INDICE

Avanti >>

.

IL CENOBIO PULSANESE DI SAN PIETRO A CALVELLO

Introduzione storica

L'unico insediamento in Basilicata della Congregazione Pulsanese, fondata da S. Giovanni da Matera intorno al 1128-29 è il centro di S. Petri de Cellariis a Calvello.
Il complesso monastico sorge sull'alta valle del Camastra, a circa 6 Km da Calvello, su un piccolo altopiano che sovrasta a nord la piana del belvedere ed i calanchi ed il greto del fiume La Terra, affluente del Camastra. Dal sito si vede in lontananza, in direzione N-NE, monte Siri con l'antico abitato di Anzi, mentre a sud incombe monte Tangia. Verso ponente si stagliano le montagne del Vulturino e la catena della Maddalena.
Nella Vita del santo fondatore della Congregazione si narra che lo stesso, dopo aver peregrinato per tanti luoghi del Gargano e della Puglia, in seguito ad una visione della Vergine nei pressi di Monte S. Angelo, decise di costruire insieme a sei seguaci una chiesa sull'attuale colle di Pulsano (1).
Da quel momento inizia una rapida diffusione delle idee innovatrici del santo eremita, nell'ambito della Regola benedettina, soprattutto in Puglia ed in particolare in Capitanata, ma anche in Abruzzo, Toscana, Emilia Romagna, Basilicata e Dalmazia.
Il movimento rinnovatore dei Pulsanesi si inserisce nel grande fermento riformatore che proveniva dalla Francia post-carolingia, per merito dei cluniacensi e, meno lontano, dalla Congregazione di Montevergine fondata da S. Guglielmo di Vercelli (2). Simili ai Verginiani nel "rinnovamento religioso attraverso forme e pratiche" (3), i monaci del Gargano imprimono "nuovo slancio all'ideale monastico" benedettino, attraverso una interpretazione rigida della Regola che si rifletteva nelle tendenze spirituali e nei modi di vita tipici degli eremiti (4).
"Ordo monasticus seu vita eremitica", così Alessandro III definisce la Congregazione in una bolla del 1177 (5). I monaci pulsanesi camminavano scalzi, vivevano di ciò che ricavavano dai lavori agricoli, non mangiavano carne e si astenevano dal vino, dal latte e dai loro derivati.
Nel complesso gli ordini monastici secundum Regulam accrescono la loro presenza nel Mezzogiorno d'Italia dopo la riunificazione normanna del Regno meridionale (6). Sorgono così monasteri, cenobi, chiese, con il favore e l'auspicio di feudatari e di conti, come avviene nel 1089 a Calvello con la donazione di due chiese da parte di Normanno, conte di Marsico, all'abate di S. Stefano. L'evento, riportato dall'Ughelli, sancisce l'inizio della presenza dei benedettini a Calvello (7). La Regola Sancti Banedicti si sostituisce a quella di San Basilio. I centri monastici greci, diminuendo le vocazioni, scompaiono in molte zone del nuovo Regno e le loro sedi vengono affidate ai monaci benedettini (8). Rimangono però i toponimi di località e di chiese, come a Calvello dove i Benedettini, in seguito al già menzionato atto di donazione, acquisiscono la chiesa di S. Nicola de Grecis "fundata... versus castello Calvelli" e la "domum S. Catherinae (d'Alessandria) ...iuxta fluvium (9).
Il primo documento che parla di S. Pietro a Cellaria risale al 1147, anno in cui Matteo, signore del castello di Calvello dona a Roberto, Priore di S. Pietro, la chiesa della SS. Trinità di Calvello, alla presenza della moglie Olimpia e dei figli Berardo e Guglielmo (10).
II cenobio sorge probabilmente nei primi anni di governo della Congregazione del Beato Gioele (1145-1177), terzo abate di Pulsano dopo S. Giovanni da Matera (1129-1139) ed il Beato Giordano (1139-1145). Con Gioele la Congregazione vive il periodo di massimo splendore. l'attività edilizia frenetica dei monaci e le numerose donazioni favoriscono lo sviluppo della Congregazione e l'incremento degli insediamenti pulsanesi in varie parti d'Italia (11).
