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ITINERARIO DEGLI HABITAT RUPESTRI: CIRCUITO URBANO DELLE CHIESE RUPESTRI DI MATERA

1. STRATEGICITA' DELLA VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO RUPESTRE MATERANO NEL QUADRO DELLO SVILUPPO TURISTICO REGIONALE

L'urgenza di interventi per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio storico-artistico delle Chiese rupestri di Matera è emersa sia all'interno del progetto nazionale sugli itinerari turistico-culturali nel Mezzogiorno (Itinerari dell'Habitat rupestre), sia all'interno delle "azioni organiche" previste dalla legge 1 marzo 1986, n. 64, sulla disciplina organica dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno.
In riferimento a questa ultima legge occorre ricordare che, per iniziativa del Comune di Matera, la Regione Basilicata inserì tale proposta nei propri Programmi Triennali di Sviluppo.
Il progetto originario del "Circuito Urbano delle Chiese Rupestri di Matera" di importo complessivo pari a 8.308 milioni prevedeva il restauro di 11 fra le più significative chiese dal punto di vista storico, religioso, artistico, architettonico, antropologico site all'interno dei Sassi, riconosciuti beni di interesse nazionale con la Legge 771 dell' 11 / 11 / 1986 e di recente entrati a far parte del patrimonio dell'umanità essendo stati inseriti nelle liste dei beni tutelati dall'UNESCO.
Per tale ragione - e per la possibilità di conseguire gli obiettivi di un riequilibrio territoriale e di una migliore distribuzione stagionale dei flussi turistici il progetto assume connotati di strategicità nell'ambito della valorizzazione delle risorse di interesse turistico presenti nella Regione Basilicata.
L'aver organizzato il progetto attraverso un itinerario può consentire la affermazione della realtà turistica che trova nei Sassi di Matera da un lato una specificità di risorse intimamente connessa alle radici storico-culturali lucane e dall'altro la necessità di promuovere un pacchetto ben preciso e mirato di offerta turistica in grado di prolungare la visita all'interno dei Sassi e delle Chiese rupestri non solo di Matera ma anche dei dintorni, riuscendo pertanto a centrare l'obiettivo strategico di prolungare la durata della visita alla Città, che attualmente soffre della pendolarità del visitatore, il quale tende a ridurre la visita ad un solo giorno.
L'improcrastinabilità degli interventi di recupero del patrimonio rupestre viene adesso posta in termini quasi ultimativi per l'ulteriore degrado cui le strutture vanno incontro, degrado che rischia di cancellare questo patrimonio millenario che affonda le radici nella cultura mediterranea con riscontri che, partendo dall'Oriente, giungono in Italia tramite le sponde africane, trovando altresì similitudini nelle zone della Francia centrale.



