zona collinare.


La scelta del posto dove sorse La Grancia, edificio che, pur restaurato e ricostruito, è ancora visibile sopra l’attuale edificio della Scuola Media, non fu casuale. Si sa che i Basiliani penetrarono in tutto il Vallo di Diano, a Sanza, S. Arsenio, Polla, Caggiano, e per loro vocazione si dedicarono ad una forte attività agricola, impiantando anche masserie: occorreva quindi l’acqua per abbeverare gli animali e la parte bassa di Sassano, con le ricche sorgenti della «Fontana» e della vicina località del «Fiume» e dello «Zio Nino», si prestava moltissimo a questo scopo.
La spinta data dai monaci allo sviluppo del nuovo abitato è indicata dal fatto che, nell’ambito del Feudo di S. Zaccaria, incontriamo il Mulino del Priore. Oggi un mulino si incontra con facilità, ma nel Medioevo un mulino non era cosa da niente, perchè richiedeva una disponibilità di capitali che non poteva permettersi la massima parte della popolazione, vivente in estreme condizioni di miseria. Il ruolo primario svolto da questi monaci incominciò a diminuire, quando, per la famosa donazione di Tommaso Sanseverino ai Certosini nel 1306, incominciò a delinearsi la potenza economica della Certosa di Padula, ma ancora nel 1592, da un atto notarile, risulta che il Priore di S. Zaccaria vendeva ad un Sassanese delle stalle di proprietà del Feudo. Successivamente esso subì forti usurpazioni, se nel 1710, l’Abazia madre di Grottaferrata cercò di rivendicare tutti i beni dell’ex Feudo dai contadini a cui i terreni erano stati concessi in enfiteusi. Il tentativo di recupero però venne meno, perchè, a distanza di pochi anni, nel 1756, dall’onciario di Sassano, cioè il registro dei beni mobili ed immobili, con relativa tassazione, dei cittadini sassanesi, S. Zaccaria non compare più tra i proprietari dei beni. Il tentativo di recupero, però, per noi resta sempre importante, perchè in un documento esibito da Padre Nilo Morangi, procuratore dell’Ordine, vengono indicati i confini del feudo. Infatti si specifica: «Il detto Feudo di S. Zaccaria sia circondato dagli infrascritti fini; cioè cominciando dalla Chiesa di S.Zaccaria in per la strada in su verso S. Bernardino e cammina per la strada del Torricello verso mezzo-giorno cammina fino al Vallone che discende da S.Nicola detto il Vallone Zi Nino e cammina sotto la montagna detta la corte del Qualloro e così costa costa tutti i beni della Ducal Corte di Diano cammina scendendo al Pedale dove è S.Maria delle Grazie e cammina pedicata pedicata dove confina Filippo Femminella dove la Valle di Mastro Rugieri e così cammina verso le Fontanelle predette e per lo limite verso levante confina S.Pietro di Diano ed ascende verso la via Traversa nella strada che va alle Fongare...».
Risulta subito che i beni in parola si trovavano in zone meno sottoposte al triste fenomeno dell’allagamento che tanto limitava, all’epoca, la coltivazione dei terreni in pianura. Per motivi di spazio non può riportare qui tutta la terminologia, molto ricca, che i Basiliani hanno offerto al linguaggio sassanese, ma si riporta solo un dato che illumina molto la misura in cui i monaci basiliani entrarono nella vita del nostro paese.
Ancora i Sassanesi, quando parlano di una persona molto magra e in non piena efficienza fisica, dicono: «è arriddutto commi Sant Saaria» (è ridotto come San Saaria), dove quel San Saaria è la chiara trasformazione dialettale di S. Zaccaria, che i monaci basiliani nella chiesa sorgente nel loro feudo evidentenìente rappresentavano con una figura dall’aspetto abbastanza smunto.
I pochi documenti riguardanti Sassano prima del 1400 sono importanti per stabilire con sicurezza alcune cronologie, tuttavia non sono illuminanti, limitandosi a citare qualche nome o qualche località e impedendo, così. di avere un nucleo di conoscenze chiare ed allargate tale da penetrare nella sostanzialità delle situazioni o nella dinamica delle vicende. E’ soltanto nel 1400, e precisamente a metà secolo, che abbiamo, con relativa documentazione, una notizia che è una chiave di volta per capire avvenimenti che per Sassano durano secoli. La Certosa di Padula, ai confini tra Padula e Diano, possedeva le terre di Refreddo, Serra Rotonna e Malanotte. Il possesso rimane pacifico per i monaci, tanto che si era perduta memoria da quando esso risaliva. Ma a metà del 1400 contadini sassanesi occuparono le terre delle zone indicate, affermando che esse appartenevano a Diano e non alla Certosa. I monaci, sostenendo il contrario, promossero un processo davanti alla Corte o Curia di Diano, producendo molti testimoni per compilare un istrumento di riassunto delle loro deposizioni a favore del Monastero. Era il 23 giugno del 1449. La Corte era costituita da Barabo di Gaiano, Visconte delle terre di Diano, Ambrosino Malavolta, Benedetto de Filippis, Gaspare Nicolai e Agnello Valente. Rappresentavano ed agivano per la Certosa Frà Silvestro di Saponara e Fra Pietro de Greco, assistiti dal notaio Zotto di Montesano. Difendevano gli interessi del Casale di Sassano Eustachio Ruspolo, sindaco di Diano e Sassano, Andrea Baialardo, Nicola Baialardo e Martino Scaldaferro. Tra gli altri testimoni che fecero la loro deposizione a favore della Certosa c’erano Budetta (poi Videtta) e Bartolomeo de Ricardone (Ricciardone). Prima di procedere nel racconto, piace soffermarci su una nota di carattere linguistico. Affermò un testimone che nei territori indicati il convento faceva pascolare i maiali, servendosi dell’espressione: «ince facia pascere li porci».
