INDICE

Avanti >>

.

GLI AFFRESCHI DI GIROLAMO TODISCO A CALVELLO

Nella chiesa a navata unica dedicata a Santa Maria degli Angeli a Calvello (1), cinque nicchie affrescate (sovrastavano altrettanti altari) documentano il percorso dell'attività pittorica di Girolamo Todisco (2) di Abriola (Pz).
Le nicchie sono racchiuse in uno schema compositivo assimilabile ad un portale ad arco. I due piedritti terminano in corrispondenza dell'imposta con un esile cornice ad ovuli su cui scorre una fascia di trabeazione inserita tra due cornici dorate.
Sull'imposta sono due bugne dorate a punta di diamante, motivo presente anche sull'archivolto il cui frontale è racchiuso in un segmento tortile continuo. Sempre sul frontale sono dei riquadri decorati, in parte ripetuti nell'intradosso dell'arco e dei piedritti.
Sulla chiave di volta di ciascun arco un medaglione sigilla le singole raffigurazioni.
Quattro delle cinque nicchie sono ripartite in due registri, inferiore e superiore, separati dalla fascia di trabeazione. Tre di queste presentano un'ulteriore ripartizione in senso verticale del registro inferiore con al centro una lesena sormontata da una bugna dorata a punta di diamante che ripartisce la superficie in due comparti ad archi da cui emergono le figurazioni.


TOBIA E L'ANGELO

Nella lunetta che sintetizza episodi del viaggio di Tobia e dell'Angelo, da Ninive, capitale dell'Assiria, alla vasta regione della Media, la narrazione rinvia al libro su Tobia, sottolineando un valore teologico fondamentale: l'eterna attualità dell'alleanza sancita da Dio con i padri e con Mosè, ma anche la fiducia in Dio che non abbandona i suoi fedeli nelle prove e nelle necessità dell'esistenza quotidiana.
L'arcangelo Raffaele ha le sembianze umane di Azaria, così come nella narrazione popolare post-esilica.
Si erge statuario, davvero spropositato, su un dosso montuoso, il busto e il capo leggermente ruotato verso destra. Indossa i calzari e una tunica svolazzante giallo oro trattenuta da un fermaglio con diadema che ne divide le pieghe sul ginocchio sinistro, scoperto e piegato in avanti quasi in movimento. Un'ulteriore tunica color marrone che sfuma sul rosa svolazza a mezzo corpo all'altezza del bacino, come mossa dal vento: è ricamata in oro sul corpetto, ai bordi e sulle braccia da cui fuoriesce una camicia bianca a righe color marrone, rimboccata a mezze maniche. Trattiene con la mano sinistra il figlio di Tobi, cui fa da guida, quasi a consigliarlo e istruirlo sugli scopi della sua missione.
Il giovane e minuscolo Tobia, che indossa una tunica viola quasi in segno di penitenza, volge la testa verso Azaria ed i loro sguardi sembrano incrociarsi. Regge all'altezza del petto con la mano destra il pesce catturato sulle sponde del fiume Tigri, sulle cui virtù curative l'arcangelo lo istruisce.
Una luce frontale illumina i due personaggi e vivacizza il panneggio degli abiti che indossano, pur irradiandosi il sole sul paesaggio da sinistra.
L'affresco situa Tobia e l'arcangelo Raffaele già nella Media, nei pressi della capitale Ectabana che si erge turrita, con forme e moduli costruttivi riferibili al medioevo, su un dorsale montuoso dietro cui si delinea in lontananza un'altra città tra i monti, con mura, torri e acropoli, probabilmente Rage, meta finale del loro viaggio per recuperare il denaro depositato da Tobi presso un suo parente, Gabael.
Fu durante quel viaggio che l'arcangelo indicò a Tobia le proprietà terapeutiche del fiele, del cuore e del fegato del pesce per guarire il padre Tobi dalla cecità e per liberare Sara, sua cugina e futura sposa, dal demone Asmodeo nemico dell'unione coniugale.
Nel medaglione della chiave di volta della lunetta, a sigillo della raffigurazione compaiono in un riquadro un triangolo dorato con una saetta sovrastato da una corona a cinque punte adagiata su una nube vaporosa in cui sembrano delinearsi delle anime e nel quadrante attiguo, sopra tre sfere bianche su sfondo scuro, sotto tre colline su cui spuntano tre fiori.
Lungo la fascia di trabeazione sottostante la lunetta scorrono, a sinistra (di chi vede) l'iscrizione "SANCTVS JOSEPH" e al centro l'epigrafe "V.I.D. FABRITIVS TERTIVS TORELLAAVS/GVB(E)R(NA)T(OR). CA(LVE)LLI P(ER) SVA DEVOTIONE F(IERI) F(ECIT) ANNO 1616:".
Frammenti di un affresco raffigurante la Natività sono ancora visibili nel registro inferiore della nicchia, sotto la fascia di trabeazione. Sembra siano stati ridipinti in epoca successiva da altra mano ed evidente risulta la differenza di tonalità cromatica rispetto alla raffigurazione descritta in precedenza.
Si riconoscono alcuni tratti figurativi di S. Giuseppe e della Madonna, rispettivamente affiancati dall'asino e dal bue in una grotta e compare soltanto una parte dell'aureola di Gesù Bambino. Sul lato destro si intravede la figurazione di un drago che invade la fascia di trabeazione.