2. LE CHIESE RUPESTRI DI MATERA - BREVI CENNI STORICI
L'ingente patrimonio storico-artistico e religioso delle chiese rupestri della Basilicata, ancora poco conosciuto ai più, è dislocato in due aree omogenee della regione, individuabili nella zona del Vulture (comuni di Melfi, Venosa e Rapolla) e nella zona del Materano (comuni di Matera e Montescaglioso).
La riscoperta e la segnalazione della vastità e dell'importanza del patrimonio rupestre del Materano sono state frutto delle ricerche effettuate dal Circolo Culturale "La Scaletta" a partire dagli anni '50, conclusosi con la pubblicazione nel 1966 del volume "Le Chiese rupestri di Matera", cui ha fatto seguito nel 1996 la nuova edizione "Chiese ed asceteri rupestri di Matera", a cura di Mauro Padula, Camilla Motta e Gianfranco Lionetti.
Detti studi e ricerche hanno indicato la presenza nel Materano di oltre 150 chiese rupestri: già il numero di per sé crea meraviglia per una tale concentrazione.
Scavate nei fianchi dei burroni della vicina Murgia o nel masso tufaceo della Città, sono testimonianze di esigenze di culto e di continuo insediamento che dal VII secolo giunge al XVI; attraverso il succedersi degli stessi insediamenti, si rileva il variare delle realizzazioni e il mutamento dell'uso da luogo di culto a ovili, case di abitazione, a cantine o a depositi.
Le comunità religiose vi giunsero non solo da oriente, ma anche da occidente e dalla Calabria, favorite dalle vicende politiche dell'epoca.
Matera fu punto d'incontro di diversi orientamenti religiosi (latini e greci) che vi pervennero nella ricerca di più sicuri luoghi o al seguito di contrapposti eserciti, e vi lasciarono i segni delle loro civiltà.
In questi monumenti ipogei l'anonimo litotomo scavò secondo la sua tecnica e la sua fantasia realizzando una straordinaria quanto "assurda" e varia architettura, creando colonne, capitelli, pergule, lesene, iconostasi, altari, cupole. Pur nel numero straordinario di cripte, nessuna si ripete: ognuna ha la sua fisionomia e la sua iconografia.
Alla produzione di questa particolare arte, realizzata a misura d'uomo, parteciparono maestranze locali le quali usarono la loro secolare esperienza nel lavoro di escavazione delle cripte, risultate tutte originali.
In conseguenza della molteplicità dei tipi e della specifica funzione di questi particolari luoghi di culto, si possono classificare in chiese lauriotiche, cenobi, cappelle o cripte non aggregate, eremi o asceteri, santuari.
Nello stesso tempo si registrano chiese ad una navata di tipo bizantino, a tre navate di tipo benedettino e a due navate allorché sono affiancati il rito latino e quello greco.
Pur nella severità delle buie escavazioni, gli ambienti sono movimentati da componenti architettoniche, appena accennate in alcune, si manifestano più accentuate in altre, come in Santa Lucia alle Malve, nella Madonna della Croce, in San Luca, in Santa Barbara, in San Pietro in Monterrone, nella Madonna delle Virtù.
Oltre al lato architettonico, le cripte materane, contrariamente a quanto si pensava prima della indagine e del riscontro effettuati dal gruppo della Scaletta negli anni Sessanta, presentano affreschi di notevole valore che sono venuti alla luce attraverso una più attenta ricerca. Le testimonianze pittoriche delle cripte di San Nicola dei Greci, di San Giovanni in Monterrone, di Santa Lucia alle Malve, della Madonna delle Tre Porte, della Madonna della Croce, di San Falcione, della Madonna degli Angeli, di San Guglielmo, dei Santi Pietro e Paolo e di molte altre, principalmente della straordinaria cripta del Peccato originale, accreditano la presenza di un ciclo pittorico di diversa matrice e tempo, e pongono il complesso rupestre materano all'attenzione degli studiosi.
Dagli schemi dominanti della pittura bizantina con stereotipi fissi e figure dalle quali traspare una astrazione tesa a richiamare una realtà trascendente- si passa a immagini che mettono in rilievo umanità e naturalezza e fanno risaltare l'espressione dei sentimenti.
Si è quindi evidenziata una scuola indigena nata all'ombra della tradizione bizantina costituendo una nuova arte prima ancora delle più celebrate toscane.
La gran parte delle cripte sia urbane che extraurbane risulta di proprietà privata, pochissime sono della Curia o del demanio.
Detta situazione crea grossi problemi per gli interventi di salvaguardia e di tutela di questo straordinario patrimonio storico-artistico, che, abbandonato a sé stesso, ha subìto un notevole degrado con distruzione di molte cripte.
La menzionata distinzione fra chiese extra-urbane e chiese urbane, dislocate queste ultime negli storici rioni "Sassi" o ai confini di questi verso la città settecentesca, concerne esclusivamente la distinzione sul territorio e non trova riscontro in peculiari differenze tipologiche, architettoniche o iconografiche.
Per contro tale distinzione può essere determinante in funzione delle connessioni, sia storiche che evolutive, in ciascun ambito territoriale.
Se da un lato le chiese rupestri dei Sassi seguono l'evoluzione della "città antica" fino ad essere oggi inserite negli ambiti previsti dai programmi biennali della Legge 771/1986, quelle "in agro", meno soggette a trasformazioni d'uso, sono dislocate saltuariamente lungo le Gravine e sulla Murgia, in ambienti di notevole interesse paesaggistico, naturalistico, oltreché storico-insediativo.



3. NOTE SINTETICHE SUL PROGETTO DEL CIRCUITO URBANO DELLE CHIESE RUPESTRI DI MATERA
Il progetto del "Circuito urbano delle Chiese rupestri di Matera" è stato di recente finanziato per il primo stralcio dalla Regione Basilicata con Delibera n. 9218 del 30-121996 per un importo complessivo di 4.000 milioni, con fondi rivenienti dalla programmazione comunitaria attraverso i POP-FESR 1994/96.
Il primo stralcio è stato individuato con le Chiese di Cappuccino Vecchio, Santa Barbara, e del Convicinio di Sant'Antonio, comprendente le quattro chiese di S. Antonio, S. Donato, S. Eligio (ora denominata S. Maria all'Annunziata) e Tempe Cadute (ora San Primo).
L'itinerario completo prevede un luogo di partenza attrezzato con idonee infrastrutture (Cappuccino Vecchio) a partire dal quale si snoda un percorso che coinvolge progressivamente il visitatore in un itinerario che ha connotati sia naturalistici (rientrando l'area all'interno del Parco Archeologico Naturale delle Chiese Rupestri del Materano istituito con Legge Regionale n. 11/1990) sia storico-culturali con presenza di emergenze monumentali ed artistiche peculiari del comprensorio rupestre.
L'itinerario si svolge lungo la sponda destra del Torrente Canoprio (Gravina di Matera) partendo dalla misticità del sito del Cappuccino Vecchio e attraversandola Chiesa di Santa Barbara, ancora leggibile con gli affreschi e la struttura originaria risalente al IX-X secolo, sino a giungere allo straordinario complesso delle quattro chiese del Convicinio di Sant'Antonio che rappresenta uno degli esempi più compiuti dell'architettura religiosa rupestre del comprensorio appulo-lucano.
Il progetto, già approvato dal Comune di Matera, è in corso di appalto e la successiva cantierizzazione prevede una prima fase con esecuzione del monitoraggio e dei saggi e prove, cui farà seguito la fase dei lavori di restauro, la cui esatta definizione avverrà a seguito dei risultati rivenienti dalla prima fase esecutiva.