L’espressione «ince» è interessantissima, perchè, noi sassanesi siamo una delle poche popolazioni del Vallo, se non l’unica, che non ci serviamo di «c’è» o «non c’è» per indicare la presenza o assenza di cose o persone, ma di «ngia» e «nun gia», conservando intatta l’espressione di quell’antico testimone. In data 28 agosto 1449, dietro decisione della Corte, il Regio Consigliere D. Giovanni da Sanseverino, con decreto emanato dal Casale di Sassano ordinò che il Monastero di S. Lorenzo «non fosse turbato dalla Università et homini di Diano e detto Casale».
Ma ciò non significò affatto l’interruzione delle turbative ai monaci da parte dei Sassanesi. Il 25 maggio 1551, infatti, si doveva fare un altro atto di ricognizione e alla presenza di Francischello de Alitto e di Orlando Babino e del sassanese Matteo de Ramondino si ribadiva il possesso dei monaci sui soliti terreni. E ancora a distanza di due secoli, il 16 novembre 1704, si riuniva il Decurionato (Consiglio comunale) di Sassano, per stabilire: «si propone alle S. V., come alle 2 del presente mese si fa pubblico parlamento delle occupazioni insistentemente fatte, armata manu, dalli Padri Certosini di S. Lorenzo di Padula nelle pertinenze di questo Pubblico e propri nei luoghi di Pianelle, Malanotte, Carbonara, Serra Rotonda, Peglio ed altre dove, si conclude, doversene fare relata all’Ill.mo Marchese (di Diano)».
Per questo parlamento si dovette, trattare, forse, di un estremo tentativo dei Certosini per restare proprietari dei terreni contesi. Ritornando alla notizia riguardante i primi contrasti essa è importante perchè racchiude nella vicenda una serie di situazioni. In primo luogo, già nel 400 si era largamente estesa nel Vallo di Diano la proprietà terriera della Certosa di Padula, arrivando i suoi possedimenti fin nel territorio di Sassano. Ancora nel 1400 Sassano non aveva conquistato una sua piena autonomia amministrativa, dal momento che i Sassanesi citato alla Corte, come si è visto, erano rappresentati dal Sindaco di Diano. Ma in tutta la vicenda il dato stano più importante è l’occupazione delle terre. Siamo di fronte al fenomeno del «dissalto» o disboscamento, in realtà iniziato prima del 400 e che continuerà, senza conoscere soste, per tutti i secoli successivi. Dissalto e usurpazione delle terre da parte di varie categorie sociali saranno le note costanti della storia economica del nostro paese, come, del resto, anche di molte altre comunità del Vallo e del Meridione.
In che cosa consisteva questo dissalto ? Essendo allagato quasi completamente il fondo valle, man mano che andava aumentando il numero della popolazione, sotto la spinta della necessità di procurarsi il cibo necessario, si sviluppava un enorme appetito di terra coltivabile e si andarono disboscando le zone montane. Ecco perchè tutti i contrasti fra contadini e pastori, tutte le storie di usurpazioni, tutte le richieste di terreni, stranamente non interessarono la nostra piana, bonificata soltanto nell’ultimo secolo, ma avranno come oggetto le zone di montagna. Nel 1400 la popolazione di Sassano era andata aumentando, anche se non è possibile stabilire in che misura, in quanto, in tutti i documenti consultati, soltanto verso la fine del 500 incominciano a comparire i primi indici demografici.
Ma l’incremento risulta chiaro da due indicazioni: ai primi anni del secolo data la costruzione della Cappella della Madonna di Loreto, ora appartenente alla famiglia Femminella. Infatti da una scritta sulla facciata della stessa risulta che la sua ristrutturazione, nel 1700 o 1800, fu fatta sulla base di un antico edificio di culto, esistente «ineunte XV saeculo» cioè agli inizi del 1400.
Ma la conferma precisa ci viene dal fatto che nel 1400 gli abitanti di Sassano avvertirono l’esigenza di darsi una chiesa parrocchiale e si sa che la parrocchia è legata ad un numero di abitanti maggiore del piccolo nucleo che, originariamente si aggregò intorno alla Grancia dei monaci basiliani. Sulla consagrazione dell’altare maggiore di questa Chiesa Madre abbiamo due notizie, che, mentre grosso modo coincidono per la data in cui avvenne, tra il 1420 e il 1430, divergono per il nome del vescovo consacratore. Il Volpi nella sua “Cronologia dei vescovi pestani” ci informa che la consacrazione sarebbe stata effettuata da Martino Ungotti, basiliano, vescovo di Montemarano, mentre l’Ebner indica in un Caracciolo il nome del Vescovo. La primitiva chiesa si trovava nella zona dove attualmente sorge la piazza principale del paese. Si è detto sorgeva, perchè essa andò distrutta in un incendio; di questo antico edificio, forse resta l’unica testimonianza in un blocco di pietra murato nella fiancata della Chiesa Madre, precisamente la fiancata rivolta verso la pianura. Si tratta di un cimelio della vecchia Chiesa incorporato nella Fabbrica della nuova come testimonianza di continuità spirituale.
