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Tito - da " La Basilicata" di F. Di Sanzo - ( primi del '900 )

Il paese, alle falde di un monte, circondato dai boschi di Santa Maria del Carmine, in una zona abbastanza fertile che si distende come una immensa fascia di verde.

Poco più in là è Satriano, e, sulla vetta di un colle spaccato da cima a fondo, è il luogo su cui sorgeva l'antica Pietrafesa, di cui avanza solo qualche frammento della vecchia torre, nella quale, verso il 1420, si rinchiusero, in estrema difesa, i cittadini contro cui era stato inviato per l'esterminio del paese, un esercito incaricato di punire ferocemente l'offesa recata ad una giovane signora di Terlizzi quando vi era passata per andare alla corte della regina Giovanna di Napoli.

I pochi superstiti di quel terribile eccidio si rifugiarono a Tito, trasportandovi le cose più care e le sante reliquie della loro terra devastata dall'incendio.



Nelle campagne di Tito, dopo le feroci persecuzioni di Diocleziano e Massimiano, furono trovati i corpi dilaniati di tre santi confessori della fede, Primo, Ponzio e Valentino, che, raccolti dalla pietà dei credenti, furono trasportati nella Chiesa del paese, dove hanno il conforto della venerazione dei fedeli.



Come Picerno, anche Tito, nel 1799, fu assalita e devastata dalle orde brigantesche dello Sciarpa. Una donna Francesca Cafarelli, fu trascinata in piazza e tra ingiurie e minacce, le fu ordinato di gridare: "Viva i Borboni!".

La nobile donna, ferita, pallida, sanguinante, non tremò.

Fissando sdegnosa i suoi assassini ubriachi di vino e di ferocia, in un supremo atto di fede e di disprezzo, essa gridò con voce alta e ferma: "Viva la libertà!".

I briganti dello Sciarpa fecero scempio del suo corpo.

Autore: da " La Basilicata" di F. Di Sanzo - ( primi del '900 )

 

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