SAN MICHELE ARCANGELO

In un'altra lunetta è affrescato l'arcangelo Michele, capo dell'esercito del Signore, protettore della Chiesa, guida per le anime dal Purgatorio verso il cielo, che lotta contro il seduttore del mondo intero, diavolo e satana, l'antico serpente che giorno e notte ci accusa innanzi a Dio.
L'arcangelo libra in aria con la mano destra la spada sguainata dal fodero e con la sinistra regge la bilancia su cui sono supplici due anime purganti.
Ali dispiegate ma ferme, figura ruotata verso destra e leggermente inclinata il protettore del popolo di Dio si erge minaccioso a gambe divaricate sul demone ribelle e sconfitto. Spada pronta nuovamente a colpire, elmo e corazza bronzea con disegni a sbalzo, mantello e tunica svolazzanti, rosa il primo e giallo-rosa la seconda dai bordi ricamati, calzari a mezza gamba, ha tra i piedi l'animalesco attentatore delle anime, ali da pipistrello, corna e testa da capro, coda da serpente, che alita ancora fiamme dalla bocca contro l'arcangelo, digrigna i denti aguzzi, tenta di sollevarsi sgomitando per terra, mezzo busto sollevato e uncino a doppia punta pronto a ghermire le anime purganti.
La scena si svolge in un anfratto montuoso tra rocce da cui fuoriescono lingue di fuoco, arbusti e tronchi di alberi bruciati.
Sullo sfondo la luce che promana dall'arcangelo sfuma dal giallo all'arancione, al rosa al violetto irradiandosi nel cielo per poi definire la curva dei monti in lontananza: su un lato un centro abitato si delinea sul cucuzzolo di una montagna e sull'altro un fiume scorre sinuoso in una valle.
Nel medaglione posto al centro della chiave di volta della lunetta sullo sfondo di un cielo che sfuma dal celeste al viola al rosa compaiono in primo piano le vette di un monte su cui campeggia una mano che impugna un mazzo di spighe di grano, il braccio coperto da un abito monacale.
Le iscrizioni lungo la fascia di trabeazione su cui poggia la lunetta riepilogano e denotano le figurazioni degli affreschi della nicchia: "S. IACOBVS MAIOR", "S(AN)CT(VS)MICHAEL ARCHANG(ELVS)", "SANCTVS LEONARDVS".
Dalle due campate ad archi che ripartiscono il registro inferiore fuoriescono a destra S. Giacomo Maggiore, a sinistra S. Leonardo.
S. Giacomo Maggiore, il primo apostolo martire perito di spada nel 42 d.C., aureolato e volto splendente, barba e capelli rossicci, indossa una tunica verde scuro ricoperta da un mantello rosso porpora e calza i sandali. Con la mano destra regge un libro e con la sinistra il bastone del martirio.
La figurazione, leggermente ruotata verso sinistra, in parte fuoriesce dal limitare della soglia su cui poggia in avanti il piede sinistro.
Dalla campata sinistra, dal fondo scuro come quella precedente, sembra avanzare, con una figurazione leggermente ruotata a destra, San Leonardo nel suo abito monacale bianco, mantellino e pazienza marrone, con in mano la catena, simbolo del suo martirio, e nella sinistra un libro di cui sfoglia le pagine con le dita.
Entrambi i santi rivolgono lo sguardo pensoso verso gli astanti, quasi ad ammaestrarli sulle verità della fede.
Lungo la lesena centrale sormontata da una bugna dorata a punta di diamante e decorata da un vaso e candelabro, un tondo con una piccola croce ed una targa con la data 1616, rinviano ad una decorazione post-manierista confermando nel contempo la data di esecuzione dell'affresco.