Quando bruciò la Chiesa vecchia, poi definitivamente sostituita dall’attuale la cui costuzione, come risulta dalla srittura sull’ingresso principale, venne ultimata nel 1601? In mancanza di indicazioni precise, possiamo fare riferimento soltanto a quanto scrive il già citato studioso sassanese, il Canonico Roberti che, sulla scorta di documenti ora andati perduti, in una serie di appunti conservati nell’Archivio Diocesano di Teggiano, ipotizzava il verificarsi del disastroso incendio verso la fine del 1400. A parte i motivi di ordine spirituale, questo incendio fu grave perchè in esso andarono bruciati tutti i registri della Parrocchia, scomparendo, quindi, tante preziose fonti informative che sicuramente oggi sarebbero state di massima utilità per ricostruire anche nei dettagli minimi la storia del nostro paese. Si sa infatti che fino al secolo scorso le parrocchie fungevano anche da uffici anagrafici: con la scomparsa, perciò, di tanto materiale incominciamo ad avere notizie precise, per quanto riguarda nascite, decessi, matrimoni, soltanto dagli inizi del 600. Piacendomi guardare la storia in tutti i suoi risvolti, si riporta, riguardo al detto incendio, una leggenda tante volte sentita sulla bocca dei Sassanesi. Si narra che, di fronte al dolore della popolazione, nel vedere andata distrutta la casa di Dio, un pastore del posto avrebbe detto che, come atto di fede, egli era subito pronto a ricostruire tutte le parti di una nuova casa di culto interamente con «pezze» (forme) di formaggio.
Il fedele potrà vedere nell’offerta un segno di pietà cristiana; ma lo storico è spinto a leggere nell’episodio un’altra realtà: la maggiore agiatezza economica di cui godevano i pastori a confronto della maggior parte della popolazione. Infatti se è vero che il pastore, specialmente nella poesia popolare, non è stato mai oggetto di ammirazione per il lavoro che svolgeva, è pur vero che è stato sempre invidiato per il fatto, che, rispetto alla fame degli altri, aveva sempre da mangiare. In un conto sassanese una ragazza così rispondeva alla madre che le proponeva come marito un «gualano» (conduttore di buoi). «Nè mamma, nu lu vogli lu gualani, vogli lu pasturiello ca mi cumeni. Veni la malannata pi li mani, la ricuttella fresca ti manteni.»
Se Sassano a metà del 400, avendo dovuto essere rappresentato dal Sindaco di Diano nella controversia giudiziaria contro i Certosini di Padula, non aveva ancora una sua autonomia amministrativa, l’acquista però nei primi anni del 1500. Presso l’Archivio notarile, di Sala, tra gli atti rogati dal Notaio Gallietti della stessa città, si trova la registrazione di una assemblea comunale dell’Università (cioè Comune) di Sassano . E’ questo un documento preziosissimo in quanto, a meno che a seguito non emergono altri documenti che spostino ulteriormente la data, è la prima testimonianza per il nostro Comune, di una riunione dell’assemblea pubblica. In data 25 gennaio 1537, alla presenza del giudice annuale Costanzo Pizzolo e del notaio Giovan Franco Gallietto, nonchè del Camerlengo Giovanni Florio (rappresentante del Barone) e congiuntamente ad alcuni rappresentanti dell’Università di Diano sono presenti il sindaco, i cinque eletti e un grande numero di cittadini. La folta presenza di cittadini in genere si verificava quando c’era da prendere qualche provvedimento di eccezionale importanza. I cittadini si riuniscono per decidere di porre fine a tutte le cause pendenti, per conto dell’Università del Casale di Sassano, presso i principali organo dello Stato: il Regio Consiglio, la Regia Camera della Sommaria e il Tribunale Provinciale. Non ci vuole molto per individuare i motivi ditale decisione.
Già fin da allora, come la maggior parte dei Comuni meridionali, Sassano sentiva il peso della piaga di quelle liti secolari, in cui si trovarono sempre impelagate le nostre comunità, per difendere i loro diritti contro soprusi di ogni genere. Il rinunciare a continuare in certi contenziosi era il sintomo del dissanguamento della già povera cassa comunale. Chi furono i partecipanti all’assemblea ? Piace riprodurre l’elenco di essi, anche perchè compare il primo nome di sindaco di Sassano. Poi c’è un lungo buco fino al 1694, dalla quale data è possibile, da vari documenti, avere i nomi di tutti gli altri sindaci fino ad oggi. Il Sindaco era Cola Scafo: gli eletti (una specie di Giunta): Johanne Florendino, Peruzo o Petrizo..., Ferro, Cola de la Creta... de Fortunato. Aggiungiamo anche i nomi dei cittadini presenti (almeno quelli la cui identità è stata decifrabile) per avere un’idea delle famiglie del tempo: Giacomo de Dio, Cola Corridone, Ignazio Cammisa, Mag.co Giov. de Ramondino, Francesco Trotta, Bemardino Trotta, Matteo Saporito, Stefano de Vecchio, Mag.co Cola Gattanoli, Angelo de Miglio, . . .de Artaturso, Massenzio de Natale, Iohanne de Restaino, Giannetto de Allebretta, Leonardo di Covello, Iohanne di Martucco, Santolo de Rammedo, Massimo Mazzarella, Masetto de Amato, Cerrelo di Zozaro, Brando Marzotte, Vedetta, Ioh, De Bello, Cola Bellomo, Martino Josephus Carlo... De Ricardone..., Petruzo. Come si vede molto cognomi sono scomparsi ed altri ancora ne scompariranno soprattutto nei secoli successivi, ma molti altri son ancora restati: Ramondini, Trotta, Allebretta (Libretti), Martucci, Zozzaro, Videtta, De Bella, Ricciardone, Petrizo (Petrizzo).
