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LA CAPPELLA IPOGEA DI S. FRANCESCO A IRSINA

Under the church of Saint Francesco to Irsina there is a chapel escaved in a Norman tower (XIII century) which contains some frescoes of the XIV century (Presentation to the Temple, Christ Crucified, Coronation of the Virgin, the Last Supper, Dormitio Virginis, several figures of Saints and, on the barrel vault, the big image of God among four angels and the symbols of the evangelists).
The frescoes were made by local painters that knew the main italian artists, such as Giotto, Simone Martini, Duccio di Buoninsegna, Ambrogio Lorenzetti, Pietro Cavallini, and the irish miniatures arrived in Italy through the byzantine centres such as the abbey of Montecassino.

Ritenuta, da Margherita Nugent (1), oratorio francescano (2) la cappella ipogea di San Francesco, ricavata nel '200 all'interno di una torre normanna, accoglie una serie di affreschi sulle pareti e sulla volta. Il primo che incontriamo, a partire dalla parete orientale, meno rovinata e più integra delle altre, è San Francesco d'Assisi. Il Santo indossa un saio grigiastro da cui spunta, in basso, una sottoveste bianca striata da pieghe rigide e scure e regge, nella mano sinistra, la Croce e nella destra un libro chiuso da cerniere metalliche. L'affresco successivo mostra una Presentazione al Tempio, racchiusa in una ampia nicchia cieca. Al centro di questa composizione, perfettamente simmetrica, è il tempietto, la cui intenzione prospettica si palesa nella raffigurazione delle due sezioni, frontale e laterale, nell'architettura giottesca piena di archi, pilastrini, guglie, pinnacoli e motivi decorativi cosmateschi.
Sotto l'edicola, Simeone è ritratto nell'atto di consegnare Gesù Bambino alla Madonna che, a sinistra della composizione, è seguita da San Giuseppe, con tipica cuffia trecentesca dai lobi appuntiti, e da un'altra elegante figura femminile. Alla destra della raffigurazione, la profetessa Anna regge con la sinistra il cartiglio della profezia, mentre con la destra addita con fare solenne il cielo. Dietro di lei due sacerdoti barbuti chiacchierano animatamente. Sull'arco del lunettone, tra il ricco fogliame di color rosso vivo, spuntano, ai due lati, i busti di due Padri della Chiesa: Sant'Ambrogio e San Girolamo. A seguire, sul pilastro successivo al lunettone con la Presentazione al Tempio, si staglia, su un fondale scuro, la Crocifissione. La croce lignea è semplice, lineare, Cristo vi pende reclinando il capo sul petto e ricadendo con le braccia e con il busto in avanti. Il suo volto è sofferente, gli occhi sono chiusi e le sopracciglia aggrottate, il corpo curvo è ben disegnato nelle costole, nello sterno, nel petto, nell'addome. Due angeli, raffigurati in discesa, assecondano il profilo obliquo delle braccia del Crocifisso, ai cui piedi siedono la Vergine e il Battista. Segue un'altro lunettone in cui è rappresentata l'Incoronazione della Vergine. Il Cristo, sul cui capo è posato una candida colomba nimbata simboleggiante lo Spirito Santo, è avvolto in un'ampia veste bianca drappeggiata sul davanti ed è raffigurato nell'atto di posare la corona d'oro sul capo della Vergine. Quest'ultima, tutta racchiusa nel suo elegante manto azzurro, che lascia intravedere il velo e una veste bianca, volge la mano destra verso il Figlio, mentre con la sinistra mantiene graziosamente il mantello sulla spalla.
