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CALVELLO: IL CASTELLO

Recenti studi e approfondite ricerche documentarie hanno consentito un’attenta ricostruzione storica, architettonica e tipologica di questo manufatto; esso appartiene “a quella serie di opere fortificate cosiddette ‘minori’, perché testimoni di vicende che sono solo piccoli echi degli avvenimenti che fanno la storia ufficiale, quella degli imperatori e dei papi, delle guerre e dei concordati”, come spesso avviene nei piccoli centri dell’Italia Meridionale, ma “che rappresentano altresì spie significative per ricercare un filo logico nell’intricato svolgersi degli eventi e dei continui mutamenti nell’organizzazione feudale dal medioevo in poi”. (Cfr. N. MASINI, Calvello dal Castrum al Palazzo, Napoli 1996, p. 4). Oggi il castello, che è costituito da tre livelli, ha un impianto quadrangolare orientato con i lati maggiori a nord e a sud; presenta un elemento sporgente a pianta quadrata allo spigolo nord-est, un corpo aggiunto, più basso ad occidente ed una torre circolare all’angolo sud-ovest; il cortile interno, quadrangolare, si raggiunge attraversando un androne, delimitato da due archi a tutto sesto in mattoni; interessante la pavimentazione in mattoni di terracotta disposti a coltello a formare un disegno a trame geometriche che seguono le linee di impluvio, la cui sistemazione definitiva si deve ai Carafa (XVI-XVII sec.), ma la cui conformazione geometrica risponde ai canoni tipici dei castelli federiciani. Entrando nel cortile si notano sulla sinistra, al primo livello, tracce di un loggiato oggi murato, risalente alla prima metà del XVI secolo, che collegava i saloni di rappresentanza con l’ala meridionale. Sulla facciata sud si intravedono lo stemma araldico della famiglia Ruffo ed una partitura dell’intonaco a riquadri tipicamente ottocentesca. Nell’angolo sud-est è ubicata una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana. Secondo la tradizione popolare i locali ubicati al pianterreno, originariamente stalle e cantine, erano collegati ad un cunicolo sotterraneo che sbucava ai piedi del colle, in contrada Vallone. Il primo piano del castello conteneva una cappella, una sala di rappresentanza ed un salone adibito, in epoca ottocentesca, all’esercizio della scherma; tale ipotesi è convalidata da tracce di affreschi che riproducono scene dell’arte della scherma, oggi malamente conservate.

L’impianto attuale del castello deriva dall’aggregazione di elementi strutturali e di ampliamenti realizzati nel corso di sette secoli; gli studi effettuati hanno rilevato che il nucleo originario della costruzione, di epoca normanna, era costituito da un unica torre quadrangolare posta all’angolo nord-est dell’attuale impianto, praticamente un mastio con funzione di vedetta; successivamente (XIII sec.) e fino al XVIII secolo esso venne inglobato in una costruzione più ampia, con cortile interno, rinforzato anche sul lato sud-est da una torre quadrangolare che assieme al mastio originario rendeva visibile la fortezza da oriente, e successivamente, in epoca angioina, dalla torre semicircolare su lato sud-ovest di cui oggi è visibile il basamento. In epoca settecentesca l’edificio, perdendo la funzione di fortezza per assumere sempre di più quella di palazzo gentilizio, si arricchì di nuove scale interne al cortile per l’accesso al piano nobile e sulle cortine murarie vennero edificate nuove ali ad uso residenziale. Con i Carafa il castello subì nuovi lavori di sistemazione del cortile e delle facciate.

L’evento sismico del 1857 provocò il crollo dell’ultimo piano del castello, prontamente riparato da Maria Giustina Ruffo, principessa di Castel Cicala e duchessa di Calvello. Ma con il secondo dopoguerra le sorti del palazzo precipitarono: venduto a più proprietari e smembrato in più abitazioni esso venne totalmente compromesso nella sua unità strutturale; infine il terremoto del 1980 ha consegnato il manufatto all’odierno, colpevole degrado, che ne rende purtroppo impraticabile la visita.



Percorsa la stretta stradina che circonda il castello si torna sul larghetto prospiciente il lato nord-est e si comincia a scendere imboccando il Vico della Beneficenza, così denominato per l’usanza dei popolani di attendere qui il passaggio del signore per presentargli suppliche o richieste; sulla sinistra è la chiesa di S. Nicola, antica cappella gentilizia del feudatario.



Al piccolo edificio religioso, il cui campanile a cuspide svetta alla sommità dell’abitato è legato il documento più antico del paese, datato 1089, in cui si riferisce che Normanno, XI conte di Marsico, dona a Rado, abate del monastero marsicense di S. Stefano, due chiese, “vocabulum S. Nicolai que fundata est versus Castello Calvelli” e la “domum S. Catharinae... iuxta fluvium prope Calvellum” (il vocabolo di S. Nicola, eretto nelle adiacenze del Castello e la chiesa di S. Caterina, nelle vicinanze del fiume che bagna Calvello). Per secoli le vicende della chiesa, praticamente annessa al castello, sono state legate a quelle dei feudatari i quali, tra l’altro, avevano l’obbligo, testimoniato da un documento settecentesco, di “fornire l’olio occorrente ad alimentare la lampada del SS. Sacramento”. Nel ‘500, come si evince dagli atti della visita pastorale del 1544, la cappella aveva ben otto altari, compreso quello maggiore.

La chiesa presenta una sola aula ed un arco a tutto sesto; l’attuale conformazione deriva dai numerosi rimaneggiamenti dovuti a ripetuti interventi di consolidamento. All’interno è ancora visibile, sul lato destro del presbite-rio, una tribunetta lignea tradizionalmente denominata “palco del Principe”, risalente all’epoca dei Ruffo, dalla quale i feudatari assistevano alle funzioni religiose; sull’altare maggiore è collocato un polittico del XVI secolo, raffigurante la Vergine col Bambino e i Santi, attribuito a Stefano Sparano da Caiazzo.



La visita al centro storico di Calvello prosegue percorrendo gli angusti vicoli e le gradinate che scendono con andamento concentrico verso valle, ripercorrendo così le tracce della più antica cinta muraria realizzata a difesa del borgo medievale; si susseguono suggestivi scorci caratterizzati dalla presenza di archi in muratura, alcuni dei quali vestigia delle originarie porte di cui rimane traccia anche nel frequente uso del termine “portello”, molto comune nei piccoli centri urbani locali, che sta ad indicare un’entrata secondaria nell’abitato cinto da mura.


tratto da "Sellata-Volturino" A.P.T. Basilicata

Autore: Adriana Bianchini - Caterina Coppola

 

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