4. NOTE STORICHE E DESCRITTIVE SULLE CHIESE OGGETTO D'INTERVENTO

4.1. Cappuccino Vecchio
Di questa cripta non si hanno notizie storiche. Si suppone che possa essere databile fra il X e l'XI secolo.
È sita sulla sponda destra del torrente Gravina sulla via del Convento dei Cappuccini e a poca distanza dalla grande cripta della Madonna dell'Abbondanza. La piazzuola che precede la chiesa rupestre e la base del pilastro posto fra i due ingressi sono stati erosi nel tempo.
I due ingressi parabolici sono asimmetrici: quello di sinistra, dal sesto più rifinito, è leggermente obliquo rispetto all'asse dalla corrispondente navata.
La cripta è a due navate che confluiscono in un unico ambiente rettangolare corredato di banchine. Nel complesso la chiesa presenta una elegante struttura architettonica caratterizzata da livelli di piani con andamento ascendente dal vestibolo ai presbiteri. Una parete dell'aula sinistra presenta due nicchie affiancate con cornice sul sesto.
Le due navate collegate da arco parabolico presentano il plinto dell'altare isolato, banchine tutt'intorno, il diaconicon e la prothesis indicati da nicchie affiancate e ben modellate. Chiude le navate un'abside strombata.
La cripta doveva essere affrescata: rimangono frammenti di pitture sulle pareti del nartece ed alcune croci graffite.

4.2. Santa Barbara
La chiesa di Santa Barbara è scavata lungo la sponda destra del torrente Gravina alla periferia sud della città, con accesso all'altezza del numero civico 287 di Via Casalnuovo.
La cripta, a pianta greca, si fa risalire al IX-X secolo: quasi certamente era un piccolo santuario.
Per la caratteristica architettura, in cui si rilevano l'atrio, l'iconostasi ed il presbiterio, e per le antiche pitture murali, la cripta è considerata una delle più originali ed interessanti del genere.
L'ingresso è marcato da un arco parabolico fiancheggiato da due rozze colonne e, subito a destra, si rilevano due locali segnati da archi parabolici, dimora un tempo del sacerdote che aveva cura della chiesetta.
Lo schema planimetrico presenta un minuscolo nartece, un'aula a pianta lievemente trapezoidale, ed infine il "birre" -con due absidi preceduto da un diaframma di roccia traforato da due coppie di finestrelle ad arco- avente funzione di iconostasi.
Arcatelle cieche di difformi dimensioni ornano le due pareti laterali: sulla parete destra è rilevabile un masso tufaceo squadrato che probabilmente fungeva da ambone o da piedistallo.
La cripta presenta sulla iconostasi alcuni affreschi, in buone condizioni, rappresentanti Santa Barbara (due) e una Madonna in trono.

4.3. Convicinio di S. Antonio
Questo straordinario complesso si sviluppa nel Rione Casalnuovo ed è costituito da quattro chiese contigue e comunicanti su un unico atrio: S. Antonio Abate, San Donato, Santa Maria Annunziata e San Primo.
Il complesso ha subìto nel tempo varie trasformazioni, fino a diventare cantine di privati. In origine dovette essere un luogo di culto al centro di un grande monastero. L'elegante portale d'ingresso sormontato da un arco ogivale con decorazione trilobata e l'architettura che a grandi linee si ripete nelle quattro cripte, propongono una datazione che va fra l'XI ed il XIII secolo.
Dopo un periodo di decadimento dovuto molto probabilmente al crollo di gran parte del monastero, il complesso ebbe una rivitalizzazione con l'immigrazione degli Albanesi che si insediarono in quella zona. Difatti, in un rogito di notar Valentino Gambaro del 10 febbraio 1540, viene citato il Convicinio di S. Antonio.
Verso il Settecento le chiese furono sconsacrate e con ulteriori escavazioni trasformate in cantine.

