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IL SANTUARIO DI SANTA MARIA DI FONTI. FASI STORICHE E COSTRUTTIVE

Topograficamente ubicato a circa 12 Km a N-O di Tricarico (Mt) ed immerso nel folto bosco comunale Fonti-Tre Cancelli ad un'altitudine di 824 metri, a 3 km dal bivio "Tre Cancelli" sulla S.S. Appia nel tratto compreso tra Potenza e Matera, il santuario di Santa Maria di Fonti insiste a poche decine di metri dal confine provinciale e da quello territoriale di San Chirico Nuovo (Pz). È dedicato alla Beata Vergine Maria, Fonte delle Grazie ed è proprietà del capitolo cattedrale di Tricarico, alla cui diocesi è appartenuto fin dalle origini (1).
Segnalato all'interno del predetto bosco come chiesa della Madonna delle Fonti nella cartografia dell'Ottocento (2), è stato oggetto di attenzioni bibliografiche in gran parte costituite da fonti narrative facenti capo ai reverendi Giuseppe Monaco (3), Tommaso Aragiusto (4), Erasmo Lopresto e Alfonso Miadonna (5), Angelo Mazzarone (6), scaturite essenzialmente da scopi devozionali. Oltre alle notizie fornite da Giovanni Daraio (7), gli studi successivi tendono ad indagarne taluni aspetti demoantropologici (8) ed architettonici (9). Non sono mancate al riguardo pagine letterarie (10). L'unico contributo che a tutt'oggi offre, pur nella sua sinteticità, un'organica visione della facies di questo santuario è la scheda Madonna di Fonti. Tricarico, curata da Valeria Verrastro, che puntualizza ogni aspetto che sottende il termine polisemantico di "santuario": il movimento devozionale contrassegnato da liturgia e folklore, dal perpetuarsi di ritualità e specifiche tradizioni popolari, la polarizzazione dei flussi di pellegrinaggio determinati dalla risonanza spirituale della Vergine di Fonti, la consapevolezza del valore taumaturgico della sua effigie e della sacralità dello spazio fisico in cui è venerata, il ruolo svolto dal santuario quale luogo di aggregazione sociale intra ed extraterritoriale, gli aspetti architettonici ed artistici; elementi tutti che consentono di cogliere la stratificata storia del suo "vissuto religioso" (11). Questa scheda, inserita nell'ambito di una vasta ricerca volta a ricostruire la complessa realtà santuariale della Basilicata, ha evidenziato, tra l'altro, la scarsità delle fonti d'archivio a tutt'oggi disponibili sull'argomento, conseguenza d'altronde della natura stessa di simili luoghi di culto scaturenti da quella "pietà popolare" che si tramanda essenzialmente con le "oralità", a cominciare dalle leggende di fondazione che, pur prive di fondamento scientifico e non funzionali alla puntuale ricostruzione cronologica degli eventi legati al santuario nelle sue fasi più antiche, si affiancano comunque alla storia e segnano la nascita del santuario nella memoria e nella devozione popolare (12).
Come la maggior parte dei santuari della Basilicata, anche quello di Fonti è dedicato alla Madre di Dio. Se nel passato convogliava pure pellegrini delle regioni contermini come la Puglia (provincia di Bari), la Campania (provincia di Salerno), l'Abruzzo e la Calabria, rappresenta oggi il riferimento culturale mariologico di una vasta area regionale nel cuore dell'Appennino lucano, interessante numerosi centri diocesani ed extradiocesani (Accettura, Acerenza, Albano, Anzi, Brindisi di Montagna, Calciano, Calvello, Campomaggiore, Cancellara, Castelmezzano, Corleto Perticara, Forenza, Garaguso, Grassano, Irsina, Laurenzana, Maschito, Oliveto Lucano, Oppido Lucano, Pietragalla, Pietrapertosa, Potenza, San Chirico Nuovo, San Mauro Forte, Tolve, Trivigno, Vaglio di Basilicata) (13), che nelle domeniche di maggio vi si recano in pellegrinaggio per venerare la Madonna col Bambino benedicente, affrescata sull'altare maggiore all'interno di una nicchia absidata.
Per impianto compositivo, tratti forti dei lineamenti, taglio degli occhi e colorito bruno dell'incarnato, questo dipinto di autore anonimo, al pari delle tante effigi mariane venerate negli altri santuari lucani che, nelle loro ascendenze medievali si comprendono e si leggono solo se collegati alla specificità della presenza dell'impero di Bisanzio e alla sua dimensione orientale e mediterranea e se connessi al processo di latinizzazione delle chiese del Mezzogiorno promosso dai Normanni, è databile al sec. XV (14). La presenza di una fonte dipinta nella parte inferiore della composizione, inoltre, giustifica la denominazione della chiesa e, in concomitanza di altri elementi, rende verosimile l'ipotesi che il santuario possa costituire il risultato dell'evoluzione in termini cristiani di un antico luogo sacro di popoli indigeni, tipico indicatore di un'area dall'intensa frequentazione antropica fin dall'epoca antica e di pratiche religiose arcaiche legate alle acque. Il riscontro di simili fenomeni piuttosto diffusi in Basilicata, fa risaltare la "significatività" storica e culturale dell'area ove sorge il santuario tricaricese, dominata da quei persistenti connotati agro-pastorali tipici delle comunità lucane più interne, oggi emergenti dal legame tra culto e movimento fieristico, dalle arcaiche ritualità connesse alla primavera e alle acque, dalla tipologia delle pratiche devozionali, delle richieste propiziatrici di fertilità e prosperità, da tutto il complesso di tradizioni popolari ruotante attorno ad esso (15).
Il santuario della Madonna di Fonti sorge, infatti, non lungi da una delle sorgenti del torrente Bilioso, affluente del Bradano e a poche centinaia di metri dalla contrada Serra di Lentine (16), ove è stato identificato un piccolo luogo di culto a carattere rurale del IV sec. a.C., da cui provengono statuette femminili riconducibili ai tanti culti connessi ai cicli agrari e alla venerazione di Demetra e di sua figlia Persefone, praticati in genere presso sorgenti acquifere ed ampiamente segnalati nel territorio degli insediamenti antichi. Ma è dislocato pure non lungi da quella città fortificata lucana che sorgeva su Civita di Tricarico (fine IV sec. a.C. - II-I sec. a.C.) (17) e rientrava in quel distretto territoriale, che aveva come referente politico-religioso il grande santuario federale dei Lucani di Macchia di Rossano (2a metà del IV sec. a.C. - l° metà del I sec. d.C.), ove si venerava Mefite, divinità indigena legata alle sorgenti e dea dalle molteplici valenze: dea celeste e ctonia, tellurica, salutifera, mediatrice, propiziatrice di unioni e di fecondità e con spiccati caratteri erotici affini a quelli di Afrodite (18). La significatività dell'area del santuario di Fonti viene ulteriormente avvalorata dal ruolo svolto da Civita di Tricarico durante la romanizzazione, allorquando questa città assunse sul territorio circostante una funzione politico-amministrativa paragonabile a quella del pagus italico, favorita dalla posizione topografica dominante la valle del Basento, dal passaggio di una strada preromana di grande percorrenza, dalla presenza di una fitta rete di tratturi che raggiungevano gli abitati rurali e da un buon collegamento con la viabilità apulo-lucana, garantito da un tratturo che passava proprio dalla località oggi denominata "Madonna di Fonti" (19).
Questa permanente significatività dell'area del santuario tricaricese connessa alla viabilità, si sarebbe protratta anche in epoca medievale e moderna, essendo stata interessata nei secoli XV XVI - come in seguito diremo - da un fitto intreccio di vie interprovinciali e di importanti tratturi, che permettevano la transumanza di mandrie e greggi allevate nel territorio di Tricarico e nelle zone più interne del Potentino, dirette verso Monteserico e la Capitanata.

2. Il culto della Madonna di Fonti affonda, com'è noto, la sue origine in una leggenda di fondazione: "Dove ora sorge la chiesa un tempo eravi un roveto impenetrabile, intorno al quale pascolavano gli armenti. Un mandriano, avendo smarrito una delle sue migliori vacche, si mise a cercarla per tutto il bosco. Ed ecco che, dopo tanto affannarsi, la ritrova, piegata sulle gambe posteriori ed intenta a fissare con i suoi glauchi occhi la Immagine della Vergine, dipinta sullo scorcio di un muricciuolo diruto e corroso. Di tale scoverta dette avviso ai compagni, e la notizia si divulgò ben presto fra il clero ed il popolo" (20).
