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UN MONUMENTO OBLIATO - L’Abbazia Normanna di Montescaglioso

da "la Basilicata nel Mondo" (1924 -1927)


Dalle rupi, dal ciel pare una doglia si esprima, grande come 1’abbandono della terra che si triste germoglia

GIUSEPPE LIPPARINI.



L’ abbazia millenaria è vuota, sola, cerchiata da piatto orizzonte sulla montagna gibbosa. Tace la torre solitaria: sul declivio si delineano, a scalinata, le bianche case della gaia cittadina.

Il Bradano, che si snoda dalle orride strette di Castel Lagopesole e di Acherontia latina e si apre in larga striscia bianca tra Irsina e Tricarico turrita, tocca l’ultimo spaldo delle Murge: Montescaglioso.

Poggi sterili e rocce cingono questa morta bocca di montagna. Il paesaggio brullo, spoglio di verde, sembra lacerato dal tumulto di battaglie secolari: a pochi chilometri di distanza, verso il jonio, si elevano i colonnati giganti di Metaponto ellenica, che fan pensare ad "un cimitero" ove i cumuli dei cippi appaiono abbattuti e travolti.

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Sull’estremo limite della necropoli ellenica — dalla quale l’archeologo Vittorio De Cicco trasse una deliziosa anfora figurata pel Museo di Potenza e cercò gli avanzi della latina “ Civitas Caveosana ,, e, si eleva l’edificio immenso dell’abbazia normanna di Sant’Angelo, che “offre allo sguardo la maestà alquanto massiccia del castello baronale,, e la fronte serena della casa cinquecentesca: la sua linea uniforme è interrotta da una cupola ottagona e dal campanile quadrato, nel quale si delineano bifore luminose.

Un geniale e dotto scrittore del Mezzogiorno — Giambattista Guarini — , dopo aver descritto con magistero d’arte la severa costruzione gigante, così ne evoca le vicende storiche: A seguire Serafino Tansi — storiografo del settecento — la famosa abbazia esisteva già nel 1078,,. “Con atto dell’ottobre di quell’anno Umfredo, uno dei figli di Tancredi Altavilla, divenuto signore di Montescaglioso, avrebbe fatto ampie donazioni e concessioni al suddetto cenobio,, — “Aumentano il reddito dei monaci altri atti di Umfredo, del 1082, del 1085, del 1095,, — “Concessioni han luogo nel 1097 e nel 1099 da parte di Rodolfo, figlio di Umfredo (sepolto, come Rodolfo afferma, nella chiesa del cenobio,, — “Con eguale munifica pietà si mostra la contessa Emma, vedova di Rodolfo, col figlio Ruggiero, in privilegi del 1110, 1115, 1119,, — “Con quest’ultimo atto, essendo abate del monastero un Guarinus, la contessa Emma (il cui ritratto, insieme con quelli degli altri principi normanni, scorgesi ancora in affreschi di gran lunga posteriori, in una sala dell’attuale edificio) stabilisce di ditare et amplificare la chiesa del convento,, — “L’esempio trova imitatori in Costanza, alla quale Ruggiero, duca di Calabria e di Sicilia, fratello di Boemondo e marito di lei, aveva dato Montescaglioso — anno 1124 — e in Ruggiero (1124-1127) dalla sede di Palermo.

“Financo il Papa si interessa del monastero: con diploma dell’ anno 1174, dato a Ferentino, Alessan

dro III prende i monaci sotto la sua protezione, ricordando le donazioni passate, sopratutto quelle di Ruggiero di Sicilia e della contessa Emma.

Le donazioni continuano a fioccare: nel 1195 il donante è Ugo da Maccla o Macchia, signore di Montescaglioso nel 1200; poi nel 1210 Jacopo Sanseverino,, — “Diventata Montescaglioso, dopo l’eccidio dei Sansevineschi, possedimento regio, Federico II, nel 1222, con due atti riconferma gli acquisti del passato,, — “Così fanno Manfredi (1264); Carlo I d’Angiò (1266); Giovanni Monforte, conte di Montescaglioso (1288); Roberto d’Angiò (1307); Beltramo dal Balzo, alla famiglia del quale era toccata la contea (1333); e Roberto di Taranto, suo cognato (1356).

