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IL BOSCO DI POLICORO: UN RELITTO DI FORESTA PLANIZIARIA

Premessa

È ormai noto che le zone di pianura sono caratterizzate da una profonda trasformazione delle caratteristiche naturali originarie del territorio. In virtù delle favorevoli condizioni morfologiche, le pianure hanno rappresentato, da tempo immemorabile, i territori più adatti alle pratiche agricole. Sin dai tempi della Magna Grecia vi furono massicci interventi di trasformazione e risistemazione del territorio, in seguito estesi su vasta scala, con la grande opera pianificatrice dei romani.
Il processo di “antropizzazione” della pianura ha raggiunto oggi notevoli proporzioni in relazione alla crescita demografica e allo sviluppo di nuove attività. La forte preponderanza delle attività umane intensive pone seriamente il problema della salvaguardia degli ambienti naturali di pianura, in particolare dei boschi.
Fortunatamente non tutta la dimensione naturale spontanea è stata cancellata dalla pianura, dell’antico patrimonio naturalistico rimangono alcune tracce (quasi sempre su aree di limitata estensione) che è necessario ricercare e catalogare al fine di ricostruire le vicende biologiche del passato, tramandarne la “memoria genetica” ed evitare l’estinzione di ecosistemi costituitisi nel corso di vicende millenarie.
Il caso di Policoro è emblematico. Un centro abitato creato praticamente dalla Riforma Fondiaria, nel non lontano 1959, in cui la sussistenza del latifondo ha svolto inconsapevolmente un ruolo di salvaguardia ambientale: la consuetudine, diffusa tra i grandi proprietari terrieri, di destinare i boschi alle pratiche venatorie, ha consentito, in molti casi, la sopravvivenza di interessanti formazioni naturali.
Con questo contributo si intende affrontare, seppure in maniera sintetica, sulla base di indagini storiche e vegetazionali precedentemente effettuate, il tema dell’importanza biologica e storico-culturale del patrimonio naturale superstite in pianura.

