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CALVELLO - IL RIONE PIANO

Il rione Piano” (lu chian) mutua la sua denominazione dalla Chiesa detta Santa Maria “de Plano”. E’ il primo insediamento abitativo di Calvello, come detto in altra parte. Le caratteristiche di questa gente, inculcate ad essa dai monaci, coi quali aveva stretti rapporti per la vicinanza al Cenobio, sono tuttora evidenti. Il forte attaccamento alle tradizioni che si rifanno ai primi tempi, la religiosità sentita e praticata, la gentile distinzione nei modi e l’accentuata umanità nei rapporti sociali, rappresentano la tessera di riconoscimento di questi abitanti laboriosi e seri. Essi vanno giustamente fieri della bellissima Chiesa che troneggia, nelle sue purissime linee romaniche, in mezzo alle loro case e della ricca storia della ex Abbazia.
Il rione si stende, dolcemente adagiato, in una fertile vallata; è cresciuto intorno al complesso che i benedettini edificarono prima del 1177, all’imbocco di una estesa e ricca vallata, bagnata dalle fresche e chiare acque del fiume “La Terra’, ai margini d’una fitta foresta. Due colli di quasi uguale altitudine e identici nelle sagome da sembrare due gemelli, affiancano il convento a Nord e a Sud, mentre a Ovest lo protegge una fittissima boscaglia, ad oriente è in vista del Cenobio di San Pietro, dal quale riceveva assistenza e protezione.
Aveva in dotazione una vasta area di terreno fertilissimo che comprendeva una buona parte della vallata. La posizione è quanto mai amena e tranquilla, atta alla meditazione.
La costruzione di tutto il complesso è quella tipica delle Abbazie benedettine: massiccia e robusta, sicura nella difesa. La Chiesa è di stile romanico a tre nevate, divise da robusti pilastri in pietra viva a vista, snella e armonica, severa e devota. Le colonne e gli archi si elevano in uno slancio come di preghiera che invita i visitatori ad inginocchiarsi, gli fa sentire vicina la divinità, e gli infonde tranquillità e pace. Nel suo complesso è un’organismo solido, proporzionato, finito, di aspetto semplice e rude, ma solenne e grandioso. La sagoma esterna non è più quella dei benedettini, ideatori e costruttori. Dell’antica struttura sono rimasti, miracolosamente intatti, i due portali: quello centrale più ricco, e il laterale. Hanno capitelli di stile corinzio, finemente lavorati e fantasiosamente ornati con motivi vegetali a casco di foglie di acanto, certamente tra i più pregiati del corinzio lucano. Si sono anche salvati parte della facciata e la navata centrale, recentemente liberate dall’intonaco.
Nei pressi dell’Abbazia, a pochi metri sorgeva la chiesetta di Santa Caterina, che la furia innovatrice spazzava via verso il 1931. I frati l’edificarono, forse per farne una succursale di Santa Maria. Essa è ricordata in un manoscritto del 1189 in cui si afferma che Normanno, Conte di Marsico, donò a Rado, abbate di Santo Stefano, due chiese: una intitolata “S. Nicolai”, quae fondata est versus castellum Calvelli”; e l’altra “S. Cathariinae”, qua est iusta fluvium, prope “Calvellum”.(l)
Nel sacro tempio è conservata una statua della Vergine di grande interesse.
Raffigura la Madre di Dio, seduta col Putto in grembo: S. Maria “de Plano”. E’ un ceppo scolpito in purissimo stile bizantino. L’aspetto e il portamento del simulacro sono severi, maestosi, regali ed insieme dolcissimi. Ha un sorriso appena abbozzato, ma suadente. La figura è calda, lo sguardo rassicurante.
Con le tre dita della mano destra regge un piccolo globo, mentre la sinistra accoglie con amore il Figlio che è in atto di benedire. I lineamenti sono anatomicamente perfetti: le dita affusolate, il viso leggermente allungato, la testa china verso il Putto, la chioma raccolta al modo delle donne regali del tempo. Sul petto le brillava una gemma; il manto le scende lieve dalle spalle, avvolgendola soavemente; il collo, ben tornito è del tutto libero da monili o collane. Il Figlio che le siede in grembo è dell’apparente età di 5-6 anni, straordinariamente somigliante alla Genitrice. L’atteggiamento è soave, lo sguardo innocente; mentre con la destra benedice, con la sinistra invita ad andare a Lui, con fiducia e sicurezza.
Lo splendore del Cenobio e della chiesa durò fino verso la fine del 1300, quando, estintasi la congregazione con la morte dell’ultimo abbate, anche l’abbazia femminile di Santa Maria “de Piano” ne seguì le sorti. I fabbricati caddero nell’abbandono e nei disfacimento.
Alle rovine materiali si aggiunse il danno inferto ai valori culturali e artistici.
I manoscritti, i codici, le tele, le sculture e quanto del sapere era stato con pazienza, tenacia e studio raccolto dai religiosi andarono dispersi e dilapidati.
I vari titolari che ebbero in commenda o in amministrazione le due Abbazie, si preoccuparono solamente di esigere e sfruttare le vistose rendite.
Nulla fu fatto, per circa due secoli, per salvare un sì ricco patrimonio d’arte, specie se situato in contrade lontane dai centri. E ove e quando ciò saltuariamente accadeva, il “Barocco” non sopportando le strutture del “Romanico”, severe nella maestà delle linee e spoglie di fantasia, le opprimeva infarcendole di sovrapposizioni contrastanti, creando ibridi scomposti.