La prima attestazione di un edificio cristiano nel territorio di Tricarico denominato chiesa di Santa Maria delle Fonti risale ai secoli XII-XIII ed è collegata alla fondazione di chiese verginiane, site nel cuore più montuoso della Basilicata, lungo entrambe le sponde del medio Basento. Al pari di tutte le altre essa sarebbe stata, infatti, dipendente dall'abbazia di Montevergine e strettamente connessa al monastero di Santa Maria di Cognato, che dovette avere un particolare valore affettivo per i verginiani, essendo legato al ricordo della dimora di San Guglielmo in quel remoto angolo della Basilicata, che coincide ancor oggi con la foresta di Gallipoli-Cognato. Dopo l'edificazione del monastero di Santa Maria di Cognato (1130 ca.), la presenza verginiana, infatti, assunse un'ulteriore dilatazione proprio con le tante chiese dipendenti da essa, fondate e dotate durante gli anni 1197/1264 nel territorio compreso tra Tricarico, Albano (Albano di Lucania), San Chirico (San Chirico Nuovo) e Tolve: la chiesa dei S.S. Leone, Cristoforo e Iconio e le chiese dedicate a Santa Elena e a San Martino, site nel tenimento di Albano e di Tricarico, le chiese di Santa Maria degli Olivi e di Santa Margherita dislocate nel territorio di Tolve, nonché le chiese di San Martino, di Santa Maria degli Angeli e di Santa Maria delle Fonti, site nella contea di Tricarico e dotate di una serie di beni che ne garantissero l'autonomia economica (21).
Numerose bolle pontificie attestano quel momento di grande diffusione della spiritualità benedettina nell'interpretazione verginiana in questo lembo di terra lucana, e fanno esplicito riferimento alla chiesa di Santa Maria delle Fonti, che assieme a quella di Santa Maria degli Angeli sarebbero state entrambe nel contado di Tricarico e precisamente in tenimento di San Chirico, oggi San Chirico Nuovo (Pz): la prima esplicita menzione della chiesa di Santa Maria delle Fonti è nella bolla emanata da Innocenzo III nel 1209; ulteriori testimonianze provengono dalla bolla di Alessandro IV (1261), ove si fa più netta la distinzione tra i possedimenti in San Chirico e le chiese di San Giovanni e di Santa Maria degli Angeli in diocesi di Tricarico: "In tenimento Sancti Clerici ecclesiam Sanctae Mariae de Angelis, homines, vineas et alias possessiones, quas ibidem habetis" ed ancora "In comitatu Tricaricensi ecclesiam Sanctae Margaritae, ecclesiam Sanctae Mariae de Oliva, ecclesiam Sancti Iconij, ecclesiam Sanctae Mariae de Funtis, ecclesiam Sanctae Helenae et ecclesiam Sanctae Mariae de Angelis cum hominibus, molendinis et omnibus pertinentiis suis" ed ancora "In diocesis Tricarici: ecclesias Sancti johannis et Sanctae Mariae de Angelis, homines, redditus et possessiones quas habetis in Sancto Clerico et pertinentiis eius" La bolla di Urbano IV (1264) cita per l'ultima volta la chiesa "Sanctae Mariae de Fonte cum domibus et possessionibus suis" mentre un diploma di Federico II del dicembre 1220 accenna vagamente a tutte queste chiese ubicate fuori dagli abitati, specificando che il monastero di Montevergine possedeva "quasdam ecclesias et triginta casatas villanorum in Sancto Clerico de Tricarico" (22).
La presenza di quest'ordine monastico nell'area del medio Basento pare che non abbia superato il secolo XIII. Se l'identificazione dell'attuale santuario di Santa Maria di Fonti con la chiesa di Santa Maria delle Fonti citata in queste bolle fosse dimostrata, dovremmo concludere che esso sarebbe stato originariamente uno dei possedimenti dell'abbazia benedettina di Montevergine. I documenti, tuttavia, tacciono in merito ed anche sulle modalità e sui tempi dell'ipotetico passaggio dello stesso luogo sacro dai verginiani alla Chiesa tricaricese. Bisogna, infatti, giungere alla metà del sec. XV per rinvenire tra i documenti dell'archivio capitolare di Tricarico, notizia di concessioni elargite a questo capitolo da Nicola, vescovo della diocesi omonima, relativamente a chiese site dentro e fuori la stessa città (Concessio facta Capitulo per dominum Nicolaum episcopum Tricaricensis et visitatorem apostolicum de ecclesiis intus et extra civitate in anno 1444 (23). Questa fonte pervenutaci solo in regesto, tuttavia, non menziona esplicitamente la chiesa di Santa Maria di Fonti (24).

3. Se negli atti della Visitatio condotta nella diocesi di Tricarico nel 1588 dal vescovo Giovan Battista Santonio, che pur esamina le tante chiese e cappelle dell'immediato extramoenia (San Nicola. San Giovanni Battista, Santa Lucia, Santa Croce, Santa Maria dei Martiri, Santa Maria Maddalena, Santa Maria de Nova, San Leonardo, Santa Maria de Soccurso, San Rocco, Santa Margherita, Sant'Andrea, San Giuseppe) e le altre sparse nelle varie contrade del tenimento di Tricarico, tra cui Santa Maria de Ascolano, la Santissima Trinità, Sant'Agostino, Santa Maria de Oliva (25), non si rinviene traccia della chiesa di Santa Maria di Fonti, altre fonti archivistiche cinquecentesche di matrice comunale, invece, ce la documentano topograficamente nell'antica XI contrada del terzo comprensorio del tenimento di Tricarico, denominata San Giovanni Damasio che così descrivono:
"(...) Incomincia dal Vallone della (Cerasa), cioè dalla via, per la quale si va al Laco dell'Abriola, e per lo predetto vallone sagliendo (...) ferisce in capo il predetto vallone, e da capo del predetto vallone, ferisce (alla serra) vicino la chiesa di S. Maria di Fonti, e dalla predetta serra discendendo verso (borea, ferisce alla via) publica di Sferra Cavallo, e dalla predetta via revoltando verso borea (e meno) giorno, ferisce/ alla strada, per la quale si va da Potenza a Tricarico ( ..)" (26).
Tale contrada è ricordata come limitrofa ad altre dell'estremo N-O del tenimento tricaricese, confinanti con i territori di San Chirico e di Tolve, tutte interessate dal passaggio di importanti strade, che permettevano i collegamenti di Tricarico con Potenza, Albano e San Chirico; tra esse l'VIII contrada del quarto comprensorio, detta Forluso, così delimitata:
"(...) Incomincia dalla via publica, per la quale si va da Tricarico a Potenza, in capo lo Vallone della fontana delli Fornielli, e per la via via, caminando (verso Potenza), e occidente, ferisce in capo la via, quale viene da Santa Maria de Fonti (alli Pisciculicchi, e) via via discendendo verso mezo giorno, ferisce al Vallone Vivo, (e discendendo al) Vallone di Refugi, dove si spante il territorio (di Tricarico, ed Albano, ferisce alla via), per la quale si va da Albano a Tricarico (...)" (27).
Non meno significativa risultava per la chiesa in questione la vicinanza della contrada Verdesca, la XVI del secondo comprensorio del tenimento di Tricarico, le cui delimitazioni erano le seguenti:
"(...) Incomincia dal Vallone dell'Albaniello, (cioè da) capo del predetto vallone, dove si spartono due vie, delle quali, una va da Tricarico a S. (Ch)irico, e l altra a Tolve, e da capo di detto vallone caminando verso settentrione per detta via, per la quale si va da Tricarico a Santo Chirico, va alla via publica di Sferra Cavallo, e caminando verso occidente ferisce alla via per la quale si va da Tricarico a Tolve (...)" (28).
Nella contrada Verdesca - va segnalato - i canonici di Tricarico avevano delle proprietà:
"(...) Incipiendo in dicta strata delli Pisciculicchi, alias de Fonte, descendendo per tempam sistentem iuxta terras canonicorum Tricarici, restantes a parte orientis, quae terrae canonicorum sunt capacitatis in semine tumulatorum 44, ad mensuram neapolitanam, et descendendo per dictam tempam, et confinando cum dictis terris canonicorum, vadit ad Vallonem della Cerasa, et ascendendo per ipsum vallonem, versus occidentem, ferit per ipsum vallonem, ferit prope ecclesiam Sanctae Mariae de Fonti, et a dicto vallone transversando versus septentrionem, vadit ad dictam ecclesiam Sanctae Mariae de Fonti, et a dicto vallone transversando versus septentrionem, ascendendo semper per dictam viam de Fonti, venit ad primum finem in capite terrarum canoni corum predittorum" (29).
La chiesa campestre era quindi lambita da una via, detta proprio "via dalli Pisciculicchi a Santa Maria di Fonte" o "delli Pisciculicchij, alias de Fonti"; particolarmente importante nel fitto reticolo viario di quella vasta area del territorio di Tricarico che dal "(...) Piano di Cerbaro tenimento di Tolve, ferisce in capo la Serra di Enula, e sagliendo per detta serra, ferisce alla via publica, quale discende dalli Pisciulicchij, e saglie a Santa Maria de Fonti, e da detta chiesa discendendo verso oriente per la strada publica di Sferra Cavallo, e dalla detta via di Sferra Cavallo revoltando, e retrocedendo verso mezo giorno per la via via ferisce allo Vallone dell'Alvaniello, dove si gionge con il Vallone della Cerasa, e per la detta via venendo sempre verso Tricarico, e mezo giorno ferisce alli Scalicelli" (30).