Malgrado così numerose donazioni, il quattrocento non si affaccia roseo all’abbazia,, — “Le vicende dei tempi sconvolti dalle lotte e dalle guerre avevano finito per depauperare il cenobio del suo ingente patrimonio,, — “Nel 1441 Baldassarre Del Balzo, protonotario apostolico, riferiva al pontefice che le ricchezze dell’abbazia destinate al culto ed all’alimento dei monaci e dei poveri erano convertite ad uso secolare e profano ,, — “Il Papa affidò a Baldassarre il compito di riordinare il monastero scompaginato: Baldassarre non riuscì nella missione difficile,, — “Ma, divenuto conte di Montescaglioso il magnifico e pio Pirro del Balzo,, che eresse il castello di Venosa: sua tragica dimora — “questi concepì un disegno radicale: chiamò a popolare e riordinare il cenobio i monaci della Congregazione di San Giutstino di Padova, già provati provetti per il riordinamento di altre comunità benedettine (1484).,,

L’immissione dei monaci giustiniani fu come ossigeno in un organismo morente,, — “Ebbe principio d’allora una vita fiorente, durata ininterrotta fino al 1784, con la nota pomposa di una visita di Carlo III, nel 1735, nel suo viaggio a Palermo.

E possibile seguire le tracce di questa vicenda fortunosa nel corpo del grande edificio?

La famosa abbazia quale oggi è, rinnovata nella seconda metà del quattrocento, sulle rovine della costruzione normanna, serba due finestrelle bifore dagli “archi aguzzi incavati nell’arco a tutto sesto a timpani trasforati,, e adorne di colonnine di base circolare reggenti capitelli piatti ad alto pulvino, sui quali sono scolpite le immagini dell’Arcangelo in lotta col drago — opere forse del 1099, quando, per volere di Rodolfo, signore di Montescaglioso, gli abati Simeone e Crescenzio fecero restaurare a ampliare il cenobio.

Anche qui la sagoma orientale degli archi acuti si unisce alle decorazioni lombarde dei capitelli, che richiamano le sculture e le forme dei chiostri benedettini di Bari, di Brindisi, di Conversano e del tempio longobardo di Santa Sofia di Benevento.

Bella primitiva costruzione del secolo XI restano la base del campanile sonoro, le cui antiche .finestre ad. arco acuto sono nascoste tra le fabbriche del monastero, sotto le agili cornici di getto ad archetti trilobati del trecento, “caratteristici del periodo durazzesco,,: gli imponenti colonnati monoliti di carpano rossastro dei due chiostri ripristinati nel quattrocento; alcuni capitelli; e la cupola ottagona adorna di bassa calotta, divisa in due piani da una cornice a dentelli, e coronata — al piano inferiore — da finestroni ad arco romanico e — al secondo piano — da archi ciechi riuniti a trifore semplici, al pari delle superbe cupole dei sacrari di Bari e di Taranto, che eternano le forme elaborate dei magistri pugliesi.

Il resto della grande abbazia tolte la cripta antica e la chiesa a cupola, le cui tre grandi navi, trasformate nel settecento, poggiano sulle belle colonne marmoree descritte dall’abate Timoteo e nascoste nei quadrati pilastri — è della seconda metà del quattrocento.

Ed a questo glorioso periodo della rinascita appartengono: il pozzo a sezione poligonale con le facce incavate ad arco, adorne di vasi fioriti, di arcangioli di spada, e di stelle, “mycans sydus,, — “simboli dello splendore del cenobio,, —; un tronco di colonna riccamente fogliato; i frammenti di una fontana ora nell’orto adiacente — composta di una vasca marmorea, che era sorretta da una base quadrangolare ed aveva “nel centro una colonnina fregiata di ghirlande,, sulla quale si elevava “una seconda vasca breve, dalla quale sgorgava il getto dell’acqua,, ; e molti capitelli dei due chiostri vero tripudio multiforme — di quella scultura monumentale, che intrecciava sui capitelli mirabili gli antichi motivi romani,,.

I chiostri sono sostenuti da arcate concentriche a tutto sesto e da colonne monolite sormontate da capitelli corinzi, sui quali si intrecciano, fra i fogliami, gruppi di vezzosi putti, teste di donne e di mori, festoni di grappoli, di frutta e fiori.