La notizia riportata dal Macchiaroli che Sassano sarebbe stata fondata dal Principe Roberto di Sanseverino, padre di Antonello, nel 1400, per tutto quello che si è detto, risulta completamente infondata ed indicatrice, per il passato, di un modo approssimativo di procedere nelle ricerche da parte degli studiosi di storia locale, ma contiene anch’essa un fondo di verità.
Per alcuni secoli la vita di Sassano fu strettamente legata a quel ramo de Sanseverino, che possedette come feudatario lo Stato di Diano e i cui rappresentanti più illustri furono il famoso Antonello protagonista di vicende rilevanti non solo per il Vallo di Diano ma per il Regno di Napoli in generale; e Tommaso Sanseverino iniziatore nel 1306 dei lavori della Certosa. Poichè Sassano, indipendentemente dalla sua autonomia, restò dipendente dello Stato di Diano, dovendo sopportare tutti i pesi soffocanti del sistema feudale (ancora nel 1806 il conte Schipani, ultimo feudatario dello Stato, voleva impedire che la famiglia De Benedictis di Sassano costruisse un mulino al «Ponte delle Fabbriche», perché il diritto di avere un tale opificio spettava soltanto al Signore o addirittura ancora nell’ottocento faceva emanare un bando con il quale si vietava la pesca o il lavare i panni nelle acque del Mulino del Conte) ed essendo sempre, come emerge da tutti i carteggi d’archivio, il nostro paese ora in lotta ora in armonia con tutti gli altri dello Stato, è opportuno indicare la successione dei vari feudatari da cui dipese la nostra Università. Per completezza di informazione va indicato che il Sacco, nella sua opera sulla Certosa,scrive che Sassano sarebbe rientrato tra i Feudi della famiglia Frezza di Ravello, ma, per quante ricerche abbia fatto, non sono riuscito ad appurare quanto ciò sarebbe avvenuto. In realtà i Feudatari che si susseguirono nel possesso dello Stato di Diano furono parecchi, anche se tra i casati che ne mantennero più a lungo il dominio risultano i Sanseverino e i Calà. Fino a metà del 1200 si sa che i Signori dello Stato furono i Conti Guarna: ad essi subentraron i Sanseverino che dominano nel nostro territorio ininterrottamente fino a metà del 500, con una breve parentesi legata alle sfortune di Antonello Sanseverino che per il ruolo da lui giocato nella congiura dei Baroni si vide dal re spogliato dei suoi beni, nei quali però fu reintegrato il figlio Roberto. Tra la metà del 500 e quella del 600, assistiamo ad un susseguirsi di Signori, tra i quali si annoverano il Principe di Stigliano, il vescovo di Eboli Gomez de Sylva, i Grimaldi di Genova, i Caracciolo di Brienza, i Villano di Polla, i Colonna di Corbara. Di questi vari feudatari è da ricordare che un membro della Casa Villano di Polla, agli inizi del 600 costituì un fondo dotale in favore delle ragazze da marito di Polla a Sassano, che versassero in disagiate condizioni economiche.
I documenti, alcuni del 1650 altri del 1652, dicono che Diano e, di conseguenza, Sassano, estinta la famiglia Sanseverino, erano stati incamerati nel Demanio Regio ed acquistati successivamente per 70.000 ducati da Don Carlo Calà, i cui discendenti mantennero il dominio dello Stato fino al 1806, quando venne emanata la famosa legge eversiva della feudalità.
Se in realtà si legge che l’ultimo possessore sia stato il Conte Schipani, non c’è contraddizione con quanto detto, perchè il conte Schipani aveva sposato Donna Brigida, ultima erede della Casa Calà. E dal venir meno dei Sanseverino, metà del 500, all’avvento dei Calà, metà del 600, che va individuata a Sassano la presenza delle tre famiglie che, nei secoli successivi, finirono per dominare la vita socio-economica di Sassano: Ferri, Sabini, De Benedictis, e la loro venuta è da spiegarsi con l’essere i loro componenti rappresentanti o amministratori dei vari feudatari (2). Giunti sul posto, contrassero una serie di matrimoni con i componenti di famiglie locali di una certa consistenza economica: dai registri parrocchiali, infatti, in data 14 aprile 1645 risulta la nascita di due gemelli nati dal matrimonio di Pomilio Trotta e Ursula Ferro; nel 1647 nasce Rosa, Antonia e Flora dal matrimonio di Michele Ferro e Porzia Petrizzo. E’ interessante seguire le vicende della comparsa di queste famiglie, perchè si nota che le dimore in cui esse abitarono ci offrono la mappa della graduale espansione del paese. I palazzi, o case palaziate come vennero indicate nell’onciario del 1756, dei Rossi, dei Vecchi, dei Remondini (de Remundo all’origine) sorgevano quasi tutti nelle immediate vicinanze della Fontana da dove incominciò ad enuclearsi il nostro centro abitato. Man mano che si ebbe un incremento di popolazione le case incominciarono ad espandersi verso l’alto della collina e tra esse trovarono posto le dimore dei Ferri, dei Sabini e dei De Benedictis.
