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LA GRAVINA E LE CHIESE RUPESTRI DI MATERA

La Murgia di Matera, insieme con quella di Laterza e di Castellaneta, può essere considerata, nella sua unità fisico-strutturale, una delle ultime propagini occidentali delle Murge pugliesi (1).
Un ampio pilastro tettonico, ovvero un horst delimitato da faglie marginali, che documenta la storia geologica antica di questa parte di territorio, ancora sommerso dai mari nel pliocene, essendo emerse in quel periodo soltanto tre grandi isole: il Gargano, le Murge alte nord-orientali e parte delle Murge sud-orientali.
In coincidenza con l'azione erosiva e gli sforzi tettonici riconducibili all'orogenesi appenninica con fasi di avanzamento e di arretramento del livello del mare proprie dei periodi glaciali ed interglaciali, l'area delle Murge si sollevò in via definitiva.
L'acqua meteorica iniziò ad incidere le rocce di nuova formazione, creando lame e gravine, mentre si determinarono ripiani, scarpate, solchi erosivi, depressioni e solcature carsiche.
Sulle pareti più alte del rilievo della Murgia materana sono ancora osservabili fenomeni carsici con la presenza di campi solcati e di doline a scodella con il fondo occupato da lembi di terra rossa, come a Piano Trasano-Conca d'Aglio. La gravina lungo cui si è sviluppata la città di Matera corrisponde all'alveo di un antico corso d'acqua che un tempo ha solcato le Murge, collegando l'area al mar Jonio.
Una frattura che, partendo dai ristagni bonificati di Pantano, posti a nord di Matera, ne fiancheggia il territorio degradando lentamente sin sotto la collina di Montescaglioso.
Contraddistinta da pareti ripide ed alte e da un fondo angusto e piatto, la Gravina di Matera possiede al suo interno piccoli ed isolati rilievi ed alcune marmitte fluviali, osservabili in corrispondenza della confluenza del torrente Jesce ed una gola, originariamente una marmitta fluviale, occupata da un laghetto detto Juro.
II tratto basso della Gravina costituito da calcari presenta a diverse altezze grotte e cavità.
Di una certa importanza da un punto di vista speleologico, perché profonda e ramificata, può essere considerata la Grotta della Femmina situata nel vallone omonimo.
Nel tratto medio della Gravina sono presenti piccoli terrazzi di erosione incisi dal graduale approfondirsi nel tempo del corso d'acqua.
Di fronte si dispiegano gli altipiani di Murgecchia, Murgia Timone, Acito-San Campo.
A sud si collocano una serie di pianori come Trasano-Conca d'Aglio, Bruna, Selva Malvezzi, Selva Venusio, Selva Monsignore, Bosco di Lucignano, Murgia Sant'Andrea, che a volte si affacciano su ampi strapiombi.
Dalle alture di Tempa Rossa si può osservare l'andamento del torrente Gravina.
Diversi pianori sono attraversati da profonde gravine: quella percorsa dal torrente Jesce o quelle che contraddistinguono il vallone della Femmina, il vallone del Prete, il vallone della Loe e quello delle Tre Porte.
Un ripiano si colloca a 500 metri di quota a Piano Trasano-Conca d'Aglio. Un altro modellato dall'azione abrasiva del mare, ubicato a 400-425 metri di quota, è osservabile tra masseria Bologna ed il bosco del Comune.
Tra questi due ripiani si colloca una scarpata alta una trentina di metri di probabile origine tettonica, inseguito divenuta ripa di abrasione modellata dall'azione dei mari.
Sui gradini che separano vari terrazzi incisi nell'ammasso roccioso divario origine si sono formate una serie di cavità che l'uomo ha rielaborato o ingrandito adattandole a vari usi.
Sono questi i luoghi della cosiddetta civiltà rupestre.
Un esempio tra i più interessanti è costituito dal villaggio Saraceno, presso Cristo la Selva, rappresentato da una sessantina di cavità poste a diverse altezze.
La facilità di adattare le grotte ad abitazione e di scavarne altre ha fatto sì che queste zone venissero abitate fin dal paleolitico, anche se è stato osservato in sede archeologica che: "sarebbe necessario un lavoro di ricognizione per individuare i vari terrazzi e le varie località lungo le gravine che hanno restituito strumenti di vari periodi" (2).
Sta di fatto che nella Grotta dei Pipistrelli sono state ritrovate, assieme a reperti litici del paleolitico medio e superiore, resti faunistici di Ursus spelaeus, l'orso delle caverne e di Cervus elaphus, a dimostrazione di un ambiente originario ricco di laghi e di foreste, in un clima temperato caldo.
In diverse località della Murgia materana sono attestati villaggi trincerati risalenti al periodo neolitico: Murgecchia, Murgia Timone, Tirlecchia, Tre Ponti e Trasano. Altri villaggi erano dislocati sulle colline e sui terrazzi posti a nord di Matera: Matinelle, Sette Ponti, Serra d'Alto, uno degli episodi più arcaici del neolitico materano.
II loro progressivo abbandono sarà interrotto nel tempo dal diffondersi di nuove culture: appenninica e subappenninica.