Gli archi a pieno centro; i capitelli vigorosi finemente scolpiti; i fascioni ricchi di catene di putti, di delfini, di frutta; le finestre a puro arco rotondo, racchiuse da pilastrini eleganti ionici e corinzi scanalati e a modonatura, architravate e ricche di trabeazioni e di fregi svariatissimi,,; ed il leggiadro cornicione di oggetto coronato da mensolette brevi, che sostengono fughe di archetti, si accordano in un perfetto senso di proporzioni, si vestono d’intagli gentili e mantengono viva la classicità delle forme dell’arte campano-pugliese con le espressioni del rinascimento della seconda metà del quattrocento. Una breve ombra del medio evo sotto la vivace fioritura della Rinascita, dinanzi alla pianura palustre vigilata dai colonnati giganti di Metaponto greca. Il ricordo dell’ arte classica di Noslo de Remerio, di Ruggiero delle Campane e dei magistri benedettini, in questa basilica, si ricongiunge alla classica purezza dell’arte eternata nei marmi delle solenni cattedrali della Toscana da Nicola d’Apulia e dai maestri delle scuole di Pisa, di Siena e di Firenze.

Ma da quale artefice, verso la fine del quattrocento, fu repristinata questa severa abbazia di schietta impronta classica?

Il monumento caveosano risente — scrisse il poeta Giuseppe Lipparini nella rivista “ Vita nuova ,, di Siena del 1908 l’influsso austero di Bramante. Giambattista Guarino, pei tratti caratteristici della decorazione durazzesca mescolati con gli elementi della rinascita, pensò ad artisti meridionali.

Il genio sottile e melodico dell’arte trionfa in questo sacrario.

La rinascita, con le sue conquiste umanistiche, quasi non tocca la Calabria, che addobba di trine gotiche la fronte del San Domenico a Cosenza e, solo nel 500 riveste a nuovo il chiostro di struttura palladiana di Serra San Bruno ed il tempietto di San Michele di Monteleone eretto nel 1515 da Baldassarre Peruzzi. “ Nelle Puglie ,,, ricche di monumenti antichi, l’arte nuova — osserva Adolfo Venturi — eleva, al limitare del quattrocento, la guglia della cattedrale di Soleto, superba nel sontuoso apparato di merletto greve ,, — Nella Campania l’architettura subisce la tradizione angioina e aragonese, che dà l’impronta tipica al rinascimento di Napoli e raggiunge Castelnuovo glorificato con l’arco di Luciano Laurana.

Ma mettiamo a confronto la scultura ornamentale —, che raggiunge finezza di cesello nel sacrario basilicatese per opera degli artefici chiamati dall’abate fiorentino Luca Antonio Romuli del1a Congregazione Patavina e dal munifico protettore dell’arte Pirro del Balzo (1484) —, con alcune opere cinquecentesche delle vicine terre di bari e di Matera: e più propriamente con i delicati intrecci dei festoni della cattedrale di Gravina (fine del sec. XV e principio del sec. XVI); col mausoleo della principessa Orsini, eretto nel 1518 sotto la volta dell’ex convento di Santa Sofia di Gravina; con le trabeazioni, che furono rivestite di grazia semplice e lieve nella cattedrale di Mola di Bari (1545) da Francesco da Sebenico, da suo figlio Giovanni di Corfù. Il quattrocento si affaccia in queste regioni con la vita rinnovata più vicina alla natura. Un altro moto delle coscienze libererà il cammino dell’arte e la vita del pensiero dall’ingombro medioevale. Dai classici lidi della Magna Grecia Bernardino Telesio e Tommaso Campanella trarranno il carattere di dolce e composta serenità della scienza nuova. Alla corte Aragonese di Napoli si raccolgono le vestali della nuova religione dell’arte. Luciano da Laurenzana — che eleva l’arco trionfale di re Alfonso “ a ritmo tranquillo ed a regolarità cadenzata di pause,, — ritrae con raro risultato di grazia aristocratica il busto di Francesco da Banco per la chiesa di San Domenico di Andria e fors’anche il cancello ed il marmoreo pulpito della superba cattedrale federiciana d’Altamura. Desiderio da Settignano, il più fine e spirituale degli scultori del quattrocento, infonde una grazia ed una amabilità straordinaria in alcune opere scolpite per l’arco di Castelnuovo, nella madonna e nella finestra a ruota della chiesetta della Palomba dispersa fra le Murge di Matera — che fu illustrata dal poeta Giuseppe Lipparini nella rivista ‘‘ Vita nuova