Non e’ casuale che una delle abitazioni signorili (palazzo dei Saraceni) ubicata nella parte più alta del paese, la zona dell’Annunziata, apparteneva alla famiglia Puglia, una delle ultime a stanziarsi a Sassano. Il 1600 fu per Sassano uno dei secoli di più stretta miseria per una varietà di motivi. Mentre da un lato andavano prendendo maggiore consistenza le proprietà ecclesiastiche, come è documentato dai numerosi legati in favore di molte cappelle nella Chiesa Madre o dalla costruzione di nuovi edifici religiosi (S. Maria delle Grazie, l’Annunziata), dall’altro diventava endemico il fenomeno dell’allagamento della pianura e la vita delle classi povere raggiungeva limiti di impossibilità esistenziale. Per evitare qualche rilievo di facile populismo, con molta sintesi si presentano alcuni dati da un documento databile quasi all’inizio del nuovo secolo. A cura del notaio Muzio Ferro compare un atto con un lungo elenco di persone ed oggetti di cui si riporta una parte: Martino Femminella, uno nappito; Pietro Russo, uno vanchale; Luigi de Peullo, uno calderone; Michele D’Amato, un peso di rame; Angelo D’alessandro, una vanga; G. Videtta, una avanti letto; G. P. Bailardo, una lanterna e l’elenco potrebbe continuare. Si trattava, come si può vedere, di un sequestro e ai sunnominati non vennero pignorati case, terreni o oggetti di valore o di lusso, ma cose di poco conto che, per loro, però, data l’indigenza, erano una ricchezza. All’epoca le famiglie o fuochi come esse famiglie venivano chiamate erano 180; per qualche tassa non pagata a ben 74 capi di famiglia vennero sequestrate le cose indispensabili: la caldaia, il calderone, il caccavo, la caldarola, la lanterna, il sarchiello e la zappa.

Per completezza di notizie il sequestro fu eseguito dal Consigliere del S. R. Consiglio Orazio Galtieri il quale, chi sa perchè, non si decise a restituire i miseri beni pignorati nemmeno quando quei poveri cristi estinsero il loro debito. Ma l’evento che nel 600, insieme per la verità a tante altre contrade d’Italia e d’Europa, colpì il nostro paese fu la famosa peste del 1656. Il morbo fece una grandissima strage. Scriveva il Vescovo Tommaso Carafa, immediatamente dopo tale anno, in una sua relazione: «Sassano se serveva per 16 sacerdoti, quali son morti per la peste, tre ne sono vivi. Ricevevano d’entrate da 350 ducati l’anno, al presente non ne ricevono ducati 60 perchè l’Università pagava ducati 200 è fallita per la mortalità, li stabili non si coltivano, li cenzuari sono morti e così cercano deduttione di detti debiti per resetto de loro conscientia».
Gli effetti disastrosi di quella epidemia, descritta tanto bene dal salese dottore fisico Geronimo Gatta, risultano ancora meglio dallo studio dei registri parrocchiali delle nascite; non è casuale, infatti, che nell’archivio della nostra chiesa il libro della nascite resti interrotto al 6 giugno 1656; ma anche per le nascite degli anni successivi le cifre non sono molto alte: 1657, battezzati 12; 1658, b. 25; 1659, b. 31; 1660, b. 37; 1667 b. 27; 1680 b. 16; 1686, b. 8; l’abbassamento delle nascite è una diretta conseguenza delle persone scomparse negli anni del morbo. Ma se le epidemie decimavano le popolazioni, c’erano anche altri motivi che soffocavano la vita del nostro paese. Prima della peste, nel 1605, l’Università di Sassano denunciava alle Regie Camere le sue misere condizioni di vita; apprendiamo da un episodio di doglianza che il paese era debitore a varie persone di una somma, enorme per l’epoca, di 17.000 ducati, su cui si pagavano pesanti interessi. Per questi debiti, gran parte dei quali contratti per sostenere le interminabili liti giudiziarie contro i baroni del posto che miravano ad impadronirsi dei terreni demaniali, per le carestie, per le tasse che anche per le minuzie gravano sui cittadini comuni, non però sui nobili e sul clero, «il paese stava quasi dishabitato rispetto alla prima habitatione per le carestie state et al presente sono». Se le epidemie decimavano le popolazioni di Sassano nel 1600, ancora nel 1700 ad affliggere le masse dei cittadini era l’eterno bisogno della terra da coltivare. La popolazione era andata di nuovo aumentando, perchè da calcoli eseguiti sui registri parrocchiali risulta che Sassano nel 1743 contava 2243 cittadini e 2302 del 1744 distribuiti interamente nel centro urbano, essendo la campagna completamente disabitata, e nei seguenti vicinati: Fontanella, S. Pietro detto lo Casale, Forno, Piazzetta S. Antonio, Vallone, Piaggio, Inéapido, Fontana; e questa popolazione raggiungerà il massimo nel 1800, quando supererà di molto i 5000 abitanti.
Ma l’accrescimento del numero di cittadini dovrà fare i conti con la scarsa disponibilità di terre da coltivare; l’analisi degli onciari ci fa sapere che ad avere il grosso della proprietà terriera erano le famiglie dei Sabini, Ferri, De Benedictis e Vecchio Rossi; seguiva ad una certa distanza un piccolo gruppo di benestanti i cui eredi, nell’800, costituiranno il nucleo medio-borghese in evoluzione; anche se qui non si può spiegare tutto, si deve dire che il Sindaco della nostra Università era sempre uno proveniente da questo ceto sociale.