Il percorso storico: da Eraclea a Policoro

Lo studio e l’evoluzione del paesaggio non può prescindere da una analisi storica: il paesaggio attuale non è altro che il risultato della combinazione, talvolta discontinua e contraddittoria, tra attività dell’uomo e le risorse naturali.
Le prime descrizioni del paesaggio della zona risalgono proprio al IV-V sec. a. C. e sono riportate nelle tavole bronzee di Eraclea.
Il contenuto delle tavole (che richiederebbe una trattazione a parte) abbraccia molti aspetti della sfera agro-forestale: dai metodi di suddivisione e misurazione dei terreni, alla normativa, ai rapporti di proprietà.
Le tavole riportano una indicazione ecologica piuttosto accurata dell’ambiente, che risulta composto in parte da macchia mediterranea, in parte da querceti, in parte da zone paludose. In particolare nelle tavole ritroviamo una descrizione piuttosto dettagliata riguardante la zona del fiume Agri, dove si parla di terre incolte (Arrectos), macchia (Schiros) e boschi di querce (Drumos); caratterizzata, inoltre, dalla presenza di fonti, terreni paludosi e fangosi, papiri e scarpate boscose presso le rive del fiume.
La floridezza dell’agricoltura e delle attività, pose, già allora, il problema della compatibilità tra risorse naturali e sfruttamento antropico, tanto da indurre gli amministratori a formulare una serie di leggi e normative miranti alla difesa ed al riassetto dei terreni boschivi e alla regimazione delle acque.
A partire dal secondo secolo dopo Cristo fino all’XI secolo, le notizie storiche riguardanti Policoro risultano molto esigue e frammentarie. Basandosi su ciò che risulta dalla storiografia generale dell’Italia meridionale e da quella delle località vicine, queste pianure erano essenzialmente caratterizzate da terreni paludosi. La popolazione era concentrata esclusivamente nelle località più salubri, separate da estensione di terreni incolti, dai pascoli e dalle selve che ormai rappresentavano la base dell’economia.
Bisogna arrivare al 1200 per avere alcune documentazioni più dettagliate riguardanti il territorio di Policoro. In tale epoca, il feudalesimo Normanno aveva fornito nuovi impulsi all’organizzazione economica e sociale favorendo le attività agricole e manifestando un notevole interesse per le foreste della foce del Sinni, che furono ripopolate con selvaggina pregiata. La “foresta” rappresenta una vera e propria istituzione e, seppur in un contesto di conflittualità tra le varie categorie sociali, svolge un ruolo di preservazione degli spazi boscati . Le foreste, infatti, costituiscono degli spazi incolti, ad uso privato dei sovrani, in cui si limitano le attività, in particolare la caccia, importante fonte di integrazione alimentare.
In uno dei primi documenti cartografici, che rappresenta il feudo di Policoro, risalente al 1589 (per la Basilicata non esistono mappe anteriori alla metà del ’500; Angelici G., 1989), sono raffigurati il castello, la torre, il mulino, il bosco Pantano, le coltivazioni di bambace (cotone) e le aree destinate al pascolo delle pecore.
Particolarmente importanti risultano le testimonianze riportate da diversi viaggiatori e studiosi che visitarono questi luoghi tra il Seicento e l’Ottocento. Il loro contributo non si limitò soltanto a fornire delle semplici descrizioni del paesaggio ma anche ad esaminare quella che era la realtà storico-sociale dell’epoca. In particolare l’archeologo Lenormant, visitando il territorio di Policoro, all’incirca nel 1880, nel suo resoconto di viaggio disegna un quadro generale in cui la sussistenza del latifondo e l’assenteismo dell’ aristocrazia locale generavano un profondo stato di abbandono ed un regime estensivo delle colture. Egli ne dedusse che questa situazione, assieme alla pressoché totale inesistenza di mezzi di comunicazione e di mano d’opera, era alla base del mancato sfruttamento della foresta di Policoro.
Solo nei primi decenni del Novecento si intravedono dei cambiamenti, seppure modesti, nell’ organizzazione del territorio e, soprattutto, nello sfruttamento più razionale delle risorse, che innescano gradatamente quel processo di modificazione dell’assetto ambientale.
Nel caso specifico, fino all’avvento della Riforma Fondiaria, quando il territorio di Policoro era di proprietà dei Berlingieri, si assiste da un lato ad un incremento delle attività agricole e della pastorizia, dall’altro ad una quasi totale esclusione dal ciclo produttivo della risorsa forestale. Difatti il proprietario si riservò il diritto di caccia nel bosco Pantano, limitando il più possibile le azioni di disturbo: il pascolo in bosco era consentito solo nelle zone più esterne; per la legna da ardere era consentito utilizzare solo le piante deperenti o morte ed era concesso, sia ai salariati che agli affittuari, il diritto di legnatico; i tagli in bosco, limitati al solo fabbisogno dell’azienda, si eseguivano senza sistematicità e senza perseguire determinati obiettivi colturali.
Tale situazione rimase pressoché invariata sino all’avvento della Bonifica idraulica e della Riforma Fondiaria che, a partire dagli anni Trenta, segnarono il punto di inizio di un cambiamento radicale delle condizioni politico-economiche di questi luoghi.
Nel 1946 la distribuzione della proprietà fondiaria privata nella pianura del Metapontino, il cui comprensorio abbracciava circa 70.000 ettari , era ancora caratterizzata da una notevole concentrazione di grande proprietà. In pratica dal 1930 al 1954 la Riforma ha sostanzialmente modificato la struttura fondiaria della zona, in un lasso di tempo piuttosto breve, eliminando le maggiori concentrazioni ed incrementando la piccola e media proprietà.
Si comprende bene come in questo passaggio da un tipo di agricoltura di tipo estensivo (dove l’aumento di produzione era generalmente legato all’ampliamento dell’estensione delle colture) ad una forma di utilizzo di tipo intensivo (dove piccole superfici vengono sfruttate con tecniche moderne di coltivazione), si rende necessario trasformare le superfici boscate in appezzamenti coltivabili. Comincia così l’opera di disboscamento: la foresta di Policoro viene sottoposta a taglio raso e della foresta originaria vengono risparmiate alcune centinaia di ettari, tuttora esistenti, la cui attuale proprietà è suddivisa tra enti pubblici e tra privati.