di Siena del 1908 — Giuliano da Maiano, nel 1484, per volere di re Ferrante, eleva Porta Capuana fra opulente ed austere torri e prende parte alla fabbrica del palazzo di Poggioreale insieme ad Antonio da Sangallo e Fra Giocondo da Verona — Francesco di Giorgio Martini, “raffinato erede delle eleganze senesi,, lascia in Castelnuovo e nel palazzo Orsini di Tagliacozzo le impronte dell’arte toscana — Novello di San Lucano, a Napoli, ricopre di bugnati. il palazzo Sanseverino — ora chiesa del Gesù Nuovo — senza distinzione di piani, come nel palazzo Carafa di Maddaloni a Nido, offrendo imponenza nella facciata trionfale per la distesa delle massicce bugne — Francesco da Sebenico, il figliuolo Giovanni e Giovanni da Corfù, seguendo le tradizioni dell’arte dalmata, che resta profondamente romanica, anche quando accetta gli elementi più graziosi dei trafori e degli archi acuti veneziani, inquadrano teorie di putti, di festoni, di testine, fra nicchie e colonne scanalate.

Il Bramante “interprete esaltato e patetico — ripeto le nobili parole di un maestro: Adolfo Venturi —-dell’idea umanistica dà all’arte ordine, misura, elezione, ed anima la sua opera dello spirito di grandiosità delle rovine di Roma.

Quale di questi artefici si inoltrò fra le Murge di Montescaglioso?

Giovanni — figliuolo di Francesco da Sebenico — è forse Giovanni da Traù, il Dalmatico, che lavorò con Mino da Fiesole per la tomba di Paolo li nelle grotte Vaticane?

Ho voluto indugiarmi fra le eleganti e nobili forme dei maestri della Rinascita, ma non ho inteso di stabilire l'artefice che volle far riecheggiare la potente vita scultoria nelle prodigiose cimase, nelle mensole brevi, nelle fasce fregiate e nelle elastiche modonature dell’abbazia famosa. Ai tenaci ricercatori di documenti ed agli storici dell’arte l'ardua sentenza. Io ho voluto solo additare i tesori d’arte della mia terra e la rinascita trionfante, verso la fine del quattrocento, nei meravigliosi, dimenticati e cadenti sacrari del Mezzogiorno, perché molte opere di maestri sovrani — come il monumento di Montescaglioso, ormai malconcio e cadente — vengano saggiamente ripristinate e tutelate dalle autorità competenti.

Una maestà sovrana si raccoglie in questa mole grandiosa dominata dal campanile antico e dalla cupola in accordi di armonie.

La ridente cittadina è come in adorazione ai piedi di questa vecchia abbazia che resta ancora, come fortificata dalle memorie gloriose sullo sperone montano ed armonizza le forme romaniche, i fregi ogivali e le decorazioni più morbide e serene del rinascimento.

Il vecchio campanile — scrive .G. B. Guarini — fissa, ancora, il compagno gemello della cattedrale di Matera, nella quale emigrò tanta parte degli altari, degli ornati, delle suppellettili della chiesa caveosana; guarda il mare di Taranto, ove il cenobio ebbe diritto di pesca, e le cento contrade tributane; contempla i ruderi solenni di un’epoca più remota, le tavole Palatine di Metaponto, e le sponde del Bradano e il Guado Petroso, ove Ruggero Normanno stette minacciando di fronte alle schiere del Papa e dei Baroni ,,, costretti a riconoscerlo duca di Puglia e di Calabria. E pare che getti uno sguardo di sprezzo sui ruderi di cenobi postenioni. E resta diritto e altero sulla obliata abbazia della Rinascita dinanzi ai templi immortali di Metaponto ellenica ed al regno azzurro del classico Ionio.


da "la Basilicata nel Mondo" (1924 -1927)

Autore: C. VALENTE

 

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