Sette ricciuti angeli musicanti, ritratti con vivo realismo nelle vesti, nelle ali multicolori, nei visi paffuti e negli strumenti musicali, si dispongono in piedi ai lati della composizione, mentre altri due in abiti fiammeggianti recano, genuflessi ai piedi di Cristo e della Vergine, due cesti colmi di rose bianche. In alto, tra il fogliame rosseggiante, sono ritratti, a mezzo busto, altri due Padri della Chiesa, San Gregorio Magno e Sant'Agostino. Sulla stessa parete, laddove il sottarco si incurva, trovano posto ai due lati, entro rombi, due ritratti femminili. Si tratta, probabilmente, di Margherita e Antonia Del Balzo, rispettivamente duchessa di Taranto e futura regina di Trinacria, madre e figlia, probabili committenti degli affreschi.
La decorazione della parete ora descritta termina con la raffigurazione di Santa Maria Maddalena. Questa indossa una veste viola, coperta da un ricco ed avvolgente mantello di color arancio, che ricade sul davanti in ampie pieghe drappeggiate, e reca nella destra la pisside con gli unguenti, ricoperta da un velo trasparente che ella tiene con la mano sinistra, insieme al mantello. I capelli biondi della Santa ricadono sciolti sulle spalle, gli occhi, dolci, si allungano leggermente verso l'esterno del volto dalle guance piene.
Passando alla parete meridionale s'incontra l'immagine monumentale e ieratica del Pontefice Urbano V, con un fiammeggiante panneggio orlato d'oro. Questa figura, grande più del doppio delle altre affrescate nella cappella, siede frontalmente su un trono squadrato, decorato con motivi cosmateschi di vario colore, vero e proprio saggio d'architettura, e regge l'enorme coppa contenente le teste dei Santi Pietro e Paolo (3). Il volto, coperto dal triregno, è totalmente illeggibile. Alla sua destra campeggiano, in alto, il Volto Santo e uno stemma gentilizio non identificabile. Accanto al Pontefice, in basso, al di sotto della finestra, si svolge una rovinatissima Ultima Cena.
Nella parte superiore della parete meridionale voltata a botte, sopra Urbano V e l'UltimaCena, trova posto una Annunciazione, divisa in due riquadri da una banda verticale e dalla parte superiore della monofora. Del dipinto rimane, purtroppo, soltanto il lato sinistro, occupato dall'angelo Gabriele genuflesso e benedicente sotto un'edicola, a cui doveva corrispondere, nel riquadro dirimpetto, un'Annunciata. Il capo dell'Arcangelo, raffigurato di profilo, si innesta su un collo largo e taurino, che fuoriesce dallo scollo della veste, impreziosito da ricami geometrici. Passando alla parete successiva si incontra, sul primo pilastro, la figura di Santa Elisabetta d'Ungheria, di cui è visibile, purtroppo, soltanto la parte superiore del corpo. Il viso, contornato dall'aureola, è ingentilito dai capelli biondi che, divisi da una riga centrale, formano due trecce che circondano il volto. La Santa, che indossa sotto un manto scarlatto un abito verde scuro dalla profonda scollatura, reca al petto una rosa bianca.
I lunettoni presenti su questa parete non contengono affreschi ma, l'uno (4) un piccolo loculo rettangolare, l'altro la porta e la scala d'accesso al piano superiore, per cui le figure superstiti (Santa Caterina e Sant'Antonio da Padova) si dispongono sui pilastri divisori e sulla superficie muraria soprastante alle nicchie. Gli affreschi della parete successiva sono andati distrutti a causa di un varco praticato nel muro, successivamente richiuso. Restano una Resurrezione di Cristo, purtroppo illeggibile, un rovinatissimo Transito della Madonna, affrescato sulla parte superiore della parete ad arco ed un San Ludovico da Tolosa.