Il patrimonio naturale superstite: il bosco

La testimonianza di quella che fu una delle formazioni planiziali forestali più interessanti dell’Italia meridionale, si estende complessivamente su una superficie di circa 550 ha, in due aree situate sulla sinistra idrografica del fiume Sinni: Bosco del Pantano Soprano e Bosco del Pantano Sottano.
Il bosco igrofilo di Policoro appartiene, secondo Pedrotti (1980), all’associazione Carici-Fraxinetum angustifoliae che si ritrova lungo i corsi d’acqua e lungo le coste in posizione retrodunale o interdunale. È una associazione propria della penisola italiana distribuita lungo tutta la costa Adriatica, dal Po fino alla Sicilia, dove accanto al frassino ossifillo si ritrovano frequentemente l’olmo campestre e la farnia (per Policoro si segnala la significativa presenza dell’ontano nero), accompagnate da alcune specie caratteristiche quali Carex spp. e da diversi componenti xero-mediterranei come Smilax aspera L., Ruscus aculeatus L., Rubia peregrina L..
Nell’area del Pantano Sottano lo strato arboreo è composto prevalentemente da specie meso-igrofile quali frassino ossifico, ontano nero, pioppo bianco, mentre la farnia ha attualmente un ruolo subordinato e l’olmo campestre è presente quasi esclusivamente in forma cespugliosa. Accanto a queste specie compaiono frequentemente cerro, acero campestre, alloro, salice bianco, pioppo gatterino, fico selvatico, melo selvatico ed olivo selvatico. In quest’area è possibile distinguere, sulla sola base della composizione arborea, alcuni tipi di formazioni, di ampiezza variabile, che ritroviamo distribuite in relazione alle particolari caratteristiche ambientali.
a. formazioni miste a pioppo bianco, pioppo gatterino, frassino ossifillo e ontano nero ;
b. formazioni miste a prevalenza di frassino ossifillo e ontano nero con sporadici esemplari di pioppo bianco;
c. formazioni pure a pioppo bianco;
d. gruppi puri a frassino ossifillo.
Nell’area residua del Pantano Soprano, dove il li vello medio del terreno è più elevato, si riscontra un diverso rapporto di mescolanza tra le specie; la componente igrofila si impoverisce ed è rappresentata principalmente dai pioppi - soprattutto nelle aree di margine - dal frassino e sporadicamente dal salice bianco e dall’ontano nero.
In questa zona si rileva una maggior diffusione di cerro e farnia a cui si aggiungono l’alloro (presente con individui a portamento arboreo), l’olmo (di cui si contano diversi soggetti non colpiti dalla grafiosi), l’acero campestre e l’acero minore, l’orniello, la carpinella e l’albero di Giuda. È in quest’area che si ritrovano gli alberi più imponenti con altezze superiori ai 25 m e di maggior sviluppo diametrico (diametri a petto d’uomo prossimi al metro).
In conseguenza a particolari situazioni di degrado in alcuni tratti lo strato arboreo è costituito prevalentemente da specie secondarie quali acero campestre, orniello, acero minore, alloro, carpinella, aggregate in maniera variabile alle specie principali o raggruppate (alloro e carpinella) in piccoli gruppi monospecifici.