Va evidenziato, inoltre, come la zona di San Giovanni Damasio era vicinissima anche alla XVII contrada denominata Serra del Trionte, che comprendeva il grande Bosco comunale di Tricarico, detto pure difesa della Montagna, tanto vitale per l'economia agro-pastorale della città nei secoli XV XVI e che, in quanto ampia area demaniale dell'estremo nord-ovest del suo tenimento e per la sua configurazione di confine, rappresentava assieme al Vallone di San Chirico un punto strategico per la viabilità e per i percorsi della transumanza diretti verso la Terra d'Otranto. I confini di questa difesa dell'università erano i seguenti:
"(...) Incomincia dalla Bocca delli Porticelli, e va per la via publica, per la quale si va da Tricarico a S. Chirico verso settentrione, e ferisce al Vallone di S. Chirico, et alli confini di Tolve, e dalli detti confini di Tolve ferisce alla via publica delli Piscicolicchij, e saglie alla chiesa di Santa Maria di Fuonte, e dalla predetta chiesa descendendo verso oriente per la via di Sferra Cavallo ferisce alla detta Bocca delli Porticelli (...)" (31).
Da questa documentazione si evince, dunque, come la chiesa di Santa Maria di Fonti nel corso del Quattro e Cinquecento era pienamente inserita in un'ampia area del territorio comunale di Tricarico dall'economia silvo-pastorale; un territorio caratterizzato da molti valloni con funzione viaria, come il Vallone del Bilioso e il Vallone della Cerasa, e coinvolto dal passaggio di tratturi e tratturelli ricchi di erbe ed acque sorgive per l'alimentazione di mandrie e greggi in transito. Tali tratturi si innestavano poi su due importanti arterie locali della transumanza, la "via che viene da Potenza e va a Terra d'Otranto, alias via delle vacche" e la "via publica Tricarico-Monte Serico", che passavano sul confine territoriale di Tricarico e di San Chirico (Vallone di San Chirico) e proseguivano sia in direzione della valle del Bradano, che a N-E verso la Terra d'Otranto, soprattutto la piana dello Jonio e a N-O verso i fruttuosi pascoli di Monteserico e del Melfese, tutte aree della Basilicata e dell'attuale Puglia coinvolte nella Regia Dogana della mena delle pecore di Foggia; lungo questi percorsi si distribuivano, in genere, taluni servizi come taverne e cappelle (32), entro le quali potrebbe essere inserita la chiesa di Santa Maria di Fonti. Va, infine, aggiunto come fra i tratturi della transumanza, che agli inizi del XX secolo interessavano il territorio comunale di Tricarico, esisteva il regio tratturo di Fonti (33).

4. Fonti archivistiche ed epigrafiche seicentesche, che fanno capo a due insigni vescovi della diocesi di Tricarico, Pier Luigi senior (1624-1646) e il nipote Pier Luigi junior (1646-1672), della nobile casata dei Carafa della Stadera (34), presentano la chiesa di Santa Maria di Fonti in occasione dei notevoli interventi da essi condotti nell'area santuariale tra il primo ventennio del secolo XVII e gli anni immediatamente successivi alla grande peste del 1657 (35).
Fu Pier Luigi Carafa senior che agli inizi del suo episcopato intraprese numerose opere edilizie, come testimonia l'iscrizione ("PETRUS ALOYSIUS CARAFA EPISCOPUS TRICARICEN / ET S(ANCTAE) R(OMANAE) E(CCLESIAE) PRESBITER CARDINALIS HANC FUNDAVIT ECCL(ESI)AM") sottostante ad un suo ritratto che lo presenta in veste cardinalizia (36). Dovette rimaneggiare - secondo il senso da attribuire al verbo fundavit e a giustificazione del suo stemma, che ancor oggi sovrasta l'ingresso principale dell'edificio sacro - l'originaria aula della chiesa medievale, addossandole probabilmente tre cappelle per lato ed altri fabbricati (37). L'attenzione di Pier Luigi Carafa senior nei confronti del culto di Santa Maria di Fonti si completò con la costruzione nel 1638, nelle adiacenze dell'edificio sacro, di quel complesso edilizio noto come il "Palazzo del Capitolo" o il "Palazzo" (38), su cui è scolpito ancora una volta il suo emblema (39). È probabile che le realizzazioni del cardinale Carafa fossero supportate anche dalle donazioni di Angelo Maria Setaro, canonico nativo di Albano di Lucania, come attesta l'epigrafe (ANGELUS MARIA SETARO CANONICUS ECCL(ESI)AE CATHEDRALIS / TRICARICI BONA SUA HUIC ECCLESIAE B(EATAE) M(ARIAE) VIRGI(NIS) DONAVIT) pervenutaci su un suo ritratto (40), coevo a quello del Carafa e nel quale è vestito di mozzetta nera con bordi rossi, come usava il capitolo di Tricarico a ricordo del rito greco. Entrambe queste opere pittoriche, provenienti dal santuario ed oggi conservate nell'episcopio di Tricarico, recano in un angolo della composizione la medesima effigie della Madonna di Fonti, che dovrebbe essere la più antica che si conosca oltre, ovviamente, a quella del santuario.
Pier Luigi Carafa junior, com'è noto, successore e nipote del precedente, non solo fornisce la più antica attestazione di quel fervore di rifacimenti, ampliamenti e costruzioni nell'area del santuario, intrapresa dallo zio e da lui proseguita per comodità degli assistenti al culto della chiesa, ormai corrosa dal tempo (vetustate corrosam, restituj, amplificavique mansionesque adiunxi pro commoditate assistentium), ma ne documenta per la prima volta quella devozione di genti provenienti da tutta la provincia di Basilicata, che identifica decisamente il "santuario". Infatti egli attesta come "Longe a civitate se-x millia passibus, sed in eiusdem huius civitatis territorio adest ecclesia Sanctae Mariae de Fonti, quo devotionis ergo undique huius Provinciae populi confluunt" (41). Questo rinvigorirsi della venerazione della Vergine dovette con ogni probabilità coincidere con le grandi calamità del secolo XVII, in particolare con la peste del 1657, evento drammatico per tutto il Regno di Napoli.

5. Nella silloge di testimonianze scritte, volte a ricostruire su basi scientifiche le fasi storiche del santuario di Santa Maria di Fonti e della sua "fabbrica", si inserisce il Discorso fatto al rev.mo capitolo e clero della cattedral chiesa di Tricarico dal sacerdote Potitantonio arcidiacono Della Ratta, vicario capitolare, in occasione del miracolo operato dal Signor Iddio nell'imagine della SS. ma Vergine di Fonti (Cfr. Appendice documentaria). Si tratta della relazione di Potito Antonio della Ratta, vicario capitolare durante la vacanza della diocesi tricaricese negli anni 1805-181942, con cui egli ricostruisce gli eventi miracolosi legati al santuario in un periodo particolarmente critico per la Chiesa tricaricese, fortemente avversata dal contesto storico e ideologico dell'età giacobina e del decennio francese, durante il quale il santuario ed il bosco di Fonti divennero teatro di scontri fra truppe francesi e filo-borboniche e il culto della Vergine di Fonti fu dai francesi sottoposto -nell'interpretazione anti-giacobina del Della Ratta- a tentativi di distruzione (43). Per tre anni vennero sospesi i pellegrinaggi a causa dell'incendio e del saccheggio della chiesa e per l'insicurezza di quei luoghi boscosi esposti pure al brigantaggio (1809); nel maggio 1813 una serie di prodigiose lacrimazioni della Vergine, di cui restano tracce significative (44), affiancate da molti miracoli di "storpi raddrizzati, ciechi illuminati, paralitici risanati, infermi guariti", rinvigorì quella devozione mariana, rafforzata anche dall'assunzione di particolari indulgenze (45) e fece affluire al santuario molte offerte in danaro.
Sull'onda emotiva di quei fatti prodigiosi avvenuti da poco più di trent'anni, che faceva così esprimere Bonaventura Ricotti:
"(...) Quindi in gran fama per fervor di divozione veniva un santuario della Madonna di Fonte, chiesetta collocata in una foresta tricaricense. Gran concorso di circonvicini paesi trae colà per ottener medela ai mali di questa valle di lagrime alla miracolosa immagine di nostra Donna per virtù di prodigio rinvenuta, e che ha venerazione nella prima domenica di maggio, ove il clero di Tricarico preseduto da un canonico va a salmodiare, con molta cura celebrando riti religiosi, e raccogliendo non poche votive offerte, che la pietà de' devoti offre nelle mani del sacerdozio di Tricarico. La immagine itera i suoi prodigi, e la moltitudine accorrente guarda da quella scaturir sudore, che goccia in liquido (..)" (46), si rinnovò il fervore del culto verso la Vergine di Fonti e si intervenne sulla "fabbrica" del santuario per ristrutturarlo e abbellirlo secondo i canoni estetici dell'epoca.