Nel Transito la Vergine, al centro della composizione, è distesa sul letto mentre due angeli e i dodici apostoli, sei a sinistra, rovinati e illeggibili, e sei a destra, avvolti in panneggi dalle pieghe fitte e ondulate, le porgono l'ultimo saluto, atteggiando i loro visi a smorfie di dolore. In basso è raffigurata la lotta tra l'Angelo e il demonio sotto le mentite spoglie di una donna, in alto il Redentore, con indosso un panneggio bianco, è pronto ad accogliere l'anima di Maria. La successiva figura di San Ludovico da Tolosa, smilza ed alta, con indosso una cappa decorata con i gigli di Francia sul saio francescano, sborda, in alto, oltre la cornice gotica trilobata. Completano la decorazione pittorica della cappella i ventiquattro medaglioni con i ritratti dei Patriarchi e dei Profeti Maggiori e Minori sulle pareti orientale e occidentale e la figura di Dio Padre, sorretta da quattro angeli, e i simboli dei quattro evangelisti sulla volta.
Il volto del Redentore è enorme, come il collo, coperto dalla lunga barba. Gli occhi a mandorla sono ravvicinati e le sopracciglia appaiono sottili ed arcuate, il naso, piccolo e sottile, risulta sproporzionato rispetto al volto, tondo e largo. I capelli, divisi da una riga centrale sul capo, formano un ciuffo a forma di fiore stilizzato sulla sommità della fronte e, incorniciando la rotondità del viso e dell'aureola, scendono, sul collo taurino, in forma di boccoli compatti e tesi, a guisa di trecce.
Il Creatore, così raffigurato, è circondato da tanti cerchi concentrici multicolore, rappresentanti l'universo, sorretti da quattro angeli. Due, inginocchiati di profilo, sono ripresi nell'atto di reggere dai lati, con le braccia lunghe e snelle, il medaglione, gli altri due, inginocchiati frontalmente, con le ali spiegate e con le braccia flesse, sostengono dall'alto e dal basso l'immagine di Cristo. Tra gli angeli si situano quattro tondi con cornici lobate all'interno, in cui sono raffigurati i simboli dei quattro evangelisti: S. Matteo, S. Marco, figurato in forma di leone alato, S. Giovanni raffigurato sotto forma di aquila nimbata, infine S. Luca, bue alato.
Molteplici sono gli influssi presenti nelle pitture montepelosane, dalla scuola fiorentina alla senese e alla pisana, dalla napoletana alla romana che, armonicamente fuse e amalgamate con le reminiscenze oltremontane e irlandesi presenti nella volta, rappresentano un saggio di tutte le correnti pittoriche nazionali e internazionali che interessarono la Napoli del XIV secolo (5). Ed è alla luce della filiazione più o meno diretta dalle opere dei maggiori maestri del Trecento italiano che si inseriscono le scene descritte. In particolare la prima più di tutte può definirsi giottesca per il rimando continuo al Maestro e alla sua arte. L'architettura dell'edicola scenograficamente funzionale ai personaggi, l'eloquenza e la spiritualità di questi ultimi, la disposizione simmetrica delle due parti in un crescendo centrale piramidale sono un evidente richiamo al grande pittore trecentesco, così come le fonti dell'affresco (6). Il successivo affresco con la Crocifissione, invece, è quello che più di tutti risente del carattere ibrido e provinciale, dato dalla fusione tra influssi senesi, giotteschi e pisani con sicuri richiami oltremontani, e dal travaso dal linearismo bizantino a quello gotico.