Gioele morì nel gennaio del 1177, pochi giorni prima che Papa Alessandro III consacrasse la chiesa di S. Maria di Pulsano. Un documento dello stesso anno attesta che il "monasterium Sancti Petri de Cellaria, quod situm est in territorio castri Calvelli... cum pertinentiis suis" rientra nei possessi dell'Abbazia di S. Maria di Pulsano, i cui abati ottengono l'esenzione completa dalla giurisdizione vescovile solamente sotto il pontificato di Innocenzo III, agli inizi del XIII secolo (12).
In un diploma del 1225 Federico II conferma all'abate di Santa Maria di Pulsano "omnia privilegia... et possessiones.." concessi già dai re Ruggero li, Guglielmo I e dall'imperatore Enrico IV di Svevia.
Tra le chiese, i monasteri e le terre elencate nel diploma vi è anche il "monasterium Sancti Petri de Uccellaria in territorio Castri Calvelli... cum omnibus ecclesiis, iuribus et pertinentiis" (13).
Dopo la fine del dominio svevo sull'Italia meridionale inizia il declino della Congregazione. Monasteri importanti come quelli di S. Bartolomeo di Carbonara e di S. Pietro di Vallebona vengono sottratti alla giurisdizione dell'abate di Pulsano. La decadenza viene favorita anche dal sostegno che i primi regnanti angioini offrono alla Congregazione dei Celestini, fondata da Pietro del Morrone nel 1240, che a poco a poco, specie in Puglia, si sostituisce a quella dei Pulsanesi.
Vengono meno inoltre "...la compagine e l'unione fra le varie Badie.." ed il rigore della disciplina ecclesiastica che avevano fatto della Congregazione una delle voci più forti tra coloro che diffondevano il verbum Christi, seguendo gli insegnamenti di S. Benedetto da Norcia (14).
Nonostante la scarsezza di notizie a causa della perdita dell'archivio della Congregazione, in seguito al terremoto del 1646 che determinò gravi danni alle strutture dell'abbazia di S. Maria di Pulsano, il cenobio di S. Pietro a Cellaria compare in molti documenti, come quello relativo al Concilium Acheruntinum tenutosi il 25 gennaio 1310 ad Acerenza, che riporta tra i presenti l'abate di S. Pietro de Cellariis ed il priore di S. Maria di Calvello (15). II monastero, menzionato nelle Rationes decimarum del 1310 (Abbas Cellare) e del 1324 (Abbas S. Petri de Cellaria ordinis S. Benedicti) (16), nel 1359 viene temporaneamente dispensato dal pagamento delle taxae pro communibus servitiis alla Santa Sede propter paupertatem (17). Gli ultimi abati si S. Pietro di cui si conoscono i nomi sono Andrea (1358) (18) e Gregorio che nel 1375 viene trasferito alla Badia di S. Pietro de Tasco facente parte della diocesi di Trivento (19). Siamo alla fine della storia della Congregazione. Nel 1379 Pulsano e la SS. Trinità di Cava avevano un unico abate, Antonio. Morto questi la Badia insieme alle sue dipendenze, come quella di S. Pietro a Cellaria, vengono abbandonati e dati in Commenda. A questo punto un velo si stende sulla storia del cenobio dalla fine del XIV secolo fino al 1587 anno in cui esso viene ceduto alla Cappella Sistina, di Santa Maria Maggiore in Roma, da Papa Gregorio XIII (20).
Dopo quasi un secolo e mezzo, S. Pietro de Cellaria nella relazione Gaudioso (1736). In essa viene presentato come "Abbadia.. sotto l'invocazione di S. Pietro colla rendita di docati 350 annui che si esigono dal santo Presepe in Roma" (21). Dopo vari secoli, dunque, I'abbadia rappresenta di nuovo un punto di riferimento importante della cristianità nel territorio del Camastra. Risalgono infatti a questo secolo gli affreschi del coro ed una serie di interventi alle strutture che modificano in parte l'originaria configurazione planimetrica e l'immagine architettonica del complesso religioso. Ma la fortuna del rinnovato cenobio dura soltanto due secoli. Prima le terre vengono concesse in fitto, poi intorno al 1927 il tutto viene venduto ai contadini, che facendone un uso improprio contribuiscono in maniera decisiva allo stato di degrado in cui versa l'antico cenobio (22).