La macchia mediterranea e il litorale sabbioso

Tra il litorale sabbioso ed il bosco ritroviamo un’ampia fascia caratterizzata dalla presenza di vegetazione a macchia mediterranea nella cui composizione flogistica dominano decisamente il lentisco ed il ginepro. Gli altri elementi sono variamente distribuiti per l’alternarsi di zone asciutte, più umide o acquitrinose dove si riscontrano delle formazioni igrofile tipiche dei suoli che sono umidi per gran parte dell’anno e asciutti durante l’estate e, lungo i canali, elementi tipici della vegetazione riparia.
Oltre al ginepro ed al lentisco, che spesso assumono portamento arboreo, le specie più frequenti sono il mirto, il rosmarino, l’agave, l’olivo selvatico e la fillirea (Phillyrea angustifolia L.); in alcuni punti si riscontrano superfici ricoperte da cisto (Cistus incarnus L.) e nelle zone più umide si ritrovano esemplari di oleandro e agnocasto (Vitex agnuscastus L . ), elemento piuttosto diffuso, tipico delle bassure umide e delle fiumare. I tratti di macchia più degradati sono caratterizzati da superfici ricoperte da rosmarino, da cespugli di artemisia (Artemisia variabilis Tem. ), da lentisco e da rovi .
Il tratto di spiaggia che determina il confine del biotopo di Policoro con il mare si estende per circa 3 km e si presenta ben conservato, in alcuni tratti integro. Si tratta di una spiaggia prevalentemente sabbiosa con alta percentuale di ciottoli sulla riva; la sua larghezza varia tra i 50 e i 200 metri ed il suo limite intero coincide con l’inizio della zona occupata dalla macchia mediterranea.
È stata rilevata tramite dei transects la serie spaziale della vegetazione della battigia verso l’interno, le specie che rappresentano la prima fase di colonizzazione delle sabbie sono: Sporobolus pungens Kunts, Eryngium maritimum L., Xanthium italicum Moretti, Cakile maritima Scop. Proseguendo in direzione opposta al mare, ritroviamo, inoltre: Echinophora spinosa L., Euphorbia paralias L., Eryngium maritimum L., Medicago marina L., Ammophila littoralis (Beauv.) Rothm., Juncus acutus.