6. Le fonti narrative d'inizio Novecento forniscono molte informazioni sulla chiesa, ipotizzando che in origine dovette trattarsi solo di una "cappelluccia nel bosco di Tricarico, o non altro che un muricciuolo grossolanamente costruito, come parve al muratore Francesco Paolo Grassi, allorché al vecchio altare fu sostituito, nel 1898, l'attuale in marmo (...). Vero è che l'immagine, dipinta a fresco, si conserva tuttavia quale era, in una nicchia, aprentesi in un antico muro, che restaurato e prolungato forse a destra ed a sinistra, venne a formare il lato orientale della chiesa" (47). Si avanzò anche l'ipotesi che la chiesa potesse essere opera di Sarolo, valente mastro costruttore e lapicida di Muro Lucano, operante negli ultimi decenni del XII secolo, progettista del santuario di Santa Maria di Capodigiano presso lo stesso centro e probabilmente della chiesa di San Michele a Potenza, nonché autore del portale di Santa Maria di Pierno presso San Fele (48), santuario quest'ultimo - al pari di quello di Fonti - legato a fondazioni verginiane e siti entrambi a quasi mille metri di altitudine in un suggestivo ambiente naturale tra acque sorgive e boschi di castagni e di querce. Supporterebbero questa tesi le somiglianze tra le strutture architettoniche a potenti pilastri ed archi a tutto sesto delle chiese di "Santa Maria della Fonte in territorio di Tricarico (...) ancor oggi officiata e Santa Maria dell'Olivo, ubicata all'ingresso della stessa cittadina, che si va trasformando in una fattoria (...)" e quelle di altri edifici sacri dell'Ordine di Montevergine sorti sulle vette del Partenio ed ufficialmente consacrati nel 1182(49).
In realtà anche le più recenti analisi strutturali del santuario di Fonti sono indirizzate a ritenerlo compatibile con la presenza verginiana e a identificare il suo primitivo nucleo medievale in una monoaula absidata con copertura lignea, corrispondente all'attuale navata centrale. Si tratterebbe, dunque, di una replica del più povero impianto del primo insediamento dei monaci verginiani in Basilicata, cioè Santa Maria di Serra Cognato, che sarebbe stato poi sottoposto a numerosi rimaneggiamenti nei secoli XVII-XX. L'originaria abside sarebbe leggibile per un breve tratto nei locali retrostanti la chiesa, mentre l'esame delle murature e l'apertura con archivolti in breccia delle seicentesche cappelle laterali avrebbero configurato uno spazio nuovo - che è poi l'attuale - in cui la corta navata centrale con volta a botte lunettata e conclusa a padiglione verso l'altare maggiore, sovrastato dal nicchione con l'effigie della Madonna, si amplia con le due navatelle secondarie, utili per disciplinare e accogliere l'accresciuto flusso di pellegrini. Le pareti della chiesa dovettero essere verosimilmente affrescate, dal momento che la storiografia locale cita come unica effigie della Vergine solo quella dipinta sull'altare maggiore (50).
In effetti, le fonti scritte datano agli anni successivi al 1813 il nuovo rinvigorirsi del culto della Vergine di Fonti e gli interventi sulla chiesa e sull'area santuariale, che oltre al "Palazzo" comprendeva "addossata alla chiesa, una spaziosa casa rurale, alloggio consueto dell'oblato e custode del santuario, e ricovero dei pellegrini durante il mese di maggio". Grazie alle "non poche migliaia di ducati" raccolte da Mattia Lorigi, teologo della cattedrale di Tricarico e procuratore del santuario al tempo dei miracoli, i successivi procuratori Paolo Miadonna e Pasquale Darajo (1889) lo abbellirono, dotandolo della volta sulla navata principale e dell'altare maggiore in marmo in sostituzione del più antico in muratura (1898)51. A pochi anni di distanza (1902) il pittore Gianuario Quercia, per grazia ricevuta, restaurò ed abbellì la nicchia ove è dipinta l'effigie della Madonna, che tuttavia non manomise, secondo quanto attesta l'iscrizione conservata nel bordo interno della nicchia: GRATIA GRAVINA OBTENTA VOLERI B(EATISSI)MA VIRGINI EFFICII INTEGRA SERVA TA F. HUNC LOCULUM EXORNAVIT (a destra) e JANUARIUS QUERCIA JUNII MENSE 1902 (a sinistra) (52). L'anno dopo lo stesso Quercia, pur adoperando ogni mezzo per detergere le lastre del nicchione, che presentavano macchie causate dalla miracolosa lacrimazione, "in tutto simili a quelle che stille di acqua scorrenti su vetro non ben terso vi sogliono lasciare", non riuscì a farle scomparire. 1 procuratori del 1907, per salvaguardare la preziosa testimonianza, non accolsero le istanze dei potentini che avrebbero voluto sostituire quel vetro, composto di due grandi lastre, con un altro di un sol pezzo (53). In quello stesso anno così si presentava la chiesa:
"(...) ha tre porte, la principale a ponente di fronte all'altare maggiore, e due altre più piccole, l'una a mezzogiorno, l'altra a borea, e conta oltre l'altare maggiore, altri tre altari, due nella piccola navata a sinistra, ed un altro nella egualmente piccola navata a destra. I due primi hanno nome dell'Adorazione de' magie di Maria Santissima del Carmelo, da quadri imposti a' rispettivi altari; ed il terzo, a destra, di Gesù legato alla colonna, da una statua ruvidamente scolpita, che rappresenta appunto la flagellazione di Gesù, nostro Signore. Il santuario in altri tempi era frequentatissimo, e la tradizione afferma che in diverse epoche non pochi miracoli furono operati dall'augusta Regina de' Cieli, sotto il titolo di Santa Maria di Fonti, senza che però a noi sia dato fissarne la data, ed indicare le circostanze e le persone che ottennero grazie da Lei. Tacendo delle gambe e delle braccia in cera smozzicate ed avariate appese alle pareti, grucce tarlate, vecchissime, pendenti da un arco della piccola navata a sinistra, dicono indubitatamente che paralitici, e altrimenti rattrappiti, da viva fede animati, fattisi - come il paralitico del Vangelo - portare al santuario, l'uso delle gambe abbiano riavuto, e vi lasciaron le grucce, trofeo del prodigio in essi operato " (54).
Tra il 1913 e il 1914 vennero ricostruiti in marmo i vecchi e malridotti altari in fabbrica e legno delle navate: quello con il Cristo alla colonna per devozione di Giovanni di Nubila di Tricarico (1913), l'altro dedicato a Maria Santissima del Carmelo ed il terzo sito nella piccola navata destra e dedicato a S. Giuseppe (che aveva sostituito l'altare intitolato all'Adorazione de' magi) mediante le oblazioni dei pellegrini (1814) (55).
In occasione della celebrazione di due importanti eventi diocesani, verificatisi nel 1938 durante l'episcopato di Raffello delle Nocche (1922-1960) (56), il primo Congresso eucaristico e la solenne incoronazione della Vergine del Carmelo, la chiesa subì ulteriori interventi, volti ad eliminare "tutto quello che poteva essere sconveniente al decoro della casa di Dio" e darle "tono mistico e liturgico". Si mantennero i tre ingressi e gli altari segnalati nel 1924, ma vennero rifatti tettoia, porte, pavimento e fu accomodato l'organo. La chiesa fu dotata di banchi. Addossata al santuario rimaneva la spaziosa casa rurale, alloggio degli oblati, a pochi metri in direzione nord-ovest insisteva l'ampio "Palazzo del capitolo", utilizzato come dimora dei sacerdoti di Tricarico durante le cinque settimane in cui affluivano a Fonti i numerosi pellegrinaggi; nei mesi estivi una sua ala ospitava la colonia montana, due stanze erano adibite per scuola rurale (57).
Solo nel 1969 si hanno esplicite notizie sulle tele di autori anonimi, a quell'epoca ancora esistenti nella chiesa ed effigianti: Cristo che presenta all'Eterno la corona per la Vergine (prima metà del sec. XVII), L'Immacolata che entra nella gloria accolta da Gesù e sostenuta e festeggiata da una corona di angeli (sec. XIX), L'Adorazione dei magi con soldati e paggetti (secc. XV XVI), S. Pietro, S. Paolo, La Maddalena penitente, L'Addolorata, La Madonna del Carmelo, così pure di quattro dipinti di fattura popolare, trasferiti dalla chiesa nella sala delle offerte, raffiguranti alcuni miracoli attribuiti alla Madonna di Fonti e corredati delle seguenti iscrizioni: 1) "V(ERA) E(FFIGIE) (DI) SANTA M(ARIA) (DI) F(ONTI). GRAT(IA) RAFAELE LAMI DI TRIVIGNO"; 2) `A DIVOZIONE DI ANNA PISANI DI SAN CHIRICO NUOVO, 24 APRILE 1836';- 3) "MIRACOLO DELLA BEATISSIMA VERGINE S. TA MARIA DE' FONTI IN PERSONA DEL CANONICO DON FRANCESCO PAOLO LAUREANO DI LEI PROCURATORE IN OCCASIONE DI UNA GRAVISSIMA MALATTIA SOFFERTA NEL MESE DI (DICEM)BRE DEL ANNO 1840"; 4) "LAURENTIUS PAPPADA TERRAE S(ANCTI) QUIRICI, GRAVI MORBO CORREPTUS, EX INTERCES/SIONE B(EATAE) MARIAE VIRGINIS, SALUTEM RECUPERAVIT: ANNO DOMINI 1898'; non mancavano ex voto in argento rappresentanti mani, piedi, occhi, ossa, lampade votive ed altri oggetti devozionali (58), mentre quelle "gambe e braccia di cera smozzicate ed avariate, grucce tarlate, vecchissime, che fino ad ieri si videro pendere dalle pareti e da' due archi della piccola navata a sinistra", erano già state definitivamente rimosse nel 1924 "per decoro della chiesa" (59).