VISITA AD ELISABETTA

Nella lunetta è affrescato l'episodio della visita di Maria ad Elisabetta, che richiama i brani del Vangelo di San Luca (1, 39-58). Elisabetta accoglie Maria, sua parente e l'abbraccia innanzi all'uscio di casa di una città della Giudea, accomunate dalla stessa grazia divina.
Le due figure colte di profilo, sguardo tenero e affettuoso quasi genuflettono l'una verso l'altra. Elisabetta inarca confidenziale la mano destra sulla spalla di Maria come appoggiandosi per l'emozione e per la gravidanza e Maria sembra sostenerla e darle coraggio
Elisabetta ha un copricapo bianco ed una sopra veste rosa orlata ai bordi da fasce scure ed indossa una lunga tunica gialla su cui poggia un mantello verde. Maria è ricoperta da un mantello blu notte orlato d'oro e dal risvolto bianco che poggia su un lungo vestito rosso porpora, da cui fuoriesce una camicia bianca a manica lunga.
Alla scena assiste, poco lontano, il vecchio sposo di Elisabetta, il sacerdote Zaccaria, incredulo e perciò muto sino alla nascita di Giovanni il Battista, a lui annunziata dall'arcangelo Gabriele durante la settimana del suo servizio al Tempio. Curvo e leggermente piegato in avanti, sguardo contrito, si poggia con la mano destra sul bastone mentre con l'altra trattiene il cappello all'altezza del petto in segno di ossequio e di rispetto. Indossa un vestito sul rosa ed un mantello giallo dorato. Sullo sfondo si intravedono su un lato una catena montuosa e sull'altro un portone dorato con arco al pianterreno di un edificio rialzato con finestre.
Lungo la fascia di trabeazione che sostiene la lunetta le epigrafi "SANCTVS DONATVS", "VISITATIO S(ANC)T(A)E M(ARI)AE VIRGINIS" e "SANCTA LVCIA" richiamano la figurazione della Visita ad Elisabetta da parte della Vergine e confermano quelle dei santi raffigurati nel registro inferiore della nicchia.
San Donato, benedicente, tiara e bastone vescovile, veste i paramenti sacri. Ha una lunga tunica bianca ricoperta da un mantello rosso vermiglio congiunto all'altezza del petto da una spilla. Illuminato dall'aureola che irradia raggi divini, barba e capelli castani, volge lo sguardo pensoso quasi verso il basso. Parte dell'affresco risulta persa per la caduta dell'intonaco all'altezza dei paramenti sacri.
Santa Lucia, copricapo con spillone e merletto bianco di sposa, affiora da sotto l'arco quasi sporgendosi in avanti. Reca la palma del martirio e nella mano sinistra l'anello da sposa, nell'altra regge la patena con i suoi occhi strappati e sul braccio monili perlati. Il volto luminoso e irradiato di luce sembra osservare docile e gioiosa quanti a lei si affidano. Sul collo ha una collana di perle che scende lungo la camicia verde turchino; un mantellino giallo dorato sfila dalle spalle trattenuto sul braccio sinistro. Dopo la caduta dell'intonaco e lo scialbo compare parte del vestito color rosso vermiglio: scende sino ai sandali che rivestono i piedi scoperti della santa.
Ormai irrimediabilmente persa è la decorazione della lesena centrale, mentre lo scialbo pervade anche brani della figurazione dei santi affrescati.