4.3.1) Sant'Antonío Abate
L'ingresso, preannunciato da un piccolo pronao, è sormontato da una rilevata cornice che ricorda il motivo trilobato del portale.
Sull'architrave è infissa una mattonella ceramicata con la rappresentazione di due chiavi incrociate.
L'interno, a pianta rettangolare, si articola in tre navate suddivise da quattro pilastri.
La navata di destra non offre particolari rilievi, tranne un ingresso autonomo oggi murato ed un corto vestibolo con una nicchia contenente una croce equilatera graffita.
Alte e modellate nicchie si aprono sui pilastri lungo la navata centrale. L'abside maggiore racchiude oggi una vasca in conci di tufo ove un tempo era pigiata l'uva.
La navata di sinistra, movimentata da eleganti nicchie, si articola in tre settori: il primo presenta una finestrella contenuta in una cornice a sesto ogivale poggiante su due dritti convergenti in alto, il secondo ha tre graziose nicchiette affiancate, mentre il terzo è oggi diruto per l'apertura di un ingresso laterale.
La navata di destra e quella centrale hanno il soffitto a tenda segnato da una nervatura centrale, mentre quello della navata di sinistra è più arcuato e presenta la nervatura centrale contenuta in due settori quadrangolari dalla cornice rilevata.
Le cavità lenticolari che sovrastano i presbiteri laterali contengono croci gigliate, mentre la volta del presbiterio centrale è a crociera. Le lunghe eleganti nicchie che si affacciano sulla navata centrale avevano pitture murali.
Oggi rimane l'immagine barocca di un San Sebastiano e in un'altra nicchia l'immagine di S. Antonio Abate.
Sulla parete di fondo appare un riquadro dedicatorio ove è raffigurato un ex-voto dedicato alla Madonna di Picciano.

4.3.2. San Donato
La cripta di San Donato, a pianta quadrata, si presenta con uno spazio ipogeo, scandito da due grossi pilastri su cui svettano semplici archi parabolici, che si articola in tre pseudonavate. Quella centrale si differenzia per l'arco scemo che immette nel presbiterio e per una più profonda cavità absidale in cui è stata praticata un'apertura per accedere al cellarium, scavato successivamente ad un livello più basso.
I settori laterali hanno le pareti movimentate da ampie arcate cieche e quelli di fondo marcati dalla solita croce a rilievo infissa sulla simbolica vetta.
Si nota una maggiore levigatezza ed eleganza nell'escavazione del settore sinistro terminante in una più ampia e rifinita calotta absidale.
Le navate presentano soffitti a tenda ben evidenziati nei tre spazi liturgici e marcati da una nervatura centrale.
Il presbiterio di sinistra si differenzia per la volta a crociera e quello centrale per un'ampia cupola lenticolare in cui è inscritta una stupenda croce gigliata.
Due finestrelle trasversali forano la parete esterna, mentre una terza è ricavata sul pilastro di sinistra. In prossimità dell'ingresso sulla destra, si rileva una cisterna.
Le due navate laterali non presentano tracce di affreschi: si scorge solo una cornice rossa che segna il margine absidale.
La navata centrale, invece, è ancora illuminata da dipinti di buona fattura. Si notano San Donato, San Leonardo, Santa Dorotea ed altri frammenti di affreschi.

4.3.3. Santa Maria Annunziata
L'attigua chiesa di Santa Maria Annunziata, in precedenza denominata S. Eligio, presenta due presbiteri congiunti diagonalmente e divisi da uno spesso diaframma di roccia.
I due santuari, intercomunicanti attraverso una elegante finestrella, possiedono calotte absidali segnate dalla ricorrente croce appena rilevata ed infissa su un triangolo.
L'intera cripta prende luce da quattro singolari finestre leggermente strombate.
Sulla parete dell'ingresso, a sinistra, si scorge appena una pallida immagine della Madonna con il Bambino. Sempre a sinistra una Deesis della Vergine.
L'intradosso dell'arco che contiene la raffigurazione presenta un motivo decorativo a cassettone di elegante fattura.

4.3.4. San Primo
All'interno del Convicinio, subito a destra entrando dal portale d'ingresso, vi è la cripta di San Primo, in precedenza denominata Tempe Cadute.
Questa, comunicante attraverso una irregolare apertura con l'attigua cripta di Sant'Eligio, si articola, nella zona planimetricamente meglio conservata, in due cappelle divergenti, divise da un pilastro che si rastrema in corrispondenza delle arcate.
Il soffitto a tenda presenta una nervatura centrale e voltine segnate da marcati costoloni, mentre le lunette absidali portano scolpita in bassorilievo la croce equilatera posta sul simbolico triangolo.