Le ultime fasi della storia di questo santuario segnalano un deciso permanere della devozione e dei pellegrinaggi ed un ritorno di attenzioni, sollecitate pure dall'anno giubilare. La chiesa, sottoposta in seguito al terremoto del 23 novembre 1980 ad interventi di consolidamento e di rifacimento della facciata e privata dell'altare dedicato alla Madonna del Carmine (60), continua a mantenere la struttura del 1969, sovrastata da un campanile a vela e con l'antico portale dell'ingresso principale in cotto sormontato dallo stemma dei Carafa. Molte delle tele esistenti ancora in quell'anno sono state, purtroppo, trafugate (61). Il capitolo cattedrale ha promosso il restauro dell'affresco della Madonna di Fonti, eseguito nel 1996 dalla restauratrice Rita Padula di Matera che ha posto in luce i tratti originari del manufatto ed un fonte, su cui era stato dipinto un pozzo ( 62). Nell'area del santuario sono in restauro gli edifici annessi alla chiesa e il "Palazzo del capitolo", mentre a spese della diocesi e con i contributi della Regione Basilicata per il Progetto Giubileo è stato costruito un ostello della gioventù, che ospiterà gruppi per incontri di studio e di preghiera (63). Si progetta, infine, di custodire in una bacheca il vetro segnato dal miracolo della lacrimazione che, assieme a quanto resta delle testimonianze epigrafiche, artistiche e devozionali connesse al santuario, confluirà nell'istituendo museo diocesano.
Nella processualità del divenire storico, sono dunque questi segnali importanti della permanenza del culto della Madonna di Fonti, frutto dei tempi di lunga durata e nonostante il difficile avanzare dei cambiamenti, che investono anche la religiosità che ha come referente questo santuario. Se i fattori di indebolimento della memoria vanno individuati anche qui nelle trasformazioni demografiche, nei fenomeni di omologazione di comportamenti favoriti dai mass media, nel progressivo processo di secolarizzazione e nel formarsi di una sempre più marcata soggettività religiosa, va tuttavia sottolineato il perdurare del forte radicamento di questo culto a Tricarico e nel territorio circostante.

Note

1 COMUNITÀ MONTANA MEDIO BASENTO (C.M.M.B.), Guida al Medio Basento. Accettura, Calciano, Campomaggiore, Castelmezzano, Garaguso, Oliveto Lucano, Pietrapertosa, San Mauro Forte, Tricarico, Matera 1989, pp. 6-7 e 17 per il bosco, pp. 88-9 per il santuario. C. BISCAGLIA e S. LAURIA, Tricarico. Storia Arte Architettura, Matera 1993, p. 82.
2 I.G.M., F. 200, IV della Carta d'Italia, `?ricarico", 1: 50.000, 1875. Per il bosco di Fonti-Tre Cancelli esteso circa 400 ettari e costituito essenzialmente da querce e cerri con fitto sottobosco ad altitudine compresa tra gli 800 e i 1000 metri, B. KAYSER, Studi sui terreni e sull'erosione del suolo in Lucania, con prefazione di M. Rossi-Doria, Matera 1964, pp. 15-25; ARCHIVIO COMUNALE DI ?RICARICO, Studio per la rianimazione di un territorio rurale svantaggiato colpito dal terremoto (?ricarico), studio redatto dall'Ufficio Studi e Formazione dell'Agriturist, Roma 1982.
3 (GIUSEPPE MONACO), Santuario di S. Maria Fonte di Grazie sito nel bosco comunale di Tricarico. Brevi notizie intorno al Santuario detto volgarmente di S. Maria di Fonti, Con licenza dei Superiori, Litografia A. Ingegno, maggio 1907, pp. 1-16.
4 (TOMMASO ARAGIUSTO), Santuario di S. Maria Fonte di Grazia sito nel bosco comunale di Tricarico. Brevi notizie intorno al Santuario detto volgarmente di S. Maria di Fonti, Nihil obstat can. Theol. Thomas Aragiusto, Tricaricen 6 aprile 1924, Imprimatur Raphael E.pus Tricaricensis, Litografia A. Ingegno, maggio 1924, pp. 1-32.
5 E. LOPRESTO e A. MIADONNA (a cura dei canonici procuratori), II Santuario di Maria SS. di Fonti in Tricarico, R. Tipografia F. Giannini & figli, Napoli 1938-XVI, pp. 1-22. L'opuscolo fu realizzato in occasione del primo Congresso eucaristico diocesano e dell'incoronazione solenne della Vergine del Carmelo, come si legge nella pagina introduttiva datata Tricarico, 1 maggio 1938.
6 (ANGELO MAZZARONE), II Santuario della Madonna di Fonti, Tipografia-linotipia ed. Montemurro, Matera 1969, pp. 1-60; A. MAZZARONE (a cura di), Le Pro Loco lucane sulle tracce della devozione mariana: I Santuari rurali nella Diocesi di Tricarico, UNPLI, Comitato Regionale di Basilicata, Marsicovetere (Pz) 2000, in particolare la scheda Santa Maria di Fonti, pp. 39-45.
7 G. DARAIO, Per la storia di Civita di Tricarico e di Calle, voi. III, Matera 1954, pp. 104-6; ID., li Vescovato di Tricarico, voi. IV, Gracis Printing Company, Union City, New Jersey (U.S.A.) 1955, pp. 515. L'autore riprendere in genere notizie già note e, pur sollecitando delle piste nuove di ricerca, esclude poi ogni ricorso alle fonti.
8 C. VICINO, Aspetti storici e demologici dei Santuari di Viggiano, Picciano e Fonti in Lucania, tesi di laurea, Università degli Studi di Bari, Facoltà di Lettere e Filosofia, a. a. 1967-68, una cui copia è depositata presso la Biblioteca Provinciale "T. Stigliani" di Matera; C. VALENTE, La mia Basilicata, Sambuceto (Ch) 1989, ove le pp. 409-10 riportano il testo intitolato li pellegrinaggio di Fonti; E. SPERA, La Madonna del bosco, in C.M.M.B., Guida al Medio Basento, cit., p. 90; N. MARTELLI, Contadini e cultura. Ricerche antropologiche in un paese lucano, Potenza 1994, ove le pp. 199-208 forniscono il testo del "Capitolo della Madonna di Fonti".
9 A. MAURANO, Tricarico. La chiesa di S. Maria di Fonti, in L. BUBBICO, F. CAPUTO, A. MAURANO (a cura di), Monasteri italogreci e benedettini in Basilicata, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici della Basilicata, vol. II, Matera 1996, pp. 203-4.
10 Trattasi del racconto La festa, in R. SCOTELLARO, Uno si distrae al bivio, Matera 1974, pp. 48-51.
11 V. VERRASTRO (a cura di), Con il bastone del pellegrino attraverso i santuari cristiani della Basilicata, Comitato Giubileo Basilicata 2000, Associazione per la storia sociale del Mezzogiorno e dell'area mediterranea, Associazione internazionale per le ricerche sui santuari, Matera 2000, pp. 261-5.
12 Ivi, pp. 17-22. Per ulteriori aspetti di questo tema affrontati attraverso ricerche archivistiche, V. VERRASTRO (a cura di), Sui passi dei pellegrini. Un itinerario attraverso i luoghi del sacro in Basilicata, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Archivio di Stato di Potenza, Potenza 2000.
13 VERRASTRO, Con il bastone del pellegrino, cit., p. 261.
14 Ivi, p. 262.
15 Ivi, Presentazione di Gabriele De Rosa, pp. 9-11 e 19. Su questi aspetti specifici si cfr. la vasta bibliografia citata nel volume.
16 Denominata anche Serra Lentine, è dislocata a N-O del Bosco di Fonti, I.G.M., F. 471 della Carta d'Italia, "Irsina", 1: 50.000, 1979.
17 M. G. CANOSA, Tricarico, in M. SALVATORE (a cura di), L'espansionismo romano nel sud-est d'Italia. II quadro archeologico, Venosa 1990, p. 111-23 e bibl. ivi riportata. Per le più recenti acquisizioni sul sito, O. DE CAZANOVE, Chronique des activités de I'École francaise de Rome: Civita di Tricarico, in "MEFRA", 107, 1995, pp. 807-9 e ID., Le site Lucanien de Civita di Tricarico: entre hellénisation et romanisation, in "Revue Archéologique", 1, 1996, pp. 200-10. Si cfr. pure M. L. NAVA, Soprintendenza Archeologica della Basilicata. IV-III sec, a.C.: Civita di Tricarico, in "Basilicata Regione Notizie", 11, 1998, pp. 306-7.