LA MADONNA DEL LATTE

Nella lunetta è affrescata La Madonna del Latte con Gesù Bambino che soccorre le anime purganti.
Appare tra le nubi quasi a mezzo busto, con una corona a cinque punte sul capo e il corpo ricoperti da un manto blu tempestato di stelle orlato d'oro ai bordi con un vestito rosso e la camicia bianca. Con l'avanbraccio sinistro cinge Gesù Bambino benedicente, ignudo e appena ricoperto da un pannicello, che in parte sembra poggiare sul grembo materno e in parte su dense nubi grigiastre, sotto cui sono oranti quattro figure di anime avvolte nelle fiamme del Purgatorio. La Madonna, con l'aiuto del Bambino, preme e spruzza su di loro il latte salvifico che fuoriesce dalla mammella sinistra, volgendo verso le anime il loro sguardo benevolo e misericordioso.
Nel medaglione della chiave di volta della lunetta è raffigurata, come attestato dall'iscrizione, "SANCTA MARIA DE MONTE SERRATO". Un manto blu con orlo dorato ne ricopre il capo, su cui poggia una corona a cinque punte, e la veste rosso porpora. Sembra seduta e nella mano destra regge un pomo su cui germoglia un ramoscello di fiori. Con la mano destra trattiene per le spalle Gesù Bambino che sembra assiso sul suo grembo, corona sul capo, piccola tunica bianca che lo riveste, mano destra benedicente e nell'altra il globo terrestre.
Sull'estradosso della nicchia sono, in due tondi dal fondo scuro, sul lato destro S. Pietro e su quello sinistro S. Paolo.
S. Pietro aureolato, barba e capelli bianchi, come la tunica che lo riveste, manto giallo sopra e braccio poggiato su un testo sacro trattenuto con la mano, impugna nella mano sinistra due chiavi: del Paradiso e della Chiesa.
Sulla raffigurazione l'iscrizione "TE PETRE" ripete le parole del Signore che a lui assegna il primato della Chiesa.
L'epigrafe "SS. PAVLES" sovrasta l'affresco di S. Paolo aureolato, a mezzo busto, leggermente ruotato e con il volto di profilo, barba e capelli rossicci. Veste una tunica grigia con un mantello rosso e in una mano impugna la spada e nell'altra verosimilmente le sue "Lettere" segnando con le dita alcune pagine.
Lungo la fascia di trabeazione le iscrizioni "S. PHILIPPVS", "IVSTA PETE(N)TI GRAZIOSASV(A)" e "S. IACOBVS MINOR" preannunciano le corrispondenti raffigurazioni dei santi e suggellano l'invocazione alla Madonna del Latte (o del Soccorso).
San Filippo aureolato, figura stante con ginocchio sinistro leggermente mosso in avanti, si staglia sotto l'arco emergendo dal fondo scuro. Barba e capelli castani, volge lo sguardo agli astanti, mano destra e dorso appoggiati sulla croce di legno che abbraccia e sembra fuoriesca a ricordo di una fonte (Policrate, vescovo di Efeso) che lo vuole crocifisso in Frigia con il capo in giù. Veste una tunica camiciata sul verde ricoperta da un manto che sfuma dal viola al rosa e regge con la mano sottobraccio il libro dei testi sacri.
San Giacomo Minore, cugino di Gesù, martirizzato durante la persecuzione di Nerone nel 62 d.C., emerge dal fondo dell'arco avanzando con il ginocchio sinistro piegato e in movimento. Ruota la testa verso destra, lo sguardo estatico verso l'alto. Veste una tunica marrone che sfuma nel giallo e nel rosa ed un mantello verde. Impugna nella mano destra un bastone su cui poggia e con il braccio sinistro piegato e con la mano mostra un libro aperto segnando con le dita il passo della sua Lettera "F(RATR)ES, OM/NE BONV(M)/ OPTIMVM/DE SVRSV/EST", che riecheggia versetti del prologo che ricordano come ogni bene provenga da Dio.
Lungo la lesena centrale che definisce le due campate ad archi del registro inferiore su una targa dorata compare la firma dell'autore degli affreschi: "Hyer(ola)mus todiscvs Pinx(it)".