Architettura

IlI complesso monastico è costituito da una chiesa e da due corpi di fabbrica, addossati ad essa lungo le pareti perimetrali S e N della navata, dove erano locati gli ambienti adibiti ad uso collettivo. Resti murari e tracce di fondazione rivelano l'esistenza di altre costruzioni, probabilmente celle, lungo il ciglio dell'altopiano ad O e a N delle attuali fabbriche.
Il cenobio viene identificato nei documenti con il nome di S. Pietro a Cellara, con la sola eccezione del diploma federiciano sopracitato dove compare il nome di S. Pietro de Uccellaria. Cellaria deriva probabilmente dalla presenza di numerose celle costituivano l'insediamento monastico. S. Pietro è un santo particolarmente importante per i Pulsanesi. Lo ritroviamo nel cenobio di S. Pietro de cripta nova Ischitella, nel Gargano, e nella chiesa di S. Pietro di Vallebona. Si racconta che lo stesso santo andò in sogno a S. Giovanni da Matera per esortarlo a riedificare una chiesa presso Ginosa, anche questa con il nome di Principe degli Apostoli.
L'edificio religioso annesso al cenobio ha sviluppo longitudinale, di dimensioni 6,4 x 15,1 m., ed è costituito da una sola navata che si conclude ad est, restringendosi in altezza, con il presbiterio, sormontato da una volta a padiglione di fattura settecentesca, e l'abside divisi da un arco a sesto leggermente acuto. L'aula della chiesa è separata a sua volta dal presbiterio mediante un arco trionfale a tutto sesto, le cui modanature e monofora al di sopra della chiave dell'arco sono di un epoca successiva alla presenza benedettina, tra il XVII e il XVIII secolo. Da una attenta osservazione della quinta muraria di separazione tra il presbiterio e la navata, sono facilmente riconoscibili le tracce di due semipilastri inglobati nella muratura e delle relative imposte dell'arco trionfale di epoca romanica. In origine l'arco presentava una luce ed una freccia di maggiori dimensioni così come le imposte. La copertura lignea si trovava ad una altezza notevolmente superiore a quella attuale. AI XVIII secolo risalgono gli affreschi che decorano le pareti e le volte del coro e dell'abside e probabilmente anche la facciata principale caratterizzata da un oculo quadrilobato. La piccola entrata ad arco ribassato, di più recente fattura, risale alla seconda metà del secolo scorso (23).
Dai documenti in possesso non è possibile datare le fasi costruttive del complesso monastico nell'agro di Calvello.
Dall'osservazione dei differenti apparecchi murari e dall'analisi comparata con altri edifici ecclesiastici costruiti dai benedettini, in Puglia e in Basilicata, è facile individuare nell'abside della chiesa la parte più antica del monasterium, l'unica sfuggita alle demolizioni e ai danni ciclici dei terremoti. Essa presenta ancora una tessitura muraria fatta di pietre calcaree abilmente squadrate, che rivela una "consumata perizia" ed una "tecnica raffinata" tipica del modo di costruire dei benedettini (24). Si guardi ad esempio le facciate, o parti di esse, dell'abbazia di S. Maria di Pulsano, delle chiese di S. Leonardo e S. Maria di Siponto a Manfredonia, della chiesa adiacente al priorato benedettino