5. SITUAZIONE ATTUALE: DEGRADO DEL PATRIMONIO RUPESTRE
L'accesso alle 11 Chiese ricadenti nel circuito rupestre urbano è impedito e difficoltoso perché alcune (Cappuccino Vecchio e Santa Barbara) sono di proprietà privata e poste lungo versanti impervi, altre sono murate o inaccessibili perché fortemente dissestate (San Pietro Barisano, Santa Maria de' Armenis), altre ancora sono chiuse o con accesso non regolamentato perché di proprietà privata o di Enti ecclesiastici.
La situazione statico-strutturale delle chiese rupestri in progetto si presenta diversificata, ma non eccessivamente disomogenea anche in relazione al fatto che sono tutte scavate nella "Calcarenite di Gravina", una roccia tufacea granulare a struttura clastica.
Lo stato delle Chiese è di estremo degrado, conseguente al più che decennale abbandono; vi sono problemi sia relativi all'umidità -nelle pareti e negli ambienti- sia di ordine statico: in particolare per Cappuccino Vecchio ed il Convicinio di Sant'Antonio, dove già nel 1974 era segnalata la situazione di pericolo nello "Studio geologico-tecnico e stato di conservazione dei Sassi" redatto dal prof. Cotecchia in preparazione del Concorso internazionale per i Sassi.
Il degrado statico è dovuto sia ad insufficienze strutturali sia, in minor parte, all'azione dell'uomo che nei secoli - secondo la tipica storia dei Sassi di Matera- ha di frequente modificato strutture e destinazioni d'uso.
I principali dissesti possono essere classificati schematicamente nei seguenti tipi:
a) fratture su roccia originate dalla naturale evoluzione dei versanti lungo la Gravina;
b) distacchi in corrispondenza del giunto tufo-roccia, che spesso si verificano per la presenza di volte od altre strutture in conci direttamente impostate sulla roccia;
c) lesioni su strutture in conci di tufo per lo più originate dallo scarso collegamento fra i vari paramenti murari.
Riguardo al problema dell'umidità i dati rilevati solo occasionalmente, in alcune cripte, forniscono differenze termo-igrometriche fra interno ed esterno veramente ragguardevoli: salti di temperatura interno-esterno di oltre 7° C e differenze di umidità relativa che raggiungono il 50%.
A parte gli elevatissimi valori di umidità relativa interna (90% circa mediamente) - sulla quale influisce anche l'acqua evaporata dal tufo- sono per l'appunto tipici delle strutture a grande inerzia termica i salti termici fra aria esterna ed interna. Problema questo particolarmente preoccupante ai fini della condensazione, se si aggiunge il fatto che il clima di Matera presenta fra le più elevate escursioni termiche giornaliere in Italia.
Le cause principali della forte presenza di umidità nelle murature e in roccia sono da ascriversi non ad acqua di falda, ma spesso ad infiltrazione e ad acque disperse e non rapidamente allontanate, e quindi assorbite per capillarità.
Le prove di laboratorio effettuate dal Massari hanno mostrato l'estrema "pericolosità" (dal punto di vista umidità) del tufo, per la grande semplicità con la quale assorbe l'acqua e per la capacità di rievaporarla negli ambienti anche con contenuti percentuali molto bassi.
II limite di sicurezza è mantenuto solo se l'acqua residua nella muratura è inferiore al 3% in peso.
Quella che potremmo definire "versatilità di questo materiale di trattare l'acqua", a differenza per esempio del tufo vulcanico che pur assorbendo più liquido lo restituisce con maggiore difficoltà, è causa tuttavia di una sorta di autodifesa della pietra anche in virtù della sua costituzione mineralogica: il rapido "va e vieni" dell'acqua, attraverso le superfici esposte, fa depositare su queste ultime notevoli quantità di carbonato di calcio che a lungo andare riducono l'assorbimento e contemporaneamente impediscono anche l'evaporazione e il prosciugamento del materiale.
Naturalmente ciò non accade per le fratture o crepe attraverso le quali la pioggia séguita ad entrare senza che possa avvenire la successiva evaporazione e quindi la carbonatazione.
Indipendentemente dai danni di natura meccanica, ovvero dovuti a vere e proprie percolazioni dall'alto, molte delle pitture murali rimaste, anche per la sopraggiunta carbonatazione in profondità (per qualche centimetro) dello strato supporto, si mantengono in uno stato di equilibrio, sia pure precario.
Ma è evidente che, per non superare il loro limite di sopportazione, sono sempre meno tollerabili sia i contenuti d'acqua rinvenuti che le condizioni igrotermiche degli ambienti in cui sono collocati.
Valori alti dell'umidità relativa (90-95%) e temperature elevate in autunno favoriscono tra l'altro la formazione di alghe, muffe e batteri.
Entrambi i due principali aspetti del degrado, l'insufficienza statica ed il problema umidità, impediscono la fruizione e nuociono ai beni stessi, che vanno incontro ad un esponenziale degrado, anche per azioni vandaliche causate dall'abbandono: come esempi si citano la chiesa di San Gregorio, demolita alcuni anni orsono dal proprietario per ricavarne tufina e la chiesa di San Pietro Barisano, dove ignoti vandali hanno demolito gli altari.
Lo stato delle murature e delle finiture, per la più che trentennale assenza di manutenzione sia ordinaria che straordinaria, è pessimo: pavimentazioni assenti o malmesse, murature in tufo o roccia erose e ricche di attacchi organici, decorazioni e fregi distaccati o crollati, affreschi danneggiati o staccati per evitare ulteriori distruzioni (San Giovanni in Monterrone).
Solo su pochi affreschi sono stati eseguiti lavori di restauro: in San Giovanni in Monterrone e in Santa Lucia alle Malve, ove durante il restauro venne alla luce un ulteriore importante ciclo di affreschi.