18 Vasta è la letteratura scientifica su questo santuario dell'area archeologica di Rossano o Macchia di Rossano nell'agro di Vaglio di Basilicata (Pz), che fa capo per la documentazione archeologica a D. ADAMESTEANU - H. DILTHEY, Macchia di Rossano. II santuario della dea Mefítis. Rapporto preliminare, Galatina 1992, e H. DILTHEY, Sorgenti, acque, luoghi sacri in Basilicata, in AA.VV, Scritti in onore di Dinu Adamesteanu. Attività archeologica in Basilicata 1964-1977, Matera 1980, pp. 539-60; per quella epigrafica a D. ADEMESTEANU - M. LEJEUNE, li santuario lucano di Macchia di Rossano di Vaglio, in "Mem. Lincei", XVI, 1971, pp. 39-83; M. TORELLI, I culti di Rossano, in SALVATORE, L'espansionismo romano nel sud-est d'Italia, cit., pp. 83-99. Per il rapporto tra fiumi e culti antichi, D. ADAMESTEANU, Fiumi e torrenti nella Lucania antica, in C. D. FONSECA (a cura di), Le vie dell'acqua in Calabria e in Basilicata, Catanzaro 1995, pp. 153-87.
19 R. J. BUCK, The ancient roads of eastern Lucania, in "Papers of British School at Rome", 1974, pp. 53-9. Sullo stesso argomento, CANOSA, Tricarico, cit., p. 10. Sul rapporto tra insediamenti antichi e medievali, territorio e viabilità nell'area del medio Basento, C. BISCAGLIA, La media valle del Basento tra età antica e medioevo, in "Bollettino della Biblioteca Provinciale di Matera e della Deputazione di Storia Patria per la Lucania, Sezione di Matera", XV, 23-24, 1994, pp. 11-31.
20 LOPRESTO e MIADONNA, li Santuario di Maria Santissima, cit., p. 8.
21 G. MONGELLI, Monasteri e monaci verginiani della Basilicata, in P. BORRARO (a cura di), Studi lucani, Galatina 1976, pp. 173-237. Per una visione più ampia del contesto politico che caratterizzò questi territori in epoca normanna e del passaggio dalla spiritualità dei monaci italogreci e quella dei benedettini, BISCAGLIA, La media valle del Basento, cit., pp. 28-31.
22 MONGELLI, Monasteri e monaci verginiani, pp. 198-99, 202-3.
23 ARCHIVIO VESCOVILE DI TRICARICO (A.V.T.), Visitatio illustrissimi et reverendissimi domini lohannis Baptistae Sanctonio, episcopi Tricaricensis. Anno 1588, c. 107r. Per Nicola, che resse la diocesi di Tricarico nel periodo 14381446, F. RUSSO, La diocesi di Tricarico nel primo millenario della fondazione, Matera 1968, p. 31.
24 Non trova a tutt'oggi riscontro la notizia per cui una bolla emanata nel 1444 da Nicola IV avrebbe attribuito al capitolo e clero di Tricarico il santuario di Santa Maria di Fonti con tutti i suoi "diritti, possessi ed introiti" per "aumentarne le rendite e sussidiarne le prebende", (ARAGIUSTO), Santuario di Santa Maria Fonte di Grazia, cit., pp. 4-5; è documentato, infatti, un solo pontefice col nome di Niccolò IV per il periodo 12881292, A. CAPPELLI, Cronologia, cronografia e calendario perpetuo, Milano 1983. Più verosimile, ma da verificare in sede archivistica, il riferimento ad una bolla dello stesso tenore, che sarebbe stata emanata sempre nel 1444 da Eugenio IV, (MAZZARONE), II Santuario della Madonna di Fonti, cit., p. 4; questo pontefice resse, infatti, il soglio pontificio negli anni 1431-1447, CAPPELLI, Cronologia, cronografia, cit.
25 A.V.T., Visitatio., cit., cc. 225-232, per la chiesa di Santa Maria de Oliva cc. 148-152.
26 A.V.T, "Inventario, seu descrittione, et notamento di tutti beni stabili, mobili, scritture, privileggij (..) della magnifica città di Tricarico (..) per me Ferrante Corsuto tradotto, e cacciato da tutte le scritture dell'Università, (-) per me ordinati, e registrati, secondo in esso si contiene, nell'anno presente del 1585'; c. 53r.
27 Ivi, c. 55.
28 Ivi, c. 52.
29 Ivi, c. 62r. Pur se molti dei toponimi citati nel manoscritto hanno subito delle
variazioni, per una identificazione di massima delle zone del territorio di Tricarico, San Chirico Nuovo e Tolve, alle quali fanno riferimento i documenti, si cfr. I.G.M., F. 471 della Carta d'Italia, "Irsina", 1: 50.000, 1979.
30 A.V.T, "Inventario, seu descrittione", cit., c. 45.
31 Ivi, c. 52r.
32 Sugli aspetti di carattere generale di queste tematiche, J. A. MARINO, L'economia pastorale nel Regno di Napoli, traduz. a cura di L. Piccioni, Napoli 1992 e bibl. ivi citata; G. LAPORTA, Agricoltura e pastorizia nel feudo di Monteserico nei secoli XVI e XVII, in A. MASSAFRA (a cura di), Problemi di storia delle campagne meridionali nell'età moderna e contemporanea, Bari 1981, pp. 291-308. Per la Basilicata, A. CAPANO, Allevamento, transumanza, tratturi in Basilicata dall'antichità all'età contemporanea, in "Lucania Archeologica", V, 14, 1986, pp. 6-10; G. ANGELINI (a cura di), 11 disegno del territorio. Istituzioni e cartografia in Basilicata. 1500-1800, Bari 1988, pp. 32-43. Per le analisi più specifiche del rapporto tra viabilità e transumanza nell'economia di Tricarico tra '400 e '500, cui si fa riferimento nel testo, C. BISCAGLIA, "II liber iurium della città di Tricarico. Introduzione: origine e sviluppo di un municipio del Mezzogiorno d'Italia nei secoli XIV-XVI: società, vita politico-amministrativa, gestione del territorio, economia, cultura, rapporti col potere signorile", voi. II (in fase di pubblicazione).
33 Gli altri erano: il tratturo di Tricarico e quello di Serra del Ponte (territorio comunale di Vaglio di Basilicata, Pz); il regio tratturo di Calle, il tratturo comunale di San Marco, quello di Serra, quello di Tricarico, quello di Pila (territorio comunale di San Chirico Nuovo, Pz); il tratturo comunale Trivigno-Albano-Tricarico, il tratturo comunale Rifoggio, il tratturo comunale di Tricarico (territorio comunale di Albano di Lucania, Pz), CAPANO, Allevamento, transumanza, tratturi in Basilicata, cit., p. 13.
34 Essi furono particolarmente benemeriti nei confronti della Chiesa di Tricarico, RUSSO, La diocesi di Tricarico, cit., pp. 19, 31-2. Per la casata che si articola in due rami, i Carafa della Spina e i Carafa della Stadera, V. SPRETI, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, appendice parte I, Milano 1935, ad vocem; per quest'ultimo ramo, G. FUSCO, 1 Carafa della Stadera nelle relazioni storiche tra Terra di Lavoro e la regione lucana, in BORRARO, Studi lucani, cit., pp. 165-72.
35 Su tutte le altre importanti opere promosse da Pier Luigi Carafa junior (16461672) nella diocesi e nella città di Tricarico subito dopo la peste del 1657, M. A. DE CRISTOFARO, La peste del 1657 nelle relazioni di Pier Luigi Carafa vescovo di Tricarico, in UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELLA BASILICATA, POTENZA, Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia, a. a. 1986-87, Napoli 1988, pp. 197-214.
36 Questo ritratto, "appeso sulla porta della sagrestia" della chiesa di Fonti e giudicato "grossolano", è documentato per la prima volta in (MONACO), Santuario di Santa Maria, cit., p. 2.
37 MAURANO, Tricarico. La chiesa di S. Maria di Fonti, cit., p. 203.
38 Sulla prima menzione del "Palazzo", vasto fabbricato sito "a nord, pochi metri lungi dalla chiesa", che "nel tempo del pellegrinaggio, serve di alloggio a' rev.di sacerdoti di Tricarico, cui è affidata dal capitolo la cura del santuario, e di ricovero a' devoti pellegrini", come pure sugli ampliamenti della chiesa intrapresi dai Carafa, che sarebbero dovuti essere più vasti "ad arguir dalle mura di fondazione sporgenti a fior di terra sullo spiazzato innanzi al lato occidentale della chiesa", (MONACO), Santuario di Santa Maria, cit., pp. 2-3.