di S. Maria de Plano a Calvello. Tutte costruite da esperti carpentieri e scalpellini come era lo stesso San Giovanni da Matera, di cui si conosce la perizia con cui partecipava all'edificazione di chiese e cenobi (25). Ma l'importanza della Congregazione nella storia dell'architettura non si limita solo a queste testimonianze. La loro diffusione fuori dalla Puglia, ed in particolare in Toscana ed in Dalmazia, favorisce gli scambi e le relazioni culturali, tanto da indurre qualcuno ad ipotizzare che gli elementi di derivazione bizantina presenti nel romanico toscano, ed in particolare pisano, siano stati "mediati" dai benedettini di Pulsano che si insediarono a Pisa nella chiesa di S. Michele degli Scalzi e nel monastero di Guamo presso Lucca intorno alla metà del XII secolo (26). La presenza, poi, dei monaci pulsanesi in Dalmazia risale al 1151, con il Beato Gioele, quando Desa, principe Zahumlie, dona all'abbazia di S. Maria l'isola di Meleda.
Analisi stratigrafica delle murature ha consentito anche di ricostruire alcune fasi costruttive del manufatto religioso. In corrispondenza del coro, sulla facciata esterna sono riconoscibili i resti di due archi, inglobati nella muratura. Uno coevo all'arco trionfale romanico, in quanto costruito da conci lapidei di uguali caratteristiche litologiche e di simile fattura; I'altro, costruito in un'epoca successiva, al di sotto del primo a causa di problemi statici, verosimilmente determinati da eventi sismici. Gli archi rivelano dunque l'esistenza di un vano collegato al coro, probabilmente una cappella che come nella chiesa di S. Maria di Pulsano, interrompeva l'andamento rettilineo della navata nella zona del presbiterio. La cappella, già presente con i Pulsanesi, viene prima ristrutturata e poi eliminata dopo che i monaci ne murarono l'arco di entrata per eseguire gli affreschi che coprono le pareti e le volte del presbiterio.
Tracce di pilastri e riempimenti murari inducono ad ipotizzare la presenza di altri piccoli ambienti laterali di pertinenza della chiesa o per lo meno di vani di collegamento con i corpi di fabbrica adiacenti.
Della chiesa romanica oggi rimangono oltre all'impianto planimetrico, l'abside, e a tracce di strutture arcuate, anche alcuni frammenti lapidei scolpiti a champ-levé ed inseriti nella muratura.
Dalla lettura stratigrafica delle strutture murarie si deduce quindi una storia costruttiva tormentata, fatta di rattoppi, integrazioni, ampliamenti in seguito alle variate esigenze funzionali, alle vicissitudini derivanti da terremoti come quelli disastrosi dei 1273, 1456, 1694, 1857 o da incendi, di cui si rilevano gli effetti su un elemento ligneo inserito nella muratura che faceva da architrave all'ingresso principale (27).
A ciò si aggiungano le numerose superfetazioni seguite alla trasformazione della struttura monastica in una masseria, lo stato di dissesto delle murature e il crollo della copertura della chiesa generati dal sisma del 1980 ed infine il completo abbandono.
Tra ortiche rigogliose e balle di fieno, i resti ancora sanabili dell'antico monastero della Congregazione Pulsanese attendono da tempo un sapiente restauro.