Nell'affresco con l'Incoronazione della Vergine un altro senese è chiamato in causa: Simone Martini. Certamente la Maestà dipinta da Simone, nel 1315, dovettero avere in mente i frescanti irsinesi quando dipinsero l'Incoronazione. Qui la figura goticamente più riuscita è sicuramente la Madonna, avvolta nelle linee ondulate dell'ampio mantello, mentre gli angeli genuflessi ai piedi della Vergine e del Cristo altro non sono che un pallido riflesso di quelli presenti nella Maestà di Simone. A Simone Martini ci riportano anche la Santa Maria Maddalena, con l'abito elegante dalle pieghe aguzze di stampo duccesco (7), il S. Ludovico da Tolosa, filiazione diretta del S. Ludovico della predella del Polittico al Museo Civico di Pisa, soprattutto per la raffigurazione del pastorale terminante in un riccio a forma di testina di drago e il Sant'Antonio Abate. Di stampo seneseggiante è pure la Santa Elisabetta d'Ungheria, che ricorda per l'impostazione frontale della figura scultorea, oltre Duccio di Buoninsegna e Simone Martini, anche Ambrogio Lorenzetti, la cui arte ritorna, assieme a quella di Simone e di Giotto, nello splendido Angelo Annunciante, dal volto duro e dal collo taurino.
Tutt'altra aria spira, invece, dalla figura di Santa Caterina d'Alessandria e dall'episodio con il Transito della Madonna, accomunati dall'impronta della scuola napoletana di Pietro Cavallini (8). L'impronta cavalliniana è presente anche nell'immagine di Dio Padre sulla volta che risente, secondo la Nugent di ben altri influssi, che quelli nostrani fin qui illustrati: la raffigurazione del volto gigantesco e appiattito, il viluppo ornamentale che lo lega ai simboli animaleschi degli Evangelisti e il suo essere rappresentato quale essere supremo, monumentale, al di sopra degli uomini, chiamano in causa, secondo la studiosa, la miniatura celto-irlandese che, con le sue figurazioni lineari e geometriche, si pone come l'antesignana del gotico irlandese su cui si innesta il goticismo degli affreschi montepelosani.
Così i capelli, divisi sulla sommità del capo da una riga centrale con ciuffo a forma di fiore stilizzato e inanellati a guisa di treccia sul collo e sulle spalle, si ritrovano, sempre secondo la studiosa, nei manoscritti irlandesi di St. Gall e nei celebri Vangeli di Lindisfarne, culmine della migliore arte irlandese (9).
Alle miniature inglesi, e in particolare al Benedictional di St. Aethelwold (10), la studiosa accomuna anche gli angeli sulla volta che, oltre a presentare le caratteristiche oltremontane presenti nei simboli degli Evangelisti, nella corporatura del Crocifisso e nei ritratti delle due committenti (11), appaiono permeati di una patina bizantina che va, appunto, ricondotta non a fonti dirette, ma alle trasformazioni da queste subite in campo internazionale (12). Alla luce di queste considerazioni gli affreschi montepelosani vanno attribuiti in parte a frescanti di diretta ascendenza toscana, in parte ad artisti meridionali che hanno avuto rapporti, oltre che con modelli di scuola toscana, con altri di scuola romana e, soprattutto, con esemplari d'arte internazionale, della seconda metà del XIV secolo.
La datazione degli stessi non può che collocarsi tra il 1370 e il 1373. Il primo termine di questo arco temporale è giustificato dalla raffigurazione del Pontefice Urbano V (13) - morto il 19 dicembre del 1370 - con l'aureola di Santo, il secondo, invece, dalla rappresentazione in veste di nobile giovinetta "priva di corona" della committente Antonia Del Balzo, che diventerà regina nel 1373 appunto, sposando il re di Trinacria, Federico III (14).