LA MADONNA DELL'ULIVO O DELLA PACE

Nella nicchia è affrescata la Madonna dell'Ulivo con il Bambino, che appare tra le nubi su un tronco d'olivo reciso, da cui subito germogliano nuovi e vigorosi ramoscelli.
Un manto blu notte tempestato di stelle e dai bordi dorati ricopre il lungo vestito rosso vermiglio che la ricopre. Due angeli alati, rispettivamente in tunica bianca e rosa con cinte svolazzanti, protendono braccia e mani a reggere la corona, sporgendosi in ginocchio da cirri di nubi che si addensano cupi e grigi. Entrambi recano in mano dei ramoscelli di ulivo.
La mano destra della Madonna poggia sulla mammella mentre con l'avanbraccio sinistro sorregge Gesù Bambino benedicente. Veste una tunica bianca e nella mano sinistra impugna un ramoscello d'olivo. Assiso, sembra come sospeso sul vestito della madre, il cui insistito grafismo delle pieghe non riesce a ritrovare la giusta curvatura della figura, dilatata a dismisura. Sul tronco dell'albero nella targa si legge "S. MARIA/ L'OLIVA", quasi a rimarcare la funzione simbolica di riconciliazione, perdono fraterno e pace attribuita alla pianta.
Ai due lati del tronco da cui gemmano nuovi rami si ergono ai piedi della Madonna un papa ed un vescovo.
Una luce dorata irradia dietro il papa che ha sul capo la tiara a tre corone simbolo del "triregnum". Indossa un piviale giallo dorato disegnato a foglie, trattenuto da un fermaglio con la scritta "I-H-S". Volto leggermente ruotato e sguardo rivolto agli astanti, barba bianca e fluente, con la mano destra, dal cui polso scende un pendaglio d'oro, benedice e con la sinistra regge la triplice croce pastorale. Anelli dorati infilano il pollice e l'anulare delle mani. Ai suoi piedi compare accovacciato un lupo che addenta tra le fauci ancora insanguinate un agnello, quasi un richiamo alla lotta fra protestanti e cattolici.
Il vescovo aureolato, figura leggermente ruotata, volge lo sguardo estatico verso l'alto, sul capo la mitra giallo oro con diademi incastonati. Un piviale rosso vermiglio adorno di foglie ne ricopre la tunica bianca. Regge con la mano destra un libro aperto, due anelli con diadema infilati nel pollice e nell'anulare. Con la mano sinistra ricoperta da un guanto trattiene il pastorale, un anello infilato nell'indice. Dei disegni ornano il guanto e le mani dai cui polsi pendono monili.
Nel medaglione che chiude la chiave di volta della lunetta è raffigurata una città medievale difesa da mura e torri, dove svettano numerosi campanili, chiese e guglie accanto a palazzi nobiliari. Fuori porta, in primo piano transitano figure appena accennate di un uomo e di un cane dietro un cavaliere: sembrano rincorrere qualcuno o qualcosa mentre sulla strada converge verso di loro un'altra figura. Sovrasta la raffigurazione l'iscrizione "MORE MAN(E)O": un monito a restare nella fede cristiana.
Sull'estradosso del piedritto di destra compare, in un tondo dal fondo scuro, l'evangelista San Marco, mantello giallo dorato e tunica bianca, capelli lunghi e biondi come la barba, colto di profilo e intento a scrivere. In primo piano la figura distesa di un leone cui la simbologia lo abbina.
Sull'altro lato del piedritto, introdotta dalla scritta "S. ANTONIO", è la raffigurazione dell'omonimo santo padovano. Colto di profilo, lo sguardo assorto e rivolto verso la figura del papa, indossa l'abito monacale e trattiene con la mano destra un libro aperto; con la sinistra impugna il tradizionale giglio che lo contraddistingue.
Sicuramente questo affresco deve aver subito dei rifacimenti a causa dei terremoti che afflissero la zona a più riprese, primo fra tutti quello del 1624, che sicuramente interessò le pareti della chiesa, rovinando il resto degli affreschi che in origine decoravano la cappella fatta affrescare dal governatore di Calvello, Fabrizio Terzo Torella.


