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La Festa della BRUNA

Le origini della festa della Madonna della Bruna, che già veniva indicata in tempi lontani, si perdono nel tempo divenendo leggenda. Un tentativo di spiegazione della denominazione "Bruna" ci viene dalla mitologia, riferito all'antico amore per la Terra-Madre propiziatrice di buoni raccolti e di fertilità; o dal latino medievale con la parola "usbergo", corazza (metaforicamente della difesa), o da Hebron, il monte di Giudea dove la Vergine andò in visita a Santa Elisabetta. Il due luglio dei 1380 il Pontefice Urbano VI, già Vescovo di Matera, decreta, sotto il titolo " Della Visitazione ", la istituzione della festa. Potenti e poveri fecero della " Madonna di Matera" un evento liturgico che richiamava ammirazione universale. Dal 1500 la festa dei due luglio subisce inserimenti profani nel suo antico svolgimento mistico e popolare. Il governo religioso di uno spagnolo, Monsignor Dei Ryos, ed il possesso della città dei Conte Gian Carlo Tramontano - napoletano - accesero la festa di contrasti. Il "Carro", semplice elemento di lavoro contadino, entra nella rappresentazione come simbolo, trasformato è reso fastoso, impreziosito di fregi e statuaria in cartapesta, sfavillante di colori, la cultura contadina, in questa manifestazione, si esalta in una successione di tempi: quella religiosa e quella pagana, la vicenda si vive cogliendo i diversi aspetti, la processione "dei pastori", che nasce all'alba dei due luglio; dopo il rito della Messa mattutina la processione, uscendo dalla Chiesa Madre dà inizio alla festa. In origine passava per i Sassi, gli antichi rioni della città, e si svolgeva in un abbraccio di preghiera e devozione. Il momento più significativo della festa, perché conserva il mito, è quando il "Carro", trainato da otto muli bardati con sfarzo contadino, scende nel cuore della città passando trionfale sotto le merlettature luminose, preceduto dall'Arcivescovo e dal Clero a cavallo e difeso "dalla cavalcata", un manipolo di popolani con elmo e corazza, divise che non appartengono a nessun periodo storico se non a quello dei due che nel tempo le investe di gloria paesana. "Giunto al Duomo (il Carro) vi gira per tre fiate nella larga piazza che lo precede. Si discende la statua della Vergine, che dà precitati canonici, di già smontati, viene restituita processionalmente con dei torchi accesi al suo posto in chiesa". Da questo momento la testa vive l'atto finale. Il "Carro" può essere distrutto, i "cavalieri", si stringono con i cava attorno al "Carro" vibrante di luci, il "generale", responsale del manipolo, comanda le ultime strategie per non lasciare nessun varco agli assalitori; le insidie lungo la strada per restituire alla Folla il simbolo della festa sono tante; i muli, con zoccoli neri e gli occhi rossi, guidati da un abile auriga trainano la grande barca che irrompe incuneandosi tra la folla che attende in piazza. Tra lo sbigottimento generale il "Carro" trionfale, frutto di lungo lavoro artigianale, viene assalito e distrutto. Ogni pezzo preso da quel momento é reliquia; un tripudio ibrido l'anima popolare torna a confondere il religioso con il profano.

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