Bibliografia

M. NUGENT, Affreschi del Trecento nella cripta di San Francesco ad Irsina, Bergamo, 1933;

A. PRANDI, Arte in Basilicata, Milano, 1964, pp. 218-219;

F. BOLOGNA, I pittori alla corte angioina di Napoli, 1266-1414, Roma, 1969;

P. BORRARO, Brevi considerazioni sulla pittura medievale in Lucania, in Atti del Convegno "Dante e la cultura sveva", Melfi, 1969, p. 51;

A. GRELLE-IUSCO, Catalogo della Mostra. Arte in Basilicata, Roma, 1981;

M. D'ELIA, I beni artistici e storici, in "Mezzogiorno, Lucania, Maratea", 1987;

C. MUSCOLINO, Irsina, affreschi della chiesa di S. Francesco d'Assisi, in "Insediamenti francescani in Basilicata", Ediz. Ministero Beni Culturali e Ambientali, 1988, pp. 86-90.

Note

1) Margherita Nugent, Affreschi del Trecento nella cripta di San Francesco ad Irsina, Bergamo, 1933

2) All'interno della cappella furono affrescati, oltre San Francesco, altri due santi francescani, quali San Ludovico da Tolosa e Santa Elisabetta d'Ungheria. In particolare il primo, figlio di Maria, pronipote della Santa Elisabetta d'Ungheria affrescata, e di Carlo II d'Angiò, fu canonizzato nel 1317, come protettore dei francescani.

3) Guglielmo Grimoard, eletto Papa nel 1362 con il nome di Urbano V, aveva ritrovato, durante una visita alla Basilica Lateranense (1367) le reliquie dei SS. Pietro e Paolo.

4) L'absidiola, secondo la Nugent, è decorata con un motivo floreale a viticci più antico, di un secolo o due, rispetto ai restanti affreschi.

5) Margherita Nugent mette in relazione le pitture irsinesi con tutta una serie di opere dei maggiori maestri del Trecento italiano e, in alcuni casi, postula un legame diretto con la cultura nordica e le figurazioni della miniatura celto-irlandese.

6) Il tipo della Vergine e il Bambino in braccio a Simeone traggono origine rispettivamente dall'unica pala di Giotto con Madonna in Trono con Santi ed Angeli (Uffizi) e dalla Presentazione al Tempio nella cappella degli Scrovegni a Padova.

7) Secondo la Nugent una certa grazia nell'atteggiamento della Maddalena richiama la Santa omonima dipinta da Simone nella chiesa inferiore di S. Francesco d'Assisi, pur non avendo di questa l'ovale delicato e raffinato.

8) Ma se, a detta della Nugent, la prima riproduce pressochè fedelmente l'immagine di San Tommaso, affrescata dal Maestro nella chiesa di S. Maria Donnaregina a Napoli, nel Transito l'arte del Cavallini è fortemente filtrata dalla romanità di cui sono pervase le figure e dalla drammaticità della scena, ancora frammista a qualche riminiscenza bizantina.

9) Queste riminiscenze anglo-irlandesi sono, dalla Nugent, messe in rapporto con gli strettisimi legami che, già dal 748, intercorrevano tra la Badia di Montecassino, quella di Fulda in Germania e con l'Irlanda Nel "De Prophetis" (Lib. III, Cap. II) di Montecassino, oltre che nel Duomo di Monreale, ritroviamo miniato lo stesso fregio che, ad Irsina, avvolge i medaglioni con i Patriarchi.

10) Il Benedictional di St. Aethelwold, in mancanza di affreschi di quel periodo sopravvissuti in Inghilterra, fu avvicinato agli affreschi italiani di S. Angelo in Formis a Capua e a quelli francesi di Saint-Savin a Poitou.

11) Questi ricordano alcuni ritratti su mattonelle maiolicate che sin dal XIII secolo si fabbricavano in Francia.

12) Orientali sono, per esempio, le lampade d'antica foggia egizia pendenti dagli archi dell'edicola della Presentazione al Tempio, che ritornano pure negli affreschi della fine dell'XI secolo in S. Clemente a Roma, ritenuti fra le prime pitture benedettine - oltre quelle di S. Angelo in Formis - eseguite dopo l'arrivo di artisti greci a Montecassino. All'arte benedettina si ricollega anche il motivo rarissimo della colomba rappresentante lo Spirito Santo sul capo di Gesù, nell'affresco con l'Incoronazione della Vergine.

13) L'imponente presenza del Pontefice nel ciclo irsinese è giustificata dagli ottimi rapporti tra questi e la famiglia Del Balzo: nel 1367 Urbano V si rivolse con Bolla al signore di Montepeloso per raccomandare i deputati della Curia inviati a prendere possesso della Badia di Montecassino e, nello stesso anno ridusse le decime del Priore Giovanni Del Baloy, acerrimo nemico di Francesco del Balzo.

14) Il matrimonio tra la giovane Del Balzo e Federico III fu voluto dalla Regina Giovanna e dai Pontefici Urbano V e Gregorio XI per pacificare il regno di Napoli e quello di Sicilia.


tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 1999"

Autore: Rosa Villani

 

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