39 Per questo stemma in marmo bianco di pregevole fattura, murato nella parete esterna del Palazzo e per l'altro in pietra collocato nel timpano del portale d'ingresso della chiesa, entrambi provenienti da botteghe di lapicidi meridionali, si cfr. Archivio della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici della Basilicata (d'ora in poi Archivio Sopr.B.A.S. della Basilicata), Matera, schede del 1974. Per l'arma dei Carafa della Stadera, "Di rosso a tre fascie d'argento", sotto la cui punta dello scudo è a volte presente una stadera di ferro al naturale, SPRETI, Enciclopedia storico-nobiliare, cit., ad vocem.
40 L'opera è segnalata per la prima volta nel 1938, come "esistente ancora oggi" quale attestato di riconoscenza nei confronti della Madonna di Fonti, LOPRESTO e MIADONNA, li Santuario di Maria Santissima, cit., p. 18.
41 ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, Relationes ad limina, Tricaricen, 1661.
42 La diocesi fu vacante per 14 anni, cioè quelli intercorsi tra l'episcopato di Fortunato Pinto (1792-1805) e quello di Pietro Paolo Presicce (1819-1838), RUSSO, La diocesi di Tricarico, cit., p. 32.
43 Per una nuova lettura dei fenomeni socio-religiosi che caratterizzarono la Basilicata di quel periodo, A. CESTARO e A. LERRA (a cura di), II Mezzogiorno e la Basilicata tra l'età giacobina e il decennio francese, voli. 1-2, Venosa 1992.
44 A testimonianza di ciò nel 1907 erano rimaste due di quelle pezzuole, che erano servite per asciugare le lacrime della Madonna, una presso i familiari del rev. penitenziere Francesco Paolo Grassi, l'altra presso la famiglia Monaco, (MONACO), Santuario di Santa Maria, cit., p. 7. La prima è attualmente custodita nell'archivio vescovile di Tricarico, assieme a questo scritto: "Panno con cui fu asciugato I'umor che si disse scaturito dal volto dell'immagine di Santa Maria di Fonti. Mi fu data dal reverendo don Francesco Grassi (...), perché lo conservassi". La seconda è ancor oggi conservata dalla famiglia Monaco di Tricarico. Si erano salvaguardate pure le tracce delle macchie indelebili che avevano segnato il vetro che proteggeva la nicchia con l'effigie della Vergine e che neppure il pittore Gennaro (Gianuario) Quercia di Gravina era riuscito a detergere, Ivi, pp. 7-8. Nel 1954, per consentire una migliore sistemazione del tabernacolo, questo vetro venne tagliato lesionandone la parte superiore, mentre quella inferiore manifesta ancora le tracce del miracolo, (MAZZARONE), II Santuario della Madonna di Fonti, cit., pp. 7-8.
45 II testo ("SS.mus D.N. Pius Papa VII sub datum Romae 13 junii 1813 omnibus utriusque se-xus fidelibus vere poenitentibus confissis ac comm. refectis qui hanc cappellam in prima dominica maji et in ejus octava devote visitaverint et per aliquod temporis spatium juxta mentem Sanctitatis suae pie oraverint indulgentiam plenariam incipiendam a primis vesperis usque ad occasum solis dictae diei cum extensione ejusdem indulgentiae ad totam octavam semel tamen ab unuquoque lucrandam benigne concessit") era un tempo dipinto su una tavoletta affissa sulla parte sinistra della navata centrale della chiesa di Fonti, (MAZZARONE), li Santuario della Madonna di Fonti, cit., pp. 7-8.
46 B. RICOTTI, Tricarico. Chiesa vescovile, in V. D'AVINO, Cenni storici sulle chiese arcivescovili, vescovili, e prelatizie (nullius) del Regno delle due Sicilie, Napoli 1848, p. 692.
47 (MONACO), Santuario di S. Maria, cit., pp. 1-2.
48 LOPRESTO e MIADONNA, II Santuario di Maria Santissima, cit., p. 9. Per il Sarolo, A. GRELLE IUSCO (a cura di), Arte in Basilicata. Rinvenimenti e restauri, ed. De Luca 1981, pp. 20-3.
49 P. M. TROPEANO, Montevergine nella storia e nell'arte, Napoli 1973, p. 119.
50 MAURANO, Tricarico. La chiesa di S. Maria di Fonti, cit., p. 203-4. Sulle superstiti testimonianze delle architetture dell'Ordine di Montevergine in Basilicata e sull'ipotesi che possa trattarsi di edifici preesistenti pervenuti ai monaci verginiani, che non avrebbero apportato loro significative modifiche, F. CAPUTO, II monachesimo italogreco e benedettino in Basilicata, in BUBBICO, CAPUTO, MAURANO, Monasteri italogreci e benedettini in Basilicata, cit., voi. I, pp. 13772. Circa la presenza di un affresco in pessimo stato, identificato nella volta a botte di un piccolo locale attiguo alla sagrestia della chiesa di Fonti, in gran parte ricoperto da uno strato di calce, tranne che nella patte inferiore in cui si vedono tracce di una scritta e di vesti, cfr. Archivio Sopr.B.A.S. della Basilicata, Matera, scheda del 1974.
51 (MONACO), Santuario di S. Maria, cit., p. 4.
52 Archivio Sopr.B.A.S. della Basilicata, Matera, scheda del 1974. Sulla stessa iscrizione, (MAZZARONE), II Santuario della Madonna di Fonti, cit., pp. 11-2.
53 (MONACO), Santuario di S. Maria, cit., pp. 7-8. Attualmente di queste lastre, una è custodita integra, l'altra in grossi frammenti, MAZZARONE, Le Pro Loco lucane, cit., p. 44.
54 Ivi, pp. 5-6.
55 (ARAGIUSTO), Santuario di S. Maria Fonte di Grazia, p. 7; LOPRESTO e MIADONNA, li santuario di Maria SS., cit., pp. 9-10.
56 RUSSO, La diocesi di Tricarico, cit., pp. 20, 32.
57 LOPRESTO e MIADONNA, II santuario di Maria SS., cit., pp. 10-3.
58 (MAZZARONE), II santuario della Madonna di Fonti, cit., 8-10. Una fonte più antica menzionava già due quadretti votivi "di nessun pregio e valore artistico", sospesi a destra e a sinistra sulle mura della navata principale, quali attestazioni di due miracolose guarigioni ottenute mercé l'intercessione di Santa Maria di Fonti, corredate di iscrizioni con i nomi delle persone miracolate, (MONACO), Santuario di S. Maria, cit., p. 8. Nel 1974 furono schedate quattro lampade votive pensili dei secc. XVIII-XIX, generalmente in lamina d'argento sbalzato, provenienti da botteghe di argentieri napoletani (tra esse una reca l'iscrizione "A.D. 1823, A DIVOZIONE DELLA SIG.RA CATERINA MARINELLI", un'altra "FRANCESCO GRAZIADEI PER VOTO 15 8BRE 1861"), un reliquiario di S.ta Rosalia in filigrana d'argento coevo ed una coppia di corone votive per la Madonna e il Bambino, eseguite a Napoli e databili tra il 1809 e il 1824, Archivio Sopr. B.A.S. della Basilicata, Matera, schede del 1974. Per una lettura di carattere più generale di queste espressioni di fede popolare, G. B. BRONZINI, La pittura votiva. Basilicata, in Pittura votiva e stampe popolari, Milano 1987, pp. 132 ss.; A. M. TRIPPUTI, Bibliografia degli ex voto, Bari 1995. F. MIRIZZI, Gli ex voto, in Itinerari del sacro in terra lucana, "Basilicata Regione Notizie", XXIV, 2, 1999, pp. 279-84.
59 (ARAGIUSTO), Santuario di S. Maria Fonte di Grazia, p. 7.
60 Questo altare viene ricordato fino al 1938, LOPRESTO e MIADONNA, II Santuario di Maria SS., cit., p. 9. Fu soppresso negli anni '50.
61 In particolare tra I'8 e il 9 aprile 1979 sono state rubate le seguenti opere pittoriche: uno dei due dipinti di scuola napoletana (Maddalena penitente), che faceva da pendant all'Addolorata, entrambi datati ai secc. XVII-XVIII, collocati rispettivamente a destra e a sinistra dell'altare laterale ed opere dello stesso ignoto artista; il dipinto raffigurante S. Pietro che faceva anch'esso da pendant a quello di S. Paolo, entrambi disposti ai lati dell'altare maggiore e prodotti da un pittore locale della la metà del sec. XVII; il dipinto della Madonna del Carmelo opera di un pittore del sec. XVI; tra il 6 e il 7 giugno 1990 fu infine trafugato uno dei più preziosi manufatti della chiesa, L'Adorazione dei magi, prodotto sul finire del sec. XV da un ignoto artista che si era ispirato all'arte veneta, cfr. Archivio Sopr.B.A.S. della Basilicata, Matera, schede del 1974.