Mentre l’Abbazia di San Pietro “A Cellaria”, venne assegnata alla Cappella Sistina e trasformata dai fittuari a ricetto di armenti e deposito di cereali, per essere poi venduta a pezzi nel 1931 ai contadini, sorte migliore ebbe Santa Maria “de piano”. Dopo essere stata aggregata alla Cappella del Santo Presepio di Santa Maria Maggiore in Roma nel 1503, e ancora precedentemente data all’Abbate di Santo Stefano di Marsico, Papa Sisto V nell’agosto del 1587, con la bolla “Piis fidelium votis”, essendo Abbate titolare Orazio Celso, chierico romano, soppresse il priorato e affidò chiesa e convento, ormai quasi del tutto diroccati, ai Minori Osservanti di San Francesco.
Nella ricostruzione, alla quale i francescani diedero subito mano, non fu rispettato io stile originario. I frati affogarono il “Romanico” nel “Barocco”, non risparmiando neppure la statua che ebbe la testa ricoperta da una parrucca con boccoli, e il rivestimento alterato da sovrapposizioni.
Nell’interno della chiesa scomparvero l’abside e le capriate, riducendo la copertura ad un sol tetto con un soffitto in legno, e rabberciando l’ex abside con una contoria. Le monofore non diedero più luce, e i pilastri e gli archi vennero ricoperti d’intonaco.
Calvello contava allora circa 10000 abitanti; era animata da intenso fervore religioso, che si esprimeva nella costruzione di numerose chiese e cappelle, nell’abitato e fuori, alcune tuttora esistenti, ricche di affreschi, stucchi e tele di notevole pregio. I frati francescani impressero al ricostruito Cenobio e alla chiesa un nuovo slancio di vita molto attiva. Attualmente si possono ammirare bellissimi altari lignei, dorati, di puro stile barocco, tele e simulacri scolpiti in legno, vivaci e mossi, opere di artigiani lucani. La permanenza del francescani a Calvello durò fino al 1866, quando, per le note leggi soppressive dell’asse ecclesiastico, la chiesa cadde in abbandono, pur restando aperta al culto, affidata al Clero Secolare; mentre il convento veniva adibito dal Comune, divenuto proprietario, ad uffici e scuole. Si “inaugurava” così un nuovo periodo di decadenza.
Il passaggio dei francescani nel “Romanico” dei benedettini, ha lasciato segni apprezzabili del “Barocco” del ‘600 e delle espressioni, anche se povere di arte creativa, del ‘700. Il chiostro, affrescato per intero con notevole gusto per cantare le glorie francescane, lasciato alla mercé dei monelli e della plebaglia, ha subito gravissimi insulti: le figure sono state lapidate e imbiancate senza che alcuno dei responsabili, insensibili e chiusi al richiamo del bello, alzasse un dito in difesa di tanta arte.
L’incuria degli uomini e l’insulto del tempo hanno inflitto al sacro tempio, certamente tra i migliori e più pregiati del “Romanico lucano”, ingenti danni.
(Attualmente il tetto è pericolante, l’umido lo corrode e le strutture portanti sono malferme).
Nel 1946 i pilastri e gli archi, nonché la facciata, quanto cioè è arrivata fino a noi delle strutture originarie, furono liberate dall’intonaco ad opera dello scrivente.
Si apriva, così, all’occhio attento del visitatore, uno spiraglio di luce attraverso il quale si poteva immaginare la bellezza di un tempo, in contrasto con le pareti laterali coperte d’intonaco, attraverso il quale occhieggiano figure di Santi, affrescati dai francescani e ricoperti di calce dopo il 1866.
Attualmente fervono i lavori di rifacimento delle strutture e di recupero degli altari barocchi. Le pareti laterali, con molta cura scrostate dagli spessi strati di calce, ci immettono in un periodo storico ed artistico di alto interesse per questa Chiesa dalle tante alterne vicende.
Si è detto che l’Abbazia fu costruita dai Benedettini Pulsanesi e che forse era femminile. In realtà Santa Maria “de piano” non è riportata in nessun catalogo o documento pulsanese. Per quante ricerche si son fatte anche presso l’Abbazia di Cava dei Tirreni, che in uno all’archivio di Stato di Napoli, conserva diversi manoscritti pulsanesi e presso l'Abbazia svizzera di Einsielden, non è affiorato nessuno accenno di Santa Maria “de piano.
Validi studiosi ritengono che non sia stata di quella Congregazione, perché l’ultimo elenco delle Chiese Pulsanesi, al tempo di Federico Il non la registra, né pare che dopo quel tempo i Pulsanesi abbiano acquistato altre chiese nel Regno di Napoli; l’essere stata data in commende a quello che già aveva San Pietro a Cellaria, non dice nulla, perché lo stesso Commendatario aveva, talvolta, molte chiese di famiglie religiose diverse: benedettine, brasiliane, cisterciense, ecc.
La notizia certa è che essa era benedettina, come si evince dal Diploma di Papa Sisto V. D’altra parte non era desueto che due abbazie di diverse Congregazioni operassero a non molta distanza tra loro, nello stesso territorio.


da: "Calvello - storia, arte, tradizioni"
di Luigi De Bonis
su autorizzazione dell'autore

Autore: Luigi De Bonis

 

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