6. CRITERI METODOLOGICI E DI PROGETTO
Il rupestre nei Sassi di Matera rappresenta un esempio macroscopico di oggettivazione del lavoro umano che incide e utilizza la materia naturale, definendo e codificando un universo segnico autoctono in uno scenario di straordinaria complementarietà fra natura e storia.
L'immenso spessore simbolico della caverna, riferito da un lato alla cultura materiale e dall'altro al non definibile e non circoscrivibile senso di "sacro" non può non indurre ad una verifica dell'iter di progettazione di un restauro.
II concetto di conservazione si concretizza in un tipo di restauro che si limita ad aumentare i tempi del degrado fisico, a bloccare, in un certo senso, la qualità del manufatto.
Quando occorre un restauro vuol dire che è cessata, ad un certo momento, l'attività di manutenzione e dunque vi è stato un calo di interesse per l'oggetto: si chiede dunque una ripresa della manutenzione. Può anche voler dire che è richiesto un uso nuovo, diverso: allora più che di restauro è giusto parlare di progetto.
Ma non esiste, in fondo, la possibilità di separare i due aspetti della "consistenza materiale" (legata al restauro) e del "significato" (legato al progetto) poiché la prima dipende strettamente dalle corrispondenti continuità o variazioni del secondo nella sua storia.
Forse non basta conoscere la fisicità dell'oggetto, costruttivamente e stilisticamente, per determinarne un uso, e dunque per redigere un progetto.
È oltremodo riduttivo considerare l'oggetto su cui si interviene come un "monumento", fermo nel tempo e nello spazio, ma occorrerebbe prendere coscienza che comunque sia, esso è luogo di intersezione di complesse dinamiche storiche, comprendenti processi di trasformazione sia materiali che, soprattutto, di significati.
Si intuisce, dunque, (enorme difficoltà di tutto ciò: essere isolati di fronte all'"oggetto" con la sola mediazione della propria strumentazione teorica e tecnica può consentire al più di distinguere la fisicità, e fermarla più a lungo possibile con espedienti più o meno adeguati. Ma occorrerebbe precisare che tali "espedienti", cioè le tecniche usuali del restauro conservativo, non sono univoche e indolori.
Occorrerebbe riuscire a ricodificare (iter metodologico che prevede le tre tipiche fasi, dell'approfondimento storico che definisce gli elementi abilitati alla conservazione, della conservazione attraverso tecniche di consolidamento strutturale e superficiale di quegli elementi, della definizione del riuso, che ricicla nella società il bene-oggetto.
Si scorge, al di là del velo positivista di tale iter, la natura schematica ed esclusivista, efficientista e monocorde, e quel che più conta, sostanzialmente "quantitativa": definire ciò che è degno di conservazione, sia pure scientificamente, ma con i parametri della propria metodologia tecnica, è quanto meno riduttivo.
Allora, in un contesto di forte degrado e abbandono, non potendosi parlare di manutenzione, occorre riferirsi ad un progetto che per non essere governato da criteri quantitativi e di consumo dovrebbe porsi come intervento creativo e produttivo culturalmente, affrontando l'esistente con la consapevolezza di inserirsi in un processo vitale in atto: un delicatissimo intreccio di dinamiche e di equilibri precari, in parte valutabili nei loro aspetti materiali ed estetici, e in parte di natura immateriale, simbolica, psicologica.
Non scindibili, i due momenti dovrebbero sintetizzarsi nel tempo, operando: entrambi vanno considerati come momenti conoscitivi e trasformativi, interrelati. Un processo di avvicinamento per gradi -successivi affinamenti in un succedersi di proposte sempre più perfettibili che trova proprio nella fase della direzione lavori un momento essenziale: dopo il denudamento di un masso tufaceo possono presentarsi situazioni che implicano necessariamente comportamenti differenti o difficilmente contemperabili in termini di linguaggio.
Non è in altri termini possibile preventivare se non "quantitativamente" il tipo di intervento a livello progettuale: al più possono valere le dichiarazioni di intenti.
Certo è che se esiste un modo per non rispettare l'oggetto è proprio quello di dichiarare con esattezza quello che si farà: ipoteca su un futuro non verificabile a priori ma avallata dagli ordinari metodi di quantificazione della spesa.
Quanto innanzi affermato entra in serio conflitto con la vigente normativa in materia di appalti pubblici, la cosiddetta "legge Merloni", che fra l'altro prescrive una puntuale definizione degli interventi in sede progettuale in modo da eliminare il meccanismo perverso delle varianti in corso d'opera che negli anni passati hanno prodotto i ben noti problemi di carattere tecnico-economico-finanziario.
La soluzione è stata trovata, come già in precedenza accennato, scindendo in due distinte fasi l'intervento, la prima dedicata al monitoraggio termo-igrometrico ed all'esecuzione di saggi e scavi ricognitivi e la seconda in cui si possano attribuire con esattezza ai distinti siti le scelte progettuali esecutive di restauro, giungendo ad un intervento "minimo" e cogliendo l'occasione per disfarsi di "attrezzi" del mestiere all'uopo non occorrenti.
La valutazione dei parametri di temperatura, umidità relativa ed illuminazione presenti allo stato sarà fondamentale nei riguardi degli interventi che si andranno ad eseguire sugli affreschi delle cripte.
In tale ottica si è ritenuto indispensabile prevedere un monitor aggio termo-igrometrico continuo necessario alla verifica puntuale dello stato.
Tenendo conto delle particolari condizioni ambientali di lavoro delle apparecchiature necessarie per i prelievi dei valori di temperatura dell'ambiente, delle pareti superficiali e di profondità, nonché delle umidità relative ambientali, si è optato per un tipo di soluzione tecnica computerizzata che prevede una rete di comunicazioni dalle stazioni di prelievo locale ad una stazione principale perla registrazione dei dati.