Meno ampia e più incerta appare la documentazione archeologica proveniente da grotte e da stazioni all'aperto, laddove con la prima età dei metalli, ovvero con l'inizio della civiltà appenninica, si fisseranno insediamenti, che avranno ampio sviluppo in età successive.
Alla fase appenninica sono riferibili le prime testimonianze storiche del centro di Matera rinvenuto alla Civita e presso la cattedrale.
Degli abitati del ferro sono noti soprattutto quelli di Murgia Timone e Murgecchia, mentre un altro villaggio sorgeva a Timmari.
Si sa che l'arrivo dei Greci sulla costa determinò gradualmente una rottura di equilibrio nel mondo indigeno sino ai centri più interni finché, con la conquista della Lucania da parte dei Romani si verificò l'abbandono degli agglomerati agricoli nel IV e V secolo rifrequentati alle soglie dell'alto medioevo e del medioevo, con la trasformazione dei grandi santuari pagani in luoghi di culto cristiano, come avvenne, ad esempio, a Rossano ed a Timmari.
Nell'alto medioevo la Gravina e le forre rocciose della murgia materana tornarono a nuova vita con la presenza di asceti e di eremiti.
Questi ultimi eressero a propria dimora le numerose cavità naturali dell'area, adattando nel tempo la friabile roccia di tufo o il duro calcare alle esigenze abitative e cultuali dell'epoca: dalle cripte, alle laure, al cenobio, alla vita comunitaria.
L'insediamento umano ha determinato, inoltre, attorno alla Civita un ambiente di tipo urbano nei Sassi caveoso e barisano o insediamenti sparsi nelle contrade: Ofra, Selva, Vitisciulo ed Annunziata. Entrambi erano basati su una economia chiusa di tipo agri-pastorale, finalizzata più all'autoconsumo ed alla integrazione alimentare che allo scambio commerciale. L'abate Fortis, il quale accompagnò il conte svizzero Carlo Ulisse De Salis Marschlins in viaggio nel 1789 in diverse province del Regno di Napoli, raggiunta Matera attraverso Altamura, Gravina ed il bosco di Picciano, ha lasciato un preciso ritratto della città dei Sassi situata in una vallata profonda 300 metri sui cui scoscendimenti, da ambo i lati, s'aprono caverne o grotte, l'una posta sopra dell'altra.
L'abate rimase suggestionato da queste grotte e così ne scrisse: "Sembra che solo le grotte servissero di abitazione negli antichissimi tempi, giacché le case hanno l'apparenza di essere state costruite nel sedicesimo secolo; e fra le grotte ve ne sono di quelle che non solo hanno dovuto essere in origine chiese o cappelle, una delle quali viene ancora chiamata Santa Maria dell'Abbondanza, ma vi sono anche dei conventi, che serbano le tracce dell'antica destinazione" (3).
Cinquant'anni dopo Cesare Malpica, romanziere e poeta di Capri stabilitosi prima a Salerno e poi a Napoli, a Matera nel giugno 1847, con piglio giornalistico così descrisse la città: "Immaginate due valli divise fra loro da un rialto di terra, una volta a tramontana l'altra a mezzodì: due valli profonde scavate dalla natura del tufo de' colli. Su per le falde, e nell'imo di queste valli seguendone la forma, ponete delle case; su quell'altura (...) fate che s'alzino altre case, templi, palazzi e altri edifici e avrete una città che siede infra due: una triplice città, bizzarra per la sua forma, curiosa per le tante scene che ti offre. La città alta è la Civitas, la città primitiva, antichissima, le due valli che ora le son sorelle furon dapprima suoi borghi (...). Quando si volle ingrandir la Civitas, i borghi furon nomati Sassi (...). Le case dei Sassi sono costruite in modo che una serva di base all'altra. Frammezzo ad esse serpeggiano vie e viottoli, scendenti, ascendenti, di su, di giù, a manca, a ritta (...)" (4).
Gli insediamenti monastici si svilupparono nella gravina nel corso del medioevo tra il X-XI secolo in coincidenza con il diffondersi prima del monachesimo basiliano e poi di quello benedettino in diverse regioni del meridione.
Anche a Matera giunsero alcuni monaci di rito greco e si ebbe quanto meno uno scambio e diffusione di idee tra comunità religiose lontane e stabilitesi in diversi luoghi.
Presenze di tipo bizantino si sono materializzate, ad esempio, nell'impianto architettonico e negli affreschi delle chiese di San Gregorio (distrutta dai mandanti delle ruspe), di Santa Barbara e di San Luca.
AI diffondersi del monachesimo benedettino è attribuibile, invece, l'impronta latina e romana di chiese come Santa Maria della Valle o di quella della Cripta del Peccato Originale, l'unica in cui siano descritte scene del vecchio Testamento. Sono più di cento le chiese rupestri del materano nelle cui cripte si integrano gli elementi liturgici delle due confessioni religiose, mentre altre ancora come la Cripta dello Spirito Santo sono venute alla luce in pieno centro storico.
È stato notato come l'architettura e gli affreschi rivelino più che altro concezioni estetiche latine con influssi bizantini, mentre l'architettura sia da un punto di vista estetico che funzionale può ritenersi tipicamente locale.
