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GRASSANO - da: "La Basilicata" di F. Di Sanzo (1928)

Un grosso paese che si stende sulla vetta di un monte, dall’alto del quale si domina per lungo tratto la vasta valle del Basento.

Giungendo a Grassano, si è come presi da un senso di rispetto per il suo popolo operoso che va impavido a sfidare la malaria nella valle del Basento e manda lontano, per tutti i paesi della zona circostante, i suoi agricoltori a vendere la produzione magnifica dei suoi orti fecondati dal sudore e benedetti dalla operosa costanza di migliaia di lavoratori.

Nelle mattinate piovose dell’inverno, nelle notti di estate, sulle vie di Garaguso, di Accettura, di S.Mauro, di Grottole, di Miglionico, di Tricarico, è tutta una lunga fila di contadini di Grassano, che seguono a piedi le bestie cariche degli ortaggi e della frutta dei loro campi. E quando, dopo decine e decine di chilometri di via faticosa, sono giunti al luogo della vendita, colti tanto spesso, durante l’aspro cammino, dalla neve o dalla pioggia, assai breve è il loro riposo ed assai parco il loro nutrimento. Ad essi basta un pezzo di pane nero ed un pomodoro. Quando proprio non ne possono più, devono poco vino, poi riprendono col volto illuminato dalla letizia del modesto guadagno, la via del ritorno che li porta sulle rive del Basento a contendere le ore della fatica alla malaria e la salvezza del terreno bagnato del loro sudore, alla tremenda ed inesorabile forza distruttrice delle frane.

Che vale ricordare che Grassano, nei tempi antichi, per gli affari civili era soggetta alla giurisdizione dei Cavalieri di Malta e per quelli penali era sottoposta alla giustizia non sempre imparziale e serena del Principe di Bisignano?

La storia più gloriosa è quella che scrive ogni giorno il popolo suo ed è la storia viva e palpitante di tutta la Provincia.





Il disastro di Grassano

Seguendo in treno, prima di giungere alla stazione ferroviaria di Salandra, si passa per il tragico luogo nel quale, la notte del 20 ottobre 1888, un treno andò a seppellirsi sotto il cumulo mortale di duecentomila metri cubi di terreno portati a valle dalla frana.

Il ricordo di quel disastro riempie l’anima di amarezza. Alle tre della notte, un treno proveniente da Napoli, partito a gran corsa da Grassano verso Taranto, si trovò improvvisamente ad una curva, innanzi ad una enorme massa di terra, che pochi momenti prima una frana aveva portata dalla montagna sulla linea ferroviaria.

Il macchinista non fece in tempo a dare il contro vapore, e la macchina si cacciò, a furia, con le prime vetture, in quello che fu il suo sepolcro senza riuscire poi a disincagliarsene, per quanti sforzi si facessero.

Quasi tutti i viaggiatori dormivano. Sbattuti violentemente contro le pareti delle vetture, molti furono uccisi, altri rimasero orrendamente feriti. Quelli delle ultime vetture si lanciarono fuori urlanti per il terrore fuggendo per la campagna in cerca di un rifugio e di un aiuto.

Trenta carabinieri che tornavano da Napoli, dove erano stati per la venuta dell’Imperatore di Germania, non curanti delle proprie ferite, cominciarono subito l’opera di salvataggio. Estrassero dalle vetture scuonquassate i morti ed i feriti, confortarono, aiutarono, placarono gli altri resi folli dal terrore.

Per colmo di sventura, la notte era oscurissima e la pioggia cadeva fitta, rovinosa.

Una giovane signora correva in giro chiamando a gran voce la figlioletta che non vedeva più.

Quando i carabinieri ne ritrovarono il corpicino sfracellato fra i rottami, la povera donna lanciò un urlo come di persona ferita a morte. Poi scoppiò in una risata selvaggia.

Allo spuntar della livida alba del giorno seguente, i contadini che uscirono dai casolari sparsi sull’altra riva del Basento, ebbero subito la visione orrenda del disastro.

Il fiume era grosso e le acque torride e precipitose. Il tentativo di guado poteva anche costare la vita.

Non se ne preoccuparono quei generosi. Giunsero tutti all’altra riva, e non esitarono un momento, così come erano, fradici di acqua e spossati dalla fatica erotica del guado a mettersi subito all’opera di salvataggio.

Ebbero per tutti i feriti cure amorevoli che parvero paterne: A tutti diedero un aiuto e dissero una parola di conforto, mentre sulle loro guance rozze scendevano lacrime cocenti di strazio per tanto lutto e tanta rovina.

Quei contadini, che non reclamarono compensi e non ebbero onori, scrissero quel giorno la pagina più luminosa e la storia del loro paese.

Autore: da: "La Basilicata" di F. Di Sanzo (1928)

 

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