Affreschi

All'austerità della struttura architettonica e al linguaggio semplice della pietra squadrata e del pietrame informe dell'esterno, si contrappone un complesso pittorico dove la scenografia e le architetture dipinte fanno da protagoniste assolute. E' un vero miracolo che in S. Pietro a Cellaria si siano conservati per più di due secoli alcuni affreschi che mani ignote dipinsero sulle pareti e le volte fatiscenti del presbiterio e dell'abside.
La figura umana si perde tra trompe-d'oeil, lesene, fughe di archi, modanature, e altre membrature architettoniche che salgono dal primo ambiente verso una volta a padiglione e nella parte retrostante verso il catino absidale. In quest'ultimo si ergono vigorose colonne dipinte con capitelli dalle forme composite che delimitano, sia pure da lontano, una nicchia entro cui un tempo vi era una scultura in legno raffigurante S. Pietro andata "dispersa".
Restano sul posto invece due vergini, ammantate di vesti bianche, dai volti estatici rivolti verso il cielo, che dominano le pareti laterali del presbiterio. Le mani di una sembrano sorreggere un bambino e l'altra una manciata di frutti tenuti in un lembo della veste. Ho usato il termine sembrare perché la lettura delle immagini è quanto mai difficoltosa, in quanto il disegno è sbiadito e i colori sono stati in parte cancellati dalla luce che piove dalla adiacente navata priva di copertura.
AI di sopra delle due figure che rappresentano allegorie della carità vi sono due busti chiusi in un tondo delimitato da fini riquadrature. Da quel punto architetture immaginarie si protendono verso l'alto, secondo una concezione dilatata dello spazio, per chiudersi in una fuga di cassettonati, impreziositi da motivi floreali, degradanti verso il centro della volta.
I due ambienti sono scanditi verticalmente da due arcate ricoperte da decorazioni con intrecci e conchiglie. E' presumibile che anche il resto della chiesa fosse dipinto, come si può evincere da superstiti segni che si notano ancora su di una lesena al limite del presbiterio.
Quella di S. Pietro è una pittura colta dal linguaggio raffinato di derivazione centro settentrionale. I riferimenti ideali dell'anonimo artista non sono stati gli autori del ciclo di affreschi sulla storia di S. Francesco, nel chiostro di S. Maria de Plano a Calvello, né tantomeno Girolamo Todisco che ha lasciato pagine meravigliose nella chiesa di S. Maria degli Angeli sempre a Calvello. I suoi antecedenti artistici vanno ricercati nelle preziose scenografie dei Bibbiena o più verosimilmente nei soffiati della pittura secentesca romana, che aveva avuto come protagonista assoluto Padre Andrea Pozzo. Del resto, come è stato sopra detto, i riferimenti con Roma e la sua cultura si giustificano nei rapporti, che a partire dalla fine del XVI fino a tutto il XVIII secolo e oltre, legano la comunità monastica alla Cappella Sistina di S. Maria Maggiore.
Nel pittore di S. Pietro la fantasia si sbriglia nelle architetture, che qui assolvono quasi al ruolo di quinte teatrali che si animano solo con la presenza reale dell'uomo. Se manca il dinamismo che animava i cieli dipinti da Fratel Pozzo, c'è però un silenzio, un senso di attesa che ben si concilia con lo spirito di un monastero che ha nella contemplazione la sua vera anima.
I colori sono giocati su tonalità calde. Si va dal bianco avorio al giallo, al rosso carmiglio e al bruno. Lo spazio di invenzione diventa evocazione e rifugio dell'anima.
Questo capitolo, autentica eccezione nell'ambito della pittura lucana del settecento, si inserisce a pieno titolo nel filone storico della grande decorazione barocca italiana.