Una fusione di diversi schemi culturali, alla cui base vi è stata una osmosi di stili e di concezioni tra influssi cappadocesi e scuole locali. Espresse in forme popolaresche, rappresentano come è stato scritto - una pagina originale delle tematiche figurative ed architettoniche della Basilicata (5).
L'intera area dell'altopiano murgico materano con le sue gravine rappresenta oggi, da un punto di vista naturalistico un esteso sistema di biotopi rupicoli non montani di estremo interesse e di raro riscontro nella morfologia di altri paesaggi che non siano quelli delle Murge della contigua Puglia.
La vegetazione e la flora della Murgia materana, indagata agli inizi del Novecento da A. Fiori (6), custodisce ancora interessanti specie floristiche, nonostante l'opera distruttrice da parte dell'uomo dei residui boschi che adornavano gli altipiani della Murgia, per farne traversine nella costruzione della linea ferroviaria Taranto-Bari.
A testimonianza della vegetazione del passato, molto più ricca e varia, restano ancora sul costone sinistro della murgia di Matera due complessi boscati: il bosco del Comune ed il bosco di Lucignano.
II bosco del Comune di Matera è rappresentato da un querceto a roverella Quercus pubescens ed a fragno Quercus troyano, con la caratteristica ed importante presenza della quercia spinosa Quercus coccifera, con sottobosco a Pistacia lentiscus, Phillyrea meda e Ruscus aculeatus.
II bosco di Lucignano, invece, è caratterizzato da un massiccio coniferamento a Pino d'Aleppo e presenta nel sottobosco: mirto, lauro, alaterno e terebinto.
AI di là delle superfici coltivate e dei boschi a macchia mediterranea, la gran parte della superficie murgica manifesta il tipico assetto della macchia bassa o gariga e delle lande steppiche ad asfodelo e ad asfodeline.
Una tappa del processo involutivo della vegetazione naturale, aggravata dal degrado ambientale, dai processi di antropizzazione, dai tagli, dagli incendi e dal pascolo irrazionale ed indiscriminato.
Del precedente strato arboreo restano tracce sporadiche in cespugli di Quercus ilex, di ginepro e di biancospino.
Lo strato erbaceo è rappresentato in primavera ed in autunno da graminacee, da leguminose e da una diffusa coltre vegetale.
La Murgia e le Gravine di Matera riservano, però, altre sorprese da un punto di vista floristico, per la particolare natura acida e calcarica del terreno che consente la vita a numerose specie orchidacee, alcune uniche e rare.
Una ricerca, ancora in itinere, intrapresa di recente dall'Istituto di Botanica dell'Università degli Studi di Bari ha già fruttato la scoperta di nuove entità fioristiche e la segnalazione di nuovi ibridi e di nuove specie di orchidee (7).
Anche la fauna della Murgia materana presenta una connotazione specifica nella presenza del grillaio, un rapace coloniale, anche migratore, presente da aprile ad agosto, confuso con il più comune gheppio, la cui popolazione assieme a quella delle limitrofe Murge pugliesi è l'unica attualmente conosciuta in tutta l'Italia peninsulare.
Numerosa è, inoltre, I'erpetofauna con la presenza di vipere e di altri rettili tra cui: saettone, biacco, cervone, luscengola.
Tra gli uccelli si segnalano: allodola, calandro e cappellaccia tipici dei coltivi e dei pascoli: averla, merlo e tordo, che frequentano le macchie. Tra i rapaci diurni degni di nota sono il gheppio ed il nibbio mentre tra quelli notturni si annoverano barbagianni e gufo reale.
In volo sulle forre delle gravine e sui ripiani della Murgia anche il capovaccaio, tipico avvoltoio degli agnelli, localmente noto come la pasquarella per il periodo in cui compare.
Tra i mammiferi sono presenti anche tasso ed istrice ed i più comuni: donnola, faina, volpe e lepre.
Altro è il discorso sull'abbandono e sull'utilizzazione di questo patrimonio storico, artistico, architettonico dal passato ai nostri giorni.
Basterà ricordare come soltanto di recente una legge della Regione Basilicata, a distanza di ben dodici anni da analoga legge, ha esteso il riconoscimento (tra cui anche quello archeologico) dell'importanza di questo patrimonio storico artistico naturale anche alle chiese rupestri ricadenti nel comune di Montescaglioso e più in generale ad altre evidenze naturali incluse nel comprensorio materano, come, ad esempio, quello costituito dalle masserie fortificate, altra testimonianza del passato relativa all'utilizzazione agri-pastorale di questa parte di territorio lucano (8).
Intanto dalla vicina Puglia è stata sollecitata una tutela concreta delle gravine pugliesi, mentre la stessa esigenza di tutela delle chiese rupestri del materano si va saldando con analoga esigenza di tutela del patrimonio delle chiese rupestri dislocate nelle gravine pugliesi (9).
Un modo corretto di impostare il problema che porta con sé il rischio, però, in assenza di concrete forme di gestione territoriale da parte degli enti locali, di procastrinare sine die la necessità di garantire una immediata salvaguardia territoriale ad un patrimonio che l'incuria e l'imprevidenza degli uomini rischiano di compromettere irrimediabilmente.