Infatti dalle quietanze di alcune cedole di pagamento, risultano quasi tutti i Sindaci del 1700 e mai si incontra un nobile; per esemplificazione: nel 1728 Nicolò D’Alessandro, nel 1792 Francesco Cammarano, nel 1730 Cesare Petrizzo, nel 1739 Francesco Di Lorenzo, nel 1747 Angelo Antonio Gruccio, nel 1755 Rosario Femminella, nel 1763 Salvatore Latella e così via; tutti questi sindaci risultano firmati col segno della croce, essendo analfabeti e ciò per quei tempi non deve meravigliare. A fianco di questi a possedere le terre di Sassano, se non nella stessa misura dei nobili, ma sempre in misura rilevante, era la chiesa. Spesso però i suoi beni costituivano fonti di liti tra i numerosi sacerdoti che s’incontravano allora nel nostro paese. In questi termini il sacerdote Giuseppe Capuano nel novembre del 1791 si rivolgeva a D. Vincenzo Pignatelli di Aragona dei Principi di Strongoli, Governatore dell’Armi in Principato Citra: «Sapete come dopo aver il Beneficiato G. Capuano notificato il suo ricorso al regal Trono, umiliato contro il Reverendo Clero della Parrocchial Chiesa di questa terra di Sassano, ha dedotto che dal medesimo gli sono stati contrastati ed usurpati tre territori di quelli addotti per dote alla sua Cappellania laicale di S. Maria del Monte, cioè uno nominato lo Galdo, l’altro Macchia Mezzana e il terzo appellato Valle Cucolo...» Il sacerdote Capuano riproponeva le stesse lagnanze, esposte al Vescovo dal sacerdote Francesco D’Onza nel 1719; «Il sacerdote Francesco D’Onza, umilissimo oratore con supplica l’espone come nel caduto mese di ottobre del c.a., provedutosi capitolarmente alla nuova divisione dei territori, in virtù dell’Ordinato nelle S. Visite e, toccato al supplicante tra gli altri, un territorio nel Cuzzolone si dice la Valle Cucolo in montagna, quale lo spazio di anni sei si è coltivato dal Rev. Antonio Ferri, il quale nonostante aver terminato il Jus che egli aveva tenuto dolosamente, aver seminato detto territorio, e come nell’anno scorso 1718, capitolarmente congregati tutti i Revendi del Clero, si dispone che terminato il settennio, è fatta decisione ogni sacerdote debba desistere dal siminare «ristoccia» alla montagna, Molinella, Galdo, Orte, Salcinello e Via Traversa....».
A maggior comprensione dei fatti, nel gennaio del 1718 i sacerdoti di Sassano si erano accordati su una specie di lottizzazione dei beni in massa comune, stabilendo «di dividersi in dodici cartelle uguali nella qualità e quantità dei territori per poi tirarli in sorte»; il sorteggio si rinnovava ogni sei anni e, siccome il foraggio assumeva capitale importanza nella conduzione di un terreno, si era, nell’accordo aggiunto la clausola: «Di più si propone come nel prossimo agosto ciascun sacerdote debba restare lo «restuccio» a beneficio di chi ditiene al cartella senza che possa pretendeme cosa alcuna»-. Tra questi soffocati limiti di una crescita economica acquista un particolare rilievo la relazione di una seduta decurionale, in cui i cittadini sassanesi, tramite la pubblica assemblea, riscattano dal Duca di Diano il diritto per ogni famiglia di potersi cuocere il pane in casa. Infatti tra i tanti gravami che pesavano sul nostro paese, c’era anche la tassa che i cittadini dovevano pagare al Duca per cuocere nel suo forno il pane (quando l’avevano).
L’ 800 sassanese, per essere vicino alla nostra epoca, è il più ricco di documentazione, la cui sintesi illustrativa riesce molto difficile. Già all’alba di questa era si verificarono alcuni eventi indicatori della volontà di uscire da alcune situazioni stagnanti, ma anche essi, almeno per un certo numero di anni ancora, non produssero alcun effetto. Ci riferiamo alla ventata rivoluzionaria che soffiò anche nel Vallo di Diano, sotto la spinta della proclamazione della Repubblica Partenopea del 1799. Annotavano le autorità di polizia di Luigi e Giacinto Cibelli che assieme a Domenico Ramondini si adoperarono per far penetrare nella mente della gente le idee repubbicane: “Fu commissario organizzatore di vari luoghi.Ha predicato ancora a favore della repubblica e contro la sovranità... Dice che tutto sarà quietato, se si capisce il fine dell’ultimo tiranno, che vorrebbe distrutto tutto lo stato repubblicano...”... “Con lettere scritta da Napoli in Sassano al fratello prete D. Angelo Cibelli tra le altre cose dice che spera di non esser sortita nessuna insorgenza, nè assalto alcuno dei Regalisti mandati in giro dalla tirannia dell’ex Re per far restare desolato e distrutto il Regno per odio senza speranza di recuperano”. Ma questi sussulti di rinnovamento erano pallidi tentativi; alcune calamità persistevano ancora.
La pianura continuava ad essere allagata come risulta da qualche contratto di fitto dell’epoca, dove emerge il maggior prezzo che si pagava per i terreni meno allagati degli altri; ancora nel 1811 per il fitto di un moggio e mezzo di terreno alla contrada Inforcatora si pagavano ducati 7,50. mentre, sempre per un moggio e mezzo, in contrada Ponte Cappuccini il fitto era di tre ducati. Sempre a causa dei disagi provocati dall’allagamento, nel marzo del 1802, veniva rivolta una petizione al sindaco, Giuseppe D’Alessandro, da parte dei fratelli Andrea, Giuseppe e Stefano D’Onza, i quali proponevano la permuta di un moggio di terra situato tra le difese di Macchia e Pantano, con altrettante in via Cantore; la richiesta veniva fatta perchè: “nella raccolta del frutto questa nostra popolazione soffre del gran dispendio nel trasporto e di gran trapazzo, specialmente quando li tempi sono piovosi, in guisa che talvolta succede di perdersi le vettovaglie”. Con la venuta dei Francesi nel 1806 si ebbe finalmente la legge eversiva della feudalità che,anche da Sassano, spazzava via i residui del passato, abolendo le vecchie strutture feudali.