Il ruolo delle formazioni naturali di pianura

Allo stato attuale delle cose il principale quesito che ci si pone è se negli ambienti di pianura, dove ormai risalta nettamente la contrapposizione tra agricoltura intensiva e ambiti naturali, questi ultimi siano fisiologicamente destinati alla completa eliminazione.
Il tema della produzione agricola compatibile con la protezione dell’ambiente e della cura dello spazio naturale di pianura è tutt’altro che nuovo anche se per queste aree non è stata mai riconosciuta con atti di volontà esplicita né quindi con provvedimenti adeguati, la loro funzione di conservazione del patrimonio naturale.
La necessità di tutelare le superstiti aree boschive di pianura è stata in questi ultimi decenni ampiamente illustrata e ribadita a vari livelli e si può affermare che riguardo a questo specifico problema ci sia un interesse sempre più crescente. Storicamente parlando è interessante notare come solo negli ultimi anni la legislazione forestale ha introdotto dei vincoli di tutela per i boschi planiziali ai quali viene riconosciuta la funzione di regimazione delle acque (collegata principalmente ai boschi di montagna della Legge Forestale italiana del 1923) e che, per inciso, non trova una soddisfacente e concreta applicazione riguardo al mantenimento e al rafforzamento di adeguate fasce boscate lungo i corsi d’acqua o nelle golene di fiumi e torrenti.
Sicuramente l’argomento che più frequentemente si contrappone alle iniziative di salvaguardia è quello della improduttività o svantaggiosità, in termini economici, degli ambiti di tutela. Ma è proprio in considerazione degli aspetti extraeconomici che è possibile prefigurare le aree protette come un elemento trainante ai fini di uno sviluppo e di una qualificazione del territorio.
Difatti, da un punto di vista squisitamente culturale, la concezione della tutela tende ad evidenziare alcuni valori quali le peculiari forme di rapporto col territorio, le tradizioni, le forme di insediamento, che costituiscono aspetti caratteristici e si contrappongono all’omologazione culturale del territorio. Inoltre le varie esperienze hanno chiaramente dimostrato che un’area protetta tende ad esercitare inevitabilmente un impatto sulle relazioni con il territorio circostante, introducendo e stimolando iniziative di studio e di sviluppo.
Dal punto di vista biologico il concetto della conservazione del patrimonio genetico (valido per ogni tipo di ecosistema) assume particolare importanza nel caso delle foreste non solo per la notevole ricchezza biologica, ma anche per il fatto che esso, come nel caso di Policoro, rappresenta l’unico elemento che evidenzia con particolare risalto la netta distinzione tra ecosistemi naturali o prossimo-naturali ed ecosistemi agricoli che hanno trasformato radicalmente il paesaggio di pianura.
Il biotopo di Policoro se analizzato globalmente costituisce un sistema eterogeneo per la sua ricchezza di ambienti (foce del fiume, stagni, macchia mediterranea, litorale e bosco); questa struttura diversificata assume una rilevanza notevole nei confronti dei fattori fisici e delle componenti biologiche.
La presenza del bosco favorisce il controllo dei cicli erosivi e sedimentari, evitando o limitando, i fenomeni legati alle dinamiche fluviali (allagamenti ecc.) con benefici effetti anche lontano dall’area protetta. La presenza del bosco si riflette positivamente sui delicati equilibri esistenti tra falde di acqua dolce e intrusione di acqua salata dal mare e costituisce una valida barriera nei confronti delle correnti d’aria marine, dannose alle colture agricole retrostanti.
Il mantenimento della diversità biologica è sicuramente uno dei ruoli principali che il bosco deve assolvere. Basti ricordare la presenza di entità flogistiche strettamente legate a questi particolari ambienti e al patrimonio genetico costituitosi nel corso dei secoli. Non bisogna dimenticare poi, che ambienti differenziati, come quelli presenti nel biotopo di Policoro, rivestono un grande interesse per la fauna; gli ecosistemi umidi, inoltre, sono quelli più efficienti in termini di produttività ed in particolare le foci dei fiumi costituiscono ambienti ideali per l’avifauna.
Le indagini effettuate in campo evidenziano chiaramente come sia in atto un processo involutivo delle formazioni naturali superstiti, che subiscono una progressiva semplificazione strutturale e un impoverimento floristico. Difatti nelle aree residue del Pantano Soprano e del Pantano Sottano si assiste ad una graduale modificazione dei caratteri originari in conseguenza della regimazione delle acque e allo stato di totale abbandono della risorsa. Rimarchevole è l’incremento di specie pioniere eliofile e di avventizie antropocore come il pioppo nero che colonizza massicciamente le zone golenali e la robinia che si insedia nelle aree periferiche del bosco e nelle chiarie più ampie, dove anche lo strato erbaceo ed arbustivo viene sostituito in larga parte da specie a carattere marcatamente xerofilo.
L’assenza di qualsivoglia misura di protezione o vigilanza ha favorito fenomeni di disturbo di ogni genere a carico del soprassuolo che necessita di interventi colturali urgenti atti ad eliminare, o almeno a ridurre, i pericoli di eccessiva degradazione o di totale estinzione del bosco.
Il problema del ripristino dei caratteri originari delle fitocenosi alterate dall’uomo comporta difficoltà tecniche e metodologiche e deve essere fondato su dettagliate analisi vegetazionali e stazionali degli ambienti in cui si opera, su una accurata valutazione qualitativa e quantitativa dei vari fattori di disturbo e di alterazione che agiscono nella zona.


tratto da "BASILICATA REGIONE Notizie, 1996

Autore: Enrico L. De Capua

 

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