GLI AFFRESCHI DELLA CHIESA DELLA TRINITÀ

Anche nella chiesa della Trinità di Calvello è presente un'altra pittura murale di Girolamo Todisco.
In una nicchia rettangolare, suddivisa in due registri, inferiore e superiore, sono affrescati "SANCTVS DONATVS" e "SANCTVS FR(ANCI)SCVS", individuati dalle rispettive iscrizioni. Occupano la destra e la sinistra del registro inferiore diviso a metà da una lesena decorata con motivi a candelabro al cui centro è una bugna a punta di diamante.
San Donato, figura leggermente ruotata, aureolata e benedicente, indossa la tiara e i paramenti sacri. Rivolge lo sguardo verso gli astanti e trattiene con la mano sinistra un libro e il bastone vescovile. Ha capelli, baffi e pizzetto castani, che lo differenziano rispetto all'affresco di S. Maria degli Angeli. Un mantello rosso vermiglio con una larga fascia dorata congiunta da una spilla all'altezza del petto, più sottile ai bordi copre la tunica bianca che lo riveste.
S. Francesco, figura ruotata e in abito monacale china il capo aureolato ed estatico verso il Crocifisso che regge nella mano destra. Poggia la mano sinistra sul petto all'altezza del cuore ed ha mani e piedi trafitti dalle stimmate.
Il registro inferiore è diviso da quello superiore da un'esile fascia orizzontale lungo cui scorrono le iscrizioni "Mortali similis Deus, mortalis et ipse", "Sistitur ante aras, coeli qui psidet aris", a commento dell'episodio raffigurante la Circoncisione e presentazione al Tempio, ispirato al Vangelo di San Luca (2, 21-35), inserito in un contesto ad arco a tutto tondo con archivolto tortile e due pennacchi con decorazioni a fiore ionico.
La scena si svolge attorno ad un lungo tavolo posto al centro del Tempio con Simeone proteso a mirare e reggere tra le braccia su un pannicello il Bambino Gesù aureolato e sorridente. È fiancheggiato da un uomo e da una donna che reggono nelle mani il cero della luce e della fede, mentre alle spalle di Simeone un'altra figura di un uomo, probabilmente un membro della confraternita della SS. Trinità, si affaccia con il capo coperto da un cappuccio.
Al centro del tavolo ricoperto da un manto verde con orli dorati, un sacerdote regge tra le mani il vangelo, lo sguardo rivolto verso l'uomo con il cero acceso quasi a rievocare alla luce della fede i passi dell'episodio affrescato. Alle sue spalle altri due uomini rivestiti da una tunica sembrano consultarsi tra di loro: uno indica all'altro che prega a mani giunte, l'avverarsi dell'evento narrato. Sulla destra dell'affresco (per chi guarda) sono San Giuseppe, che poggia sul bastone, figura e sguardo assorto rivolti verso Gesù Bambino e Simeone, la Madonna aureolata e in ginocchio, manto bleu orlato d'oro e tunica rosso vermiglio, tra le mani un cesto con due colombe, sguardo rivolto agli astanti, e, alle sue spalle, la figura di una donna in ginocchio con lo sguardo rivolto verso Simeone e Gesù Bambino.
L'affresco del Todisco, ancora in restauro così come la chiesa, risale probabilmente allo stesso periodo in cui vennero eseguiti quelli per la chiesa dedicata S. Maria degli Angeli o a qualche anno prima.
Rimossa la tela che in precedenza occupava il riquadro sovrastante l'altare maggiore della chiesa, sono emersi frammenti di un affresco raffigurante l'Eterno Padre, su cui scorre la seguente iscrizione: "(SANC)TA TRINITAS VNVS DEVS MISERERE N(OBIS)". Deve essere stato qualche altro evento tellurico succedutosi nella zona nel corso del XVII sec. a rovinarlo, ma la mano dell'artista che lo eseguì a noi non sembra più quella del Todisco, anche se dal prosieguo dei restauri della chiesa, che ci si augura possano riprendere tempestivamente, potrebbero emergere ulteriori sorprese.


Note

1 L. DE BONIS, Calvello. Storia, arte, tradizioni, edizione a cura dell'Amministrazione comunale di Calvello, 1996.

2 Su Girolamo Todisco, frescante e pittore di Abriola, la cui attività è documentata fra il 1616 ed il 1634, fondamentale è la consultazione del testo: Arte in Basilicata. Rinvenimenti e restauri(a cura di A. Grelle Iusco), De Luca ed., Roma
1981, pagg. 85 e 109.


tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 2000

Autore: Giuseppe Settembrino

 

[ Home ]  [Scrivici]