Non trattandosi di un sistema tradizionale come i vecchi termoigrografi, ma computerizzato, è possibile con un modesto accrescimento di spesa, ottenere una maggiore quantità di dati: la non diffusione di sistemi di controllo ed elaborazione dati del genere, è un motivo in più per puntare all'ottenimento dei knowhow capaci di qualificare quei settori specialistici di ricerca nel campo della conservazione dei Beni Culturali, campo entro cui Matera si candida a svolgere un ruolo trainante nel Mezzogiorno anche grazie all'istituzione del "Centro Zetema per la valorizzazione e gestione delle risorse storico-ambientali del Mezzogiorno", previsto dalla Legge n. 64/1986.
Durante la prima fase l'analisi ricognitiva sarà compiuta congiuntamente alla Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici della Basilicata, per le opere di pronto intervento sugli affreschi e per la elevata probabilità di rinvenire altri dipinti, ed alla Soprintendenza Archeologica della Basilicata, che ricercherà eventuali sepolture o strati di interesse archeologico.
La cautela con cui procedere dovrà rappresentare lo spirito-guida in sede di esecuzione dei lavori, che richiederanno comunque una presenza costante in cantiere, un dialogo intelligente con le maestranze, un confronto positivo con chi si ritiene abbia conoscenze anche parziali di alcuni aspetti del problema da risolvere; in tale ottica sarà di grande importanza il rilievo degli elementi di micro-architettura talvolta mascherati dalle stratificazioni delle diverse destinazioni d'uso succedutesi nel tempo, elementi, questi, non facilmente leggibili e dunque soggetti al rischio di essere cancellati; ignorati o non opportunamente evidenziati in sede di restauro (per es.: neviere, cisterne, palmenti, forni, macine, frammenti di amboni, iconostasi, ecc.).
Allo stato attuale ricognitivo si può ipotizzare la scelta di un intervento a terra, che è fra le uniche possibili opzioni di intervento architettonico in senso stretto, con percorsi pedonali rivestiti da lastre di cappellaccio di mazaro o carparo, rispondendo all'esigenza di non pavimentare in modo definitivo e di lasciare comunque scopribile il masso tufaceo; la definizione della pezzatura poi, implica problemi di ordine progettuale: un qualsiasi "disegno a terra" non avrebbe senso in ambienti che, come si evince dalle note descrittive, non rispondono a canoni di regolarità o di omologazione né di rigorosa simmetria, e l'ideale sarebbe ottenere la massima uniformità possibile, un non-disegno.
Tecnicamente, poi, la passerella, oltre a permettere la traspirazione del masso tufaceo, può nascondere i cavi protetti delle apparecchiature di monitoraggio e degli impianti elettrici, necessari per illuminare ambienti altrimenti non visibili.
Nel Convicinio di S. Antonio, dove nel '700 sono avvenute le trasformazioni in cantine, leggibilissime e quasi sempre distinte, bisogna indifferentemente fare emergere le successioni di uso degli spazi, trattarli cioè solo con leggere differenze, quasi non percettibili: non pavimentare le scale e gli ambienti bassi, ma segnarli solo con accenni di percorso risponde a questa logica: in presenza di pavimentazioni in cotto storicizzate si opererebbero integrazioni.
Gli interventi di cuciscuci sulle pareti in tufo costruite, per quanto possano ricondursi, almeno in parte, a quelli definiti "quantitativi", hanno necessità di essere realizzati, soprattutto nelle zone murarie adiacenti e comunque vicine all'oggetto, proprio per preservarle da estensioni di degrado sia statico che fisico-petrografico. Ed è sugli intagli, quelli rocciosi soprattutto, che andrà espletato il lavoro di pulitura, anche questo attento, non sempre radicale, da eseguire con cura per evitare che si modifichi -ove non sia strettamente necessario al fine di incanalare le acque piovane- la morfologia originaria del masso tufaceo.
È evidente che intervento "minimo" non vuol dire non rendersi conto di situazioni di autentica pericolosità: se una frattura rischia di compromettere la stabilità di un ambiente, a qualsiasi scala -e per di più tale situazione è già stata formalizzata da opere provvisionali o da divieti di accesso- è evidente che l'intervento da proporre è quello di assicurare la stabilità con tecnologie acquisite alla cultura corrente del restauro. Ma vuole anche dire che in caso di conclamata umidità ascendente, se è possibile risalire alle cause del problema ed eliminarle, si interviene: altrimenti, a meno di localizzate testimonianze storico-artistiche, il rapporto benefici-costi, da non intendersi in termini meramente economici, tenderebbe a zero.
Il principio fondamentale cui si dovranno attenere le opere di consolidamento e di risanamento dall'umidità è il rispetto fin nei minimi particolari della configurazione attuale degli ambienti rupestri; ciò sia in relazione all'importanza storica, artistica, architettonica e antropologica delle Chiese, sia per uniformarsi alla filosofia dell'intervento generale di restauro e risanamento.
In tale ottica saranno eseguiti interventi di consolidamento assolutamente invisibili, in quanto realizzati dall'esterno degli ambienti e/o perché mascherati da operazioni di rimozione e ricollocamento quali ad esempio il cuci-scuci ovvero opere di stabilizzazione e di serraggio delle pareti, delle volte e dei fronti in roccia tramite ancoraggi a cui saranno applicate o meno forze di trazione a seconda della effettiva geometria spaziale della fratture.
È in questi termini che si collocano i quadri generali relativi allo stato di degrado e decadimento dovuto sia a problemi di ordine statico che a quelli microclimatico-ambientali, quadri che generalmente sono strettamente interconnessi secondo rapporti quasi mai individuabili sequenzialmente.



