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LA CHIESA DI SAN NICOLA

“La struttura del tempio, oggi arrivata a noi fortemente rimaneggiata, si presenta semplice, ma robusta e salda. Fa parte della primitiva costruzione il grande arco che regge la parte anteriore verso l’altare. E’ retto da pilastri di pietra squadrata e a vista, così come la volta, il resto è opera di ricostruzione, circa il ‘400, a seguito di sismi di cui non si ha memoria. È ad una sola aula: l’arco a tutta luce, di cui sopra, ha somiglianza col ponte di Sant'Antuono, il che fa pensare alla contemporaneità della costruzione e forse agli stessi architetti e costruttori.

Caratteristica principale e forse unica, è il coretto, cui si accede dalla piccola sacrestia, per una scaletta breve e stretta, riservata al Feudatario di allora, ed oggi alle autorità costituite, quando partecipano ufficialmente ai sacri riti del ‘Corpus Domini’.

L'altare maggiore, in calce, addossata alla parete sud, è imponente e solenne, con due robuste colonne che sorreggono l'arco e la cimasa. Ha però ai lati due grossi finestroni, che è quanto di più infelice si possa concepire. È certamente il frutto dei rimaneggiamenti. Infatti la luce che filtra, incontenibile e abbagliante, dà noia e fastidio; e specialmente rende quasi impossibile poter ammirare il prezioso trittico su tavole, raffigurante la Vergine col Bambino e Santi.

Il dipinto è forse l'opera più pregiata che si abbia a Calvello, difficile dire come sia arrivato tra noi. I colori sono vivi, caldi, sfumati, omogenei; gli sfondi profondi, i particolari accuratissimi.

I volti della Vergine, del Bambino e dei Santi sono sereni, penetranti, pieni di vita; i paludamenti ricchi e raffinati: le figure mosse, soffuse di gioiosa letizia, sembrano invitarti al colloquio.

Il trittico è stato recentemente restaurato e lo si può ammirare in tutto il suo splendore e bellezza. Viene attribuito a Simone di Firenze. Forse ulteriori e più accurate indagini potrebbero darci notizie più precise come le lettere appena leggibili che sembrano essere le seguenti: “Hoc O^ F.F, Don Ant.”. E’ evidente trattasi del committente delle tavole, che se identificato, porterebbe forse alla precisazione dell'opera.

Nel coretto del feudatario, è sistemato, con non molta cura, seppure con possibilità di luce indiretta, una grande tela raffigurante la Vergine col Bambino, in alto, e al centro un Arcangelo (San Michele?), in atto di liberare dalle fiamme del purgatorio: vescovi (si intravede un pastorale), nobili (si scorge una corona), e signori. Non si vedono plebei. La tela è del '600, e tutto fa pensare che venga dalla casa ducale.”

“Tra le sculture lignee più belle, esistenti nel sacro luogo, è da ricordare un Cristo crocifisso a grandezza naturale, e fortemente espressivo. Ha il capo rivolto verso l'alto; gli occhi dolcissimi e lacrimanti suscitano profonda tenerezza, ed eccitano al pianto. Esprime un dolore lancinante, ma rassegnato. Le carni sono lacerate; il sangue che scorre dai piedi, dalle mani chiodate e dal petto squarciato, imporpora le ginocchia, sbucciate per le cadute. I rami che intrecciano la corona di spine, sembrano appena recisi: hanno aculei lunghi e appuntiti; sono infissi nel cuoio capelluto. Il tutto con una naturalezza che non fa pensare ad una scultura, sebbene ad un uomo in carne ed ossa, appena conficcato e appeso alla croce.

La linearità della scultura, dalla anatomia perfetta, senza virtuosismi e ricerca di particolari non pertinenti, è opera di artista del '500, epoca nella quale ci si sforzava con ottima riuscita, a riportare nel legno scolpito, la figura umana nella sua realtà, in qualunque momento della vita, nella gioia e nel dolore. Purtroppo lo sfondo rappresenta figure scomposte, dalla mano rozza ed infelice. Andrebbe certamente rifatto. Questa scultura è del tutto diversa dall'altra esistente nella chiesa parrocchiale, pur essa di grandissimo valore, e la cui espressione, quasi di disperazione, è di chiara marca giansenistica.

Sgargiante nei paludamenti, mosso nelle linee, e ricco di fantasia e di espressione, è la statua di San Biagio, scolpita in legno nel primo '600. Il Santo ha ai piedi due Angioletti svolazzanti. Con la destra benedice, mentre la sinistra regge il pastorale e una spazzola con aculei di ferro, strumento del suo martirio. Ha il viso barbuto, ben levigato, di un uomo nel pieno della virilità. È scultura di notevole interesse artistico, per lo studio e le cure poste dall'autore. L'espressione è spontanea e profonda. Le vesti episcopali sono ricche. Sembra che il Santo ti venga incontro accogliente, gentile, bonario.

Rigido invece e in atto benedicente, pur esso scolpito in legno, è il busto del Titolare della chiesa, San Nicola. Per l’atteggiamento lievemente bizantineggiante, lo si può datare all'epoca della costruzione del tempio, il 1300, quando ancora nella Lucania, l'arte si ispirava a Bisanzio e gli artisti andavano lentamente e faticosamente aprendosi ai nuovi canoni e ai nuovi stili, alla ricerca di nuovi temi. Il busto è alquanto tozzo, col viso rubizzo e atteggiato al sorriso. Si notano interventi di restauro poco accorti. È tuttavia interessante l'espressione del Santo, proposto in atteggiamento di intensa vitalità e soffuso di ottimismo. “

“Attualmente la chiesa di San Nicola, così onusta di storia e ricca di arte, danneggiata dal sisma del 23 novembre 1980 è in restauro. I lavori fervono attenti, precisi e con competenza.

Nel corso dei lavori sono affiorati interessanti scoperte. Con la rimozione di un quadro, di interesse molto scarso, sono venuti alla luce affreschi datati 1526 e raffiguranti la Madonna delle Grazie. Similmente, rimosso il Cristo in croce di cui abbiamo trattato si sono scoperti altri affreschi cinquecenteschi. Ora tutto è attentamente valutato e studiato, e l’indagine, cui saranno sottoposti i reperti, ci daranno interessanti notizie sulla storia di questo antico tempio.”


da: "Calvello - storia, arte, tradizioni"
di Luigi De Bonis
su autorizzazione dell'autore

Autore: Luigi De Bonis

 

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