NOTE
1 Volpe V. P., Vita di S. Giovanni da Matera, Potenza 1831 ; Vita S. Joannis a Mathera Abbatis Pulsanensis Congregationis Fundatoris ex perantiquo Ms. Codice matherano Cavensis Monachi cura et studio edita, Putineani 1938.
2 Vetere B., II filone monastico-eremitico e l'ordine Pulsanese, in L'esperienza monastica benedettina e la Puglia, a cura di C. D. Fonseca, Galatina 1986, I, p. 199.
3 Lunardi G., L'ideale monastico e l'organizzazione interna dei monasteri, in L'esperienza monastica benedettina e la Puglia, a cura di C. D. Fonseca, Galatina 1986, I, p.199.
4 Ibidem.
5 V. Mittarelli G. B. - Costadoni A., Annales Camaldulenses, Venezia 1755-73, IV, pp. 64-65
6 Calò Mariani M. S., L'arte del Duecento in Puglia, Torino 1984, p. 49.
7 Ughelli F., Italia sacra, sive de episcopis Italiae et insularum adiacentium, t. VII, Venetiis 1721, rist. anast. Bologna 1981, c. 497
8 Von Falkenhausen V., Il monachesimo italo-greco e i suoi rapporti con il monachesimo benedettino, in L'esperienza monastica benedettina e la Puglia, a cura di C. D. Fonseca, Galatina 1986, I, p. 131.
9 Ughelli F., Italia sacra cit., c. 497.
10 La notizia riportata da Cuozzo E. (a cura di), Catalogus Baronum. Commentario, Roma 1984, 171, é tratta dalla fonte: G. B. Prignano, Historia delle famiglie di Salerno normande, Roma, Biblioteca Angelica, 1640-41, Cod. 276, fai. 59 V.
11 Tra questi abbiamo in Puglia i monasteri femminili di S. Cecilia di Foggia (1160) e di S. Bartolomeo di Carbonara a Monte Sant'Angelo, i monasteri maschili di S. Stefano vicino Mattinata (Foggia), di S. Pietro de cripta nova ad Ischitella (Foggia), in Toscana la chiesa di S. Michele degli Scalzi a Pisa, i monasteri di S. Michele di Cuamo presso Lucca (1156) e di Santa Maria Intemerata di Fabroro (Firenze); v. Lovecchio M. M., S. Maria di Pulsano. Monte S. Angelo, in Insediamenti Benedettini in Puglia, catalogo della Mostra a cura di Calò Mariani M. S., voi. II, t. I, Bari novembre 1980- gennaio 1981, p. 53.
12 Patrologia Latina, ed. j. P; Migne, Parisiis 1841-1864, 200, nr. 1097; Italia Pontificia (Regesta Pontificium Romanorum .... cong. P. F. Kehr), IX, 296, nr.4.
13 La trascrizione del diploma é riportata da Ughelli, Italia sacra cit., c. 832-833 e da Huillard-Bréholles J. L. A., Historia Diplomatica, Parisiis MDCCLII, rist. anast. Torino 1963, li, Parte I, pp. 479-483.
14 Lovecchio M. M., op. cit., p.55.
15 Vendola D., Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Abulia-Lucania-Calabria, Città del Vaticano 1939, 365.
16 Vendola D., Rationes decimarum cit., 2021 (a.1310), 21 13 (a. 1324). Monasticon Italiae. Puglia e Basilicata, Badia di Santa Maria del Monte - Cesena 1986, III, parte li, p. 179.
17 Hoberg H., Taxae pro communibus servitiis ex libris obligationum ab anno 1295 usque ad annum 1455 confectis, Città del Vaticano 1949, p. 239.
18 ASV, Schedario Garampi 68, indice 512, foglio 17V.
19 Ibidem.
20 De Bonis L., Calvello: storia arte e tradizioni, Calvello 1982, p. 18.
21 La relazione Gaudioso sulla Basilicata (1736), a cura di T. Pedio, Bari 1965, P. 70.
22 De Bonis L., op. cit., pp. 19-20.
23 Molte sono le analogie dal punto di vista architettonico e planimetrico con il monastero pulsanese di S. Pietro ad Ischitella: la navata unica, il coro absidato, la sobrietà della facciata caratterizzata da un portale di entrata e da un oculo soprastante, e la posizione a nord rispetto alla chiesa delle celle del monastero garganico.
24 Calò Mariani M. S., op. cit., p. 49.
25 Nella Vita S. Joannis troviamo il santo impegnato a reperire le pietre e la calce necessaria per la costruzione della chiesa di S. Pietro a Ginosa (" .. praecipit quibusdam ut tali loco excavarent, ubi lapides invenirent abudanter: et alio ubi calcis copia adesset affluenter. ").
26 Calderono Massetti A. R., La committenza pulsanese in Toscana nei secoli XII e XIII: primi risultati di un'indagine, in " Storia dell' Arte", 1982, 44, pp. 45-46; EAD., Puglia e Toscana nei secoli XII-XIII, in Atti del XXIV Congresso del Comitato Internazionale di Storia dell'Arte, li, Bologna 1982, pp. 257-263; Calò Mariani M. S., op. cit., pp. 56-57.
27 Le pareti perimetrali della chiesa presentano un apparecchio murario costituito da materiale lapideo non sbozzato, disposti non sempre su filari regolari, interrotti da mattoni in laterizio e materiale proveniente dall'antica fabbrica, composto da conci squadrati ed elementi lapidei di grosse dimensioni.
La stessa abside presenta due differenti parametri murari, relativi uno alla prima fase di costruzione, risalente al XII secolo, caratterizzata da un opus quadratum; la seconda che caratterizza la parte alta della struttura, si riferisce ad una successiva fase di lavori di riparazione, costituita da fasce di mattoni che si alternano con regolarità a conci squadrati di fattura medievale.


tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 1993

Autore: Nicola Masini

 

[ Home ]  [Scrivici]