Ma non si pensi che con questa legge cambiò di colpo la situazione della gente. Ci furono innanzitutto le numerose liti giudiziarie che il Comune dovette sostenere contro il Signore di Diano che opponeva tutti gli ostacoli possibili all’applicazione della legge stessa, ma cosa ancora più grave, si moltiplicarono i casi di usurpazione da parte di chi aveva le mani in pasta.
Per esaminare tutta la casistica occorrerebbe un intero volume; presentiamo soltanto poche documentazioni che riflettono benissimo il convulso aggrovigliarsi di interessi. Veniva registrato nella seduta decurionale del Marzo 1802: “Molti individui di questa cittadinanza si son doluti presso gli attuali amministratori tanto contro coloro che hanno usurpato la difesa patrimoniale di Montepanno nella sua circonferenza fino al Pescicolo”.
Il 24 Settembre 1809: “Il vice Sindaco Michele Cammarano espone che taluni ingordi cittadini si è andato, e continuamente si minaccia di proseguire di chiudersi le pubbliche strade, anche coll’appropriazione a poderi propri come altri luoghi pubblici, in grave danno della generalità”.
Nel 1810 il Comune di Sassano chiede l’intervento dell’Intendenza di Salerno, perchè “il Signor Gennaro Sabini con un muro a secco si era chiuso gran parte del territorio comunale di Sassano”. A pagare le spese erano coloro che, per scarsa disponibilità economica, non avevano spesso la somma necessaria per pagare i censi di quelle poche terre che venivano loro assegnate. Questo spiega il tenore dell’accorata supplica al Re di un tale Gaetano Stavola: “Clementissimo Sire -Gaetano Stavola fu Giovanni, il più miserabile del Comune di Sassano, genuflesso a ppiedi (sic) della M. V., la supplica e la rassegna che, essendosi per sovrana disposizione del sempre augusto ed immortale nella mente dei sudditi Ferdinando I° divisa agli Indigenti del suddetto Comune una difesa comunale, dandone a ciascuno la sua quota pel canone di carlini 38, avvenne che in un anno penurioso, tutti rinunziarono la loro quota, come pratocò pure l’infelice supplicante; le quote furono fittate, ma dopo gli indigenti pensarono di ripigliarsi ciascuno la sua quota.
Allora il Consiglio d’Intendenza della Provincia ordinò una nuova distribuzione, ma pel canone annuale di carlini 56”. Come si vede il canone da pagarsi era passato da 38 a 56 carlini, ma c’è anche una spiegazione per tutte queste manovre tendenti a scoraggiare gli assegnatari. Per capire guardiamo un poco i dati forniti nell’ottobre 1810 agli Ufficiali governativi richiedenti «il numero di ciascuna sorta di animali che appartengono a Cittadini del Comune». Alla richiesta si rispondeva: «Per modo approssimativa vi sono circa mille vaccini, circa quattromila pecore e capre, porci circa 800 e venti animali iumentieri». Colpisce, anche se la cifra fu sicuramente ridotta per comprensibili motivi, l’alto numero delle pecore e capre; per esse occorrevano vasti pascoli e da qui, ma non soltanto, l’origine di tante usurpazioni. Anche nell’ 800 emergeva, ogni tanto, in una situazione non facile qualche nota positiva, che riguardava l’istruzione e la salute dei cittadini. Il 13 dicembre 1807 il decurionato di Sassano nominava «per la buona educazione de li figlioli e figliole a stabilirsi alti stessi il saldo maestro il Signor Girardo Amone col saldo di ducati ottanta e la Signora Anna Giannini moglie dello stesso col saldo di ducati quaranta». Dovette rispondere questo Arnone, professore di legge, alle esigenze della popolazione, se venne riconfermato successivamente, anche se con onorario ridotto a ducati cinquanta. Infatti si trova questa riconferma in una delibera dell’ 11-5-1809. Venne riconfermata pure la moglie, anche se «analfabeta», ma di buoni costumi. Evidentemente, a quei tempi, si aveva un concetto tutto particolare dell’istruzione. Ogni tanto gli amministratori si preoccupavano pure della salute pubblica. Il Sindaco Ramondini, nell’anno di grazia 1805 sottoponeva all’attenzione del decurionato quanto segue: «Si propone a loro Signori come la maggior parte della popolazione si duole per non essersi provveduto alla scelta di un buon medico, per la mancanza di cui tanti ammalati gemono chi senza assistenza e chi gravato da pesanti contribuzioni a Professori non appaltati...». In seguito alla proposta la scelta cadde sul Dottor Fisico D. Antonio Libretti «con la mercede di ducati 50» e sul dottor Giuseppe Celti di Torre Orsaia «con la provvisione di 120 ducati oltre di altri dieci carlini al mese pe casa e letto per un anno». Ma il Celti non si fermò molto, perchè due anni dopo, nel 1807, al servizio del Comune passava il dott. Amabile Capozzoli di Aquara con l’aumentata provvisione di 150 ducati, più altri dieci per il letto «nobile» e la casa.