7. OBIETTIVI E BENEFICI DEL PROGETTO
II Progetto del "Circuito urbano delle Chiese Rupestri" si inquadra in una proposta di ampio respiro tendente ad integrare le esigenze generali di restauro, tutela e salvaguardia con quelle di sviluppo, di promozione sociale, di crescita economica e in un solo termine di "contemporaneità", dimostrando sul campo che anche questi beni, fino a poco tempo fa ritenuti far parte di una cultura subalterna, appartengono al patrimonio storico-artistico-ambientale dell'umanità e pertanto possono essere assunti in termini reali di produzione perché lo spazio, divenuto oggi ambiente specifico, si traduca in risorsa per lo sviluppo.
È questa d'altronde una logica che sta alla base delle recenti normative che disciplinano gli interventi che fruiscono di sovvenzionamenti statali o comunitari, la cui attuazione prevede che vi sia, a fronte dell'investimento necessario alla realizzazione dei progetti, una redditività garantita da rientri tariffarie da benefici economici esterni.
I rientri tariffari potranno essere costituiti dal biglietto della visita guidata al circuito urbano e che allo stato non esiste perla descritta mancata fruibilità delle chiese rupestri.
A seguito della realizzazione del progetto si prevede che il flusso di visitatori già esistente oltre ad essere incrementato possa cambiare da turismo escursionistico, limitato ad una sola giornata, a turismo stanziale, con almeno un giorno di pernottamento.
Di pari importanza risultano i risvolti occupazionali che comporteranno il restauro e la fruibilità delle sei chiese rupestri; la situazione attuale di estrema precarietà per la visita o consentita per lo più grazie a guide improvvisate e scarsamente qualificate, sarà radicalmente modificata con una gestione della visita direttamente controllata dal Comune tramite convenzione.
Ne beneficeranno così la qualità dell'informazione turistica ed in primo luogo la situazione occupazionale, uscendo così dalla logica che ha sino a poco tempo fa contraddistinto l'intervento pubblico nel Mezzogiorno, capace di creare lavoro solo nel corso d'esecuzione delle opere.
La realizzazione del progetto offrirà pertanto un contributo rilevante per questa trasformazione della struttura della domanda turistica, con notevoli benefici esterni sulla Città in un momento in cui vi sono almeno altre cinque novità favorevoli al fine di un corretto e consistente decollo dell'attività turistica:
- la notevole opera di recupero in corso di esecuzione nei Sassi Barisano e Caveoso, favorita dall'attuazione dei Programmi Biennali previsti dalla Legge 771/1986 e predisposti dall'Ufficio Sassi del Comune di Matera;
- la prossima nomina dell'Ente gestore del "Parco archeologico storico naturale delle Chiese Rupestri del Materano", previsto dalla L. R. 11/1990, a seguito della quale potrà essere avviata la gestione del parco storico-archeologico-naturale;
- l'avvio dei lavori per il completamento della Galleria d'Arte moderna e contemporanea entro il Seminario del Lanfranchi, l'importante complesso settecentesco che domina il fondale della Via Ridola, nel centro storico della Città;
- l'incremento della ricettività alberghiera di recente conseguito in Città ed in parte in corso di esecuzione, con qualificati interventi, di cui due all'interno dei Sassi, suggeriti già da diverso tempo dalla Regione Basilicata attraverso la relativa normativa;
- l'inserimento di Matera nel circuito delle Città d'Arte, il che fa prevedere di per sé un incremento della domanda turistica nei riguardi della Città dei Sassi.



Bibliografia

"Arte in Basilicata", a cura di Anna tirelle e Sabino lusco, Roma 1981;
"Chiese ed asceteri rupestri di Matera", a cura di Mauro Padula, Camilla Motta, Gianfranco Lionetti, Roma 1996;
"Studio geologico-tecnico e stato di conservazione dei Sassi", a cura di Vincenzo Cotecchia, Matera 1974.



tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie"

Autore: Testo di Renato Baldoni-Pier Gregorio Padula

 

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