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IL PONTE DI S. ANTONIO ABATE

Dalle profonde riserve nelle viscere della catena montagnosa dell'Appennino Lucano, con al centro il massiccio del Volturino (1836 m.), sorgono rigogliose, limpide, fresche e chiare le acque che alimentano il fiume ‘La Terra’. Si arricchisce, lungo il corso, di numerosi rivoli, discendenti da vallette e canali mormoranti e chiacchierini, e delle acque che attraverso i profondi strati di zolfo e ferro, residuati dello antico vulcano, sboccano in una stretta gola dalle stupende caratteristiche, tra piccole cascate e placidi laghetti. Inoltrarsi per questa insenatura, perennemente ombrata dalla fittissima vegetazione, è, sì dura fatica, ma anche incomparabile gioia per la densa e profumata ricchezza di tutte le qualità di erbe e di fiori, di arbusti e di alberi pregiati.

Il corso d'acqua che viene a formarsi s'ingrossa via via fino ad arrivare, nei pressi dell'abitato, già fiume, un dì ricco di trote, anguille, sarde, gamberi. La pescosità era notevole, e soddisfaceva il fabbisogno ittico della popolazione. Ora purtroppo l'inquinamento e la pesca incontrollata, hanno quasi distrutto questa ricchezza. Bisogna inoltrarsi molto lontano, verso il lago ‘La Ferrara’ per sperare di riempire il paniere, e godere della gioia della pesca.

Quando nel 1150 circa, intorno al monastero di Santa Maria ‘de Plano’ si iniziò l'insediamento abitativo, attratto dalla presenza dei monaci, il fiume era una notevole fonte di ricchezza per la sua pescosità, per l'irrigazione degli orti e per uso potabile. Si usava infatti, e questo fino al principio del secolo corrente, scavare nel greto per ottenere zampilli di acqua limpida e leggera, atta alla potabilità.

Oltre il fiume, alle falde della collina ‘Timpo del Castagno’, si stendeva un dolce, largo declivio degradante dal castagneto fino a lambirne le acque. L'accesso veniva effettuato con passerelle incerte e traballanti, spesso spazzate via dalle frequenti piene.

Si avvertì il bisogno pressante di lanciare un ponte stabile e sicuro, che agevolasse uno scambio facile e continuo con i residenti che si andavano moltiplicando, e per la coltivazione degli orti.

Siamo all'inizio del 1200. L'agglomerato abitativo era già fitto, non solo nei dintorni del Cenobio, ma lungo tutta la piana.

L'attività lavorativa nelle sue molteplici espressioni, era intensa. La febbre delle costruzioni invadeva tutti. Sorgevano case addossate le une alle altre, e separate da vicoli stretti e bui, seguendo il corso del fiume, e nei due sensi est-ovest.

Anche il fervore religioso era assai notevole, e si esprimeva nell'innalzare cappelle e tempietti in onore di Santi, proposti alla devozione popolare dai monaci.

In gara con i ‘chianaiuoli’, gli abitanti al di là del fiume, costruirono una chiesetta dedicandola a Sant'Antonio Abbate, detto comunemente ‘Sant'Antuono’, termine che denomina il nuovo rione. “



“Le relazioni tra i due insediamenti, quello del ‘Piano’, gravitante sul monastero, e quello di ‘Sant'Antuono’, erano scarse, difficili e spesso contrastanti.

La costruzione del ponte, lanciato tra le due sponde del fiume dai Benedettini, allo scopo di amalgamare e unire le famiglie, favorirne le relazioni e gli scambi, in realtà si dimostrò causa di violenti contrasti.

La causa naturalmente era l'uso e l'utilizzazione delle acque del fiume per l'irrigazione e l'esercizio della pesca.

Si accendevano lotte furibonde e risse violente, alimentate da rancore e odio. Il ponte facilitava questi scontri per la possibilità di venire a contatto fisico con l'avversario. Tuttavia, anche se le relazioni erano poco morbide, caratterizzate da frizioni, col passare degli anni, e mercé la relazione pacificatrice dei Religiosi, il ponte rappresentò e facilitò l'unione del paese, evitando una divisione tra le due sponde, netta e decisa.

La costruzione del ponte fu eseguita da artigiani locali, sotto la direzione tecnica e la vigilanza continua ed attenta dei benedettini, abilissimi ingegneri pontieri ed architetti. E' un manufatto tecnicamente perfetto, e nella sua semplicità, armonioso e funzionale. Denota una conoscenza chiara, e di stile e di metodo di esecuzione. Tutti gli elementi costitutivi sono rispettati. È un arco ribassato in pietrame in conci. Dalle fondamenta ben solide, alla spalla, al rene, al rinfianco e infradosso ed estradosso corrono perfetta armonia e precisione assolute. Alla tecnica, così altamente studiata e messa in opera, si deve se il manufatto ha resistito e resiste tuttora alla furia e alla erosione delle acque, che si accaniscono contro gli spalti paurosamente nelle frequenti piene d'inverno per l'abbondanza delle piogge, di primavera per lo scioglimento delle nevi, accumulate sulla serra di Marsico e sul massiccio del Volturino.

Lungo il corso dei secoli, e fino all'inizio del '900, il manufatto non ha subito alterazioni, né gli sono state apportate riparazioni o date altre cure particolari.

Esso ha continuato, da solo, a smaltire il traffico tra una sponda e l'altra, essendo l'unico punto di riferimento per l'attraversamento del fiume.

Calvello è tra i pochi centri abitati lucani, bagnati da un corso d'acqua a flusso continuo.

Il ponte è stato, ed è tuttora, un'opera che caratterizza e distingue il paese. Esso si incastona in uno scenario particolare, fatto di un profondo verde, intenso ed esteso, con a Nord un agglomerato di case che si inerpica verso l'alto e culmina col ‘castello’; ad Ovest la fiancata massiccia della catena montagnosa oltre i 1700 m.; ad Est la dolce vallata dell'Isca, corrente verso il Camastra, passando per San Pietro; a Sud è protetto dal ‘Timpo del Castagno’.

Le condizioni statiche del ponte non destano preoccupazioni. Ciò che invece produce amarezza e sconcerto sono le manomissioni apportate in questi ultimi cinquanta anni ad alcune strutture. La volta e l'infradosso, fino alla fondazione, si sono per fortuna salvati da alterazioni.

Invece l'impiantito a gradini, i parapetti con il cordolo-corrimano, rifatti a cemento e a pietre levigate e filettate, hanno sconvolto la visione armonica dell'opera. Questi inconsulti interventi, eseguiti senza tener conto dello stile e dell'architettura particolare del 1300, hanno lacerata la bellezza dell'insieme.

Ora per l’intervento della Soprintendenza di Potenza, sollecitata da quanto sopra scritto, la struttura è ritornata, dopo accuratissimi lavori ben studiati ed eseguiti con professionalità e competenza, allo splendore d0un tempo.

Lo ammiriamo così come tanti secoli fa veniva lanciato tra le due sponde del fiume dai lungimiranti e competenti Padri Benedettini.”


da: "Calvello - storia, arte, tradizioni"
di Luigi De Bonis
su autorizzazione dell'autore

Autore: Luigi De Bonis

 

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