Ma nè queste nomine nè altre successive riuscirono, per ragioni ormai note, ad evitare a Sassano l’insorgere di frequenti epidemie. Ancora il 20-7-1862, un diarista locale, forse il Notar Marone, riportava nelle sue notizie: «Atteso, il vajolo che sempre più inferocisce e niuna autorità se ne incarica, stamane poco concorso alla festa (del Carmine) che negli altri anni ha veduto raccolti tutti gli abitanti. Oggi sono morti 8 ragazzi. Sinora sono trapassati col detto morbo circa 80, di cui alcuni di 15 o 25 anni». Sempre la stessa fonte informa che quasi un mese dopo, il 12 agosto, il numero dei morti era arrivato a 180. Il diffondersi di queste malattie, naturalmente, era dovuto anche alla scarsa alimentazione della gente, piaga contro la quale risultavano inutili anche sporadici provvedimenti. Già nel 1802 l’Amministrazione comunale spediva una supplica al Re per ottenere l’invio di mille quintali di granone con cui soddisfare le richieste più urgenti; così come il 16-1-1861 veniva avanzata la proposta al decurionato di prelevare dalla cassa comunale ducati 300 con cui comprare grano e farlo «panizzare» onde evitare i monopoli. Ma si vede che questi monopoli continuarono se, in ottobre, il Sindaco, all’epoca un Sabini, fu costretto a dispensare cento pani agli indigenti e conservarne 32 per gli infermi. Il comparire di questi problemi si mescolava alle vicende politiche o sociali venute su con l’unificazione del Regno d’Italia. Il 21 ottobre 1860, a Sassano, si votò per il plebiscito e i votanti furono circa mille, che optarono tutti per il «SI», meno un certo Michele Femminella che votò per il «NO», ma, come annotava il citato diarista, «più per istupidaggine che per malizia». A proposito del Plebiscito bisogna registrare che anche a Sassano ci furono divisioni politiche tra i fautori del nuovo stato di cose e i nostalgici del vecchio regime borbonico, ma, spesso, non si trattava di divisioni ideologiche, piuttosto emergevano vecchie rivalità tra le famiglie del posto. Ebbe una certa incidenza anche il brigantaggio, che però, da noi, non si sviluppò in maniera massiccia, come in altre zone. Di briganti a Sassano si ha notizia fin dagli inizi dell’800, tant’è vero che tra il 1808 e il 1810 furono fucilati nel nostro paese due di questi e, addirittura, dagli Archivi di polizia si viene a sapere che un componente della aristocratica famiglia Sabini venne coinvolto in una vicenda di brigantaggio.
Ma il personaggio più singolare del fenomeno resta sempre Salvatore Brigante, intorno alla cui figura, tra il brigantesco ed il romantico, la fantasia popolare ha finito per costruire tante leggende. Piace riprodurre qui la canzone popolare che Salvatore amava cantare sotto le finestre di alcuni signori, resisi colpevoli di alcune prepotenze nei suoi riguardi. «Tu si u re di questo regno e i so un brigante ré campagna tu tieni carta, calamaio e penna e i tenghi prova e chiummi e li mei cumanni, r fa acchiappà add’à mi ci puoti impegno e ri t’ammazzà add’avvenì uncun mi sparagno.

Avanza a la finestra si stai ri sdegni ca ti vogli fa pruvà cum’ia lo stagno». Nell’Ottocento si nota un’inversione di tendenza nelle persone dei Sindaci. Mentre per tutto il 600, il 700 e per i primissimi anni dell’800 i Sindaci provenivano quasi tutti dal popolo, dal 1820 assistiamo ad una nomina quasi costante di sindaci nobili, Ferri, Sabini, De Benedictis. Forse in questo modo le vecchie famiglie volevano rifarsi del fatto che vedevano scemare il loro prestigio e che verso la fine del secolo furono costrette a vendere gran parte della loro proprietà.
A comprare molti dei beni degli scaduti signori furono i figli di quei «cafoni»che se n’erano andati in America a mettere insieme dollaro su dollaro la somma necessaria per l’acquisto. Per noi di Sassano parlare di emigrazione più che storia è vita di cui siamo impastati. Certamente oggi l’emigrazione va considerata in un’ ottica che non si soffermi soltanto sui risvolti patetici, ma, retorica o meno, quanti pianti e sudori ci furono dietro di essa! L’amarezza di un emigrante la rese un ignoto cantore sassanese in un momento di tristezza e solitudine. «Nu iumi vozi ì a la Carlina pi gghii a truvà li paisani, ietti pi na birra inta a cantina tuorti e amari ri truvai, cumi li cani. Si vu a birra, caccia i quatrini ca inta la Carlina nun ci sò paisani. I vi spari cumi lupi a la caprina chi la poriva sorda cilintana i mi ni vogli i a la quarantina addò ngia mamma ca mi rai li sei carrini». note: (1) - Popolazioni Osco Sabelliche: provenienti dalle terre campane sul Liii e Volturno scacciate dalla grande espansione etrusca. (2) - Queste svolgeranno un grande ruolo di egemonia nello sviluppo della vita sassanese ed incominceranno così a delinearsi quelle linee di contrasto, da parte della popolazione, per la difesa del patrimonio demaniale contro le usurpazioni dei prepotenti, lotte che vedranno una loro sistemazione, non sempre tranquilla e pacifica, soltanto nella seconda metà del secolo scorso.

Autore: http://www.comune.sassano.sa.it

 

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