62 II restauro, come si evince dalla relazione tecnica, ha consolidato la pellicola pittorica e, rimuovendo gran parte delle ridipinture a tempera eseguite nel 1902, ne ha recuperato la gamma cromatica; ha alleggerito l'incarnato della Madre e del Bambino, ha fatto emergere i tratti primitivi delle loro vesti e del manto, come pure quelli degli angeli che sorreggono la più antica corona sul capo della Madonna; la composizione sacra è rimasta sullo sfondo di un baldacchino formato da un panneggio scarlatto che parte da una corona centrale ed è stretto negli angoli da due nastri svolazzanti, mentre tutto intorno insiste un fondo azzurro costellato da piccole stelle dorate; l'interno del padiglione ha mostrato una tappezzeria ad ovuli e rombi; l'operazione di restauro ha, infine, posto in luce la seduta del trono e il fonte simile ad una coppa marmorea lavorata a petali. Si ringraziano Rita e Silvia Padula per la gentile e preziosa collaborazione fornitami in questo aspetto della ricerca.
63 MAZZARONE, Le Pro Loco lucane, cit., pp. 40, 45.

APPENDICE DOCUMENTARIA

"DISCORSO FATTO AL REV.MO CAPITOLO E CLERO DELLA CATTEDRAL CHIESA DI TRICARICO DAL SACERDOTE POTITANTONIO ARCIDIACONO DELLA RATTA, VICARIO CAPITOLARE, IN OCCASIONE DEL MIRACOLO OPERATO DAL SIGNOR IDDIO NELL'IMAGINE DELLA SS. MA VERGINE DI FONTI.

Signori miei, è ben noto a loro signori, che l'immagine di Maria SS.ma venerata sotto il titolo di S.ta Maria di Fonti è stata sempre da tempo antichissimo, di cui non vi è memoria, da questo popolo e d'altri popoli a noi vicini venerata con sì singolar pietà, che ogni anno hanno soluto nella prima domenica di maggio ivi condursi processionalmente per ossequiarla e per ottenere dal Signor Iddio, mediante la di Lei materna intercessione, la grazia dell'acqua, specialmente in tempo di siccità. Si ricorderanno altresì, che nell'anno 1809 il nemico del genere umano fece tutti gli sforzi per distruggere questo culto verso la Grande Madre di Dio, perché un certo militare di Modena, signor Loth, qualificato nella milizia colla divisa di tenente ed incaricato dal signor colonnello Montagni della distruzione de' briganti, temendo che la cappella dov'è situata questa miracolosa immagine e la casa adiacente non si rendessero asilo di detti briganti, che facevano dapertutto stragge e rovina, dopo aver dato il fuoco alla chiesa, spogliandola di tutt'i sacri arredi e di quanto ivi conservavasi, non eccettuate ne' anche le campane, pensò di bruciare l'una e l'altra, benché poi per ispeciale protezione della gran Regina, le fiamme si attaccarono alla sola casa e la incenerirono, lasciando intatte le mura ed intempiato della chiesa. In seguito di questa desolazione, e specialmente per causa del brigantaggio, che infestava le strade, i suddetti popoli furono costretti ad intermettere per lo spazio di tre anni li prelodati ossequi, che poi cessato il pericolo, detti nel nuovo ripigliarono con eguale fervore, a cui la SS.ma Vergine si compiacque corrispondere col seguente prodigio.
A dì due del prossimo passato maggio, prima domenica dell'istesso mese, in presenza delle popolazioni di questa città di Tricarico, di Albano, di San Chirico, di Tolve, che ivi secondo il solito eransi portate processionalmente, nell'atto che davansi da' sacerdoti di Albano la santa messa e le litanie, videsi scaturire da quella sacra immagine una gran copia di liquore di colore argentino e glutinoso, il quale poi maggiormente si accrebbe, allora quando cantavansi nelle litanie "Sancta Maria, fons gratiarum ora pro nobis" e si accrebbe in maniera che se ne inzupparono le tovaglie dell'altare e centinaia di fazzoletti bianchi, che si trovarono addosso i fedeli ivi concorsi.
Di sì portentoso miracolo anch'io ne son testimonio oculare, perciocché sebbene dietro le relazioni che mi furono fatte da tutti coloro, che trovandosi presenti in quella cappella, dov'è situata la Sacra Immagine, videro co' propri occhi copiosamente scaturirvi il detto liquore, fossi rimasto persuaso della verità del miracolo, avendo compreso non esservi, secondo il loro universale racconto nessun' apparenza, che potesse attribuirsi a causa naturale, pur nondimeno per soddisfare al mio sacro ministero ed obbligo, che m'impone la carica di superiore, nel dì 16 dell' istesso mese, anche giorno di domenica, mi condussi ivi di persona col popolo di questa città processionalmente, per tributare i dovuti ossequi alla Madre di Dio in quella sacra immagine e ringraziarla per la speciale protezione, che fece allora conoscere, volersi prendere di tutti noi suoi figli. Ivi giunto, dopo essermi sempre più assicurato mediante le fisiche ed oculari osservazioni, che non poteva quel portentoso avvenimento essere un fenomeno naturale, si degnò la Gran Madre di Dio di dare in presenza mia e di tutto il popolo ivi congregato un'altra prova più convincente della verità del primo miracolo, avendo fatto di nuovo sgorgare quel sacro liquore dalla santa immagine, sebbene in minor copia di prima, tale però che bastò a confermare con una pruova sopranaturale la verità del miracolo fatto nel detto giorno di 2 maggio.
N'è testimonio oculare altresì il vescovo di Montepeloso Arcangelo Lupoli, il quale nel dì trenta dell'istesso mese si condusse ivi processionalmente col popolo di Tolve, ove trovavasi per amministrare il Sacramento della Cresima, essendosi anche in tale occasione compiaciuta l'eccelsa Regina di rinnovare l'istesso prodigio in presenza de' sopradetti e di più numerosi fedeli di Albano, San Chirico, Campomaggiore, Oliveto, Calciano, Grassano, Montepeloso, Maschito, Forenza, Cancellara, Acerenza, Pietragalla, Oppido, Vaglio, Potenza, Trivigno, Brindisi, Calvello, Laurenzana, che ascendevano fino al numero di circa diecimila persone.
A sì meravigliosa veduta non è facile il raccontare lo stupore, la riverenza e la gioia, che dovettero concepire in cuor loro gli avventurati fedeli, che ne furono spettatori essendosi tutti chiaramente avveduti, che la gran Regina voleva con sì prodigioso segno far conoscere quanto grata fosse questa divozione al suo materno cuore, e quanto grata sarebbe anch'ella per mostrarsi verso que' fedeli, che continuassero a coltivarla in quella santissima prodigiosa immagine. In ogni luogo tributar dobbiamo li nostri ossequi alla Gran Madre di Dio, e venerare le sue sacre immagini ed in ogni luogo sa Ella diffondere le grazie sue a' figli suoi, che divotamente la invocano; ma mi giova sperare, che desiderando essi ricevere più facilmente qualche grazia, sia volontà, che si prendano l'incomodo di andare a venerarla in questo luogo, dove in particolar maniera vien decorata col titolo di fonte delle grazie, ed a tributarLe i dovuti ossequi in quella sacra immagine, la quale è dipinta nel fondo della nicchia, ch'esce fuori dal muro dov'è situato l'altare maggiore della cappella; perciocché avendo voluto nell'anno 1793 il canonico don Giovan Vincenzo Dionisio e don Guglielmo Armento, che n'era il procuratore, far chiudere per mezzo del fabricatore dottor Eugenio Tepedino la bocca di detta nicchia, e far dipingere la stessa immagine in un quadro più grande, che collocarono sopra l'istesso muro dell' altare maggiore, al fine di renderla più visibile al popolo, furono costretti a far riaprire di bel nuovo la nicchia da un miracolo, per non essere affetti da un sensibile gastigo, venendo i due primi percossi da mortale malattia ed il fabricatore dalla morte istessa.
Di queste sue materne beneficenze ne ha subito dati evidenti contrassegni con molti prodigi posteriormente operati, storpi raddrizzati, ciechi illuminati, paralitici risanati, infermi guariti ed altri simili, tal che nel corso .... (sic) giorni ne sono stati autenticati fino al numero di .... (sic), come ognun di loro signori potrà rilevare da un libro, in cui separatamente si registrano detti prodigi, per quanto si può. Le voci de' suoi miracoli e meraviglie si sono sparse dappertutto e richiamano dalle città e terre a truppe i fedeli a venerarla e ad implorare la di Lei inesausta clemenza, estrinsecando nel tempo istesso questi loro ossequi colle offerte e limosine, che presentano per la recita delle litanie e celebrazione di messe sì lette, che cantate.
Da tutto ciò ben comprendono le signorie loro, che al meraviglioso titolo di cui in quella sacra immagine è decorata la Gran Madre di Dio, corrispondono anche i meravigliosi effetti: perciocché come Ella è il fonte di tutte le grazie, così non si ritiene di sgorgare abbondantemente le acque delle portentose grazie sue sopra di ognuno, che a Lei ricorre. Comprenderanno altresì il preciso dovere, che assiste a questo rev.mo capitolo e clero cui appartiene quella cappella, d'infervorare tutti e ciascuno de' fedeli, eccitarli col più gagliardo impulso alla dilatazione del culto ed onori

Autore: Carmela Biscaglia

 

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