NOTE

1 II Colamonico ha distinto le Murge pugliesi in due settori: quelle di nordovest e quelle di sud-est, divise dall'insellatura di Gioia del Colle. Cfr. C. Colamonico, La geografia della Puglia. Profilo monografico regionale, 2°- ed., Cressati, Bari, 1926. "Una suddivisione non solo geografica, ma (...) climatologica, floristica, faunistica e storico culturale" la giudicano A. SIGISMONDI e N. TEDESCO, Natura in Puglia. Flora, fauna e ambienti naturali, M. Adda ed., Bari 1990, p. 153.

2 R. GRIFONI CREMONESI, Le culture preistoriche nel territorio di Matera, in AA.VV., II museo nazionale Ridola di Matera, a cura della Soprintendenza Archeologica della Basilicata, ed. Meta. Matera, 1976, p. 19.

3 C. U. DE SALIS MARSCHLINE, Nel Regno di Napoli. Viaggi attraverso varie provincie nel 1789, a cura di T. Pedio, Congedo ed., 1979, p. 157. Una ulteriore panoramica dei viaggiatori che visitarono la città di Matera è riportata da, M. PADULA, Antologia materana, ed. F.lli Montemurro, Matera, 1965.

4 C. MALPICA, La Basilicata. Impressioni, ed. A. Festa, Napoli, 1847.

5 M. TOMMASELLI, Guida delle chiese rupestri del materano, ed. Lions International Distretto 108Y, Club di Matera, s.d. (ma 1988). L'arte rupestre, in L. ROTA, M. TOMMASELLI, F. CONESE, Matera. Storia di una città, ed. B.M.G., 1981, pp. 89-189; LA SCALETTA, Le Chiese rupestri di Matera, De Luca ed.,
Roma, 1966; C. D. FONSECA, La civiltà rupestre in terra jonica, Bestetti, Roma 1970.

6 A. FIORI, Nuova flora analitica d'Italia, Firenze, 1923-1925.

7 Le ricerche in corso hanno portato ad una serie di nuove segnalazioni tra cui le seguenti specie: Carum multiflorum, Scrophularia lucida, Euphorbia welfurini, Allium atroviolaceum, Allium moschatum, Centranthus calcitrapa, Globularia punctata, Satureja cuneifolia, Solanum elagrifolium, Ires pseudopumila ed alla scoperta di nuovi ibridi e di nuove specie di orchidee.

8 M. TOMMASELLI, Le masserie fortificate del materano, De Luca ed., Roma, 1986.

9 Cfr. L. r. 16.1.1978, n. 3, Istituzione del parco storico naturale delle Chiese rupestri di Matera, abrogata con L. R. 3.4.1990, n. 11, Istituzione del Parco archeologico storico naturale delle Chiese rupestri del Materano, in B.U. Basilicata n. 15. Sullo stesso argomento cfr. N. TEDESCO, Un grande parco naturale per l'arco jonico delle gravine, in Umanesimo della Pietra, n. 6, gennaio 1991, pp. 11-18; R. NIGRO, Viaggio in Puglia, ed. Laterza, Bari, 1991. Cfr. infine, il disegno di legge n. 50, 1987, presentato al Senato della Repubblica nel corso della X Legislatura, successivamente ripresentato a firma di altri nel corso di questa legislatura, Conservazione e recupero urbanistico, ambientale ed economico degli habitat rupestri e delle testimonianze storico-artistiche delle gravine.


tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 1991"

Autore: Testo di Giuseppe Settembrino

 

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